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Atti del 1°Congresso SI-EFPP - Roma, 6 maggio 2000

"Costanti e Evoluzioni del Setting in Psicoterapia Psicoanalitica"




L'Uso del Video nel Trattamento Psicoterapeutico di Pazienti Tossicodipendenti

Linda Root Fortini

Psicologa, Psicoterapeuta dell'Azienda Sanitaria 10 di Firenze
Membro ordinario e Docente con funzioni di training dell'A.F.P.P.



Sappiamo che non basta eliminare il ricorso alle droghe nella vita di una persona che abusa di sostanze stupefacenti perché essa ritorni "sana" in quanto lo svincolo dalla tossicodipendenza non può avvenire senza l'acquisizione da parte della persona di una consapevolezza della propria condizione tossicomanica e senza una sua disponibilità ad accettare di mettersi in contatto con la sofferenza psichica.
Siamo di fronte ad una psicopatologia complessa che tende a paralizzare le potenzialità di crescita e a distorcere la cognizione della realtà. Questi pazienti sentono qualsiasi contatto umano come una minaccia o un pericolo per cui tendono a mantenere un distanziamento emotivo. Non sono capaci di avere relazioni interpersonali e di chiedere aiuto né tanto meno di saperlo utilizzare.
"Una caratteristica paradossale del lavoro con questi pazienti è l'inaccessibilità del soggetto che......rimane a lungo inafferrabile emotivamente. Il suo sintomo tossicomanico non è sentito come un disagio mentre è l'allontanamento da esso a causare malessere" (Root Fortini 1986).
La tecnica di comunicazione attraverso un mezzo audio-visivo può essere uno strumento alternativo e complementare al setting psicoterapeutico per pazienti difficili da raggiungere e refrattari al cambiamento che sono riusciti a raggiungere un auto-controllo sull'uso delle sostanze stupefacenti.
Con l'assunzione di sostanze stupefacenti il tossicodipendente cerca di sopprimere la consapevolezza della propria esistenza e di favorire il soddisfacimento immediato di bisogni che percepisce come legati solamente a sensazioni del corpo. Questo particolare funzionamento della mente che dirotta la sofferenza nell'area del corpo svolge un'azione difensiva contro l'angoscia derivata dalla paura di un mondo interno vissuto come ostile e persecutorio. Per evitare di mettersi in contatto con i sentimenti e le emozioni il tossicodipendente stabilisce un rapporto distorto e fittizio con la realtà. Da questa organizzazione difensiva il tossicodipendente diventa a sua volta sempre più dipendente.
Lo scarico delle tensioni emotive che si accumulano dentro alla persona in modo caotico e dispersivo avviene attraverso una modalità primitiva di comunicazione: l'acting-out. Con l'acting- out il paziente tende a privilegiare una messa-in-scena che veicola all'esterno ciò che egli non può mettere in parole. Se da una parte l'acting-out prende il sopravvento sul pensiero e contribuisce a perpetuare nella persona un'immagine di sé falsa che per sopravvivere ha sempre più bisogno di cecità, dall'altra sembra essere l'unica maniera per il paziente di comunicare qualcosa di sé. Questo linguaggio "attivo" e pre-verbale va ascoltato e tradotto nel suo significato nascosto.
Stiamo parlando di un quadro clinico che consiste in un funzionamento mentale difettoso, basato sull'evasione dalla realtà (interna ed esterna) che ostacola la capacità di simbolizzare e danneggia lo sviluppo della fantasia, una funzione innata che, secondo la Klein (1930), è alla base di tutti i processi mentali.

Il contesto e gli obiettivi del programma: La produzione di video film è un'attività che viene svolta all'interno di un programma non residenziale per pazienti tossicodipendenti drug-free. Il programma "Il Cannocchiale," che ha la durata di un anno, è gestito dall'Azienda Sanitaria di Firenze tramite il Ser.T di zona che opera in collaborazione con una Cooperativa Sociale di educatori. E' caratterizzato dalla contemporaneità della fase psicoterapeutica con quella socio-educativa e si configura come una terapia di ambiente, rivolta ad un piccolo gruppo di 6-8 pazienti. La metodologia operativa fa riferimento alla teoria delle tecniche integrate (Main 1947) al concetto del "gruppo di lavoro" (Bion 1962) e al modello psicoanalitico del funzionamento sano della famiglia (Meltzer e Harris 1983).
Ogni partecipante vive in famiglia, lavora a tempo parziale in una ditta artigiana con un progetto individuale, frequenta il Centro nelle ore pomeridiane e serali e organizza autonomamente il suo tempo libero nel fine settimana. E' prevista una psicoterapia individuale di tipo esplorativo che rappresenta uno spazio propedeutico all'auto riflessione mirante a promuovere una riduzione dei comportamenti impulsivi e reattivi. Si lavora nella prospettiva che il paziente riesca a stabilire un'alleanza terapeutica e a collegare azioni e sentimenti nel qui ed ora della situazione. Lo psicoterapeuta presta attenzione anche ai fenomeni controtrasferali che avvengono nel contesto globale, ovvero, sia nella relazione paziente-terapeuta sia nella relazione paziente-educatori E' previsto anche un gruppo di sostegno bimensile per i genitori.

Il video film: L'attività di realizzazione di video-film non è di per sé stessa terapeutica. Diventa terapeutico in quanto si svolge all'interno di un contesto orientato psicoterapeuticamente. Questa attività che fornisce anche stimoli culturali e apprendimenti di tecniche e di competenze si può configurare come un'area intermedia (Winnicott 1971) dove si sovrappongono terapia e gioco. Fare un video film può essere per il paziente un'opportunità non intrusiva di esplorare, forse per la prima volta, il proprio mondo psichico senza risvegliare sospetti, ansie, paure o rifiuti. Ad ogni paziente nella fase conclusiva del programma viene proposto di inventare una storia da cui trarre un film. Nel ruolo del regista egli coordina con l'aiuto degli educatori e insieme agli altri pazienti una serie di fasi di lavoro: la sceneggiatura, i dialoghi, la musica, la scelta degli interpreti e degli ambienti.
Inventare una storia presuppone il dover pensare ad una situazione di vita da fare vivere attraverso dei personaggi.
Nel libro Raccontami una Storia la Vallino (1998) spiega il significato della sua tecnica nel trattamento psicoanalitico dei bambini che consiste nella "visualizzazione di un Luogo Immaginario dove le emozioni vengono trasposte in un altrove distante e più sicuro per poter cominciare ad essere comunicate con modalità non verbali" ossia, visive, sonore, motorie, gestuali, musicali. Il mezzo tecnico della cinepresa permette di mantenere un giusto distanziamento tra il focus sulla storia e la risonanza emotiva, di allentare l'angoscia e di dare all'immaginazione un'opportunità di esprimersi.
Il gruppo di lavoro composto da educatori e da pazienti condivide i diversi compiti e le eventuali difficoltà che si presentano durante il lavoro favorendo un clima di collaborazione, di fiducia e di reciproco rispetto. Questa rete di relazioni che dà sostegno e che è capace di responsabilizzare i suoi membri si pone a fianco (work alongside Hinshelwood 1997) del paziente senza invadere né sopraffare. Nell'organizzazione del programma gli educatori lavorano insieme al paziente sul compito specifico della realizzazione del video film e non direttamente sul mondo intrapsichico.
Se per il gruppo degli operatori il video film può servire da rivelatore o da conferma del tipo di funzionamento mentale del paziente, per il paziente rappresenta una prova concreta di una sua capacità di intraprendere e portare a termine un compito e di aver acquisito delle competenze tecniche ( sense of industry, Erikson 1968). Il sentimento di essere capaci di fare delle cose e di farle bene sta di fatto alla base dell'auto-stima.
Alla fine del programma di ogni paziente viene organizzata la serata della "prima visione" del proprio video film e vengono invitati genitori, datori di lavoro, operatori ed amici. La video cassetta viene restituita al paziente alla conclusione del suo programma. Non è prevista la restituzione al paziente di una interpretazione in chiave psicodinamica dei contenuti della storia del suo video film in quanto non specificato nel contratto iniziale con il paziente. Per questi pazienti rifugiati nelle loro difese massicce ed ancora poco recettivi sarebbe un'operazione prematura che potrebbe essere vissuta come un sopruso o un'invasione e contribuire ad incrementare angosce e resistenze.

La presentazione del caso
F, trentadue anni, sposato, con una figlia di sei anni, non è il tipico utente del Ser.T. Non dà una immagine degradata di sé anzi appare curato nell'aspetto e nell'abbigliamento. Si presenta come una persona sicura e cordiale, caratteristiche tipiche del suo mestiere di rappresentante. Sembra vergognarsi di essere un tossicodipendente. Già nelle prime sedute di psicoterapia si evidenzia una certa elusività dietro un atteggiamento gioviale banalizzante che potrebbe far pensare che ci siano parti di sé che deve tenere segrete.
La sua tossicomania si instaura su un vissuto di colpa inconscia e di lutto depressivo.

La Storia: F è l'ultimo di cinque figli. Il padre è stato un alcolizzato e la madre è morta quando F aveva quattro anni in una circostanza drammatica e misteriosa: si è suicidata insieme all'amante. C'è anche un dubbio sull'identità del padre di F. Dopo la morte della madre i servizi sociali si occupano dei figli. F viene mandato in un collegio. Racconta alla psicoterapeuta che i metodi educativi erano violenti e punitivi e che varie volte ha cercato disperatamente a fuggire. A dieci anni ritorna a casa dove l'unico punto di riferimento è un fratello che poi muore in un incidente. A seguito di questa seconda perdita traumatica F è praticamente abbandonato a sé stesso e inizia ad usare droghe. Dalla sua cartella clinica si legge che attorno ai quindici anni ha un ricovero psichiatrico per sindrome depressiva e delirio di persecuzione con un episodio di anoressia.

Il Programma Terapeutico: F entra al Centro senza un reale convincimento e con la percezione di essere ormai uno sconfitto. Dopo alcuni mesi si adatta all'ambiente, rifiorisce fisicamente, stabilisce rapporti amichevoli con tutti ponendosi a volte nel ruolo del fratello maggiore che aiuta gli altri. Dà l'impressione che le attività che si svolgono al Centro siano per lui un modo di giocare ed il gruppo una fonte di calore. L'ambiente del Centro viene idealizzato come un " paradiso perduto" che tiene lontani i fantasmi del suo passato. A suo dire si amplifica il disagio nel suo rapporto con la moglie che lo colpevolizza per le sue inadeguatezze di marito e di padre.
Nelle sedute cerca di creare un clima accogliente e senza conflittualità. Consegna psicoterapeuta, attraverso il racconto della sua storia, una sofferenza che non può essere elaborata ma solo raccontata come una sequela di eventi. Emerge controtrasferalmente il bisogno di essere protetto da uno psicoterapeuta-avvocato, difensore unico e personalizzato dei suoi diritti calpestati.
Verso la fine del suo programma F fa un gesto provocatorio: appoggia il suo portafoglio con la paga settimanale sul tavolo nell'ingresso del Centro alla vista di tutti. Alla fine della serata scopre di essere stato derubato. Per la prima volta manifesta violentemente tutta la sua rabbia. Chiede che si faccia avanti il colpevole altrimenti lui se ne andrà. La sua idealizzazione del programma lascia il posto ad un attacco distruttivo. F va in cerca di un colpevole arroccandosi su atteggiamenti severi e intransigenti minacciando di abbandonare il programma. L'aspetto di F è ora alterato, non più gioviale, appare dimagrito e teso comunicando la sua sofferenza a livello corporeo.

Il Video : Il video film in bianco e nero racconta la storia di un sequestro da parte di una banda di criminali. Il ruolo di protagonista (recitato da F) è tenuto nascosto nel sottosuolo di un casolare abbandonato. Viene accusato di un delitto non ben specificato e maltrattato da personaggi incappucciati. L'uomo implora i suoi carcerieri di fargli conoscere qual è il reato per cui è stato incatenato e qual è la sua colpa. Durante la sua prigionia fa tre sogni di fuga, l'ultimo dei quali si conclude con la morte dopo un feroce inseguimento notturno nel bosco. "Liberato" dai suoi incubi, riesce a ricordare con immagini a colori eventi ed emozioni di "un periodo d'oro" quando era circondato dagli affetti degli amici. A questo punto individua l'identità dei suoi sequestratori dietro ai quali si celano alcuni amici a lui cari. I sequestratori, scoperti e spaventati, lo rimettono in libertà. L'immagine conclusiva del film si fa di nuovo a colori e lui si allontana salutando con la mano.
Riflessioni sul paziente e sul suo video film: Con il suo film F ha fatto un primo tentativo di confrontarsi con un conflitto interno e di ricercare una sua verità psichica. Ha descritto una vicenda di solitudine estrema e di sofferenza fisica e mentale dove circolano i suoi fantasmi di colpa. E ha trasferito sul protagonista una situazione di persecuzione interna terrificante che riproduce quella da lui vissuta nella sua vicenda personale e ha rivissuto in forma trasposta il suo lutto depressivo per la perdita di legami affettivi del passato non più proponibili nel presente. Vedi l'episodio del riconoscimento dell'identità dei suoi sequestratori dietro la quale si nascondono amici e affetti dai quali si è sentito tradito. Questo episodio sembra aver potuto provocare in F la riattualizzazione di sentimenti misti di odio e amore appartenenti alla memoria del trauma infantile centrale legata alla morte violenta della madre Il racconto del sequestro può essere letto come una metafora della sua tossicodipendenza e, ad un livello più profondo, del suo mondo intrapsichico, ostile e persecutorio, rappresentato dal sottosuolo buio e cupo dove il protagonista è rinchiuso. Il film si conclude con una nota di speranza con il saluto del protagonista che si avvia da solo verso un futuro "a colori" come se fosse già pronto ad accettare l'ignoto, a tollerare le separazioni e, eventualmente, ad affermare la propria indipendenza dagli altri.

Il follow-up: a due anni dalla conclusione del suo programma F, dopo una breve ricaduta nella droga, ha ripreso contatto spontaneamente e non più mediato da parenti come nel passato con la stessa psicoterapeuta facendo richiesta specifica di un sostegno psicologico che dura per un anno durante il quale riesce ad essere assertivo nei rapporti con colleghi di lavoro, a stabilire rapporti affettuosi con la madre e ad entrare nel ruolo di padre.
Note Conclusive: Come spero si è potuto capire dalla mia breve relazione F è stato capace di rappresentare se stesso attraverso una storia immaginata e ha potuto vedersi recitare nei panni di un personaggio cui egli ha dato una fisionomia, una dimensione affettiva e degli atteggiamenti comportamentali compatibili con ciò che egli sente. Le emozioni viscerali del paziente che ostacolano il riconoscimento di ciò che appartiene al suo mondo interno possono essere trasferite in un personaggio altro da sé ed allontanate ad una distanza di sicurezza. E' un modo per il paziente di poter venire letteralmente faccia-a-faccia con i problemi dai quali si difende e di poter mettere in moto un processo di sensibilizzazione su di essi nel senso di prendere contatto con qualcosa di sé fino ad allora impensabile perché troppo minaccioso. In tal senso il paziente è messo nella condizione di poter vivere un'esperienza emotiva intensa ma meno carica di paura rispetto a quanto può avvenire nel setting psicoterapeutico.
Nel fare il suo film F sembra essere stato capace, per la prima volta, di mettersi in contatto e confrontarsi con una memoria del passato legata ad esperienze di perdita e a sentimenti di colpa e di accedere alla propria capacità immaginativa di fatto non troppo compromessa. L'immaginazione infatti funziona quando c'è l'abbandono dell'onnipotenza, il contatto con la realtà psichica e la capacità di simbolizzare che sono i prerequisiti della posizione depressiva (Segal 1991).

Bibliografia
Bion, W. (1962) Apprendere dall'Esperienza Armando, Roma 1988
Erikson, E.H. (1968) Identify, Youth and Crisis Norton & Co
Griffiths, P. e Hinshelwood, R.D. (1971) Action speaks louder than words in: Psychosocial Pratice Within a Residential Setting a cura di P. Griffiths, Pringle Karnac, London.
Klein, M. (1930) L'importanza della formazione dei simboli nello sviluppo dell'Io. Tr. It in: Scritti 1921-1958
Main, T. (1946) The hospital as a therapeutic institution, Bulletin Menninger Clinic, vol.1. n. 3.
Main, T. (1957) The ailment, Br. J. Med: Psycho., n.3
Melzer, D. e Harris, M. (1983) Il ruolo educativo della famiglia: un modello psicoanalitico dei processi di apprendimento, Centro Scientifico Torinese 1986.
Root Fortini, L. (1986) Il primo approccio col tossicodipendente nel servizio pubblico. In: Prospettive Psicoanalitiche nel Lavoro Istituzionale. Il Pensiero Scientifico n.2 Roma.
Segal, H. (1991) Dream,Phantasy and Art. Tavistock, London.
Vallino Macciò, D. (1998) Raccontami una Storia. Borla, Roma.
Winnicot, D. (1971) Gioco e Realtà, Armando, Roma 1974.



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