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Atti del Convegno

Ordine dei Medici di Venezia
in collaborazione con l'A.M.P., Ve (Associazione Medici Psicoterapeuti)

Venezia, 10 Ottobre 2009

L'onorario professionale: aspetti deontologici e professionali



Programma del Convegno

Introduzione del dott. Renzo Giacomini ore 8.45: saluto del dott. Giuseppe Collura delegato dell'Ordine e presentazione
ore 9.00: dott. Moreno Breda: "Le norme di pagamento e gli aspetti deontologici del compenso"
ore 9.40: dott. Pier Luigi Rocco: "Onorario ed etica professionale: un caso di psicoterapia psicoanalitica pro bono"
ore 10.20: dott.ssa Loris Zanin: "Quanto costa una terapia psicanalitica"
ore 11.00: discussione e domande
ore 11.30: dott.ssa Antonella Debora Turchetto: "E quando mancano i soldi?"
ore 12.00: dott. Salvatore Capodieci: "Problematiche con gli anziani"
ore 12.30: dr. Franco Ferri: "Il pagamento nella psicoterapia degli adolescenti"
ore 13.00: dott.ssa. Donata Dante: "Il pagamento nei gruppi (di psicoterapia)"
ore 13.30: discussione e domande
ore 13.45: Compilazione del test di gradimento e del test di apprendimento
ore 13.55 : Conclusione dei lavori e consegna attestati di partecipazione

Comitato Scientifico:
dott.ssa. Egidia Angi
dott. Moreno Breda
dott. Renzo Giacomini

Relatori



Introduzione

di Renzo Giacomini

La deontologia in campo sanitario rappresenta il dovere (greco: deontos) di chi cura di stabilire una norma non soggettiva ma etica ed inconfutabile, legata cioè ad un dovere morale. Anche altre figure, come gli avvocati e tutti coloro che si interessano al benessere psico-fisico e spirituale del loro cliente hanno un codice comportamentale etico finalizzato a non danneggiare la dignità e la salute del proprio assistito. In campo medico e psicologico vi è in particolare l'obbligo della tutela della vita e della salute fisica e psichica e del sollievo dalla sofferenza. La deontologia, presente in ogni campo, trova nell'ambito sanitario un significato particolare in quanto il diritto alla salute, sconfinando nel sociale, pone il problema di aiutare gli indigenti offrendo loro, se necessario, cure gratuite. Il concetto di onorario professionale si è modificato nell'era moderna, sia in ambito privato che pubblico e così l'impegno etico di sollevare dalle sofferenze si incrocia con la necessità di ottimizzare le risorse e il significato di retribuzione della prestazione assume risvolti che ci pongono di fronte ad una serie di aspetti particolari: il costo dell'impegno intellettuale, il tempo impiegato (in realtà si paga la disponibilità oraria e non la qualità del beneficio ottenuto), il significato di "arte" che può assumere una professione, l'età di chi chiede la prestazione e i diversi significati simbolici che quest'ultima può assumere all'interno di una relazione terapeutica. L'obiettivo di questa giornata di studio è di poter riflettere sui molteplici risvolti pratici ed etici dell'onorario professionale attraverso varie tematiche che i relatori porteranno partendo dalla loro esperienza clinica.



Le norme di pagamento e gli aspetti deontologici del compenso

di Moreno Breda

La prima relazione è stata tenuta dal dott. Moreno Breda, Odontostomatologo e consigliere dell'OMCeO di VE, con una serie di slides riportanti le norme legali e deontologiche, ha presentato con chiarezza i limiti, gli errori, le opportunità e quale dovrebbe essere il corretto comportamento medico nel rapporto col paziente, sottolineando anche, in campo odontoiatrico e in generale, l'opportunità di un preventivo condiviso e firmato. Ha sottolineato come il medico venga considerato dal fisco come un'impresa e come tale viene trattato. Il dott. Breda ha anche evidenziato le difficoltà che negli ultimi tempi sono intervenute circa il significato di collegialità e di mutuo aiuto tra gli iscritti, norma deontologica che trova le sue origine fin dall'inizio dell'arte medica. Il pagamento di un corretto onorario per la prestazione è una norma sociale che coinvolge non il singolo medico ma tutta la comunità.

Tutto il discorso del dott. Breda è stato esposto con l'esposizione delle slide che trovate al termine di tutte le relazioni: sono sottolineati tutti i punti importanti dell'onorario professionale e le sue implicazioni. In particolare il dott. Breda conclude con l'ultima slide introducendo il concetto di colleganza, l'aspetto più significativo del corretto rapporto tra colleghi, e l'impegno morale che unisce gli associati.



L'onorario ed i confini del setting in psicoanalisi: un caso di psicoterapia psicoanalitica pro bono

di Pier Luigi Rocco

I confini dell'operare in psicoterapia psicoanalitica ed in psicoanalisi sono frequentemente oggetto di interscambio nel corso del lavoro; specificatamente lo sono quelli concreti che riguardano il setting ed anche quelli che operano ad un livello inconscio o fanno parte del setting interno del terapeuta. In questo intervento cerchiamo di focalizzare la nostra attenzione sulle motivazioni che possono condurre a strutturare, mantenere e nutrire una relazione psicoterapeutica gratuitamente.
Vi sono alcuni punti importanti di discussione che, per chiarezza, è opportuno definire a priori.
La questione dell'onorario, sia in psicoanalisi che in psicoterapia psiconanalitica, è un problema delicato, le cui implicazioni conscie ed inconscie sul piano della realtà, per il transfert e controtransfert, sono, sia per il paziente che per il terapeuta, virtualmente infinite.
La riduzione dell'onorario o la sua temporanea perdita invariabilmente devono essere discussi e le fantasie relative elaborate, sia in rapporto ai conflitti intrapsichici che relazionali.
L'alleanza terapeutica ne può risultare fortemente turbata e le modificazioni possono essere interpretate come atteggiamenti di seduttività da parte del terapeuta e condurre alla negazione generalizzata del risentimento, che poi potrà emergere con altre e più contorte modalità (Langs, 1974).
La gratuità della terapia, laddove il paziente non può più pagare l'onorario ed una volta che il rapporto si è strutturato, dovrebbe essere tenuta in conto come possibilità di cui il terapeuta possa farsi carico: inevitabilmente, sarà necessario fare i conti con l'aspetto gratificante per il paziente, che potrà rinforzare aspetti di autoindulgenza, mancanza di limiti, tendenza alla manipolazione ed alla messa in atto, fantasie di grandezza e tendenze sadiche.
Uno degli più esempi clinici più sorprendenti ma anche esemplificativi dell'importanza che riveste il pagamento dell'onorario in psicoanalisi è offerto da Margaret Mahler nelle sue Memorie (Stepanski, 1988):
"Dopo circa 13 o 14 mesi la Deutsch mi informò che intendeva concludere la mia analisi didattica perché ero in analizzabile[...]. I motivi riguardavano il pagamento dell'analisi[...]. Andai dalla Deutsch convinta di essere, o di avere diritto di essere, una eccezione[...]. I miei amici mi avevano rassicurato che l'Istituto Psicoanalitico di Vienna attuava la politica di accettare candidati meritevoli ai quali l'analisi didattica veniva offerta a costi minimi[...]. Fu in questi termini che in quanto candidata meritevole, alla quale sarebbe stata fatta grazia dell'onorario analitico usuale, iniziai la mia analisi con la Deutsch ed è molto probabile che ciò che la fece naufragare fin dall'inizio sia stato il modo in cui veniva definito il rapporto economico e l'implicita pretesa di riconoscimento che esso implicava[...]. Come mi fu detto più tardi, chiunque conoscesse Helene Deutsch sapeva che, se non veniva pagata, non riusciva a portare avanti un'analisi."
Questa sincera ed inusuale ammissione di quanto l'onorario possa influire sul corso di una psicoanalisi ci consente di addentrarci senza timore nell'argomento, consapevoli che la situazione è del tutto atipica, anche se nella vita professionale di uno psicoterapeuta può capitare di doverla fronteggiare.
Freud, da parte sua, eseguì numerose psicoanalisi gratuitamente, a partire dalla seconda analisi dell'"uomo dei lupi" nel 1919, oltre ad altre psicoanalisi effettuate a molti colleghi gratuitamente tra cui Heinz Hartmann, Marianne Kris, Eva Rosenfeld; Edorado Weiss riporta che dopo una supervisione non richiese alcun onorario (Boss, 1973, Gardiner, 1971, Weiss, 1970).
Freud inoltre si trovò, dopo i sessantanni, frequentemente oberato di lavoro, ma spesso con pazienti che non erano in grado di pagarlo del tutto ed, ironicamente, egli stesso riferì a Groddeck di essere divenuto talmente povero da dover vendere caro il suo lavoro; più avanti, ormai malato, ad uno dei suoi analizzati americani, che aveva portato i soldi per soli 15 giorni di terapia, riferì che gli bastavano a malapena per il suo successivo ricovero in ospedale (Blanton, 1957, Freud & Groddeck, 1920, Cremerius, 1985).
In alcuni altri testi di tecnica e teoria il problema dell'onorario è derubricato e risolto in poche righe di raccomandazioni generiche (Semi, 1988) o osservazioni anedottiche (Etchegoyen, 1990).
Fatte queste premesse generali, sembra di poter dire che lavorare gratuitamente in psicoterapia coinvolgerebbe soprattutto il concetto di confine, in tutte le sue declinazioni. Il punto centrale non è la gratuità di per sé, ma come essa si manifesta.
Dal punto di vista del paziente, la situazione potrebbe essere quella del soggetto che sceglie, ad esempio, di effettuare una psicoterapia psicoanalitica in una sede istituzionale, ad esempio all'interno di un setting pubblico che prevede un pagamento minimo o addirittura la gratuità, ma in cui il professionista rimane un esecutore per contratto di una prestazione che a lui è pagata dallo Stato.
Un'altra situazione è quella di un istituto per il sostegno di particolari gruppi di popolazione a rischio, in cui un intervento psicoterapeutico, solitamente medio-breve, viene garantito gratuitamente per esigenze umanitarie.
Ciò di cui vorremo parlare qui è invece la situazione peculiare in cui uno psicoterapeuta che si trova nella necessità di decidere se continuare o meno un rapporto terapeutico con un soggetto che perde inaspettatamente ed all'improvviso la possibilità di pagare le sue sedute.
Crediamo che la problematica che si pone sia essenzialmente tutta interna al terapeuta, il quale si trova nella non facile condizione di esaminare la situazione e scegliere una via che sia il più indolore possibile per sé e per il proprio paziente.
Il problema che si pone è, a nostro avviso, un problema di confine.
I confini, tra strutture psichiche, oggetti e Sè, tra terapia e sostegno, sono funzioni importanti, come lo sono i confini della cornice terapeutica e del contratto stipulato con il paziente.
E' segnalato da più parti (Grotstein, 1994, Wallerstein, 1986, Mitchell, 1993) come la cornice di lavoro, il setting, oscilli nella mente dei terapeuti da un rigido e glaciale ambiente mentale, che rappresenta una estremizzazione difensiva del terapeuta, ad un assai più caldo e flessibile contorno tecnico che si può però spingere fino a violazioni estese dei confini della relazione terapeutica. E' evidente infatti che effettuare una terapia gratuitamente o passare da una terapia a pagamento ad una gratuita è un passaggio all'atto che va analizzato e che di per sè stesso è discrezionale ed induce una serie di modificazioni interne alla relazione terapeutica.
In termini più precisi, effettuare questo passaggio costituisce una messa in atto controtransferale, nel senso più ampio di cui parla Roughton (1993) secondo cui vi è l'attualizzazione, da considerarsi consapevole ed intenzionale, di una gratificazione deliberata di una fantasia transferale: questa definizione ci sembra più calzante, in quanto di portata più ampia, di altre che sono state proposte da Sandler (1976) "responsività di ruolo" o da Ogden (1979) "identificazione proiettiva" nel controtransfert.
Vi è inoltre uno scivolamento che dall'ordine del simbolico (la relazione transferale fantasticata e protetta dal setting) conduce nell'ordine del concreto e dell'immaginario (ove vi sono in nuce raffigurazioni psichiche ben diverse ed il lavoro del doppio analitico subisce uno scossone fondamentale, Botella, 2004).
Vi sono poi altri elementi non trascurabili.
Il lavorare gratuitamente non è una scelta del tutto condivisibile, sebbene vi siano delle situazioni in cui è inevitabile o addirittura consigliabile.
In alcune fasi della vita, ad esempio all'inizio di carriera, durante un tirocinio, può capitare di dover lavorare gratis, alla fine di carriera allo stesso modo, dopo il pensionamento, ci si può occupare utilmente per scopi umanitari e sociali.
Certamente però, lavorare non è un passatempo, non è il country club, non è un hobby, e non è un'attività ricreativa, anzi per la cultura cattolica è un "castigo divino", l'uomo esce dal paradiso terrestre e si guadagnerà il pane col sudore della fronte, e per la cultura protestante un'attività che consente la realizzazione dell'uomo; il concetto di lavoro si è prestato anche a manipolazioni perverse in tempi non remoti, basti ricordare l'"Arbeit macht frei" o la "Vernichtung durch Arbeit", l'annientamento attraverso il lavoro cui venivano sottoposti gli ebrei "di troppo" dei Konzentrationslager.
Nella rappresentazione che la società, e quindi l'individuo, ha del lavoro c'è quindi un aspetto bifronte, da una parte un'attività che effettivamente rende autonomi, consente il guadagno e realizza le aspirazioni individuali, dall'altra un operare potenzialmente mortifero, defatigante, risucchiante e tiranno.
E' evidente che questi aspetti differenziano il lavoro da qualsiasi altra attività umana e, di conseguenza, il lavorare gratis rappresenta un'attività che può coprire altri scopi e puntare al soddisfacimento di precisi vantaggi secondari, più o meno consapevoli.
Rimane però vero l'assioma a suo tempo suggerito da Colombo (Padova, 1992, comunicazione personale) secondo cui "i volontari i xe tuti 'na manega de disturbai".
Questa osservazione, nella crudezza espressiva della parlata veneta, sottolinea come spesso il volontario, cioè colui che lavora gratis, e questo in ambito sanitario ed ancor più psichiatrico, lo fa spesso per una irrisolta necessità di riparazione interna ed autoaccudimento e le basi su cui si muove sono frequentemente di ordine proiettivo, per lo più inconscie.
Lavorare gratis porta a dare voce alle proprie istanze riparative e produce numerosi vantaggi secondari, come sentirsi generosi, sentirsi onnipotenti, sentire la riconoscenza, nutrirsi di alcuni aspetti dell'altro, coltivare una relazione fantastica, essere sedotto, subire una fascinazione intellettuale. Il campo creato ed in cui ci si muove nel lavoro gratuito è, in questo senso, il campo narcisistico, quello della ricerca di gratificazione psichica, nei suoi vari livelli di profondità.
Lavorare gratuitamente ed ancora di più passare da una terapia a pagamento ad una gratuita rappresenta una alterazione altamente significativa del setting.
Secondo la letteratura (Gabbard, 1994, Kernberg, 1995), possono esserci situazioni assai gravi in cui può essere implicato un terapeuta con psicopatia predatoria, che ha finalità perverse, ad esempio seduttive, ovvero terapeuti affetti da "mal d'amore". In questo caso è implicata la fantasia che vi sia un deficit parentale colmabile solo attraverso il sacrificio ove il terapeuta diviene la madre buona soccorrevole o il padre protettivo. In altre parole, solo un gesto clamoroso, come la terapia gratuita può essere, ed il sacrificio personale ed una eroica sopportazione darebbero al paziente la percezione di essere amato con un presunto effetto riparatorio (Orlandini, 1999).
Appare chiaro quindi che, accanto alla cura del paziente, nella terapia gratuita il terapeuta soddisfa anche i propri bisogni riparativi, narcisistici, depressivi ed abbandonici e proietta sul paziente parti del proprio Sè di cui si prende cura.
Questo ultimo aspetto è sollecitato tanto di più quando il paziente è un adolescente.
L'adolescente condivide molti aspetti con i bambini e altri con gli adulti, ma ha caratteristiche specifiche sia dal punto di vista evolutivo che da quello dell'organizzazione e questo contribuisce in modo specifico al prodursi di un controtransfert peculiare. Essendo l'adolescenza uno stadio di sviluppo in cui si mescolano elementi di fasi attuali, precedenti e successive, lo svolgimento di una terapia comporta diverse componenti e alterni andamenti. L'adolescente, in ragione della propria incapacità di mantenere con costanza un focus metaforizzante, una stabilità umorale ed un controllo consapevole dell'impulso libidico e/o aggressivo, produce una situazione relazionale che costringe il terapeuta ad essere estremamente flessibile ed adattabile (Tsiantis et al., 1999, Giovacchini, 1981).
Se numerose possono essere le fonti di frustrazione legate alle incapacità dell'adolescente o comunque alla sua incostanza nei confronti di un obiettivo clinico (basti pensare alla tendenza alla concretizzazione ed all'utilizzo del silenzio che è peculiare nell'adolescente, nonché alla tendenza al passaggio all'atto ed alla volatilità degli stati affettivi), altrettante sono le ragioni per produrre un controtrasfert ricco di aspetti apparentemente positivi.
L'adolescente può sollecitare nel terapeuta aspetti identificativi, sia come conseguenza di identificazioni proiettive da parte del paziente, sia perché, attraverso il paziente, il terapeuta può rivivere aspetti irrisolti della propria adolescenza, nella fantasia inconscia di creare un nuovo modo di vivere quella parte della vita, in opposizione ad una coppia genitoriale con cui di frequente il paziente adolescente è in conflitto.
La presenza nella terapia dell'adolescente dei genitori reali crea inevitabilmente una triangolazione con la quale può essere difficile rapportarsi, specialmente nel caso di rapporti familiari invischiati.
I genitori spesso si sentono esclusi, come conseguenza dell'idealizzazione del terapeuta come genitore perfetto, investito dell'onnipotenza e dell'onniscenza che essi stessi vorrebbero avere, o che avrebbero desiderato dai propri genitori. Il terapeuta, di converso, può rispondere in modo inappropriato, non riconoscendo la ferita narcisistica dei genitori e rimanendo intrappolato nei propri sentimenti di controtransfert (Kohrman et al, 1971).
I genitori che si pongono ambivalentemente nei confronti della terapia dell'adolescente (il che può essere anche conseguenza dello sviluppo di sentimenti invidiosi nei confronti del figlio che "ha un genitore perfetto" o sentimenti di gelosia perché "ciò che dice il terapeuta vale più di ciò che dice il genitore", etc.,etc.) possono condurre allo strutturarsi di una progressiva rappresentazione ostile nella mente del terapeuta, che invariabilmente stimolerà nell'adolescente atteggiamenti scissionali ed oppositivi nei confronti dei genitori.
Il controtransfert del terapeuta verrà quindi nutrito dall'adolescente da cui può, a sua volta, essere apparentemente idealizzato, per poi abbandonarlo non appena i sensi di colpa per l'espulsione dei genitori si fanno eccessivamente massicci.
Un aspetto poco trattato, che prolungherebbe le terapie con adolescenti oltre il dovuto, è lo sviluppo di un controtransfert invidioso da parte di terapeuti maschi nei confronti delle madri (Bernstein, 1957); questo tipo di controtransfert sembrerebbe connesso alle motivazioni inconscie che conducono ad occuparsi prevalentemente di bambini ed adolescenti, ossia il desiderio di dimostrare di essere padri o madri migliori dei propri genitori (Schowalter, 1985).

Gli effetti della terapia gratuita

Vi sono, contemporaneamente, effetti sul paziente adolescente su cui impatta la decisione di alterare il setting introducendo la gratuità.
Se da parte dei genitori vi è l'intenzione di non contribuire più il compenso alla prestazione del terapeuta ciò può elicitare una reazione di rabbia nel paziente ed egli, contemporaneamente può attivare fantasmi persecutori oltre a sviluppare fantasie inconscie paranoidi circa cosa il terapeuta voglia in cambio.
Se il terapeuta facesse la proposta della gratuità i confini del proprio operare terapeutico perderebbero il loro significato originario, ponendo il paziente in una situazione angolare, voler bene al terapeuta ed essergli grato o rifiutare l'offerta e dar così luogo allo sviluppo di sensi di colpa.
Allo stesso modo, l'alterazione e l'assottigliarsi del confine del setting potrebbero essere evocative nel paziente, sia maschio che femmina, di fantasie erotizzate, che risultano particolarmente difficili da gestire. Un'altra situazione in cui la terapia gratuita può prendere una china pericolosa è quella dei pazienti con profilo di tossicodipendenza; in essi vi può essere la fantasia proiettiva da parte del paziente di essere utilizzato come un oggetto trasformativo narcisistico, con modalità del tutto invertite rispetto al proprio pregresso uso della sostanza. La relazione può pertanto assumere contorni perversi e essere suscettibile alla manipolazione ed allo sfruttamento.
Queste osservazioni cliniche consentono di individuare almeno i due principali tipi di pazienti con i quali non sembrerebbe opportuno considerare l'idea, in determinate circostanze, di offrire una psicoterapia gratuita. Uno è il paziente con disturbo paranoide, l'altro è il paziente con storia di abuso sessuale incestuoso; in quest'ultimo tipo di soggetto infatti accade che spesso l'esperienza di essere accuditi e curati sia associata strettamente con la sessualità. Molti di essi sono caratterizzati da confini del sè molto fragili e l'esperienza di essere stati usati in età evolutiva dai genitori o da altri adulti come estensioni del proprio corpo allo scopo di procurare piacere pervade spesso ancora inconsciamente la loro esperienza nelle relazioni intime; vi è quindi il rischio che una relazione senza il confine della professionalità, i.e. il pagamento della parcella, possa contribuire a ridurre la coesione del sè ed il mantenimento di una relazione adulta composta e coordinata, sotto la pressione del transfert e della ripetizione.

Altri significati della gratuità

Da un'altra prospettiva, il fornire una psicoterapia gratuitamente produce una situazione di gratificazione nei confronti del paziente. Questa gratificazione va ben al di là dell'esperienza emozionale correttiva tentata da alcuni psicoterapeuti di essere il genitore buono che il paziente non ha avuto (Kohut, 1982). Nell'offerta di una psicoterapia gratuita il terapeuta fornisce un'esperienza di oggetto-sè che non ha eguali e che può essere, in questo senso, considerata una vera e propria violazione dei confini; non vi è infatti per il paziente la possibilità di non accettare questa gratificazione narcisistica, nonchè il peso dell'investimento del terapeuta ed il carico emozionale che deriva dall'essere, più o meno fantasticamente, un oggetto privilegiato.
Le componenti transferali stesse vengono forzate verso il mantenimento e la promozione, se non proprio la coartazione, di un transfert positivo, probabilmente con un'azione inibente nei confronti della libera espressione di sentimenti o pensieri discordanti rispetto alla linea di pensiero del terapeuta.
Il concreto dell'azione reale può far collassare lo spazio analitico e ridurre l'azione terapeutica.

Il caso clinico

Giulia è una ragazza di 18 anni. Mi viene portata dalla madre a 14 anni per una serie di problemi comportamentali, fughe da casa, relazioni sessuali precoci, esplosioni di rabbia.
La situazione familiare si caratterizza per l'assenza del padre che vive a grande distanza da quando Giulia ha 3 anni: la madre ed il padre hanno un conflitto insanabile e molto aggressivo, in cui restano impigliate il gruppo delle tre figlie di cui Giulia è quella di mezzo.
Subito Giulia struttura una buona alleanza di lavoro con me e, via via, si addiviene alla scoperta che entrambi i genitori sono molto disturbati, la madre coltiva la fantasia onnipotente di essere la consigliera e la guida indiscussa della figlia, da cui non tollera obiezioni. Viene smascherata l'intenzione della madre di utilizzarmi come strumento che "raddrizza" la figlia.
Nel corso del tempo, con varie vicissitudini, il distacco della figlia dalla madre si sviluppa ulteriormente fino alla necessità, per me, di costituirmi come un "genitore comprensivo ed accogliente" in assenza del padre, che solo ogni tanto telefona ma non si vede mai, ed in presenza di una madre tendenzialmente paranoide.
Quando, dopo 4 anni di psicoterapia psicoanalitica a due volte la settimana, la madre si rende conto che il rapporto terapeutico è divenuto l'asse su cui si snoda l'indipendenza di Giulia ed il suo trampolino verso l'individuazione e la soggettivizzazione, ella decide, unilateralmente, di sospendere la terapia della figlia.
Si crea pertanto la situazione per cui la madre non paga più la parcella del lavoro, ma d'altra parte, il soggiacere alla sua richiesta di interruzione diventerebbe la reificazione del suo potere paranoide nei confronti della figlia.
Insieme con Giulia, decidiamo di vederci con una frequenza leggermente ridotta, mantenendo la nostra cornice terapeutica.
La madre effettua una telefonata di protesta, dicendo che "non è corretto" che una figlia vada da uno psicoterapeuta che non segue gli orientamenti materni, ma d'altra parte Giulia è ormai maggiorenne, per cui il problema non si pone.
La madre mi telefonerà più avanti per chiedermi un suggerimento legale su una faccenda che la riguarda; le farò notare l'incongruenza di avere interrotto i rapporti con me ma di interpellarmi per un consiglio ed ella non chiamerà più.
Questa donna non riesce a mantenere i suoi rapporti con gli uomini ed ha con loro un rapporto estremamente ambivalente e persecutorio che trae le sue origini dall'infanzia, in cui suo padre, un uomo molto distanziante ma molto temuto, ha impedito la strutturazione di un rapporto coerente con la figura maschile.
La figlia ricalca in parte le orme materne: nei suoi rapporti con i maschi cerca solo ragazzi di colore e li vuole neri che più neri non si può. Una sorta di concretizzazione dell'andare nella "tana del lupo" ad affrontare "l'uomo nero" (che è un simbolo di come la madre descrive a Giulia il proprio padre e gli altri uomini, sfruttatori e sleali).
Dopo circa sei mesi dall'inizio della nuova configurazione terapeutica pro bono, Giulia deciderà di andare a Milano a trovare un ragazzo di colore incontrato via chat. Contrariamente a quanto avesse fatto in passato, me ne parlerà solo dopo esserci andata.
Mi racconterà invece di averne parlato con suo padre "perchè temevo che Lei si preoccupasse". Con una qualche soddisfazione mi racconterà di aver preoccupato molto il padre per tutto il week end.
Si è verificato pertanto uno spostamento ed una modificazione nel transfert. Il terapeuta che dapprima era il contenitore paterno su cui venivano riversate tutte le preoccupazioni e discussioni sulle decisioni da prendere è diventato un oggetto morale "alto", introiettato nella mente della paziente ed al quale ci si riferisce all'interno della propria mente.
Giulia ha infatti potuto riprendere il rapporto con il padre e si è reso chiaro che l'oggetto-terapeuta è stato introiettato come una figura superegoica "morale" a cui potrà fare riferimento in futuro.
Per la prima volta, infatti, questa visita non ha portato al consueto rapporto sessuale fugace e privo di scopo ed ella ha riferito che "ha ritenuto che io avrei pensato che non sarebbe stato giusto".

Considerazioni conclusive

I confini terapeutici garantiscono che il terapeuta possa contenere e sviluppare le comunicazioni conscie ed incoscie senza agire incongruamente su di esse, distorcendole.
La cornice terapeutica ed i suoi confini consentono l'elaborazione e la promozione di affetti primitivi che sono veicolati tramite identificazioni proiettive in un contesto verbale e simbolico derivante da una fase evolutiva caratterizzata da relazioni oggettuali più mature, permettendone l'elaborazione e la ricollocazione nel mondo interno.
Se la terapia va bene, spesso gli analisti e gli analizzandi sono essi stessi sorpresi dagli sviluppi positivi, che frequentemente sono legati, più che alla risoluzione di particolari vicissitudini degli oggetti interni, alla speciale interazione umana creatasi, che condivide analoghe, seppur parziali interazioni con altre relazioni tra esseri umani, quali l'amicizia, il rapporto di attenzione e cura filiale/genitoriale, l'amore e l'affetto.
Nella relazione psicoanalitica entrambi i partecipanti sono profondamente coinvolti.
Gli esseri umani sono altamente predisposti ad interscambi sociali, riconoscono gli aspetti interni dell'altro, ed è facile che ad una modificazione, i legami che uniscono una mente all'altra producano oscillazioni di funzionamento della coppia, che in realtà funziona come un oscillatore accoppiato, cosi come suggerisce Galatzer-Levy (2009).
L'apparizione di una preoccupazione filiale nei confronti di un padre-terapeuta ha consentito alla paziente di spostare l'oggetto/contenitore delle sue preoccupazioni riferendosi al proprio vero padre, in una dialettica che ha previsto lo spostamento di funzioni paterne del tipo contenitore/contenuto precedentemente attribuite al terapeuta, al vero padre, per scoprire che il padre, sentito fino ad allora come non significativo e distaccato, era in grado di fornire la stessa qualità di preoccupazione e accudimento emozionale del terapeuta.
Si è verificato quindi un recupero della figura paterna, che non era stato possibile altrimenti, nei precedenti anni di terapia e che si presenta - di fatto - come un acting out, conseguente ad uno spostamento dell'oggetto-terapeuta in un'ordine simbolico diverso da quello precedente.
Questo spostamento e riattribuzione al padre delle proprie funzioni paterne è stato possibile grazie al setting particolare creato dalla gratuità; quest'ultima ha sviluppato nella mente della paziente la fantasia inconscia che il terapeuta fosse un oggetto super-egoico, potenzialmente preoccupato e vulnerabile agli attacchi, da cui era indispensabile sottrarsi ed ha consentito di ritrovare, nel proprio padre reale, un interlocutore potenziale.
Attraverso la scissione, si è quindi verificata una attribuzione transferale al terapeuta di una funzione super-egoica più profonda, ma ciò che è più importante è che l'elemento morale, il nome del padre, per dirla con Lacan (1991) è stato recuperato e si è inscritto nella mente della paziente che, per la prima volta, non ha reificato la sua relazione con il maschio esclusivamente attraverso l'aspetto concreto.
La gratuità ha prodotto una scissione della figura paterna nella mente della paziente, e questo ha consentito, paradossalmente, di "redistribuire i pesi" sul terapeuta-padre e sul padre naturale.
Riteniamo che questo passaggio, altamente significativo ed utile per la paziente non si sarebbe potuto verificare in assenza di questo movimento del setting, che si è rivelato quanto mai proficuo.
Questa esemplificazione clinica ci permette di affermare che in psicoanalisi ed in psicoterapia psicoanalitica, ciò che conta è la comprensione di ciò che sta accadendo e che spesso il rigido mantenersi di precetti preordinati appare più una difesa contro l'assenza di comprensione, che contro l'annacquarsi di una supposta ortodossia tecnica.

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Weiss E. (1970): Sigmund Freud come consulente. Astrolabio, Roma



Quanto costa una terapia psicoanalitica

di Loris Zanin

Costo: dal verbo latino consto, consistere, valere, dice il dizionario Devoto Oli è :" la spesa necessaria per ottenere la proprietà o la disponibilità di qualcosa o per compiere una qualsiasi operazione economica", è in genere collegato al denaro, inteso come mezzo di scambio per beni e servizi.
L'onorario professionale in questa accezione è un compenso, solitamente in denaro, per un servizio che viene offerto.
Si potrebbe porre la questione del denaro anche sotto altri punti di vista, ad esempio rispetto al valore simbolico che gli si dà. In questo caso il valore del denaro è connesso alle esperienze del proprio passato, reali o fantasmatiche, per ogni individuo.
Sul versante psicoanalitico il denaro come simbolo è classicamente associato ai processi inconsci della fase anale dello sviluppo. E', infatti, un assioma psicoanalitico quello che equipara il denaro alle feci e all'erotismo anale ( Freud, 1908; Abraham, 1923).
Il controllo sfinterico è simbolicamente investito dal bambino come il momento in cui può dire no alla richiesta materna (di fare la cacca sul vasino). Il trattenere le feci o il regalarle alla madre è un atto fondante dell'individualità, della separatezza dal corpo materno ed è il prezioso no del trattenere che consente un reinvestimento narcisistico dell'Io del bambino. Fissazioni a questo livello possono dare adito a tratti del carattere in cui predomina la tendenza alla parsimonia e all'accumulo fino all'avarizia o alla generosità sino alle cosiddette "mani bucate".
Nel lontano 1913 Freud diceva che il denaro, come il sesso, sono argomenti di cui si parla con "pruderie, contradditorietà ed ipocrisia".
David Krueger uno psicoanalista americano, commentando l'affermazione di Freud, nel 1991 scrive che di sesso ora si discute molto più facilmente, mentre di denaro si continua a fare fatica a parlare e dichiara:"il danaro può rappresentare l'ultimo tabù emozionale della nostra società".
Io ho l'impressione che a tutt'oggi di denaro e di sesso si parli tanto ma dicendo poco, nel senso che i risvolti più profondi di questi argomenti toccano la sfera dell'intimità, certe cose è difficile dirle anche a se stessi e soprattutto non sono mai risolte una volta per tutte. Riguardano entrambi questi temi il sottile confine fra il sé e l'altro, fra i propri desideri di autoaffermazione e di relazione e la necessità ed il desiderio, per essere vivi, di stare in contatto con l'Altro e con il mondo.
Ringrazio gli organizzatori di questo convegno per aver voluto coraggiosamente aprire una breccia per provare a discutere di un tema così complesso e spinoso.
Il titolo "Quanto costa una terapia psicoanalitica" è stato da me scelto per sottolineare il "costo" sia sul versante concreto di denaro sia su quello simbolico di costo emotivo. In una terapia analitica è inevitabile ed imprescindibile, infatti, mettersi in discussione con tutta la fatica che questo comporta. é in gioco quindi una doppia economia, monetaria e psichica.
Paziente etimologicamente significa "colui che soffre". Chi decide di fare un analisi ha una situazione di partenza sul versante dell'economia psichica fallimentare"da bilancio in rosso".
Chi arriva a telefonare allo psicoanalista spesso vi approda come "ultima spiaggia", dopo molte peregrinazioni da altri medici e speranze disilluse di risolvere in modo più spiccio i suoi problemi e le sue angosce.

Un esempio clinico
Paziente X, in terapia per 10 anni, 24 anni, laureando in informatica, arriva per una psicoterapia inviato da uno psichiatra al quale si era rivolto su suggerimento di alcuni medici specialisti, consultati nei due anni precedenti per svariati disturbi somatici cardiaci, gastroenterici etc., per i quali ha fatto, ed in più riprese, molti accertamenti. E' attraverso il corpo ed i sintomi somatici che si manifesta all'inizio il suo disagio psichico. Anche la terapia farmacologica ansiolitico antipressiva ha avuto scarsi risultati. Sono apparsi inoltre angosciosi fenomeni di depersonalizzazione e derealizzazione, un sentirsi lontano da se stesso e dal mondo, vissuti che aumenteranno nei primi anni del nostro lavoro, via via che si accosta al suo mondo interno. Si aspetta di poter tornare quello che era un tempo.
All'inizio, con rabbia per il suo fallimento e con l'aspettativa di una riparazione e di un ripristino del sistema "perfetto" di funzionamento "meccanico" precedente il malessere, accetta una psicoterapia vis a vis una volta alla settimana, ma i pensieri filosofici ed intellettuali ci intrappolano, acuendo il suo malessere ed il suo senso angoscioso di distanza da se stesso e dal mondo. Io mi sento frustrata ed impotente, perché non riesco a stabilire un contatto e sento il rischio di filosofeggiare, in quanto questo funzionamento rappresenta le sue scissioni e la sua impossibilità a mettere in contatto affetti, sensazioni e pensieri. Riesco a motivarlo all'uso del lettino e ad aumentare a tre e poi a quattro la frequenza delle sedute, ma, nei primi anni, accostarsi al suo mondo interno lo spaventa e lo angoscia ed aumenta il suo disagio, compaiono disturbanti problemi agli occhi che sembrano rappresentare una metafora dei suoi conflitti: la difficoltà a poter trovare una visione integrata di sé, accogliendo e riconoscendo anche gli aspetti bisognosi e fragili. Solo un lungo lavoro analitico gli permetterà di trovare un nuovo e più consapevole equilibrio ed un rapporto mente corpo più integrato e sano.
Come si vede da questo caso attraverso l'analisi non si raggiunge una "restitutium ad integrum" ad una situazione (di supposto benessere) precedente il malessere, piuttosto si arriva ad una trasformazione, si cambia restando quelli di prima, diversi ed uguali e, soprattutto, più capaci di contatto con se stessi.
Dal punto di vista dell'economia psichica il vantaggio è che si riattivano risorse e si cambia il tipo di "investimenti", ottenendo conoscenza e consapevolezza di sé e quindi un "guadagno"impagabile come qualità della vita.

Cos'è una terapia psicoanalitica
La terapia psicoanalitica consiste in un lungo trattamento della durata di anni e che si svolge a cadenza regolare e prestabilita con sedute di 45-50 minuti. Secondo lo schema classico da tre a quattro, persino cinque sedute la settimana, ma, come abbiamo visto per M., ogni storia analitica è a sé, si può cominciare subito a regime o gradualmente aumentare la frequenza, dipende da molti fattori di realtà esterna ( spazi dell'analista, problemi di orari, etc.) ed interna (resistenze, paure, etc.).
Succede talvolta di lavorare a due sedute, un tale regime è indicato in taluni casi per i quali è più opportuno un approccio psicoterapico per mantenere una vigilanza ed un sostegno dell'Io del paziente, in altri è di ostacolo il lavoro, lo rende più "costoso" e lento, perchè più improduttivo e faticoso, soprattutto se è proprio indicato un trattamento analitico.
In questi casi infatti l'intensità della frequenza permette di tenere sempre aperta la porta al funzionamento preconscio ed accostarsi ai processi inconsci. Per favorire questo si dice al paziente di dire quello che gli passa per la mente senza preoccuparsi se sia logico o no, anzi di porre attenzione proprio ai micro pensieri e sensazioni che di solito si censurano a favore del pensiero razionale ( regola fondamentale).
Di solito il paziente si stende sul lettino, che facilita il rilassamento ed evita il controllo visivo, ma ci possono essere eccezioni o periodi vis a vis.

Per il paziente: costi e guadagni
In una società come la nostra dove manca sempre il tempo e dove si corre sempre più in fretta è paradossale proporre e chiedere ad una persona di venire quasi quotidianamente in orari prestabiliti alla sua seduta di quasi un ora. Tre, quatto giorni su sette, per anni. E' vero che ci sono le pause e le vacanze, ma comunque si lavora con questo regime all'incirca dieci mesi all'anno.
Mettiamoci il viaggio di andata e ritorno per recarsi nello studio dello psicoanalista, questo significa che uno deve riorganizzarsi la vita e gli impegni quotidiani tenendo conto della seduta e questo di per sé rivoluziona la sua vita e gli porta via minimo dalle due alle tre ore al giorno.
Dovrà rinunciare ad abitudini di vita consolidate, dovrà correre nella pausa pranzo e mangiare un panino al volo, dovrà prendere il treno, la macchina o salutare gli amici incontrati per strada perché deve correre alla seduta, rinunciare a svaghi o a proposte che coincidono col tempo della sua seduta.
Questo è uno dei costi concreti. Poi c'è il costo della seduta che può essere convenuto, contrattato in base alle risorse ma che a fine mese significa comunque un bel gruzzolo da sborsare.
Una seduta infatti ha costi mediamente più contenuti di una visita specialistica standard ma qui parliamo non di una visita una tantum ma di una ripetuta e costante frequenza e questo a fine mese incide nel bilancio.
(Una precisazione: nel caso del paziente X nei primi anni la terapia era pagata dai genitori ed in seguito dal paziente stesso coi suoi proventi).
Giorno dopo giorno, seduta dopo seduta, inizierà il viaggio nel suo mondo interno, attraversando regioni della mente conosciute e non, e guardandole con un altro punto di vista ed osservandole con i suoi occhi e con quelli dell'analista, imparerà così un nuovo metodo di osservazione di sé, ripercorrerà la sua storia, le sue vicende affettive, le sue costellazioni infantili e come riverberano nel suo presente ed insieme li metterà al loro posto, allora scoprendo che il presente è altro se non è più inquinato dal passato.
In gergo tecnico si dice che il paziente, attraverso un analisi delle difese, acquisisce una aumentata consapevolezza dei propri meccanismi difensivi e la possibilità di riconoscerli e, nel tempo, di introdurne di nuovi, più adeguati al contesto presente, questo avviene seduta dopo seduta rivisitando la propria storia e gli avvenimenti del presente, anche nell'hic et nunc della seduta. Hic et nunc: qui ed ora , entra in scena il famoso transfert.
Transfert da "transfer" francese significa trasferire ed ha a che fare con quanto il paziente trasferisce inconsapevolmente nella figura dell'analista, ad es. può sentire l'analista giudicante nei suoi confronti e provare imbarazzo, mettere, cioè, nell'analista un qualcosa che ha a che fare con un proprio occhio interno severo e giudicante: di questo i pazienti parlano in vario modo, ad esempio:
"Ho visto che lei salutandomi ieri mi guardava con disapprovazione", " Lei adesso penserà che ho sbagliato." e poter lavorare su questi elementi transferali è preziosissimo.
Non si tratta di rassicurare il paziente sul nostro atteggiamento su un piano di realtà, quanto di aiutarlo a districarsi in questi penosi affetti che lui prova, dando a Cesare quel che è di Cesare, cioè aiutandolo a riconoscere con gli occhi di chi si sta osservando: del padre, interno Super Io giudicante, del bambino infelice ed incompreso, del genitore svalutante: "nol xe bon da niente, al xe debol." così scopriva di guardarsi un paziente nei momenti in cui si sentiva in difficoltà.
Un altro elemento in gioco, oltre a transfert e difese, è la regressione, che una terapia analitica inevitabilmente sollecita ed è anche questo funzionale ed indispensabile al lavoro: paradosso se pensiamo al dirigente industriale che domina ed ha successo nel suo lavoro o all'insegnante o al magistrato o al medico, in altre parole ha a che fare col riattivare e far ricomparire il bambino che si lamenta o prova sentimenti aggressivi legati alla dipendenza, per es. questo avviene di frequente in prossimità delle pause analitiche, in certe fasi dell'analisi spesso vissute a livello profondo come microabbandoni.
Imparare a decodificare quanto nei nostri comportamenti del presente ha a che fare non con la nostra adultità razionale ma con quel bambino là, che chiede di essere ascoltato, per poter farsi da parte ("ho il terrore delle emozioni!"mi dice recentemente in una consultazione una persona disinvolta ed efficiente.). Questo è il compito dell'analisi: permettere di accostarsi alle proprie emozioni senza averne paura, decifrare la propria rabbia, non attivando un meccanismo esplosivo e distruttivo, ma disinnescare le bombe nel momento in cui si possono vedere e riconoscere e collocare storicamente, consentendo ad un Io più adulto di prendere posto.
Con tutto questo arduo e certosino lavoro si arriva, quando si arriva, ad una maggiore integrazione della propria personalità, come si è visto nel caso del paziente X.
Se questo avviene il guadagno è enorme, si conquista una libertà impagabile, " sono rinato!" come talvolta in momenti toccanti dell'analisi capita che qualche paziente dica, si scopre cioè che non si è più costretti a ripetere sempre lo stesso canovaccio di ruoli (lo sfigato, quello che si fa lasciare dalle donne, l'eterno secondo, la crocerossina ad vitam che non viene soccorsa mai etc etc..) in balia del bambino che c'è in noi e che abbiamo sempre tentato di zittire, e si impara a giocare come magistralmente dice Winnicott (1970), parlando del fine di una terapia: quello di insegnare a giocare a chi sa fare sempre e da una vita solo lo stesso gioco frustante.
Si scopre che i ruoli non sono così fissi, che ognuno può costruirsi la sua vita, esserne protagonista invece che vittima.

Il problema del pagamento del denaro e dell'onorario

La tariffa deve essere congrua, tale cioè da tutelare la professionalità dell'analista e tale da poter essere sostenibile per il paziente.
Certe volte non far pagare il paziente nei primi incontri riveste anche il significato di sottolineare la non presa in carico, un sancire questo.
Mi aiuta in questo senso a non creare o alimentare aspettative di ingaggio ma a definire la prestazione occasionale e temporanea.
Altre volte succede l'opposto, lo faccio pagare proprio per sottolineare che la prestazione ha un costo e che questo deve aspettarsi anche dal futuro terapeuta.
Se un paziente lo prendo in carico lo faccio pagare tanto o poco in senso monetario, ma deve essere una equa tariffa proporzionata sia alla professionalità che alle sue tasche.
Nella libera professione non può esistere la gratuità, se non come eccezione.
Questo consente da subito chiarezza e libertà reciproca. Il paziente si sente nella condizione di pagare la mia prestazione e quindi più libero e meno invischiato, il denaro restituisce dignità e valore al paziente.
Se si parla di una terapia a lungo termine la sua gratuità o una tariffa molto bassa deve avere comunque un corrispettivo di guadagno per l'analista: un interesse specifico per lo studio di quella patologia, un progetto di ricerca o un training formativo che richieda al professionista un setting altrimenti improponibile per le tasche della persona ( es. dei candidati SPI in training).
Ciò nonostante bisogna anche mettere in conto e prevedere in una terapia di lunga durata che ci possono essere momenti in cui il paziente non sarà in grado di pagare: in una fase di cambiamento il paziente può essere oggettivamente in condizioni diverse rispetto all'inizio e, se questo cambiamento va sostenuto perché frutto del lavoro analitico, la tariffa va adeguata o eccezionalmente va fatto credito fino al momento in cui il paziente non sarà di nuovo in grado di pagare.
In questo momento una mia paziente, al terzo anno di terapia, da alcuni mesi non è in grado di pagare le sedute.
La sua attività professionale è in un momento di crisi, la famiglia, pur essendo benestante, si rifiuta di aiutarla e sottolinea la sua inadeguatezza e debolezza, affermando che deve trovare la soluzione da sè, rimarcandole ancora una volta la sua diversità, per non aver fatto come doveva secondo la regola familiare vigente: trovarsi un marito ricco da cui farsi mantenere invece di studiare e laurearsi.
Io ho fatto un investimento nel momento in cui l'ho presa come paziente, come potrei abbandonarla e buttare tutto alle ortiche? Ne va del suo ma anche del mio impegno ed ho fiducia sia nella sua onestà sia nello sviluppo delle sue risorse attraverso il nostro lavoro.
Una regola del trattamento analitico, la più indigesta a mio avviso, è quella che il paziente è tenuto a pagare le sedute che salta per qualunque motivo questo avvenga.
Non è solo e tanto perché è un tempo prenotato ma riveste una valenza terapeutica importante: sottolinea l'impegno preso di rispettare il contratto e l'asimmetria del rapporto e permette l'esplorazione delle inevitabili ambivalenze al riguardo.
Significa per l'analista l'impegno a non occupare altrimenti quell'ora.
Il vuoto di seduta, la seduta mancata permette allora di addentrarsi nell'esplorazione psicoanalitica:
es. in prossimità delle vacanze e delle pause analitiche concordate, immancabilmente e per anni un paziente molto grave saltava le sedute anticipando in questo modo la pausa e minacciava di interrompere la terapia, tale era la rabbia e l'angoscia di separazione. In questo modo mi comunicava l'angoscia di morte "facendo lui morire l'analisi prima" come potemmo elaborare nel corso dei lunghi anni di lavoro.
In un altro caso il paziente, meno disturbato del precedente, costretto talvolta ad assentarsi per lavoro improvvisamente, si sentiva meno in colpa nei confronti dell'analista per avere saltato la seduta proprio perché la doveva comunque pagare e la mancanza della seduta poteva essere investigata come una situazione in cui lui sapeva che la sua seduta ed il suo analista comunque c'erano e, a livello interno, questo rivestiva un significato di rassicurazione e continuità.
Il problema del pagamento delle sedute mancate al di fuori del setting analitico, si pone in modo più elastico, se il paziente preannuncia la sua assenza non paga e mi sento libera di occupare altrimenti il suo tempo.
Uno psicoanalista non fa solo analisi, parte del suo tempo è occupato da consultazioni, psicoterapie o colloqui prolungati di chiarificazione del bisogno e della domanda.
In questa cornice, altra rispetto al setting analitico classico, il pagamento di una seduta mancata non c'è.
Mi capitò, però, una volta un caso molto particolare in fase di consultazione prolungata. Si trattava di una donna di circa 30 anni con una professione sanitaria, che si era rivolta a me dopo vari tentativi psicoterapici, tutti senza risultati. Aveva scarse relazioni sociali e sul lavoro difficoltà di rapporto con le colleghe. Lamentava di sentirsi depressa, di avere difficoltà a svolgere i suoi impegni quotidiani per malesseri fisici e crisi di ansia che l'ostacolavano e si sentiva incompresa da tutti.
In ben tre occasioni la signora disdettò all'ultimo minuto l'appuntamento, spiazzando non solo la mia agenda lavorativa del giorno, ma anche impedendo una continuità ad un lavoro nostro che pareva intravedersi nei colloqui fatti sino a quel momento. Cominciai a sospettare che usasse la sua problematica per manipolare e controllare l'ambiente circostante me compresa, mettendomi, cioè, nelle condizioni di non poter lavorare con lei in modo continuativo , ma solo con incontri a singhiozzo, decisi da lei.
Registravo, infatti, a livello controtransferale una tale irritazione di fronte alla sua ennesima disdetta lasciata in segreteria telefonica che decisi di ridefinire il contratto, dicendole che da quel momento in avanti le avrei imposto il pagamento delle sedute saltate a meno che non fossi preavvertita con almeno 24 ore di anticipo.
Fu molto sorpresa e scandalizzata, piena di rimostranze e lamentele, tanto che dovetti ricordarle su un piano di realtà che lavorando in un ambulatorio pubblico queste regole venivano applicate anche là.
Le diedi del tempo per valutare le nuove condizioni, ma fui ferrea al fine di preservare uno spazio terapeutico.
La signora mi telefonò qualche giorno dopo dicendomi che non accettava ed il rapporto finì là.
La mia ipotesi è che la rinuncia ai vantaggi secondari dei sintomi e l'assunzione delle proprie responsabilità, che decidere l'onere e l'impegno di una vera terapia comporta, fosse vissuto come troppo minaccioso e destabilizzante.
Una tariffa congrua ed equa e sostenibile per il paziente: spesso questo incastro non c'è e nella storia del movimento psicoanalitico vi sono stati parecchi esempi di istituzioni psicoanalitiche che elargiscono gratuitamente dei trattamenti analitici alle persone bisognose che non potrebbero permettersi tale cura, come a Berlino e a Vienna negli anni '20 e 30 ( Eissler, 1974).
In Gran Bretagna, in Germania ed in altre nazioni europee oggi esiste la possibilità di tariffe agevolate perché i centri che svolgono tale servizio vengono in parte sovvenzionati dallo stato. Ciò è estremamente importante per le categorie sociali economicamente più deboli e per i giovani e gli adolescenti.
In Italia tutto questo non esiste, vi sono solo alcune assicurazioni private o qualche grande gruppo aziendale che prevedono un rimborso totale o parziale per questi tipi di terapia. Ma per i più questo non vale ed anche nelle convenzioni sanitarie stipulate dall'Enpam per noi medici si fa esplicito riferimento alla non rimborsabilità per cure di questo tipo.
La Società Psicoanalitica Italiana come progetto di ricerca da alcuni anni ha istituito un servizio di consultazione nei vari centri regionali.
Le tariffe sono calmierate ed il primo colloquio è frequentemente gratuito, viene fatta una valutazione ed un analisi della domanda finalizzata a trovare l'indicazione più adeguata ai bisogni del paziente.
La consultazione, infatti, consiste in uno o più colloqui, con un analista esperto, che possono costituire una prima esperienza di cura e che potranno orientare al percorso terapeutico più indicato.
Dai nostri dati statistici emerge che più frequentemente l'indicazione che ne segue è a psicoterapie ad orientamento psicoanalitico o colloqui di sostegno. Circa una percentuale del 20-30 per cento ha le indicazioni per un trattamento psicoanalitico.
Un'altra questione è, per ultima, quanto costa alla società e alle strutture sanitarie non riconoscere il disagio psichico. Oltre che in termini di qualità della vita e capacità lavorativa dell'individuo, sono costi sociali importanti i reiterati accessi ripetuti ai medici di base o ai vari specialisti e il ricorso ripetuto ai pronto soccorso ospedalieri.
In una riunione di medici libero professionisti, un medico di base si lamentava di un suo paziente che si presentava immancabilmente al suo ambulatorio per cinque volte la settimana. La cosa mi fece immediatamente pensare all'analogia col setting analitico e a come, inconsapevolmente, questo signore usasse l'ambulatorio alla stessa stregua.

Conclusioni
Una terapia psicoanalitica costa tantissimo a chi la fa.
Questo mestiere non fa diventare ricco l'analista, in termini monetari. Il guadagno, oltre a quello materiale, è la soddisfazione di aver accompagnato una persona nella ricerca e nella scoperta della propria verità e l'analista ha il privilegio, come diceva Musatti " di poter vivere mille vite." o, se non mille, molte.

Bibliografia
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Winnicott D : "Gioco e realtà" ed. Armando 1970



E quando mancano i soldi?

di Antonella Debora Turchetto

La relatrice ha espresso un aspetto nuovo del problema che deriva dalla sua esperienza continua che si sviluppa con gli adolescenti che afferiscono al servizio pubblico di Consultorio Adolescenti per cui il pagamento del lavoro dello specialista è sostenuto dalle strutture sociali. Tuttavia ha saputo esprimere come il pagamento delle sedute, anche se non come costo economico, va relazionato con l'impegno psicologico e l'aspetto pedagogico e di fatto terapeutico correlato alla responsabilizzazione per la partecipazione dell'adolescente alle sedute (adolescente che per la sua età tenderebbe ad una instabilità comportamentale, specie appunto quello maggiormente bisognoso di supporto psicologico).
Ha anche chiarito come queste forme di aiuto dovrebbero essere implementate, mentre trovano spesso difficoltà organizzative per la limitatezza delle risorse che la società nel suo complesso mette a disposizione. L'adolescente seguito in una struttura pubblica per counselling o psicoterapia non paga direttamente, ma riceve un servizio che gli spetta di diritto. Ha comunque il dovere di rispettare le regole e di puntualità e assiduità, consapevole che la sua "prenotazione del campo da tennis", se non usufruita, sottrae risorse ad altri ragazzi ugualmente "aventi diritto". E' una forma di pedagogia civica.
E' importante chiarire correttamente i termini di questo contratto sul piano di realtà, perchè se la gratuità tout court può effettivamente essere controproducente, è però soprattutto dannosa la gratitudine in quanto può generare dipendenza. Il ragazzo che non ha motivo di essere "grato" capisce che è solo e così cresce.



Problematiche riferite ai pazienti anziani

di Salvatore Capodieci

Premessa
Prima di discutere se - dal punto di vista deontologico - sia giusto o meno far pagare la psicoterapia ai pazienti anziani occorre interrogarsi se la vecchiaia sia un'epoca della vita in cui abbia ancora senso affrontare un lavoro psicoterapico.
La condizione umana del "vecchio" suscita sentimenti e pensieri ambivalenti: da una parte il desiderio di tutti di raggiungere un'età avanzata e di prolungarla più possibile e dall'altra la considerazione diffusa che la vecchiaia sia un malanno più che un periodo evolutivo dell'esistenza.
L'aforisma di Terenzio: "Senectus ipsa morbus" continua, infatti, a trovare accoglimento tra gli stereotipi sulla vecchiaia. La fantasia di segno opposto vede, invece, la vecchiaia come l'età della saggezza.
Raggiungere un'età avanzata può di fatto risuscitare desideri sopiti, rinfocolare passioni e accendere interessi creativi.
In sintesi, coesistono due concezioni opposte sulla vecchiaia. Questa età può essere vista come la progressiva ibernazione di sentimenti ed emozioni oppure può rappresentare un progressivo arricchimento per l'individuo che invecchia.
Investire in una psicoterapia sembrerebbe allora uno spreco nel caso i sentimenti siano ibernati oppure un lusso dal momento che la vecchiaia rappresenta l'età della saggezza.
In ambito psicoterapico occorre reimpostare il discorso psicologico sulla vecchiaia nei termini della valutazione degli aspetti additivi che questa età presenta, piuttosto che nel reperimento di settori deficitari e di componenti involutive che - seppure siano a volte presenti - non possono costituire un paradigma generico di questa fase della vita.
La psicoterapia con il paziente anziano può assumere allora un nuovo significato. Da semplice intervento di sostegno o, al più, prudente e limitato approccio psicodinamico al mondo della vecchiaia, fragile e refrattario ai cambiamenti, la psicoterapia della terza e quarta età può riacquistare appieno la funzione di strumento terapeutico efficiente e di mezzo investigativo privilegiato per la comprensione di un'epoca ancora poco studiata dal punto di vista psicologico.
I lavori scientifici sottolineano la necessità di lavorare sulle difese narcisistiche del vecchio, di trasformare la tendenza al ricordo in capacità introspettiva e di riconoscere che a volte il vecchio può eleggere il proprio terapeuta a surrogato genitoriale al fine di favorire la propria regressione.
Dagli anni '80 ad oggi l'interesse della psicoanalisi rimane comunque limitato e, forse, è stato proprio l'invecchiamento degli psicoanalisti che ha consentito di riconoscere che anche dopo i 50 anni è possibile una ristrutturazione interna.
E' stato così sfatato il mito del limite di età oltre il quale è impossibile promuovere un trattamento, non solo di sostegno, ma anche trasformativo ed evolutivo (Freud, 1904).
Di fronte all'ampliarsi della nuova frontiera del trattamento psicoterapico dell'anziano è utile chiedersi quali siano le caratteristiche peculiari, ma anche quale contributo queste esperienze terapeutiche portino alle nostre conoscenze teoriche e tecniche.

Analogie della psicoterapia con l'anziano rispetto a quelle con altre fasce di età.
Confronto con la terapia con i bambini
Nell'anziano la regolazione del narcisismo ha di nuovo bisogno dei supporti esterni come nel bambino (Turillazzi Manfredi, 1990).
Ci sono problemi simili anche perché lo psicoterapeuta dell'anziano deve rifare l'esperienza delle sue prime relazioni sia con i genitori che con i nonni, ma l'impatto con l'anziano è più forte rispetto a quello con i bambini perché l'analista ha "internalizzato" i pregiudizi e gli stereotipi negativi dell'atteggiamento della società verso i vecchi.

Confronto con la terapia con gli adolescenti
Ci sono molte analogie:
* raramente - entrambi - giungono davanti allo psicoterapeuta da soli
* spesso la richiesta proviene da un adulto
* occorre ascoltare la sottostante richiesta di aiuto non sempre così esplicita
* occorre accertarsi che non stiano cercando di essere compiacenti.
Nell'incontro con queste fasce di età bisogna chiedersi cosa si aspettano le figure parentali di riferimento e in quale posizione si trovino rispetto alla domanda di aiuto, specie quando avviene all'interno di un'istituzione.
Come con l'adolescente, può essere rischioso escludere i genitori, scotomizzando un dato fondamentale della realtà esterna e interna del paziente così, anche con l'anziano, specie se istituzionalizzato può essere rischioso non tener conto delle aspettative di chi lo invia, perché si potrebbe scotomizzare il fatto che l'anziano non sia più autosufficiente, ma dipendente dall'aiuto di un adulto (Pandolfi, 1997).
Non solo l'anziano sta affrontando il difficile passaggio ad una fase nuova della propria esistenza, ma anche i figli sono chiamati a rivedere le rappresentazioni di sé come individui e il significato che assume - in questa epoca dell'esistenza - essere figli.
E' importante considerare i figli e i parenti più stretti come dei soggetti più o meno coinvolti e come persone potenzialmente sofferenti rispetto a quel periodo particolare della vita sia individuale che familiare. In questo modo non si corre il rischio di schierarsi a favore di qualcuno o contro qualcuno (Nicolini & Minervini, 2004).
Come nell'adolescente anche nell'anziano si tratta di capire se certe manifestazioni siano il frutto di una crisi e di una difficoltà a procedere nella propria evoluzione o se siano - nella persona anziana - piuttosto l'espressione di processi di deterioramento cognitivo.
L'anziano come l'adolescente:
* osserva su di sé profondi cambiamenti, non solo relativi al corpo, ma all'azione stessa dell'esperire
* non sa più chi è e non sa chi sarà domani
* non sa di chi può fidarsi: genitori e figli sono troppo lontani e ancorati a idee stereotipate del giovane e del vecchio
* non può fidarsi neppure di se stesso: troppo mutevole e inaffidabile.

Anziani e adolescenti vanno spesso in Pronto Soccorso
In entrambe quest'età, molto spesso, l'angoscia viene somatizzata.
La paura di non farcela, il senso di vuoto, la perdita delle antiche sicurezze e tanti altri affanni dell'umana esistenza affiorano nel vissuto degli adolescenti e degli anziani, ma in molti casi, stentano ad essere rappresentati e mentalizzati.
L'angoscia, se non è integrabile in rappresentazioni e incanalabile in adeguate azioni, si richiude su di sé e trova forma solo in quell'insieme di disturbi, detti appunto somatoformi, perché l'emozione, se non diviene sentimento, può solo essere percepita come un moto viscerale, cieco, doloroso e persecutorio.

Il tempo
Nella terapia con l'adolescente il tempo è un nostro alleato, mentre nella terapia con l'anziano diventa qualcosa che incombe modificando la disposizione interna del terapeuta oltre che quella dell'anziano nei confronti della psicoterapia. Il rischio è di anticipare la separazione e la conclusione per non far coincidere la fine della terapia con quella dell'esistenza.
Il rischio opposto è di prolungare il trattamento trasformandolo in un accompagnamento alla morte e la terapia viene utilizzata come una sorta di talismano contro la morte stessa.

Caratteristiche del setting
Spesso l'anziano oltre ad essere guardato ha il bisogno di essere toccato. Tale disponibilità non è una trasgressione alle regole del setting, ma va vista come una comunicazione della presenza solida e concreta del terapeuta. La relazione con l'anziano richiede spesso al terapeuta una distanza fisica e psichica diversa da quella che si tiene abitualmente con pazienti adulti.
L'anziano spesso "ci" vede poco, "ci" sente poco, provocando un movimento di avvicinamento che chiede al terapeuta di essere pronto ad assecondare tale dinamica senza per questo temere di mettere a rischio la propria capacità psicoterapica, che semmai viene sollecitata proprio da tali aggiustamenti.
Le richieste d'aiuto del paziente anziano sono spesso indirizzate al muoversi, sollevarsi, riprendere a camminare, per tornare ad avvicinarsi a se stessi e agli altri.
L'anziano chiede aiuto per la perdita del progetto, dello scopo, delle potenzialità, per ritrovare l'illusione (sia pur onnipotente) di poter recuperare tutto quello che si è perso.
La sua richiesta è finalizzata a poter elaborare il lutto mai compiuto nelle età precedenti.
Le ricerche psicosociali hanno studiato numerosi argomenti relativi alle problematiche della persona anziana:
- la perdita di un figlio anziano per una madre molto vecchia,
- il relativo disinvestimento dei discendenti,
- il ritorno alla centralità dei fratelli,
- la dinamica dell'amicizia che torna ad avere l'importanza che aveva in adolescenza,
- i cambiamenti dei ruoli tra coniugi e numerosi altri.
Pollock (1982) sostiene che liberare il processo del lutto negli anziani favorisce in loro il riaccendersi della creatività.
Il lutto per la perdita è un processo che si ripete continuamente nel corso della vita. Spesso il lutto è stato evitato ed è in questa area che la psicoterapia può giocare un ruolo chiave per una liberazione retroattiva che riporta il processo del lutto (anche il più antico) nell'ambito di un processo di adattamento.

Il processo del lutto nella persona anziana
Le perdite reali sono dolorose ma non patogene: lo diventano quando finiscono per rappresentare all'esterno il cattivo stato e i vuoti del proprio mondo interiore. Occorre, pertanto, sostituire a tanti adattamenti utilizzati in un tempo precedente della vita un processo di riparazione più strutturale.
Il focus del lavoro psicoterapico con la persona anziana deve rivolgersi al rapporto con gli oggetti interni, piuttosto che mirare a migliorare le capacità di gestire le risorse esterne.
Migliorare lo stato d'animo potrà essere la conseguenza di relazioni interne più pacificate ed armoniche e non il mezzo per raggiungere uno stato mentale più soddisfacente.
Turillazzi Manfredi (1990) afferma: "Sono le devastazioni interne che bisogna riparare, è nel mondo delle rappresentazioni, della memoria e della fantasia che bisogna entrare, e per far questo è fondamentale lo strumento analitico" ed anche: "I vecchi possono essere capiti in diversi modi, ma per suscitare in loro un processo autoriparativo, occorre averli dentro come erano e non solo come sono!".
E' difficile lavorare con gli anziani, perché potrebbero essere i nostri genitori e in questo caso occorre chiedersi: "come abbiamo risolto i problemi con loro?"
Nella terapia con la persona anziana si rischia di non riuscire a isolare delle problematiche specifiche e dire cose che si dicono a pazienti di qualsiasi età.
C'è, infine, il rischio che ogni ostacolo percepito come dovuto all'età avanzata rappresenti la paura proiettata del terapeuta relativa ai limiti della propria capacità di sviluppo.

La durata della terapia
La terapia con il paziente anziano deve essere breve.
Ricordo una paziente che aveva una ventina d'anni più di me che mi era stata inviata per una grave colite ulcerosa. La sua vita sembrava ormai compiuta e il futuro legato ad assistere la madre anziana con la quale aveva trascorso la sua intera esistenza. Fu felice di essere accolta da me per una psicoterapia psicoanalitica. Dopo due anni di terapia nacquero in lei sentimenti di amore mai provati prima e il suo cuore e il suo intestino smisero di sanguinare!
A quel punto decise di chiudere la terapia sentendosi guarita. Al momento ne fui dispiaciuto, solo dopo ho capito che la paziente si era molto giovata della psicoterapia per quello di cui aveva preso coscienza e per quello che nella terapia psicoanalitica inconsciamente aveva ripetuto.
Il terapeuta, che era stato vissuto come figlio-padre e, quindi, molto amato veniva gratificato con la guarigione e punito con l'abbandono.

Il transfert erotico ed amoroso
Il transfert erotico e quello amoroso sono tanto più frequenti quanto più il terapeuta non tiene in debito conto il bisogno di dipendenza e la solitudine in cui si trova il paziente anziano.
Questi fattori specifici associati a quelli propri della condizione psicoterapica come l'essere in due e non più soli, parlare di sé e sentirsi ascoltati costituiscono una importante dimensione transferale che il terapeuta deve tenere presente.

Fallimenti terapeutici
Spesso il fallimento psicoterapico o l'interruzione del trattamento o, ancora, considerare come unica terapia l'approccio farmacologico vanno ricondotti alla complessa situazione controtransferale: nel terapeuta il paziente anziano rievoca le temute angosce di morte, rinforzate dall'attuale cultura individualista e tanatofobica.
Il paziente "vecchio" può indurre nel terapeuta il ricordo di una mamma, ma non quella dell'infanzia, giovane e accudente, bensì una madre vecchia, grinzosa e piena d'odio dal momento che non può pensare ad altri che non a se stessa.
Mueller (1986) a proposito degli ostacoli controtransferali dice: "E' col contatto con questi pazienti che il terapeuta dimostrerà se ha preso distanza sufficiente dalla sua coscienza medica e dal suo narcisismo professionale. Si vedrà se ha appreso la capacità di rinunciare e se può affrontare con serenità e coraggio la legge ineluttabile della vanità della vita umana".
Questo significa - precisa Romolo Rossi (1986) - che il terapeuta deve avere la capacità di non toccare le difese, soprattutto la negazione quando questa genera un'accettabile micromaniacalità che è per l'uomo alla fine della sua vita un puntello vitale.
La sfiducia nelle proprie risorse riparative può portare lo psicoterapeuta del paziente anziano ad insistere sull'unica possibilità di ricercare accomodamenti esterni attraverso interventi più di sostegno che di trasformazione. Mentre la terapia del vecchio deve essere trasformativa se si vuole aiutare veramente la persona anziana a sentirsi ancora in una fase evolutiva della propria esistenza.

Ma perché la psicoterapia con l'anziano è trasformativa?
Baranger (1982) dice che il tempo della seduta è una parentesi che sospende il tempo della vita, un tempo senza fretta, circolare, che a volte sembra chiudersi in un presente atemporale e sostiene che questo produca a volte anche avvenimenti nuovi. Il processo psicoterapico riscrive in una certa misura la storia personale, ma nello stesso tempo ne cambia il senso.

Gli anziani dovrebbero pagare la psicoterapia?
Sigmund Freud aveva l'abitudine di seguire alcuni pazienti poveri gratuitamente per evitare il rischio che la sua ricerca psicoanalitica riguardasse solo le classi sociali più ricche.
I cambiamenti sociali hanno reso accessibile il trattamento psicoterapico a tutte le categorie sociali e a tutta la gamma delle patologie dalle nevrosi alle psicosi.
Gli anziani rappresentano di fatto oggi una nuova classe sociale.
Probabilmente la scienza psicoterapica ha bisogno di estendere le proprie conoscenze sui meccanismi mentali delle età più avanzate (troppi studi sui traumi precoci e quasi nessuno sui traumi che ci attendono nelle ultime fasi della vita).
Questo potrebbe portare ad una scelta simile a quella operata da Freud un secolo fa di riservare un posto a qualche paziente anziano non in grado di pagare.
Altre situazioni relative all'anziano che non è in grado di pagare:
- l'anziano istituzionalizzato: gerontopsicologi nelle case di riposo, ambulatori psicoterapici nelle istituzioni per gli anziani, psicogeriatri.
- l'anziano abusato in famiglia: a chi si rivolge? Istituire un telefono d'argento?
- l'anziano affetto da patologia psicosomatiche: consulenze psicologiche nei reparti internistici?
- l'anziano ancora inserito in famiglia può beneficiare di una terapia familiare sperando che non sia lui a pagarla!
- l'anziano con difficoltà relazionali, affettive e/o sessuali a chi può rivolgersi?
- l'anziano che ha bisogno di un aiuto spirituale trova ancora disponibile il "vecchio" confessore?

Conclusioni
L'anziano seguito gratuitamente è effettivamente un paziente che chiede e non porta nulla? Concludo con le parole di Stefania Turillazzi Manfredi: "Lavorare con i vecchi è un po' come frugare in un vecchio baule, se lo si fa con curiosità e fantasia si possono trovare cose in qualche modo preziose".

Bibliografia
Baranger M, Baranger W, Mom J, Processo e non processo nel lavoro analitico. Rivista de Psicoanàlisis, 39, 1982.
Freud S (1904), Psicoterapia, OSF, 4.
Mueller citato in Rossi R, Il lamento di Nestore. Fantasmi della vecchiaia e fantasmi di dipendenza, Minerva Psicogeriatrica, vol. 1 (1), 1986.
Nicolini C, Minervini P, Psicoterapia della vecchiaia: dubbi e interrogativi per avvicinarsi a qualche risposta, Psicoterapia Psicoanalitica, XI (2), 2004, pp. 39-61.
Pandolfi A M, Il primo colloquio con i genitori degli adolescenti. In Telleschi R, Torre G (a cura di) Il primo colloquio con l'adolescente, Raffaello Cortina, Milano, 2001.
Pollock G H, On aging and psychopathology. International Journal of Psychoanalysis, 63, 1982, p. 275.
Turillazzi Manfredi S, Il tempo della vita, il tempo dell'analisi. Riflessioni sulla riparazione nel trattamento degli anziani, Prospettive psicoanalitiche nel lavoro istituzionale, 8 (3), 1990, pp. 329-344.



Il pagamento nella psicoterapia dell'adolescente

di Franco Ferri

La consapevolezza che il pagamento dell'onorario nella psicoterapia in ambito privato sia il fattore che la distingue dalle prestazioni in ambito pubblico è ciò che rende possibile l'incontro fra il terapeuta e il suo paziente. Di più: il pagamento rende possibile il dispiegarsi delle potenzialità del setting terapeutico, sia sul versante del coinvolgimento del terapeuta che sul versante dell'insight emotivo del paziente, proteggendo entrambi dalla perdita dei reciproci confini. Una vasta letteratura in proposito ha sottolineato come il pagamento aiuti a dipanare numerose di quelle ambiguità e ambivalenze che caratterizzano i vissuti, e quindi anche i comportamenti umani a volte patologici, che hanno a che fare col denaro o che il denaro fa emergere.
Nella relazione psicoterapeutica con l'adolescente il problema del pagamento a volte complica la possibilità di costruire una alleanza di lavoro, di solito già difficile di per sé. Ma proprio perché esso può assumere parecchi significati e parecchie implicazioni, diventa quell'elemento della realtà dal quale è conveniente non prescindere perché è anche un potente organizzatore mentale, psichico e relazionale. Basta pensare a quei frangenti in cui gli adolescenti si trovano di fronte alla scelta fra un'adesione consapevole alle spinte evolutive o un abbandono alle nostalgie delle sirene regressive. Che è l'intoppo in cui molti di loro si sentono intrappolati.
Potrebbe apparire del tutto evidente che con pazienti adolescenti le implicazioni etiche del pagamento non sono facili da mettere a fuoco. E forse non è neanche opportuno definirle e darle per scontate una volta per tutte.
Prendiamo spunto da un assioma di partenza che, seppur non condiviso da tutti, è perlomeno riconosciuto da tanti come uno snodo cruciale, e cioè che il lavoro con l'adolescente è molto difficilmente codificabile. Quindi, l'avventura relazionale con un adolescente presuppone un po' a priori una grande disponibilità a fare i conti con l'incertezza sul senso e sull'efficacia del proprio lavoro.
Alcune cose che con un paziente adulto appaiono scontate, non hanno una eguale evidenza con un adolescente.
In una psicoterapia con un paziente adulto, breve o lunga che sia, il regolare pagamento delle sedute, tra le tante importanti valenze che ha, riveste anche quella di sottolineare l'alleanza di lavoro e nel contempo di regolare la distanza o la vicinanza emotiva. Col paziente adolescente queste funzioni sono mediate da altri elementi e a sua volta il pagamento è "interpretato" da altri fattori, come cercheremo di vedere in alcuni casi clinici che vi porterò, nei quali essi hanno assunto il significato di pagamento.
Il comportamento e la realtà psichica dell'adolescente sono stati oggetto in questi ultimi decenni di interesse crescente da parte dei mass-media e degli specialisti che se ne occupano a livello professionale. E' un fatto facilmente constatabile che i tecnici dei primi possono vantare il raggiungimento di una notevole competenza nella comprensione (e oserei dire nella manipolazione se non nello sfruttamento) delle tendenze omologatrici così diffuse tra i giovani, da quelle di costume a quelle ribellistiche o provocatorie. Al contrario, il tentativo dei secondi di dipanare le motivazioni profonde di ogni singolo paziente porta quasi sempre su strade e percorsi sorprendenti, lasciando la non sempre gradevole sensazione di avere in mano un'unica certezza: quella di un bisogno profondo di quell'adolescente specifico, di sfuggire ad ogni lettura della sua situazione psichica interna e a ogni previsione circa la sua evoluzione.
Forse è proprio questo il fascino del lavoro con gli adolescenti: la sensazione di essere in campo aperto, in terra incognita.
Già il tentativo di capire con chi si ha a che fare e di mappare il territorio sul quale ci si muove appare di una fluidità sfuggente. Quando accettiamo la sfida di confrontarci con loro alla ricerca di un significativo contatto, tale indefinitezza permette alla nostra sensibilità di attaccarsi a qualsiasi elemento che compaia nella relazione. Anzi, a volte le permette di lasciarsi irretire e sedurre da quelli lasciati sullo sfondo tanto da sembrare quasi assenti.
In contesti così sfumati è intuitivamente difficile mettere a fuoco qualcosa che permetta di definire un'etica del pagamento nella terapia con gli adolescenti.
Si sarà già intuito che non arriveremo a conclusioni definitive. Qualche riflessione è però possibile sulla base dell'esperienza clinica. Alcune vignette come quelle che proporrò potrebbero venirci in aiuto.
Innanzitutto sappiamo che, sia che se ne parli, sia che non se ne parli, la questione del pagamento c'è. C'è nella mente di entrambi, paziente e terapeuta, ed è emotivamente presente nel preconscio di entrambi.
Innanzitutto: di quali, o quale, adolescente stiamo parlando?
Dal punto di vista dell'arrivo in consultazione abbiamo gli arrivi autonomi, quelli per imitazione, quelli inviati, quelli accompagnati dagli amici e quelli accompagnati dai genitori. Abbiamo quelli ai servizi pubblici e quelli al privato e tutte le possibili variazioni sul tema.
Dal punto di vista anagrafico c'è il tredicenne e il quasi diciottenne. E' evidente che sono due estremi che potrebbero rispecchiare due situazioni agli antipodi.
Dal punto di vista fisico abbiamo l'imberbe o il barbuto tra i maschi e la bambina o la donna tra le femmine.
Da quello sociologico abbiamo il ragazzino che non ha nessuna idea di che cosa possa voler dire "pedalare" e quello che magari a trent'anni non ha ancora guadagnato un euro; quello che non è mai uscito di casa e quello che ha fatto della strada il suo mondo; quello che dà per scontato d'avere sempre un posto a tavola e quello che sembra intrappolato in una lotta continua, aperta o sotterranea contro i suoi genitori (o chi per essi).
Dal punto di vista dello sviluppo psico-sessuale, tenendo distinte le problematiche delle ragazze da quelle dei ragazzi, abbiamo le bambinone o i bamboccioni e le ragazze-madri o i ragazzi-padre.
Dal punto di vista dell' individuazione-separazione abbiamo quello che già appare un leader e quello ancora attaccato "alle gonne materne" (anche se oggi sono molto rari, a dispetto di un codice materno estremamente invadente in tutti i campi istituzionali).
Infine da quello della psicopatologia portata in consultazione abbiamo l'iperattivo-ansioso e il "cattivo-caratteriale" (categorie osservative dell'ambiente, piuttosto che quelle intrapsichiche del soggetto); abbiamo la normale crisi di crescita (difficoltà di adattamento al proprio corpo o all'ambiente) e il breakdown evolutivo riconducibile alle difficoltà di integrazione del corpo sessuato nel sé consapevole; abbiamo l'acting suicidario e la negazione quotidiana della morte con i comportamenti a rischio.
Cosa c'entra tutto ciò con il pagamento?
Ora, a mio parere, occorre tenere in gran conto quale sia il passaggio evolutivo che l'adolescente sta affrontando quando viene, o quando viene condotto, da noi.
Esso può essere, dicevamo, quello dell'integrazione del proprio corpo sessuato nelle consapevolezze del sé. Può essere quello di un sé ipertrofico con strutture narcisistiche immature in difficoltà a riconoscere altri da sé. Può essere quello della ricostruzione del sé dopo un trauma devastante.
In questi casi, o più semplicemente in ognuno dei casi che possiamo incontrare nella nostra professione, il significato del pagamento non è dato a priori, ma va costruito nella ricerca di una condivisione che dia il senso del lavoro psicoterapeutico.
Di seguito verranno riportate alcune esemplificazioni cliniche.

Michela, quasi quattordicenne alla fine della terza media, è stata inviata da me dal neuropsichiatria che l'ha presa in carico per l'aspetto farmacologico. E' accompagnata dai suoi genitori: dopo l'incontro a tre e una breve parentesi vis a vis con Michela, i genitori mi rubano ancora qualche minuto. Mi chiedono ansiosamente di nascondere con cura a Michela la questione del pagamento: per loro è ancora una bambina e non vogliono turbarla con preoccupazioni che, secondo loro, non hanno a che fare con le sue difficoltà.
Michela presenta un evidente breakdown evolutivo, con crollo del rendimento scolastico, angosce con ritiro psichico e aspetti persecutori deliranti: in un corpo dalla prorompente e perfino eccessivamente esibita femminilità si coglie un'affettività ingenua, pensieri sognanti e una povertà di interessi e relazioni, tali da far pensare a una posizione difensiva rispetto alla sessualizzazione del corpo. I genitori, due brave persone profondamente religiose, la vivono e sopratutto la trattano ancora come una bambina, evidentemente imbarazzati dalle sue rapide trasformazioni corporee così eclatanti a cui forse non erano preparati.
Nel breve incontro con loro mi avevano anche riferito di non essere preoccupati per la bocciatura scolastica della figlia così che ella avrebbe potuto "rimanere in casa senza andare in giro a correre dei pericoli".
L'avvio della relazione terapeutica con Michela è molto difficoltoso, sulla difensiva e popolato di nebulosi fantasmi persecutori, riconducibili ad angosce relative alla scena primaria e all'area della sessualità, la sua e quella dei genitori, mai direttamente nominata.
Dopo qualche tempo per avvicinarsi a quest'area, Michela, evidentemente rassicurata, comincia a portare in seduta l'amico immaginario. Appare chiaro a questo punto che si è instaurata una positiva alleanza di lavoro con me e sempre più frequentemente ella osa accennare a oscure e sconosciute richieste corporee, subito coperte con un desiderio acuto di ritiro in un mondo privo di ombre e contrasti. L'accettazione senza angoscia da parte mia di entrambe queste dimensioni della sua mente permette a Michela di sperimentare sia le fughe in avanti di un corpo che non riconosce come suo, sia il sogno ingenuo ad occhi aperti di un paradiso terrestre dove non ci sono sorprese e tentazioni. Comincia così ad accettare e a sperimentare le varie parti del sé alla ricerca di una loro difficile coesione sotto lo sguardo non giudicante del terapeuta, lontano dagli sguardi ingombranti dei genitori, probabilmente anche loro in una qualche difficoltà.
Infatti lei sente che a parole essi vogliono vederla crescere, ma sente altresì che emotivamente sono angosciati dai suoi cambiamenti e dalle sue sperimentazioni. Così, preconsciamente se non proprio in maniera inconscia, questi genitori si trovano, come vedremo, a muoversi in una logica di boicottaggio della terapia.
Infatti, rompendo il setting che avevamo concordato e che prevedeva l'assoluta riservatezza del lavoro con Michela, si sono presentati un giorno con lei senza preavviso a esigere informazioni sull'andamento della terapia, rivendicando il loro diritto ad essere informati "visto che la pagavano". Per Michela è stato come un fulmine a ciel sereno: veniva da me convinta che sua mamma la portasse da un suo amico dottore e invece ha scoperto che "costringeva" i suoi genitori a spendere i loro soldi per lei.
C'è stato poco da fare: ogni contenimento messo in atto non è bastato a dare un significato sufficientemente positivo o evolutivo al disvelamento plateale e inopportuno di questo segreto detenuto dai genitori. Tanto più che Michela stessa, in quella fase della psicoterapia, sentiva in prima persona di essere coinvolta nell'ingenuo ma difficile padroneggiamento di altri segreti, ben più carichi di emozioni e fantasmi angosciosi. Si trattava del segreto del suo corpo ormai sessuato col quale adesso poteva "fare veramente" i bambini se solo fosse riuscita a impadronirsi dell'altro segreto, quello dell'accoppiamento dei grandi (fantasie semideliranti circa la scena primaria dell'accoppiamento dei genitori). Ella desiderava ardentemente impadronirsi di quest'ultimo segreto, ma contemporaneamente temeva di scoprirlo perché le avrebbe fatto perdere la posizione di bambina e quindi la sicurezza della protezione dei genitori.
Il trauma della scoperta che proprio i suoi genitori le avevano deliberatamente nascosto un particolare segreto che la riguardava ha fatto esplodere tutta la sua ambivalenza; sentire che essi avevano esercitato su di lei un potere trattandola da bambina, le ha scatenato diverse angosce.
Alcune erano relative alla proiezione su di loro di fantasie di rifiuto, di non riconoscimento e di non accettazione del suo corpo sessuato. Altre erano riconducibili a fantasie di punizione per il disvelamento dei suoi desideri di appropriazione della loro capacità di accoppiamento. Ora lei sentiva di non aver più solo desideri infantili ma anche desideri e fantasie sessuali. Per lei è stato come non sentirsi accettata dai genitori come cresciuta, anzi, che poteva essere accettata da loro solo se rimaneva una bambina.
E ancora: che il suo corpo non più infantile poteva essere pericoloso.
Se volessimo fare man bassa delle intuizioni freudiane, potremmo forse dire che per lei, il convergere dei fantasmi inconsci materni di invidia e gelosia per la sua sessualità in stato nascente, assieme ai fantasmi edipici paterni verso una figlia non più bambina, l'hanno spinta verso una posizione regressiva senza sessualità come unico modo per essere accettata da loro.
L'irruzione dei genitori nel nostro rapporto ha cortocircuitato bruscamente i segreti del pagamento e della sessualità adulta, finendo per assumere agli occhi di Michela significati fallici intrusivi e devastanti, deflagrando infine in maniera catastrofica sul rapporto terapeutico.

Giacomo, diciannove anni, telefona a me direttamente a seguito di un ennesimo violento scontro con sua madre, per la sua seconda imminente bocciatura al 4° anno dello Scientifico.
Da alcuni cenni anamnestici raccolti successivamente in un colloquio concordato con i genitori col permesso di Giacomo, risulta che egli, figlio unico, è venuto al mondo per sanare la ferita narcisistica infantile della madre, portatrice di un insulto organico fin dalla prima infanzia, che peraltro, in età adulta, non le ha impedito di mortificare e passivizzare il marito, ridotto da tempo al rango di muto spettatore del dramma relazionale madre-figlio.
Questo figlio, belloccio e intelligente, investito di tutta quella luce che l'occhio materno è stata capace di generare per lui, è cresciuto in un contesto familiare dove nulla gli era precluso, tranne deludere la madre.
Così, nel passaggio evolutivo in cui doveva decidere finalmente se voleva crescere mettendoci del suo o permanere in quella posizione emotiva per la quale pensava gli spettasse comunque la promozione per via della sua intelligenza e simpatia innate, si è trovato a sperimentare momenti di grande smarrimento. Ad essi ha tentato di sfuggire con comportamenti regressivi o con fughe in avanti. Per esempio scappando a Roma per partecipare a un concorso per fotomodelli. Oppure con fughe laterali più che in avanti, ricattando tra l'altro la ricca zia, di cui era l'unico nipote, rea di non volergli regalare una macchina sportiva. Agli occhi di G. quest'ultima era la chiave di volta per entrare nel mondo, del tutto idealizzato, delle modelle da rotocalco, unico oggetto dei suoi interessi. Mai mondo poteva essere così distante dal mondo più terra terra dei suoi rapporti con le coetanee. La realtà alquanto frustrante dei suoi rapporti con loro era dovuto a una presunta impotenza, sperimentata casualmente in un rapporto episodico tempo addietro, ma diventata sempre più invadente nei suoi pensieri. Essa si era venuta configurando come inibizione da ferita narcisistica in un sé grandioso ancora immaturo.
Così era anche il rapporto terapeutico con me: un "tutto dovuto" che avrebbe pacificato il rapporto coi suoi genitori e funzionato come conferma narcisistica, permettendogli di continuare a viaggiare a tre spanne da terra.
Solo il riconoscimento in terapia del dolore sottostante alla frustrazione e all'esperienza depressiva che stava vivendo gli ha permesso a poco a poco di fare alcune distinzioni: accanto a parti si sé immature e pretenziose, altre parti di sé più vitali erano in cerca di consapevolezze superiori circa il piacere di sentirsi capace. Accettando che tale piacere, seppure da guadagnarsi con fatica, era da preferire all'onnipotenza megalomanica, ha imparato a vedere come quest'ultima comportava il rischio di una sofferenza maggiore sotto forma di impotenza e mortificazione del sé.
La crescita delle consapevolezze è avvenuta proprio lavorando sul fatto che lo spazio terapeutico, divenuto via via per lui un importante spazio di libertà e rispecchiamento, poteva portarlo fuori dalle secche di un pericoloso isolamento narcisistico e aiutarlo nel riconoscimento più realistico dei suoi oggetti relazionali. Così Giacomo "pagava" ai suoi genitori, che pagavano me, la tariffa concordata con loro in impegno scolastico. E soprattutto, con la rinuncia ad una quota di proiezioni narcisistiche megalomaniche, "pagava" l'acquisizione della capacità di un riconoscimento effettivo dell'altro da sé all'interno di una costruzione relazionale più realistica.

Vanna, anagraficamente maggiorenne ma ancora in casa coi genitori e priva di una sua vera e propria autonomia, prende appuntamento con me dopo una telefonata del padre che si scusa per la figlia, in difficoltà a chiamarmi autonomamente.
Nel nostro primo incontro Vanna mi racconta che già in una preadolescenza assai turbolenta, ha sperimentato qualcosa che potrebbe essere chiamata una esperienza di psicosi strisciante. Questa fase di sofferenza si è conclusa con un grave scompenso all'età di 16 anni a seguito dell'interruzione di una gravidanza. Quest'ultima è stata vissuta con grandissimi sensi di colpa e sovraccaricata di significati magico-fatalistici di ri-nascita, accompagnati da fantasie pacificatorie del rapporto coi suoi genitori.
Dopo anni di disagi esistenziali, peripezie assistenziali e tentativi di suicidio dimostrativi, Vanna pare accetti la proposta di una psicoterapia come ultima spiaggia, dunque con un carico imponente di sensi di fallimento personali. Non ha molte idee ne aspettative ne su sé stessa ne tantomeno sulla terapia, come del resto i suoi genitori, che ho incontrato col suo permesso dopo il nostro primo colloquio.
Pur all'interno di una ancora precaria alleanza di lavoro a distanza di pochi mesi dal nostro primo incontro, l'inevitabile questione del pagamento trattata coi suoi genitori, sollecita notevoli coinvolgimenti emotivi (la busta con la parcella per i suoi genitori è aperta). Qui il pagamento, rappresenta un importante elemento realistico di negoziazione che entra stabilmente nei fantasmi sollecitati nella e dalla nostra relazione.
Il confronto fra le sue attuali risorse emotive ed economiche, praticamente quasi nulle, e le fantasie inconsce punitive nei confronti di padre e madre, scatenano il conflitto fra istanze regressive (identificazione con la malattia) e quelle progressive (progetti formativi ed emancipatori al momento poco realistici).
Queste fantasie edipiche sadiche con lontane radici in una fase infantile non ben superata e attualmente fuori dall'area della consapevolezza, erano già entrate in crisi con la gravidanza rifiutata dal rigido superio paterno, mandando in frantumi anche le fantasie di rinascita collegate alla stessa gravidanza, gravidanza che avrebbe dovuto darle uno spazio privilegiato rispetto a quello da lei ricoperto in famiglia di ultima nata, di ultima arrivata.
Che il pagamento delle sedute sia un aspetto dai risvolti emotivi ed affettivi oltremodo rilevanti nella fase attuale, è testimoniato dai diversi actings di Vanna, come la dimenticanza (o forse, per meglio dire, la vergogna) di consegnare la busta al padre, o gli ingenui tentativi di ridurre il numero delle sedute da pagare "perdendo l'autobus", o ancora l'invenzione di appuntamenti col dentista proprio in orari di seduta.
Eppure, la sorpresa con cui i genitori hanno accolto l'abbozzo di alleanza di lavoro con me sembra percepita da loro in maniera molto positiva: sia il padre che la madre si fanno carico di proteggere al loro meglio lo spazio terapeutico che si è così creato perché da molto tempo nessuno sembrava in grado di stabilire con Vanna una relazione minimamente significativa e duratura, né nelle relazioni ordinarie, né nelle relazioni assistenziali o di contenimento farmacologico.
Che questa alleanza di lavoro abbia agli occhi di tutti ma sopratutto di Vanna, un significato particolarmente positivo è indicato dal fatto che al di là dei salti di seduta, se non proprio in concomitanza con le sedute mancate, Vanna mi chiama parecchie volte al telefonino e riaggancia prima che io possa risponderle, costringendomi tra virgolette a richiamarla. Ora, che queste chiamate abbiano qualche significato difensivo relativamente ai fantasmi di dipendenza che il rapporto terapeutico comporta, è indubbio. E' anche indubbio che ai suoi occhi il terapeuta rappresenti una ipotesi relazionale carica di affettività, dove i suoi bisogni forse immaturi ma assolutamente vitali non aspettano altro che di essere accolti e aiutati a crescere.
In questo caso, il pagamento, oltre ad avere una funzione di coinvolgimento dei genitori nel proteggere il setting, sembra costringere, per modo di dire, Vanna a fare un esame di realtà abbozzando un pensiero sul valore di quello che riceve e un pensiero sul suo valore come persona in cerca di accettazione per sé stessa.
Ora, quello che ci attende, è il compito di dare un significato evolutivo condiviso, duraturo e possibilmente emancipatorio a questa finestra sugli affetti che si è aperta nella relazione a tre, tra Vanna, i suoi genitori e me.



Il pagamento nei gruppi di psicoterapia

di Donata Dante Polacco

Cercherò in questa relazione di proporre alcune riflessioni sulla difficoltà di applicare regole stabili in un contesto, quello della dinamica nella terapia di gruppo, dove in realtà le variabili sono invece molte.
Il denaro è il più evidente simbolo della società dei consumi che tutti conosciamo. Ma che cos'è davvero il denaro?
In molti ambiti questa domanda si impone prepotentemente tanto che ho trovato interessante la recente pubblicazione di Bustrero e Zatti ,"Denaro e Psiche, valori e significati psicosociali nelle relazioni di scambio", che propone alcune considerazioni che vorrei condividere con voi.
Il denaro da strumento diventa fine. E' un artificio sociale, codice degli scambi interpersonali, espressione della reciproca dipendenza tra gli uomini dei quali determina atteggiamenti, comportamenti e progetti di vita. Il denaro, nonostante occupi ormai uno spazio enorme nella vita di tutti, rimane soprattutto in ambito psicologico un tabù.
Questo concetto apre alle riflessioni che più ci interessano relative al significato della richiesta di una terapia psicologica intesa come bisogno o come necessità. C'è sempre l'idea o meglio la sensazione che pagare un "bisogno", una "necessità", una richiesta d'aiuto oppure un percorso di crescita interiore sia comunque mescolare il sacro con il profano. Questo fraintendimento deriva spesso da una limitatissima conoscenza di che cosa significhi fare una terapia e di chi sia un terapeuta, visto che il pagamento riguarda anche l'accettare da parte del paziente l'idea di aver bisogno di un aiuto. Questa realtà aumenta la consapevolezza di una relazione matura tra paziente e terapeuta e non di una di tipo genitoriale nella quale "tutto è dovuto".
Il pagamento è anche un segno di maturità rispetto ad un servizio professionale che richiede anni di terapia e di studio. Questi aspetti spesso vengono tralasciati trascurando il significato del lavoro del terapeuta che viene spesso confuso con un servizio etico animato da propositi missionari contro i quali anche la deontologia dell'ordine si esprime chiaramente.
Queste regole valide per la terapia individuale non sono diverse per la terapia di gruppo, nella quale è necessario già nella primissima fase del contratto terapeutico esplicitare le regole del pagamento tanto quanto le altre regole fondamentali per la partecipazione al gruppo di psicoterapia, come la riservatezza della privacy, l'obbligo di condividere nel gruppo le decisioni che riguardano eventuali variazioni di terapia o richieste extra gruppo e diverse altre per le quali questa non è la sede adatta per un approfondimento.
La regola fondamentale è che l'impegno economico del pagamento di ogni seduta è obbligatorio anche se per qualsiasi motivo non si possa essere presenti alla seduta stessa. Se il progetto è quello di un anno di lavoro, di due anni o senza termine l'impegno iniziale prevede di dover pagare tutti gli incontri previsti.
Questa regola è necessaria non solo per motivi pratici, come il fatto che lo psicoterapeuta deve essere presente in ogni caso e non può sostituire il paziente, ma soprattutto per ragioni di correttezza, rispetto e impegno nei confronti di sé stessi, di impegno e fiducia che il paziente investe nella terapia e nel terapeuta come professionista (e questo non è differente nella psicoterapia individuale), ma anche e soprattutto nei confronti degli altri partecipanti al gruppo che sono legati vicendevolmente dalle stesse garanzie e dagli stessi vincoli. In questo modo il denaro diventa anche un impegno comunicativo, uno strumento di garanzia di presenza e continuità.
Il fatto di dover pagare in ogni caso le sedute garantisce anche l'esclusione di poter utilizzare il denaro o meglio le difficoltà economiche come un alibi che possa mascherare le reali cause di frequenti assenze o di un eventuale uscita prematura dal gruppo. Si permette così ai contenuti difensivi o di fuga di emergere e di essere analizzati.
Il conduttore, potendo contare sulle chiare regole condivise inizialmente, può concentrarsi su elementi più autentici ma forse più difficili da esprimere e spesso anche da riconoscere per il paziente che naturalmente, spesso anche inconsciamente, utilizza l'argomento del denaro come metafora di altri disagi.
Per esempio, chiedersi in quale momento è emerso il problema del pagamento, cosa è successo nella seduta precedente, aiuta a favorire una elaborazione psicologica della comunicazione nella quale gli altri partecipanti al gruppo diventano attori e non spettatori del problema che, come abbiamo sottolineato, riguarda direttamente anche loro.
Le regole comuni, inclusa la gestione del denaro, corrispondono a una stessa condizione: l'essere pazienti rispetto al transfert genitoriale (rappresentato dal o dai conduttori) e la condizione di fratellanza o sorellanza prevede rispetto e tutela e non privilegi. Questa stessa "condizione" favorisce la possibilità di sperimentare un'esperienza emozionale correttiva, auspicabile in ogni transfert oltre che in ogni psicoterapia efficace.
Quando invece il problema del denaro è autentico o sopraggiuge inaspettatamente nel corso del lavoro terapeutico, come comportarsi rispetto a quanto è stato detto?
Abbiamo osservato sinora le regole, adesso cercheremo invece di valutarne le inevitabili variabili.
Si tratta di considerare le variabili soggettive, che, come accennavo, non credo dipendano dalle regole oggettive, ma che siano legate alla discrezione del terapeuta, alla sua personalità, al modello di scuola al quale appartiene (più o meno ortodossa), alla situazione pubblica o privata nella quale si svolge il lavoro di gruppo. Per fare alcuni esempi, possiamo considerare la scelta di non far pagare i colloqui preliminari nella valutazione di idoneità alla partecipazione al gruppo di pazienti di colleghi, inviati nel gruppo stesso, oppure di trovare diverse modalità di pagamento posticipato nel tempo, quando ci sono specifiche difficoltà economiche, ma con un ritmo regolare tanto quanto quello delle sedute, come attraverso un bonifico sostitutivo simbolico della seduta fino al saldo, e poi procedere con le sedute.
Queste non sono regole ma scelte individuali che esulano da un codice oggettivo e comunemente condiviso.
Cercherò ora di individuare sinteticamente e di ricordare per punti alcune di queste variabili, che riguardano situazioni specifiche della psicoterapia di gruppo.
Un primo problema molto frequente è la difficoltà di condividere con il gruppo una variazione di tariffa anche se temporanea o un eventuale accordo di pagamento posticipato nel tempo. Questo creerebbe facilmente un precedente con il quale confusioni e competizioni reali o transferali potrebbero diventare un inutile elemento di disturbo alla terapia. Di solito mi regolo individualmente con il paziente, prendendo accordi precisi in merito, e solo in questo caso con un colloquio individuale al di fuori delle sedute di gruppo.
Un secondo elemento da considerare nel contratto di pagamento è la frequenza dello scambio denaro/fattura. L'ideale sarebbe effettuare il pagamento a ogni incontro, ma questo spesso risulta dispendioso, una perdita di tempo sia per compilare al momento le fatture o per averle preparate in precedenza e sia perché diversi minuti sono inevitabilmente necessari per questa operazione. Anche se ci sono stati accordi in precedenza rispetto all'uso di contanti invece che di assegni, la moneta è comunque spesso qualcosa che manca e così nel frattempo si perde tempo prezioso.
Ci si può accordare sul pagamento mensile, ma spesso le persone che partecipano ai gruppi lo fanno non solo per un progetto terapeutico specifico ma anche per difficoltà economiche: per questo motivo è per loro un peso dover versare una quota cospicua tutta insieme. Per lo stesso motivo anche il bollo della fattura, 1,81 euro cadauna, è un peso per i pazienti, soprattutto nei gruppi che si tengono nei consultori. In definitiva, di solito, si opta per il pagamento ogni 2 o 3 incontri.
Una terza variabile è quella relativa alla frequenza degli incontri: settimanale, mensile oppure bimensile. Anche il numero di conduttori e il loro avvicendarsi va considerato per il momento del pagamento.
Questi tre elementi e sicuramente altri dettagli contestuali vanno definiti subito e diventano le regole del gruppo e anche attraverso queste apparenti formalità si comincia a costituire un terreno comune che è una base fondamentale su cui iniziare a costruire l'identità del gruppo. Infatti ogni gruppo ha una sua identità costitutiva e relazionale unica e irripetibile, è un'unità gruppale proprio come se fosse un solo individuo che come tale è per principio unico e irripetibile.
Una quarta e ultima considerazione riguarda le eventuali richieste urgenti specifiche di fissare sedute individuali o di coppia, nei casi in cui i membri di una coppia sono inseriti in gruppi diversi e si sottopongono anche a colloqui di coppia occasionali o regolari. Queste richieste vanno dichiarate nel gruppo e comunque pagate secondo la normale tariffa individuale o di coppia del terapeuta.
Come abbiamo potuto osservare, più stimoli e variabili ci sono - e nei gruppi ce ne sono veramente molte - più è necessario essere rigorosi. La consapevolezza di quello che si sta mettendo in atto, quando si è più flessibili, è necessaria, per evitare trappole terapeutiche e dinamiche incontrollabili che impedirebbero inevitabilmente il buon successo della psicoterapia o della psicoanalisi di gruppo.
Il denaro, per mille motivi, tende ad essere "instabile" proprio come il paziente che sta cercando nel gruppo una maggiore stabilità psicologica, emotiva ed esistenziale. E' proprio la consapevolezza da parte del terapeuta di questa instabilità del denaro, sia come mezzo di pagamento che come elemento di comunicazione, che offre alla terapia di gruppo l'opportunità di utilizzare anche il pagamento come risorsa fondante di equilibri migliori.



Le regole vigenti assimilano i Medici a imprese individuali
"Le norme di pagamento e gli aspetti deontologici del compenso"

dott. Breda Moreno

E.N.P.A.M.= 378.755 iscritti

Fondo B= 108.183 iscritti

Albo Medici= 76.350 iscritti
Doppio Albo= 15.155 iscritti
Odontoiatri = 16.678 iscritti


Codice di deontologia medica
Capo X
Onorari professionali nell'esercizio libero professionale

Art. 54
-onorari professionali-
Nell'esercizio libero professionale,fermo restando il principio dell'intesa diretta tra medico e cittadino e nel rispetto del decoro professionale,l'onorario deve essere commisurato alla difficoltà,alla complessità e alla qualità della prestazione,tenendo conto delle competenze e dei mezzi impegnati.
Il Medico è tenuto a far conoscere il suo onorario preventivamente al cittadino.
La corresponsione dei compensi per le prestazioni professionali non deve essere subordinato ai risultati delle prestazioni medesime.
Il Medico può,in particolari circostanze,prestare gratuitamente la sua opera purchè tale comportamento non costituisca concorrenza sleale o illecito accaparramento di clientela.

Codice di deontologia medica
TITOLO IV
RAPPORTI CON I COLLEGHI
CAPO I
Rapporti di collaborazioni

Art. 58
-rispetto reciproco-
...il medico deve assistere i colleghi senza fini di lucro salvo il diritto al ristoro delle spese.

Art. 54
-onorari professionali-
Nell'esercizio libero professionale,fermo restando il principio dell'intesa diretta tra medico e cittadino e nel rispetto del decoro professionale,l'onorario deve essere commisurato alla difficoltà,alla complessità e alla qualità della prestazione,tenendo conto delle competenze e dei mezzi impegnati.
Il Medico è tenuto a far conoscere il suo onorario preventivamente al cittadino.
La corresponsione dei compensi per le prestazioni professionali non deve essere subordinato ai risultati delle prestazioni medesime.
Il Medico può,in particolari circostanze,prestare gratuitamente la sua opera purchè tale comportamento non costituisca concorrenza sleale o illecito accaparramento di clientela.

Art. 1
-Definizione-
Il Codice di Deontologia Medica contiene principi e regole che il medico-chirurgo e l'odontoiatra, iscritti agli albi professionali dell'Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri,di seguito indicati con il termine di medico,devono osservare nell'esercizio della professione.
....................
Il medico è tenuto alla conoscenza delle norme del presente Codice e degli orientamenti espressi nelle allegate linee guida,la ignoranza dei quali,non lo esime dalla responsabilità disciplinare.

Capo IV
informazione e consenso

Art.33
-Informazione al cittadino-
Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi,sulla prognosi,sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate.
........................

Pubblicità dell'informazione sanitaria

LINEA-GUIDA
3) Elementi obbligatori dell'informazione

Il medico su ogni comunicazione informativa dovrà inserire:
-nome e cognome
- Il titolo di medico chirurgo e/o odontoiatra
- Il domicilio professionale

Riepilogo:
Il medico per un'esigenza di correttezza e trasparenza nei rapporti professionali,deve rendere nota fin dall'inizio l'entità dell'onorario che prevedibilmente gli sarà dovuto,onde acquisire l'accettazione espressa e possibilmente per iscritto da parte del paziente. Va da sé che l'informativa deve essere il più possibile dettagliata e comprendere tutti gli elementi che,prevedibilmente,concorreranno a determinare il costo complessivo a carico della persona assistita.
Nell'ambito dell'attività libero professionale i medici chirurghi e gli odontoiatri sono tenuti a
erogare eventuali prestazioni a titolo gratuito solo in casi particolari e non indiscriminatamente come richiamo alla clientela.

Ricostituzione degli ordini delle professioni sanitarie e disciplina dell'esercizio delle professioni stesse

D.L.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233 (G.U. n.241 dd. 23.10.46)

Art. 3
Al Consiglio direttivo di ciascun Ordine e Collegio spettano le seguenti attribuzioni: .......................
g) interporsi,se richiesto,nelle controversie fra sanitario e sanitario,o fra sanitario e persona o enti a favore dei quali il sanitario abbia prestato o presti la sua opera professionale,per ragioni di spese,di onorari o per le altre questioni inerenti all'esercizio professionale,procurando la conciliazione della vertenza e,in caso di non riuscito accordo,dando il suo parere sulle controversie stesse

Art.4
Il Consiglio,entro i limiti strettamente necessari a coprire le spese dell'Ordine o Collegio,stabilisce una tassa annuale,una tassa per l'iscrizione nell'Albo nonché una tassa per il rilascio dei certificati e dei pareri per la liquidazione degli onorari.
Capo I : Del procedimento di ingiunzione
Art. 633.
(condizioni di ammissibilità)
............................
............................

3) Se il credito riguarda onorari,diritti o rimborsi spettanti...,oppure ad altri esercenti una libera professione o arte per la quale esiste una tariffa legalmente approvata

Art. 636
(Parcella delle spese e prestazioni)
Nei casi previsti nei numeri 2 e 3 dell'Art. 633,la domanda deve essere accompagnata dalla parcella delle spese e prestazioni,munita della sottoscrizione del ricorrente e corredata dal parere della competente associazione professionale.
Ai fini della convalida,la parcella deve contenere l'indicazione dettagliata delle prestazioni svolte in quanto il parere dell'Ordine presuppone la verifica (e deve dare conto) della congruità degli onorari richiesti,con riguardo all'importanza e all'onerosità dell'opera professionale, alla qualificazione del medico o dell'odontoiatra e ad ogni altro utile elemento di valutazione.
Il parere del Consiglio del Collegio rappresenta un atto amministrativo di mero controllo tecnico della rispondenza delle voci indicate in parcella alla tariffa professionale.
Il Consiglio del Collegio non è tenuto ad entrare nel merito della misura del compenso richiesto rispetto all'attività svolta dal professionista né della effettiva esecuzione della prestazioni;tale sindacato di merito è di competenza esclusiva dell'autorità giudiziaria chiamata a dirimere la controversia. L'attività dell'Ordine professionale si limita dunque ad un mero riscontro della rispondenza della parcella alle previsioni tariffarie.
In tema di onorari professionali, va anche considerato che l'obbligo di adempiere al pagamento può incombere non solo al soggetto che ha beneficiato della prestazione,ma anche a un terzo che abbia richiesto l'opera del professionista a favore del beneficiario diretto di essa.

Art.2956 c.c.
Il diritto dei professionisti per il compenso dell'opera prestata e per il rimborso delle spese correlate si prescrive in tre anni.

Legge 4 agosto 2006,n. 248
Titolo I
Misure urgenti per lo sviluppo,la crescita e la promozione della concorrenza e della competitività,per la tutela dei consumatori e per la liberalizzazione di settori produttivi.

Art. 2
Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali
¥ .... Sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali:
¥ L'obbligatorietà di tariffe fisse o minime...

2. .... Il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali,in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio,sulla base della tariffa professionale.

TARIFFE PROFESSIONALI MINIME A NORMA EUROPEA
La inderogabilità ai minimi tariffari professionali non sarebbe contraria al diritto comunitario...
(avvocatura dello Stato dinanzi alla Corte Giustizia Europea, cause C-94/04 e C-202/04)

Art. 58
-rispetto reciproco-
...il medico deve assistere i colleghi senza fini di lucro salvo il diritto al ristoro delle spese.

Spirito di COLLEGANZA :
La necessaria solidarietà fra individui che fanno parte di uno stesso gruppo sociale.

Spirito di colleganza: valenza senz'altro positiva in quanto porta alla collaborazione fra i colleghi e un mutuo soccorso reciproco.

Una tradizione antichissima prescrive che il Medico presti la propria assistenza gratuitamente ai colleghi.
Ovviamente il progredire dei tempi ha imposta la necessità di prevedere il risarcimento delle spese sostenute a favore del medico curante considerando i sempre maggiori oneri economici relativi all'utilizzazione di strumenti,apparecchiature e materiali sempre più sofisticati.

Parliamo di ETICA PROFESSIONALE riferendoci a concetti quali la deontologia,ossia quell'insieme di doveri e responsabilità ai quali sentiamo di riferirci in quanto appartenenti alla comunità medica e odontoiatrica.

Lo spirito di colleganza non è tanto l'assistenza senza fini di lucro quanto un sentimento di reciproca considerazione e di comune sentire.



RELATORI

Renzo Giacomini, Presidente dell'AMP-VE, Associazione Medici Psicoterapeuti - Venezia, medico-psicoterapeuta

Moreno Breda, Odontostomatologo e consigliere dell'OMCeO di VE.

Pier Luigi Rocco, psichiatra e psicoterapeuta e docente preso la Scuola della Società Italiana di Psicoterapia Psicanalitica di Milano, autore di più di 70 pubblicazioni,

Loris Zanin, psichiatra e psicoanalista della S.P.I., docente presso la scuola di psicoterapia COIRAG di Padova,

Antonella Debora Turchetto, Ginecologa e Psicoterapeuta, esperta di formazione, lavora come specialista nei consultori dell'ULSS 12 Veneziana, autore di oltre 40 pubblicazioni.

Salvatore Capodieci, docente di Psicopatologia generale e di Sessualità umana alla Facoltà di Psicologia del SISF di Mestre, vice-presidente AMP-VE, autore di oltre 100 pubblicazioni e 6 libri.

Franco Ferri, psicologo e psicoterapeuta di formazione analitica, con specializzazioni in Psicoterapia scolastica e in Psicoterapia degli adolescenti,

Donata Dante Polacco, laureata in filosofia del linguaggio, psicologa e psicoterapeuta, counselor all'Istituto internazionale di Psicosintesi educativa.

(Si ringrazia per la collaborazione nella raccolta delle relazioni e la stesura grafica la dott. Laura Perini di Udine, e per la organizzazione del Convegno i Consiglieri e le Segretarie dell'Ordine dei Medici di Venezia)


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