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PSYCHOMEDIA
Psycho-Conferences

    Atti del Congresso - a cura di Ermete Ronchi:

    Università degli Studi di Brescia - Cattedra di Psicologia Clinica
    in collaborazione con SINOPSIS - COIRAG - PSYCHOMEDIA


EMOZIONI IN RETE
CAMBI DI PARADIGMI E NUOVI PAZIENTI

RELAZIONE

Ermete Ronchi

Psicologo, psicoterapeuta, psico-socio-analista, gruppoanalista, Presidente SINOPSIS, Membro ARIELE, COIRAG, AIF, IAGP, Editorial Staff Member Rivista Telematica PSYCHOMEDIA,
Webmaster www.psychomedia.it/coirag e www.sinopsis.it


SOMMARIO

  • Nella tela del cyber-ragno
  • Benessere: una questione sul confine tra individualità e gruppalità
  • Rivisitare alcune premesse
  • Cultura occidentale e pericoli sottesi a internet
  • Strumento, pensabilità e comportamenti in rete
    • a. pericoli emotivi sottesi all’uso del mezzo: difese disfunzionali classiche
    • b. Evitamento della frustrazione
    • c. Il click del mouse come bacchetta magica del 2000
    • d. L'abuso di computer come tossicoesperienza
    • e.Il computer come nuovo specchio di Narciso
  • Quali sbocchi?
  • La relazione con il virtuale
  • Nuovi pazienti
  • Psicoterapia e gruppalità nella grande rete
  • Bibliografia

              Noi generalmente supponiamo che i nostri pensieri, i nostri sentimenti, le nostre percezioni e così via, abbiano un unico fondamento: noi interpretiamo tutte le nostre esperienze come se accadessero ad un unico sé. È proprio questa nozione di unità che si è sgretolata, fino alla riformulazione del concetto di un sé cognitivo dis-unificato, (reticolare).

              La nozione di virtualità è fondamentale nella ricerca sui sistemi complessi, è una questione cruciale uscire dall'alternativa tra l'esistenza come sostanzialità e la non esistenza. L'identità personale è una funzione diffusa, non localizzabile ma allo stesso tempo con una capacità di azione. Dov'è l'identità della nazione francese? Non è da nessuna parte: non è la costituzione, non è il presidente, non è l'insieme dei cittadini. È un processo emergente dalla coordinazione di realtà e forze differenti. Allo stesso modo l'esistenza virtuale del sè funziona come un'interfaccia non localizzabile. È un processo, non una cosa.

              In: Il racconto dell'identità. Oltre la frammentazione del sé. Intervista a Francisco Varela (1994)

Nella tela del cyber-ragno

Il word wile web è la grande rete di comunicazione planetaria ma anche, letteralmente, la ragnatela globale. Web è rete, ragnatela, mezzo mediatico ricco di informazioni ma anche di eventi allo stato nascente che, in quanto tali, sono portatori di emozioni ancora senza nome. Queste ultime sono facile preda di un particolare cyber-ragno. Si tratta di quell'aspetto della realtà virtuale che succhia, rinsecchisce e stereotipizza il repertorio di emozioni di chi, non disponendo di competenze adeguate e di capacità di apprendere in stato emotivo di incertezza, resta prigioniero di ciò che appare essendo per questa via indotto a costruirsi un'immagine semplificata del (suo) mondo.

Il problema viene da lontano. Platone ad esempio, con la metafora della caverna ci offre prime utili indicazioni per entrare nel mondo della virtualità:

    (...)

    - Paragona la nostra natura, per ciò che riguarda educazione e mancanza di educazione, a un'immagine come questa. Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l'entrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sì da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d'un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini.

    - Vedo, rispose.

    - Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti di ogni sorta sporgenti dal muricciolo, e statue e altre figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e, come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono.

    - Strana immagine è la tua, disse, e strani sono quei prigionieri.

    - Somigliano a noi, risposi, credi che tali persone possano vedere, anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete loro contrapposta della caverna?

    - E come possono, replicò, se sono costretti a tenere immobile il capo per tutta la vita?

    - E per gli oggetti trasportati non è lo stesso?

    - Sicuramente.

    - Se quei prigionieri potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni?

    - Per forza.

    - E se la prigione avesse pure un'eco dalla parete di fronte? Ogni volta che uno dei passanti facesse sentire la sua voce, credi che la giudicherebbero diversa da quella dell'ombra che passa?

    - lo no, per Zeus! rispose.

    - Per tali persone insomma, feci io, la verità non potrebbe essere altro che le ombre degli oggetti artificiali.

Oggi, chi passa molto tempo davanti a uno schermo, davanti a una realtà mediatica è esposto agli stessi rischi dei prigionieri della caverna qui evocati. Vive sì emozioni, ma - osserverebbe Platone - sarebbe necessariamente indotto nell'errore di ritenere che quella è la realtà emotiva e cognitiva con cui deve fare i conti. Assumendo questo primo livello di realtà come misura delle cose si perderebbe progressivamente di vista ciò che contemporaneamente sta accadendo sul secondo livello di quella stessa realtà, quello che, a causa delle catene, per i "prigionieri" di Platone, semplicemente non esiste in quanto esce dalla loro finestra di osservabilità e pensabilità del mondo.

Va sottolineato che questo secondo livello di realtà è ancor più ricco di cognizioni ed emozioni ma anche di complessità; Platone, nel proseguire il suo racconto, mostra bene i drammatici problemi che incontra chi, volendosi sciogliere dalle catene di ciò che superficialmente accade, accosta per la prima volta la luce affascinante e accecante dell'incontro con un nuovo livello di realtà.

È, infatti, sul territorio della "virtualità" che il soggetto incontra quel paradosso che W. R. Bion ha chiamato "emozioni senza nome", vissuti che caratterizzano l’assetto mentale di chi si dispone ad accogliere, creativamente, il nuovo. E il nuovo potrebbe nascondersi anche in eventi noti ma dal significato stereotipato, ossia evirato delle emozioni più sconcertanti, innominabili; sappiamo come ogni processo che sappia mettere in comunicazione inediti vertici di osservazione comporti vissuti dolorosi, sfidanti, ricchi di confusività e, allo stesso tempo, di bellezza e potenziale. Un particolare mix di benessere, inquietudini e disagio accompagna quindi di defoult ogni nuovo incontro col nuovo e, se questo è veramente tale, il singolare e il plurale vengono contestualmente sollecitati.

Benessere: una questione sul confine tra individualità e gruppalità

Nella cultura occidentale siamo più portati a immaginare il malessere come una questione del singolo e non anche come l’effetto-rete di una sofferenza "virtuale" che da gruppalità più ampie si scarica sulle singole soggettualità. La grande rete è oggi la più dinamica e “visibile” realtà plurale, di facile accesso che coniuga interattivamente individualità e gruppalità. La realtà “internet” può essere allora accostata sia come risorsa capace di arricchire le professionalità di singoli soggetti sia come fenomeno gruppale da conoscere in profondità non solo per apprendere ad usare al meglio la risorsa internet ma anche per poter accompagnare nel tempo l’evolversi di quel particolare lavoro clinico contemporaneamente attento a individui e gruppi.

L'avvento del web costringe a rivedere teorie sociologiche e psicologiche fondate su premesse pre web. Tra le scienze psicologiche, la psicoanalisi e le scienze psicoterapeutiche, potrebbero essere soggette a una particolare necessaria rivisitazione. Medici, psicologi, operatori sanitari e altri operatori sociali sono infatti coloro che in genere si trovano in prima linea quando le inquietudini, il disagio e la sofferenza giungono su quel particolare confine che può essere al tempo stesso anticamera di nuove incipienti patologie e punto di partenza per cambiamenti qualitativi e trasformazioni evolutive di interesse individuale e collettivo.

Rivisitare alcune premesse

All’inizio del secolo precedente, mentre il secondo millennio volgeva al termine, Freud, metteva l'accento sul soggetto inteso come singolo individuo e auspicava: Là dove c'era l'ES deve essere l'IO. No! sembra rispondere la società d'oggi rovesciando l'assunto di Freud Là dove c'era l'IO dovrà essere l'ES (J. Cremerius, 1999). In effetti la grande rete, evento che marca l'ingresso nel terzo millennio, può essere lo specchio di un’emozione gruppale che di fronte alla sfida della complessità invita i singoli individui a regressioni e a comportamenti di attesa passivizzanti e infantili.

Se la psicoanalisi del 19° secolo ha ricercato, studiato e posto l'accento sul livello di realtà della soggettualità individuale, quella che apre il nuovo secolo è invitata a far avanzare la ricerca aprendo il campo all'ascolto e alla messa in atto di relazioni terapeutiche che assumono come interlocutore soggettualità collettive portatrici di domande ma impossibilitate ad esplicitarle perché pochi sono in grado di comunicare e dialogare con quel livello di soggettualità.

Chi si occupa professionalmente di relazioni di cura è invitato a riflettere. Un'istituzione "malata" o stressata manda segnali in codice per comunicare il suo disagio. Se nessuno sa leggere e trattare quel disagio o, peggio, se quel disagio viene “male interpretato”, l’istituzione in quanto soggetto collettivo tende a somatizzarlo al suo interno. Sappiamo come un’istituzione “malata” induca disagio e sofferenza a largo raggio ammalando progressivamente i suoi operatori anche nel soma o, al contrario, se tendenzialmente sana, sia in grado favorire la diffusione al suo interno di qualità, sviluppo e benessere (E. Ronchi, 1995).

Non sembri fuori luogo il parallelismo web/soggetti collettivi. Questi tipi di realtà plurale, queste soggettualità istituite attorno a un compito primario, sono a mio avviso gruppalità che hanno molte caratteristiche della grande rete; sono quindi al tempo stesso potenzialmente terapeutiche ma, se la relazione è mal gestita, anche mortifere. Dipende dalle capacità e dalle competenze professionali che i singoli nodi della rete riescono a co-generare quando apprendono a entrare in relazione inter-attiva con il multiverso dei livelli di realtà in essere; si tratta di una diversa realtà che dà vita ad un’identità individuale e insieme gruppale perché "virtuale" cioè di capace di azione interattiva nel senso indicato da F. Varela citato in apertura (1994).

Siamo oggi invitati a rivisitare i paradigmi su cui generazioni di terapeuti si sono formati: in rete come nelle istituzioni i soggetti curanti non sono semplicemente individui e ruoli singolarmente considerati ma individui e ruoli in grado o meno di interagire, di essere gruppo, di tessere una rete; così, oggi, i “terapeuti” più efficaci, in grado di stimolare o inibire su larga scala relazioni orientate alla produzione di qualità e benessere, sono i soggetti collettivi (E. Ronchi, 1997). Internet sembra essere una formula relazionale che ha trovato fertile terreno nel desiderio diffuso di riscoprire la bellezza “perduta” della relazione nei suoi aspetti virtuosi di piacevolezza, semplicità, efficacia e così via; la formula è al momento collocata in un luogo virtuale per ora accessibile a pochi.

C’è tuttavia da chiedersi come mai sia così difficile valorizzare qualità e benessere avendo quotidianamente a disposizione non solo la rete web ma anche gruppalità più vicine e sempre on line come ad esempio le normali organizzazioni lavorative o familiari. Paradossalmente, nella relazione con gli altri, sembra che sia la presenza di persone in carne ed ossa ciò che rende più ardua la possibilità di generare stati emotivi di bellezza e benessere duraturi. Il corpo, il soma, è desiderato e temuto. Oltre i confini della pelle la visibilità dell’altro e del mondo è sempre più mediata da schermi e, oggi, sempre più da internet. Da questo punto di vista ciò che si guadagna grazie all’incorporeità di internet rischia di trasformarsi in perdita di capacità affettive e relazionali con persone in carne ed ossa. Il rischio è quello di rinforzare – ancor più del Freud del secolo scorso - un tipo di conoscenza che limita il suo sguardo al benessere di individui singolarmente considerati; tuttavia per questa via sembra si vadano sempre più velocemente a sottosviluppare le qualità relazionali che la civiltà umana ha più duramente faticato a conquistare.

Si comprende come in tempi di internet sia opportuno non solo non perdere ma possibilmente sviluppare quel tipo di conoscenza emozionata acquisibile solo nel rapporto diretto tra umani. I clinici hanno oggi un ruolo importante nell'aiutare i cittadini della polis ad accostare paradigmi che cessino di scindere individualità e gruppalità e che sappiano invece metterle pragmaticamente in rete. Si tratta di un’operazione non facile perché mentre dal punto di vista razionale è da tutti auspicata, la sua attuazione implica un cambio di paradigma emotivo e quindi culturale.

Cultura occidentale e pericoli sottesi a internet

Il mito della caverna di Platone ha ispirato due diverse modalità di relazione con la conoscenza: una, quella che in occidente ha avuto più successo, ha puntato alla costruzione di un mondo delle idee inteso come mondo razionale che esclude le emozioni, l'altra, minoritaria anche se più vicina a Platone, che intende la conoscenza come "sofia" cioè come quella particolare saggezza che potremmo qui chiamare conoscenza emozionata.

Non che il mondo della sola razionalità sia privo di emozioni; semplicemente in questo tipo di approccio le emozioni vengono deliberatamente escluse dal campo di pensabilità e trattate come "disturbo". Sappiamo tuttavia, che anche nei luoghi in cui la razionalità è massima, escludere le emozioni non solo è impossibile ma è causa di blocco nella capacità di apprendere e di regressioni sul piano culturale. Sterilizzare certe emozioni di fatto significa enfatizzare, senza saperlo, emozioni che contengono la negazione di altre.

Come psicoterapeuti e gruppoanalisti abbiamo consapevolezza di quanto sia importante poter vivere l'emozione del conoscere e del conoscersi in contesto interpersonale, non solo quando si è in internet on-line ma anche in diretta, dal vivo. Apprendere a "esplorare" il mondo esterno mantenendo il contatto emotivo con il mondo interno, e viceversa, consente lo sviluppo delle più importanti capacità umane, sviluppa la competenza alla vita.

Fino a poco tempo fa questo tipo di competenza, si realizzava comunque soltanto nelle relazioni con altri soggetti individuali o gruppali "reali" e quindi con dei tempi, dei modi e dei feed-back più vicini alle capacità di elaborazione del soggetto. Poi il computer ha reso di fatto istantanea la capacità di elaborare e processare grandi masse di dati tanto che oggi il confronto è impari. L'introduzione dei grandi mezzi di comunicazione di massa, a cominciare dalla televisione e in particolare oggi grazie ai supercomputers e ad internet, ha reso molto più evidente e "manipolabile" quel mondo che chiamiamo cultura in senso antropologico, nel quale ci troviamo immersi fin dalla nascita, che ci determina in parte e che noi contribuiamo percepire e a determinare.

I tempi e i modi del cambiamento delle culture che ci trascendono e che hanno sempre costituito un mondo virtuale, un mondo non reale ma non per questo non esistente (F. Varela, 1994), sono sempre stati lentissimi e ridotti, anche in termini spaziali, ai gruppi che li avevano prodotti. Quello che la grande rete fa saltare sono proprio questi tempi e questi luoghi (velocità e globalizzazione) che difficilmente consentono ai singoli e ai gruppi che si interessano di questi problemi di capire cosa sta succedendo e di adeguare le proprie capacità di cambiamento a quello che avviene nella rete. Se poi pensiamo a quanta importanza rivestono i gruppi di appartenenza nella costruzione del senso di identità, possiamo immaginare quanti effetti a cascata, alcuni prevedibili e altri no, possano prodursi a partire da questo repentino cambiamento epocale.

Strumento, pensabilità e comportamenti in rete

Il computer non è internet e internet non è il web. Il computer è l’unità di base, uno strumento, un mezzo inanimato; internet è la rete che unisce questi strumenti. Il web è l’esito di quel particolare nuovo mondo che questa straordinaria interazione produce. A volte usiamo un termine come sinonimo dell’altro ma è opportuno precisare dato che i pericoli del computer non sono i pericoli del web. Siccome tuttavia il computer è il mezzo oggi necessario per accedere al web (o a internet in senso lato) è opportuno riflettere e conoscere a fondo i pericoli che l’uso acritico del computer determina sui comportamenti di base. Sappiamo infatti come lo strumento che si ha a dispozizione, e per conseguenza il metodo di azione, non siano neutri ma influiscano profondamente sulla pensabilità dei singoli, dei gruppi e delle culture (E. Morin, 1987)

La potenza dello strumento a disposizione influenza quindi la pensabilità del mondo e, pragmaticamente, determina i comportamenti umani. Il computer, con la sua ipervelocità nell’elaborazione di dati e per conseguenza con la sua possibilità di dare risposte quasi immediate a questioni complesse tende ad evitare la frustrazione dell’attesa, a dare l’illusione che ogni questione sia semplice e che la risposta valida sia sempre quella più veloce.

Il web sembra possedere le caratteristiche di un grande inconscio collettivo che, come suggerisce il nostro convegno, mobilita benessere ma anche inquietudini e disagi. Mentre inquietudini e disagi provenienti dall’“inconscio” dei soggetti, se adeguatamente gestiti, consentono apprendimenti qualitativi e l’attraversamento evolutivo, le inquietudini che pure il web induce non necessitano di essere gestite dato che possono essere facilmente tacitate con le modalità tecniche che lo strumento computer consente: un semplice clik e il problema non c’è più. Tuttavia il web è un mondo altro portatore di un nuovo e diverso modo di comunicare che incide sulla realtà producendo cambiamenti. Un libro edito in un altro continente in tre giorni può essere sulla nostra scrivania. Questo induce sensazioni di onnipotenza. Un fraintendimento in una discussione in mailing list con persone di là del monitor o in chat può essere facilmente risolto con una cancellazione o con un cambio di stanza virtuale. Basta un clik. Per questa via si può tuttavia essere indotti a privilegiare ed enfatizzare solo ciò che dà piacere disapprendendo a gestire anche ciò che deprime. Lo strumento computer non solo consente questa ordinaria dinamica, ma la induce.

Per questo credo sia opportuno soffermarci un momento sulla particolarità del rapporto che implicitamente si va costruendo con il computer dato che le emozioni in rete sono strettamente connesse al modo con cui a monte riusciamo a relazionarci consapevolmente col mezzo che ci consente l’accesso al web.

    a. pericoli emotivi sottesi all’uso del mezzo: difese disfunzionali classiche

    Le relazioni in internet mediate dal computer, se non adeguatamente presidiate, hanno quindi il potere di impoverire fino a disattivare il sistema immunitario emotivo in quanto tendono a favorire le più pericolose difese disfunzionali che nella storia umana hanno sempre prodotto sofferenze, malattia e conflittualità insana quali:

  • semplificazione,
  • stereotipia,
  • tendenza a pretendere e ricercare solo relazioni totalmente prevedibili e scontare,
  • tendenza a evitare situazioni che obblighino a fare i conti con il proprio limite,
  • tendenza a ragionare/funzionare solo in termini di quantità e risultato immediato o a breve,
  • tendenza a pretendere out-put univoci, immediatamente misurabili e spendibili,
  • tendenza a percepire il tempo solo nella sua componente lineare e non anche in quella ciclica,
  • impossibilità di sviluppare la capacità critica,
  • grave handicap nella possibilità di riconoscere e intervenire sul proprio repertorio di emozioni ricorrenti messe in atto nel relazionarsi con gli obiettivi di lavoro, con sé, con gli altri e con il mondo,
  • in sintesi, inibizione della capacità di fare i conti col limite (e la morte).

Il privilegiare le relazioni mediate dal computer porta a inibire le possibilità di apprendimento dall'esperienza di relazioni umane dirette e della capacità di stare in gruppi concreti. Questo pone noi terapeuti di fronte ad un aumento di patologie tradizionali, al formarsi di nuove patologie più specifiche a cui la psicoterapia tradizionale farà sempre più fatica a porre rimedio. In questa situazione la psicoterapia di gruppo diventerà sempre più importante e preziosa. L'esperienza del gruppo terapeutico potrebbe, a breve, diventare l'unica superstite situazione sociale non virtuale, l'unica palestra ove poter allenare la propria competenza emotiva e le capacità di tessere relazioni umane davvero in grado di arricchirsi nell’incontro con l'altro e il virtuale.

    b. Evitamento della frustrazione

    I pericoli, in sintesi, sono legati alla bassa capacità di tollerare esperienze che implichino momenti di frustrazione. La psicoanalisi ci ha insegnato che non l'evitamento, ma l'attraversamento emotivo della frustrazione è ciò che sta alla base della capacità di pensare e di affrontare realisticamente la questione del proprio e dell'altrui benessere. Il rischio è quello di restare dipendenti da un'unica finestra di osservabilità del mondo senza avere acquisito quel minimo di alfabetizzazione emotiva che si fonda sulla frequentazione e conoscenza diretta di umani non virtuali.

    Grazie al computer, navigare nel web è semplice e immediato; basta possedere un accesso telefonico un browser e la possibilità di fare click col mouse. Una relazione intensa ma acritica con questo potente mezzo favorisce tuttavia il proliferare:

  • di stereotipi anti-frustrazione e il loro rinforzo immediato, in tempo reale,
  • di vissuti oscillanti tra onnipotenza e impotenza, con ricerca di soluzioni nel segno dell’onnipotenza;
  • di dipendenza e di tossico-esperienza;
  • di frammentazione nei processi di conoscenza,
  • di confusione con difficoltà ad organizzare qualitativamente le informazioni e quindi le conoscenze più strategiche;
  • di narcisismo socialmente diffuso.

    A titolo di esempio ecco alcuni automatismi disfunzionali che la relazione mediata da computer tende a rinforzare in assenza di adeguata alfabetizzazione emotiva.

    c. Il click del mouse come bacchetta magica del 2000

    In "L'emozione di pensare, psicologia dell'informatica" (1985) G. Zanarini, ricordava come fosse opportuno mantenere un buon livello di auto-analisi e di monitoraggio della propria relazione con questo strumento-oggetto che a partire dagli anni ‘80 iniziava a diffondersi a macchia d'olio anche in Italia. Ho prima ricordato come la capacità di pensare si alimenti di esperienze intersoggettive, di relazioni con umani non virtuali. Il computer consente di vivere ore in solitudine anche se con l'impressione di essere in compagnia; il rischio è di restare prigionieri dell'indubbio fascino che il linguaggio logico matematico della macchina produce. Il cyber-ragno può contagiare proprio mentre il soggetto ha l'impressione di assumere i comandi del mezzo.

    È facile così idealizzare progressivamente il pensiero lineare a scapito di quello complesso; il soggetto è indotto e “sedotto” a percepire il mondo in termini di oggetti e non anche di processi. Si rinforza in questo modo un pensiero che fa uso di categorie semplici e connessioni disgiuntive basate sulla "o"; o questo o quello, o facile o difficile, o buono o cattivo, più che su connettivi che fanno uso della "e".

    Di fatto imboccando questa via si corre il rischio di immaginare come reali e positive solo le emozioni off line, che possono essere controllate, quelle incapaci di fare rete ma che portano con sé stati di immediato apparente benessere, quelle tacitabili e allontanabili con le modalità tipiche del pensiero magico-onnipotente, con un semplice click del mouse.

    d. L'abuso di computer come tossicoesperienza

    Quando il pensiero lineare è diventato l'unico pensiero disponibile le emozioni che producono inquietudini e disagio, pian piano, vengono negate e attribuite ad altri. Il tipo di dinamica che ora vi invito a considerare non è specifica dell’uso del computer e del web ma, nella mia esperienza, sta sulle premesse di ogni tossicoesperienza potenzialmente in grado di indurre patologia diffusa. Se l'altro non è alfabetizzato a riconoscere messaggi sorretti dal tipo di pensiero di cui suo parlando, in genere lanciato con modalità aggressive, si innesca un circolo vizioso. Se il contesto è gruppale o istituzionale e la leadership non è attrezzata emotivamente a operare su questa prenessa emotiva il gioco si fa più pesante; cresce e si diffonde la necessità di ricorrere al pensiero lineare da assumere come ansiolitico. La clinica psicosocioanalitica ad esempio ha mostrato come si cade in questa seducente tossico-esperienza. Una modalità classica può essere così descritta:

  • L'innesco è un'emozione parzialmente "senza nome", quindi ansiogena;
  • questa non può essere tollerata nella sua globalità (che include ordinari momenti di ansia e frustrazione) e viene quindi semplificata,
  • si mette in questo modo in atto una negazione della parte di essa che disturba quel tipo di pensiero che l’uso del compiuter induce (lineare),
  • il problema diviene così più semplice, "logico" e "razionale",
  • la parte dell'emozione negata resta però in circolo, aumentando lnquietudine diffusa;
  • se il soggetto non riesce a trasformare questa esperienza interna in pensiero, questa diviene intollerabile, quindi ulteriormente inaccessibile alla propria pensabilità e proiettata sul "bersaglio" esterno che più si presta ad essere colpito,
  • se in bersaglio è inanimato o “virtuale” e quindi non reagisce in tempo reale il soggetto ha la sensazione di avere "risolto" problema. Il prezzo che paga è però quello di perdere potenziale e stereotipare una modalità di relazione con le proprie emozioni che diviene sempre più povera e quindi di stereotipare il proprio sapere,
  • qui interviene l’effetto gruppo: la negazione ha sì reso invisibile al soggetto la parte angosciante del problema, ma non agli altri;
  • quando il bersaglio è un soggetto non attrezzato a ricevere proiezioni specie se aggressive e a restituirle dotate emotivamente di senso, questi reagisce restituendo il tutto al mittente, di solito con gli "interessi";
  • parte allora un'altra interazione contro di se’ e l’altro che tende ad attivare un circolo vizioso sempre più povero di pensiero,
  • si rinforza così la convinzione, dal punto di vista “interno” sempre più fondata, che il disagio sia "realmente", “oggettivamente” causato linearmente dall'altro o da una causa unica e così via;
  • se poi la situazione è plurale o istituzionale si innesca un gioco perverso di proiezioni incrociate che rischiano di trasformare le relazioni globali in un inferno; così come accade all’individuo anche l’istituzione tenderà ad ammalarsi;
  • il pensiero lineare agito in un contesto gruppale o istituzionale rinforza infatti situazioni conflittuali difficili da disinnescare se non con un intervento professionale ad approccio clinico,
  • ai nostri fini ne consegue che un intervento ad approccio clinico deve oggi essere in grado di porsi in ascolto anche di domande virtuali, figlie di emozioni senza nome, comuni ai singoli e ad ampie gruppalità,
  • in sintesi si tratta di un intervento che sollecita le competenze psico-socio-analitiche dello psicoterapeuta, che invita tutti a porsi in ascolto della rete cognitiva ed emotiva sottesa e a trattare contemporaneamente, in quanto rete, la soggettualità individuale e quella gruppale.

    Si tratta di un lavoro complesso ma possibile, che valorizza la risorse che in ogni caso sono in rete e che è fonte di grande soddisfazione. Diversamente, evitare la complessità offre sollievo, ma si tratta di un sollievo solo apparente; in realtà quel tipo di sollievo momentaneo è sintomo di contagio da cyber-ragno. Il soggetto malato di tossico-esperienza può anche ritenere che il “cattivo” sia il capo, il collega, il web stesso o qualunque altro "disturbo" gli renda la vita difficile; in realtà una vita difficile se la sta già costruendo da se' anestetizzando il proprio apparato sensoriale che si trova oltre il monitor. Il feed-back critico dell'altro non farà che rinforzare le sue lineari, stringenti, evidenti convinzioni. Dal punto di vista del paranoide sarà sempre più evidente chi ha ragione e chi torto e come sia sempre più necessario cercare il consenso di un gruppo che la pensa allo stesso modo, ossia che costruisce il suo pensare in modo lineare, "contro" la presenza di minacciosi nemici "esterni", virtuali ma, come per i prigionieri di Platone, vissuti come reali e in primo piano. Il cyber-ragno virtuale colpisce chi non sa riconoscere le peculiarità della sua rete.

    Di nuovo si noterà che si tratta di un problema culturale: fino a che la percezione della propria identità è sospinta solo nella direzione del singolare, il disagio può facilmente essere messo sul conto dell'altro, dell'istituzione, della polis e del sociale. Se il paradigma potesse essere trasformato sviluppandosi in modo interattivo e quindi plurale, non solo le tossico-dipendenze ma anche le esperienze socialmente tossiche come xenofobia, razzismo e loro derivati perderebbero l'humus semplificativo di cui si nutrono. Oggi è quindi necessario conoscere il web ma anche la relazione con il "mezzo" usato per conoscere il mondo può fare da cartina al tornasole che favorisce riflessioni e apprendimenti sulla propria identità. Tenendo in esercizio questa capacità si possono persino ottenere insight sulle caratteristiche più profonde del proprio pensiero. Diversamente si crea stereotipia proprio nei processi di inquadramento, quelli che costruiscono l'epistemologia.

    e.Il computer come nuovo specchio di Narciso

    In una delle versioni del mito di Narciso, l'idea materna di proteggere Narciso da un incontro con altri, foriero di morte, ha fatto sì che Narciso vivesse e crescesse sì iperprotetto dal pericolo di fare brutti incontri ma al prezzo di una totale assenza di relazioni con altri. Così, quando vide nello specchio d'acqua l'immagine riflessa di ciò che lui percepiva essere un altro, finalmente altro e diverso da se', nel tentativo di abbracciarlo restò imprigionato nel suo stesso pensiero ormai stereotipato. Sappiamo che invece di abbracciare, come davvero desiderava, l'altro diverso da se’, morì abbracciando la propria immagine proiettata nell’acqua e riflessa. Il pericolo di restare invischiati e risucchiati da questa affascinante trappola costituisce un rischio cui prestare attenzione a tutte le età. Qui non si vuole demonizzare il computer, bellissimo strumento in grado davvero di favorire una sempre maggiore conoscenza di se’ e dell’altro e del mondo; proprio perché si desidera valorizzarlo se ne segnala l’uso improprio come specchio collettivo di Narciso.

Quali sbocchi?

La rete si presenta oggi come un insieme indifferenziato di informazioni frammentate e senza alcuna organizzazione. Il vero problema riguarda l'organizzazione di una conoscenza non dispersiva. Ciò significa poter individuare le differenze di valore tra le informazioni, le modalità di scelta delle stesse e la loro possibile organizzazione qualitativa, ossia la loro struttura.

Il problema diviene: con quale rete di conoscenza è possibile approcciare la grande rete? Il cuore del problema oggi è la rete della rete, la struttura, la qualità e il come favorire aggregazioni in grado di selezionare una qualità che emerga dalla sottostante frammentata quantità. Si tratta dello stesso problema che noi clinici incontriamo quando lavoriamo con i pazienti

  • nella relazione duale,
  • in quella gruppale,
  • in quelle aggregazioni più ampie, istituzionali e sociali, che come ho detto hanno caratteristiche di rete.

Nella relazione duale è possibile accogliere e trattare la sofferenza che affligge singoli nodi di questa rete globale. In questo tipo di set-setting paziente e analista costituiscono il prototipo del modulo relazionale di base di una più ampia rete possibile; costituiscono due nodi elementari di una connessione semplice che può attivare o meno apprendimenti reticolari. Nella relazione gruppale questa struttura semplice si moltiplica e si arricchisce di nuovi nodi; le relazioni duali che si determinano tra i diversi vissuti di accoppiamento con sè, con gli altri e con il mondo danno vita ad una realtà parallela - la gruppalità - che interagisce fortemente fino a determinare la precedente. Questa esperienza emotiva e cognitiva apre l’accesso a nuovi livelli di realtà virtuale che possiede caratteristiche ologrammatiche.

La relazione con il virtuale

Dove finisce il corpo del cieco? È questa una domanda che ha offerto ad esempio a G. Bateson e a G. Devereaux spunti per riflettere sulla possibilità di passare “dall'angoscia al metodo” nelle scienze del vivente. Nel momento in cui il cieco, grazie al bastone, apprende a sentire e a muoversi nel suo mondo esterno, quel particolare strumento di conoscenza è di fatto diventato un prolungamento del suo corpo. Lo strumento viene incorporato e il comportamento cambia. Il soggetto è ora più di ciò che è delimitato dal confine della sua pelle; cieco più bastone costituiscono una nuova unità ricorsiva con capacità di apprendere su nuovi livelli di realtà. Il bastone-metodo per conoscere di cui tutti noi di fatto ci siamo dotati per “navigare” nel mondo diviene, come per il cieco, il nostro strumento di tatto e di conoscenza. Nel contesto di cui qui stiamo parlando lo strumento è il computer più il nostro modo di saperlo usare e il mondo che questo strumento ci permette di esplorare è il web. Come per il cieco possiamo allora chiederci dove comincia e dove finisce il nostro corpo, dove è localizzabile, come si fonda la nostra identità e dove è localizzabile. Certamente il corpo inteso solo come soma racchiuso dai confini della pelle sembra offrire un contenitore insufficiente per dar conto della ricchezza della nozione di identità che per questa via si va costruendo. L’identità è una realtà diffusa e quando le sue parti non riescono a mettersi in rete, e a viversi come rete, la frammentazione difensiva prende il sopravvento.

Nel linguaggio comune incontriamo espressioni come corpo gruppale, corpo istituzionale, corpo di conoscenze, tutte immagini che alludono al fatto che ogni soggetto, individuale o collettivo, può essere descritto da un osservatore come essere vivente più o meno in grado di apprendere.

L'avvento del web è una preziosa occasione quindi per tessere relazioni in grado di co-generare un diverso paradigma, capace di sviluppare maggiore consapevolezza circa quella parte del nostro corpo più consapevole di esistere in rete, oltre gli angusti confini della pelle. Si tratta di un paradigma capace di accogliere e valorizzare quella pluralità di vertici osservativi di ciò che usiamo chiamare realtà. Non solo, ma ci rendiamo anche conto che esistono varie “realtà”, vari mondi possibili e che quello del web è uno di questi mondi. Ancora una volta chi si occupa di studio e ricerca con i gruppi ci può essere di aiuto per accompagnare in questo non facile paradosso. Bleger (1989) ci ricorda ad esempio come l’individuo non nasca come ente isolato che si pone gradualmente in relazione con gli altri. L'individuo, al momento della nascita, si trova immerso in un’interrelazione massiva globale, in un’organizzazione sincretica. Ne consegue che non sono gli individui a formare i gruppi ma, al contrario, sono i gruppi (e qui oggi possiamo aggiungere le reti) a formare gli individui e, a volte, le persone. Anche Janine Puget (1994) ci ricorda che "La somma delle partecipazioni di ogni soggetto a ognuno dei suoi gruppi di appartenenza costituisce l’identità di un soggetto." Ne consegue che aumentare la consapevolezza di essere parte della rete web agisce sull’identità potenziandola o aumentandone i disturbi. L'identità personale - ci ricorda infatti F. Varela - è una funzione diffusa, non localizzabile ma allo stesso tempo con una capacità di azione", L’invito è allora quello di conoscere sempre meglio la relazione che ciascuno tende ad instaurare con se stesso e per questa via, quindi, con il virtuale. I nuovi orizzonti del benessere sembrano dover passare anche per questa via.

Nuovi pazienti

Se allora l'identità individuale fin dall'origine si forma al plurale è tempo che chi si occupa di sofferenza si occupi di soggetti plurali. Sono questi i nuovi pazienti. I nuovi pazienti sono oggi le reti stesse sia nelle loro dinamiche riguardanti la gruppalità relativa al "mondo interno" al singolo soggetto sia con riferimento a quelle relative al mondo "esterno". L'identità esterna, virtuale, costituisce la gruppalità interna "reale" di più ampi soggetti collettivi. Il soggetto può essere aiutato a conoscere e a conoscersi proprio rispetto alla sua relazione con l'identità virtuale, quella che ha cittadinanza anche oltre i confini della sua pelle.

Apprendere ad entrare in maggiore confidenza con le reti offre la possibilità di intervenire in tempo reale e sinergicamente su più livelli di realtà. Si tratta di apprendere a tessere e a muoversi entro relazioni plurali, frattali. Fino a che le informazioni sono poche e frammentate ancora non emerge la struttura frattale sottesa e la sensazione prevalente è di caos. Se si rinuncia a semplificare e a negare il caos, reggendo l'emozione di incertezza che ne deriva, l'aumentare delle informazioni consente di vedere meglio le dinamiche ricorrenti e perciò di approcciare la struttura sottesa, consentirne la nascita e darle un nome.

Va detto che mentre per quanto riguarda i pazienti singoli e i gruppi si è già accumulata una discreta esperienza, per quanto riguarda la rete ancora siamo nella fase iniziale: siamo indotti a vederne gli effetti locali anche se già si può avere sentore di dinamiche più complessive.

Internet tende a rinforzare e attivare nuovi orizzonti di benessere ma anche nuove patologie; constatiamo come le patologie narcisistiche sono oggi molto più numerose di un tempo. Anche le patologie da dipendenza sono in aumento incluse quelle da dipendenza dalla rete stessa. Internet è in grado di rinforzare perversioni come pedofilia, sadismi etc. ma al tempo stesso è in grado di slatentizzarle, renderle più visibili e quindi affrontabili. (Vedasi il recente caso Heider, e il contenuto del sito a lui attribuito www.fpo.at, ricco di link al sito del Ku Klux Klan, con collezioni di svastiche o l'album della musica tecno mixata con la viva voce di Hitler. Il vero sito ufficiale era invece www.fpoe.or.at ; opera di hakers o nuovi e inquietanti modi di fare proseliti e di comunicare in rete?)

La dipendenza prolungata da relazioni depersonalizzate e da isolamento relazionale è anticamera di nuove perversioni. Un eccesso di video giochi porta a crisi epilettiche; drammatiche sono le deprivazioni sensoriali che l'eccesso di relazione con un mezzo inanimato, genera. Abbiamo sentito il caso di quei giapponesi che se ne stanno chiusi in casa e in collegamento permanente solo via internet col mondo e che a un certo punto escono di casa e ammazzano dei passanti a caso; come se quello fosse l'unico modo che la loro identità relazionale consente per capire dove finiscono loro e dove inizia il mondo, se c'è differenza tra l'uccidere nella realtà virtuale e in quella "reale". In fondo per capire qualcosa su cos’è la vita e l’esperienza del vivere, non da soli, realizzata con modalità drammatiche.

La velocità dei cambiamenti obbliga gli individui a ridurre i tempi di adattamento e non tutti sono adeguatamente aiutati a prepararsi a questo epocale passaggio. L'esperienza clinica gruppale offre la possibilità agli individui di entrare in contatto, in tempo reale, con interazioni più rapide, più congeniali e vicine alle possibilità di apprendimento emotivo e cognitivo tipico della conoscenza a rete. Ciò rende più facile accompagnare cambiamenti anche “catastrofici” (Bion, 1981) senza rimanere soffocati da una massa di informazioni frammentate, apparentemente senza senso che inibiscono la capacità di pensare in modo emotivamente complesso.

Psicoterapia e gruppalità nella grande rete

Accennavo prima all'aumento di patologie nuove legate al narcisismo, alle dipendenze tossiche, agli attacchi di panico e di stress e alla contemporanea diminuzione di altre patologie più “classiche” quali l'isteria. La diffusione della rete non ne è certo la causa ma le rinforza e in parte ne è l'espressione. Come ho cercato di mostrare, si tratta di patologie che si reggono su premesse volte ad evitare la frustrazione, le inquietudini e il disagio insiti nell'incontro emotivo con l'altro diverso inconoscibile e misterioso, ancora più diverso e inconoscibile se accostato sulla base di una logica lineare e semplificatrice, una logica fondata sul rincorrere relazioni con oggetti inanimati evitando quelle con viventi.

Per tutti, l'esperienza del gruppo condotto con approccio clinico, costituisce un momento privilegiato di rivisitazione e di monitoraggio dei propri stereotipi relazionali; con l'incalzare di internet l'educazione sentimentale (L. Pagliarani, 1997), intesa come modalità intelligente di elaborazione dei conflitti in contesto gruppale, diviene valore su cui vale la pena investire.

Oggi, l'interattività non presidiata individuo-gruppo-istituzione è fonte di nuove patologie. Nuovi pazienti stanno richiamando la nostra attenzione: sono le gruppalità istituzionali e sociali sempre più sofferenti. Oggi le reti umane soffrono mentre la grande rete sembra in stato di massima euforia. Forse occorre investire risorse anche sul primo tipo di rete, quella che consente un’alfabetizzazione emotiva di base. Non serve reinventare l'ombrello: il know-how che la psico-socio-analisi e la gruppo-analisi hanno messo a fuoco è una buona base di partenza. Come noto questi approcci consentono che anche i soggetti cosiddetti individuali possano essere approcciati con uno sguardo plurale, reticolare esito della capacità di entrare in relazione dinamica con soggetti collettivi.

Ritengo inoltre che tutti insieme, come rete, dobbiamo sforzarci di trovare il modo di accostare la rete stessa come un nuovo paziente. Non solo in quanto medium per poter fare o non fare psicoterapia in rete, approfondito in altre relazioni, ma come luogo in cui immettere e far crescere pensieri terapeutici, ossia di potenziale cambiamento e trasformazione della rete stessa e di tutti coloro che vi entrano; possiamo ad esempio provare a creare "connessioni di empowrement" tra nodi qualificati della rete.

Questo convegno è uno dei tentativi di muovere in questa direzione, di creare embrioni di questa rete evolutiva dalla quale far emergere, similmente all'esperienza frattale, nuove possibili inedite strutture. Col cambiamento siamo tutti comunque costretti a fare i conti ed è un cambiamento che non investe solo i pazienti, ma anche le culture di riferimento e le teorie che stanno alla base del nostro operare clinico. Le domande cui far fronte sono molteplici. Chiudo rilanciandone alcune, consapevole che si tratta di domande emotivamente un po' scomode:

  • Perché non poter pensare che siamo di fronte a un processo che per le sue caratteristiche è molto simile a un processo inconscio?
  • Abbiamo noi, operatori della psiche, qualche strumento in più per capire quel che sta accadendo alla nostra identità non solo in quanto singoli individui ma anche in quanto soggetti in rete, in quanto espressione della rete?
  • Come dotarci di strumenti adeguati per capire in che direzione stiamo andando?

Mi auguro che questo convegno tra clinici e persone sensibili al web, possa concorrere a tener vivo un fertile e costante atteggiamento di ascolto e ricerca, nell'interesse di tutti.

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Bibliografia generale di questo congresso

Index altre relazioni di questo congresso

Ermete Ronchi
Via San Bartolomeo, 15
25128 Brescia
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