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Atti del 1°Congresso SI-EFPP - Roma, 6 maggio 2000

"Costanti e Evoluzioni del Setting in Psicoterapia Psicoanalitica"




La rappresentazione delle esperienze corporee: le molteplici forme con cui partecipano al dialogo psicoanalitico

G. Buonfiglio



Nel lungo arco delle sue ricerche Freud non ha mai smesso di confrontarsi col problema centrale del corpo che genera e continuamente influenza la vita psichica al punto che questa non sembra concepibile in modo astratto senza un rimando alla realtà fisica e somatica. Il primo confronto con i fenomeni isterici suggeriva un modello secondo il quale il corpo esprime attraverso i sintomi affetti e contenuti simbolici che sono andati "persi" durante la costituzione della nevrosi (Freud, 1892).
Con l'abbandono da parte di Freud del tentativo riduzionista insito nel "Progetto di una psicologia" (Freud,1895), sembra acquisita alla psicoanalisi la consapevolezza di una intrigante relazione fra la dimensione fisica e quella psicologica che deve essere continuamente ripensata ed è appunto irriducibile. Citiamo alcuni dei modi in cui nel corso del tempo questo tema compare negli scritti di Freud:
- nei saggi sulla sessualità l'elemento fisico è imprescindibile (Freud,1905)
- il pensiero ha la funzione di contenere la scarica muscolare, nei "Due principi sull'accadere psichico" (Freud, 1911)
- il concetto di pulsione lega l'attività psichica al compito di gestire ciò che proviene dalla sfera somatica (Freud 1915a)
- nel saggio sull'inconscio compare la distinzione fra "rappresentazione di cosa" e "rappresentazione di parola"; il pensiero è indissolubilmente legato alle percezioni somatiche e in generale alla realtà del corpo. (Freud, 1915b)
- nell'introduzione alla psicoanalisi viene evidenziata l'importanza delle pulsioni che permettono una distinzione fra dimensione interna e realtà esterna. (Freud 1916)
- l'Es deriva direttamente dal corpo, ma la realtà corporea è altresì fondamentale per la costituzione del senso di identità e per il funzionamento dell'Io, (Freud 1923)
- Nel Compendio è evidente il tentativo di superare il dualismo: "La psicoanalisi reputa che i presunti processi concomitanti di natura somatica costituiscano il vero e proprio psichico, e in ciò prescinde a tutta prima dalla qualità della coscienza." (Freud, 1938, p.584)

La relazione fra ciò che indichiamo come "corpo" e ciò che denominiamo "mente", attraversa tutta la storia della psicoanalisi e coglie punti di vista eterogenei. Ne ricordiamo sinteticamente alcuni:
- gli studi sulle prime fasi dello sviluppo infantile che rimandano alla relazione madre-bambino;
- l'esplorazione della vasta area dei c.d. disturbi psicosomatici e di alcune patologie narcisistiche;
- le correnti di pensiero che privilegiano l'interazione nel contesto psicoanalitico;
- i tentativi di creare un modello della mente che tenga conto della biologia, dei fenomeni evolutivi e della dimensione etologica.
Prima o poi ogni tentativo di parlare della vita mentale si trova di fronte alla necessità di definire alcune questioni di base quali:
1) come si intende la percezione
2) il ruolo delle emozioni e dell'attività immaginativa o se si vuole delle fantasie
3) come si concepiscono la memoria e altre manifestazioni del pensiero simbolico e astratto fra le quali la coscienza di sè.
Pur assumendo fermamente l'assunto che ogni persona è una realtà unitaria, indivisibile, è difficile evitare l'uso metaforico di concetti quali mente e corpo. Anche se per strada rischiamo continuamente di perdere la nostra padronanza del livello metaforico e trattare "la mente" e "il corpo" come entità dotate di realtà concreta e autonoma.
Il riferimento che intendo fare al modello di A. Ferrari dell'"Oggetto Originario Concreto" (OOC) e dell' "Eclissi del corpo" ha a mio avviso il vantaggio di aiutarci a mantenere l'accezione metaforica nel trattare fenomeni mentali e fenomeni corporei. Esso ha inoltre il pregio di specificare in modo originale alcuni nessi fra la costituzione dell'identità individua e le relazioni che la rendono possibile.
Proprio la percezione, che è il fondamento di ogni altra esperienza e che anche nella costruzione di modelli metapsicologici assume un ruolo cardine, è spesso considerata in modo confusivo. Il modello della percezione proposto da Edelman, basato su solidi elementi neurofisiologici, si fonda sulla teoria da lui elaborata della "selezione dei gruppi neuronali" (TSGN), costruita su due osservazioni: 1) gli stimoli percettivi provenienti dall'interno o dall'esterno viaggiano su più vie parallele e interessano gruppi specifici di neuroni che si organizzano in mappe; 2) più mappe sensitive e/o motorie sono collegate fra loro selettivamente da gruppi neuronali specifici tramite un fenomeno denominato "rientro". Questi collegamenti possono, dopo un certo periodo, attivarsi in presenza di uno solo degli stimoli possibili o anche in assenza di stimoli esterni, in connessione col pensiero astratto o simbolico.
Un animale che effettua un campionamento casuale abbastanza vasto di stimoli eterogenei provenienti da un ambiente imprevedibile e non ordinato in classi, opera una primitiva categorizzazione degli stimoli in modo per così dire privato e originale; nell'uomo queste categorie non rispondono alla logica classica e hanno le caratteristiche degli insiemi polimorfi, hanno limiti indistinti, gradi diversi di appartenenza e rispondono a criteri di centralità e di prototipicità. (Wittgenstein 1953; Rosch 1977) Prendendo in considerazione questo tipo di organizzazione funzionale non è necessario inferire alcuna entità astratta per rendere conto di come un individuo sia in grado di attribuire significati alle percezioni.
D'altro canto, secondo questo modello, non è possibile alcuna percezione non categorizzata: la percezione è di per sè una categorizzazione, per quanto provvisoria e semplice. All'uomo non è dato di entrare in relazione col mondo "così come è", non esistono gli stimoli grezzi, la percezione non è una semplice registrazione di oggetti o eventi, ai quali poi la mente attribuisce significato. La percezione è dunque un fenomeno corporeo che già esprime funzionalmente una realtà "mentale" per quanto semplice. Su queste basi è possibile costruire una teoria che rende conto della comparsa di una memoria "ricategorizzante", di concetti, di una competenza linguistica e di una coscienza, compresa la coscienza di ordine superiore nella quale l'autocoscienza è coniugabile con rappresentazioni di sè e del mondo organizzate nel tempo e sganciate dall'esperienza e, in alcuni casi dalla realtà esterna.
- Il modello dell'Oggetto Originario Concreto (OOC), comincia a delinearsi nel 1982 e si definisce meglio negli anni successivi. Ferrari pone una premessa : "La nostra ipotesi presuppone che la ricerca psicoanalitica sulle modalità di funzionamento mentale debba essere collocata in un contesto biologico ed etologico" (Ferrari, 1982,p.18).
Si tratta come si vede di due assunti nettamente definiti:
- il primo riguarda il riconoscimento del fondamento biologico di qualsiasi proprietà della mente umana: la memoria, il pensiero, il linguaggio, l'autocoscienza, sono caratteristiche che emergono durante l'evoluzione in ragione della progressiva auto organizzazione del sistema nervoso e delle altre caratteristiche della specie presa in esame.
- l'altro è di natura "etologica" come dice l'Autore. Sappiamo che, dal punto di vista neurofisiologico, nessuna attività mentale superiore è possibile in assenza di una continua e adeguata afferenza di stimoli dal corpo e dal mondo esterno.
Sembra però che una buona parte di questi stimoli debba essere rappresentata, specie nei primi anni di vita, da complessi segnali cognitivi ed emotivi provenienti dall'interazione con un gruppo socialmente organizzato; in primo luogo, ovviamente, con l'oggetto delle cure materne. Ma una madre è capace di esplicare il suo ruolo in modo sufficientemente adeguato solo se porta dentro di sé i codici e le rappresentazioni dell'ordine familiare e sociale al quale appartiene.
Il tentativo di G.M.Edelman di fondare un modello della mente su basi biologiche è un utile riferimento per un'indagine che, pur rimanendo in un ambito psicologico, tiene conto dei dati della biologia (Edelman, 1989,1992) e permette di stare lontani da ipotesi funzionaliste o oggettiviste. é' quanto alcuni psicoanalisti hanno tentato di fare negli ultimi venti anni come risulta in modo esplicito negli studi di A. Modell (Modell, 1990).
Il modello dell'OOC mette in luce aspetti del processo di costituzione dell'identità di base e la rilevanza della reverié materna guardando al pensiero di autori come Winnicott, Mahler e Bion, per il quale, a differenza della Klein, il dato sensoriale sussiste anche in assenza di fantasia. Il termine "OOC" è cosi motivato dall'Autore:

"Usiamo la parola Oggetto riferendoci al corpo del bambino che diviene poi oggetto e/o soggetto in relazione alla mente del bambino stesso.
Con il termine Originario evochiamo la diversità originaria e originale che ogni individuo presenta alla nascita...
Con il termine Concreto evochiamo la concretezza dell'Oggetto, dalle cui caratteristiche fisiche il bambino svilupperà la propria mente" (Ferrari, 1982, p.43)

L'OOC è a mio avviso un'invenzione metaforica e un'espressione simbolica che propone il corpo come elemento attivo e generatore di esperienze attraverso le quali si costituisce il nucleo fondante l'identità specifica di ogni essere. Esso è anche una realtà presente durante tutto il corso della vita sulla quale poggia la sensazione di una continuità del sè; di avere ed essere una fonte inesauribile di vitalità e di creatività da opporre alle continue esperienze depressive alle quali tutti siamo esposti.
"L'OOC è a questi livelli un insieme corpo-mente in cui le sensazioni fisiche rappresentano il punto di partenza, in modo che, per il neonato, toccare è parte del sentire e quindi del 'pensare'." (Ferrari 1992, p.56)
Analogamente a quanto mostrano per altre vie le moderne ricerche sui neonati e sui primi mesi di vita (Brazelton 1981, Emde 1976, Stern 1976, Trevarthen 1977, Trevarthen,1990), l'OOC rappresenta quell'identità che il bambino possiede già alla nascita. Si tratta di un'attiva potenzialità a sviluppare un Sè più complesso, a partire da una realtà corporea che fin dal principio è in grado di dialogare con se stessa: un'attività mentale che organizza il mondo e struttura una primitiva coscienza di sè. Ovviamente la presenza di una figura materna adeguata e di un ambiente sociale sono fattori indispensabili: Ferrari parla di "relazione orizzontale", avendo denominato la precedente "relazione verticale".
Il modello classico della simbiosi assume in questa luce altre valenze. Proprio in quegli anni la stessa Mahler apporta interessanti integrazioni alle sue ipotesi. In un lavoro del 1982 "Riflessioni sul senso del sè, con particolare enfasi sul sè corporeo", l'Autrice si preoccupa di difendere l'esistenza della fase simbiotica di fronte ai nuovi dati sulle precoci competenze del neonato. Nelle conclusioni, Ella dice: "Abbiamo intitolato il nostro lavoro' Pensieri sull'emergere del senso del sè' per indicare che questo articolo intende essere un'iniziale e provvisoria comunicazione su un area vasta ed elusiva dello sviluppo della personalità che riguarda l'emergere del nostro sè corporeo, e quindi il nucleo della nostra identità personale" (Mahler 1981, p.844. (1). Poco prima però, leggiamo: "... non è possibile studiare lo sviluppo del sè separatamente dallo sviluppo dell'oggetto..." (Mahler 1981, p.8441). Per Ferrari invece le relazioni oggettuali sono successive alla relazione con il corpo inteso nel senso dell'OOC; la realtà del sè corporeo non deve emergere dalla relazione oggettuale, ma è in qualche modo data fin dall'inizio della vita ed ha in sé gli elementi di una prima relazione oggettuale, i quali non derivano dal processo di introiezione.
Forse a questo proposito sarebbe utile mantenere una netta distinzione fra due situazioni di ordine diverso: da un lato esiste la presenza della madre come "oggetto delle cure materne", presenza concreta e fattuale che interagisce col bambino e alla quale in bambino si relaziona; dall'altro, la madre oggetto del mondo interno nella mente del bambino, derivato dell'introiezione, che, se pure primitivo e in forma di "oggetto parziale", è effettivamente qualcosa di molto più sofisticato ed evoluto. Anche se questa distinzione sembra ovvia, forse a volte se ne perde la chiara consapevolezza.

L'eclisse dell'OOC si verifica gradualmente man mano che la mente mette in ombra la fisicità e la dimensione mentale si pone sempre più come soggetto nei confronti di un corpo che assume le connotazioni di un oggetto. Questa dialettica di una realtà nucleare calda e forte che continuamente si ripropone ad una presenza mentale che cerca di modularla e tenerla sullo sfondo è fondamentale. La discrezione della presenza di questo nucleo caldo è essenziale per un buon equilibrio e ciò è osservabile durante l'adolescenza, nella quale molti sconvolgimenti derivano dal riproporsi in modo prorompente di una realtà corporea che si era mantenuta per così dire maggiormente silenziosa rispetto alla vita mentale e di relazione.
Nella visione proposta da Ferrari cambia però anche il modo di concepire l'autismo come fase precoce dello sviluppo. Dieci anni più tardi leggiamo in un articolo di Frances Tustin: "Dopo dieci anni di lavoro con un certo tipo di bambini autistici, e dopo tentativi di digerire questa esperienza scrivendo libri e articoli, sono giunta alla conclusione che ho commesso un errore nel seguire la tendenza generale degli scrittori psicoanalitici di usare il termine autismo per una fase precoce dello sviluppo infantile, allo stesso modo di quanto avviene per una patologia specifica. Ora mi rendo conto che è più corretto, e porta chiarezza al nostro pensiero, se il termine autismo viene unicamente riservato per certe specifiche condizioni patologiche..." (Tustin, 1991, p.582 1). Già nel 1981 Ella proponeva di distinguere fra stati autistici, patologici e stati "autosensuali" riferiti ad un senso del sè in costituzione: questi oggetti, a differenza degli oggetti autistici, vengono di solito succhiati e possono essere le dita o le mani stesse del bambino (Tustin, 1981). Pensiamo che molti dati e molte riflessioni accumulatesi negli ultimi dieci anni possano ulteriormente sostenere questa posizione.

L'OOC per il suo legame con l'esperienza del sè corporeo è qualcosa di non completamente simbolizzabile, che non si presta a rappresentazioni esaustive, che in altre parole non può essere totalmente colto dal pensiero. Ad esso sono legati stati affettivi ed emozioni di diversa intensità che necessitano di un'elaborazione mentale
L'OOC è il primo oggetto che si presenta alla mente: dice Ferrari che è l'oggetto che siamo. Esso rappresenta il senso globale dell'essere presenti in una situazione-ambiente, connotando con quest'ultimo termine le caratteristiche spaziali della presenza. Tale oggetto però non è mai pienamente osservabile e rappresentabile, è un oggetto sfuggente a noi stessi e al pensiero che non riesce mai a definirlo. Solo io so cosa si prova ad essere me stesso, anche se in alcuni casi fortunati qualcuno può empatizzare con certi miei sentire particolari. Posso tentare di parlarne agli altri, ma la letteratura di tutti i tempi ancora non ha esaurito questo tentativo.


Il ruolo delle fantasie

Come abbiamo detto, una linea continua collega la percezione alle emozioni e al pensiero astratto. E' possibile un cammino continuo nelle due direzioni e un coesistere armonico di esperienze sensoriali, correlati affettivi e pensiero. In altre situazioni l'attività mentale sembra avere il compito di contenere o temperare una presenza sensoriale ed emotiva travolgente. Il passaggio all'azione può essere un segno che l'apparato mentale contenitivo è stato travolto. E' tuttavia possibile che nel tentativo di controllare il passaggio all'atto si manifestino fantasie dal carattere prevalentemente difensivo, che si differenziano da un'attività immaginativa, sognante creativa e addirittura a volte arricchita da esperienze sensoriali ed emotive. Esse sono essenzialmente di due tipi:
a) a) fantasie astratte, molto elaborate, dalle quali spesso i contenuti sensoriali sono banditi;
b) b) fantasie nelle quali l'esperienza corporea è immanente, pressante, e lascia scarso spazio al gioco simbolico.
Nelle loro forme estreme ambedue sono un ostacolo alla possibilità di elaborare sensazioni ed emozioni e ad un pensiero astratto creativo.
Ferrari dunque riconosce un doppio modo di percepirsi: "Uno" in termini di corporeità, e "Bino" relativamente ad una dialettica che coinvolge una coppia interna mente/corpo e una esterna che implica l'altro.


Elementi di clinica

La prima esperienza di sè si manifesta nel contesto di una relazione. La madre entra in rapporto con le esperienze del bambino attraverso la sua fisicità. Anche questa esperienza di corrispondenza fisica deve potersi ritirare sullo sfondo per permettere al bambino un'attività mentale elaborativa sostenuta da un'analoga attività materna sulla quale egli si orienta e si sintonizza. Le sue esperienze fisiche assumono così un significato e una direzione.
Come sappiamo una buona madre è in grado di sintonizzarsi con i segnali provenienti dal figlio dilazionando a volte la risposta, la quale viene sostituita da un'attività di osservazione e di astinenza così da non saturare precocemente l'esperienza del bambino. Questi a sua volta deve essere in grado di tollerare assenza e frustrazione le quali gli permettono di accedere ad un certo grado di coscienza di sè.
In certe situazioni patologiche entrano in gioco le fantasie estreme di cui dicevamo poco fa. In esse la relazione col nucleo corporeo e sensoriale non sostiene un pensiero creativo. Quando ad esempio il nucleo della personalità si è organizzato intorno ad una struttura profonda di tipo autistico, questo ostacola e paralizza le possibilità elaborative e simboliche della mente. Così, di fronte a esperienze somatiche che richiedono una capacità di ascolto e di comprensione dei propri vissuti, spesso carichi di intense tonalità affettive, questo nucleo autistico impone alla mente una scotomizzazione delle percezioni, un capovolgimento dei significati, un'evacuazione di sensazioni ed affetti. Le fantasie sono appunto o di tipo concreto, piatto, aderenti alle percezioni somatiche, o estremamente astratte, elaborate, carenti di elementi sensoriali e di emozioni e orientate a creare una realtà magicamente controllata piuttosto che un modo per modificarla; l'unico modo di influire sulla realtà è il fare concreto che sostituisce le operazioni simboliche trasformative.
Nel corso di una psicoterapia psicoanalitica il terapeuta può partecipare all'esperienza profonda che il paziente ha di sé. E' qualcosa che si descrive male in termini di relazioni oggettuali e che meglio può essere trattata attraverso un'attenzione ai fenomeni fisici dello stesso terapeuta. L'interpretazione dei contenuti o dei significati, può in questi casi essere utilmente sostituita con un ascolto e un accoglimento del proprio essere presente anche fisicamente nella stanza di analisi. Un'adeguata elaborazione da parte del terapeuta dei propri vissuti può preludere a interventi che riguardino il senso della situazione condivisa.


Appunti

Vorrei presentare ciò che dice una donna di 38 anni a proposito dei propri vissuti durante una consultazione. Mi pare interessante ascoltarli dal punto di vista narrativo, come espressione di una condizione attuale, più che sotto il profilo genetico.
Questa signora, che non dimostra i suoi anni, ha una bambina di quattro mesi e dice di avere una "depressione post partuum". Dall'ottavo mese di gravidanza compaiono sintomi di ansia, ma al momento presenta angosce claustrofobiche e ansia generalizzata, senza seri sintomi depressivi. Esattamente come per la prima gravidanza all'ingresso nell'ottavo mese ha cominciato ad avere la sensazione che le mancasse l'aria in modo acuto al momento di andare a dormire "quando è buio ed è tutto chiuso...". Sa che si tratta "di qualcosa di psicologico", ma sul momento l'esperienza fisica sopraffà ogni sua capacità di pensare ed è costretta ad alzarsi e aprire la finestra. La stessa esperienza penosa compare quando comincia a pensare "alla mia bambina chiusa nella pancia" e aggiunge: "sa, io sono nata di otto mesi. La mamma mi raccontava che sono uscita, poi sono rientrata e poi uscita di nuovo...una cosa tragica". Appartiene ad una famiglia del profondo sud, dalla quale "è stato molto difficile uscire...in particolare dal controllo di mia madre, che era molto nevrotica". Da ragazza aveva sofferto di bulimia, non aveva allora
alcuna consapevolezza di un disagio psicologico, semplicemente "ero gonfia e mi sentivo stretta nella pelle...anche ora se mi concentro mentalmente sulla pelle che contiene il mio spirito mi sento soffocare".
Si sente molto stanca perché la bimba dorme male: "forse sta stretta nella gabbietta...", spiega che si riferisce alla carrozzina nella quale la bimba dorme da quando è nata, accanto al suo letto, anche se è già pronto il lettino nella camerina a lei destinata.
L'esito di questo colloquio, durante il quale mi trovo ad ascoltare con un certo stupore il modo così trasparente con cui la paziente parla delle sue esperienze, è una richiesta di psicoterapia con la riserva che io le conceda un "periodo di prova", mi dice: "sa, ho paura di infilarmi in una situazione dalla quale poi non riesco più ad uscire".


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Gianfranco Buonfiglio
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Note:

(1) Traduzione mia



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