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Università degli Studi "La Sapienza" Roma
VI Centro di Psicoterapia Cognitiva
in collaborazione con
APC - Scuola di Psicoterapia Cognitiva

Abstract del Congresso Internazionale

Personalità e relazione
Un gioco polifonico tra le parti


Roma, 10-11-12 Maggio 2007



Developing a mentalizing therapeutic relationship: new wine or old wine in a new bottle?

Anthony Bateman


La nostra comprensione degli altri dipende in modo cruciale da quanto i nostri stati mentali, quando eravamo bambini, siano stati compresi in modo adeguato da adulti che fossero accudenti, attenti e non minacciosi. La principale causa di un disturbo nella mentalizzazione è rappresentata da un trauma psicologico, più o meno precoce, che si verifichi durante l'infanzia. Questo può minare la capacità di pensare agli stati mentali o la possibilità di fornire un resoconto narrativo (coerente) delle proprie relazioni affettive passate.

La ridotta capacità di mentalizzare può essere teoricamente attribuita ad uno o più di questi quattro processi:
primo, il bambino può "chiudere" difensivamente la sua mente di fronte all'esperienza dei reali intenti malevoli degli altri;
secondo, il bambino, attraverso "l'identificazione con l'aggressore" come strategia di controllo illusorio sull'abusante, può internalizzare l'intenzione malevola dell'aggressore, dissociandola in una parte aliena del suo sé. Sebbene questo possa offrire un sollievo temporaneo, l'intenzione distruttiva dell'abusante sarà vissuta come interna al sé, e non più come esterna, il che determinerà un insopportabile odio rivolto internamente.
Terzo, uno stress precoce e persistente può compromettere il funzionamento dei meccanismi di arousal, causando un'inibizione dell'attività corticale orbito-frontale (plausibilmente sede di uno dei sistemi neurali coinvolti nel processo di mentalizzazione) nei confronti di stimoli minacciosi, che avviene ad una soglia più bassa del normale.
Infine, ogni trauma attiva il sistema dell'attaccamento causando un'intensificazione nella ricerca di rassicurazione e un crollo delle capacità riflessive. Laddove la relazione d'attaccamento sia di per sé traumatica, questa attivazione risulta esasperata perché, nel ricercare la vicinanza con la figura di attaccamento, il bambino può essere ulteriormente traumatizzato. Un'attivazione così prolungata del sistema di attaccamento può avere conseguenze specificamente inibitorie sulla capacità di mentalizzare.

Tenendo presente tutto questo, l'approccio mentalizzante afferma che non sia tanto il fatto di avere subito maltrattamenti a predisporre il bambino al DBP, quanto piuttosto la presenza di un ambiente familiare che scoraggia un discorso coerente sugli stati mentali. Secondo il modello della mentalizzazione, soggetti con DBP, sebbene capaci di mentalizzare, perdono più facilmente questa capacità in caso di forte attivazione emotiva (per esempio in risposta a maltrattamenti) perché la capacità di mentalizzare non si è ben stabilizzata nei primi 10 anni di vita, in parte come conseguenza di maltrattamenti infantili e dei problemi a questi associati.
Pensiamo che l'impatto del trauma sia vissuto all'interno di un più generale fallimento nel considerare la prospettiva del bambino a causa della trascuratezza, del rifiuto, dell'eccessivo controllo, della mancanza di supporto, dell'incoerenza e della confusione. Questo può devastare il mondo esperenziale del bambino in fase di sviluppo e lasciare profonde cicatrici che saranno evidenti nel suo futuro funzionamento cognitivo e sociale e nel suo comportamento.
La fenomenologia de DBP è la conseguenza di questa inibizione nella mentalizzazione e del riemergere di modalità di esperire la realtà interna che precedono lo sviluppo della mentalizzazione.

Le modalità pre-mentalistiche di rappresentare la soggettività che emergono quando si perde la capacità di mentalizzare includono:
1. equivalenza psichica (classicamente descritta come pensiero concreto) in cui non possono essere prese in considerazione prospettive alternative alla propria, poiché manca l'esperienza del "come se" e tutto appare come fosse "reale";
2. modalità del fare finta, in cui di converso, i pensieri e i sentimenti possono diventare dissociati al punto di diventare privi di senso. In questi stati mentali i pazienti possono parlare di esperienze senza contestualizzarle in alcuna realtà fisica o materiale. Nell'affrontare la terapia con pazienti che sono in questa modalità il terapeuta può essere impegnato in lunghe discussioni sconnesse su esperienze interne prive di alcun legame con qualsiasi esperienza autentica;
3. per ultimo queste modalità pre-mentali di concettualizzare le azioni, nei termini degli effetti concretamente osservabili (teleologica), possono diventare dominanti nella motivazione. In questa modalità vi è il primato della fisicità: l'esperienza viene percepita come valida solo quando le sue conseguenze sono manifeste per tutti. L'affetto, per esempio, diventa "reale" soltanto quando si accompagna ad un'espressione fisica.

Riassumendo la prospettiva evoluzionista, dal lavoro di bowlby (1988), conviene sul fatto che la psicoterapia in ogni caso attiva il sistema dell'attaccamento e in questo modo genera l'esperienza di una base sicura. Di conseguenza, coscientemente o no, si lavora necessariamente nell'ambito dell'attaccamento. Dal nostro punto di vista il contesto di attaccamento della terapia è essenziale nel costruire un contesto per riacquisire la capacità di mentalizzare e inscriverla in un esperienza di base sicura. Si offre l'esperienza di essere compresi, che genera un vissuto di sicurezza, che a sua volta facilita l'esplorazione mentale. Nel fare psicoterapia si mentalizza, nel senso che si coinvolgono i pazienti in un processo di attenzione condivisa nel quale i loro stati mentali diventano il focus dell'attenzione congiunta, in cui il valore terapeutico aggiunto deriva proprio dal focus comune sull'esperienza soggettiva del paziente nell'ambito del passaggio da un contenuto mentale a un altro. Come nell'infanzia, questo processo attentivo condiviso favorisce la capacità di mentalizzare e, contemporaneamente, rinforza il senso di sé.
Il contenuto esplicito degli interventi sarà mentalizzante indipendentemente dall'orientamento teorico del terapeuta, sia che si basi principalmente sulle reazioni di transfert, sui pensieri automatici negativi, sui ruoli reciproci, o sul pensiero linere. Tutti questi approcci implicano mentalizzazione esplicita nella misura in cui riescono a favorire rappresentazioni coerenti di desideri, sentimenti e credenze.
I pz borderline sono eccezionalmente vulnerabili agli interventi del terapeuta (Fonagy, 2006) e possono facilmente essere indotti a fingere di assumere la prospettiva del terapeuta e a usarla come una parte di loro o in alternativa si confondono quando le loro capacità di mentalizzazione crollano. Una riformulazione specifica troppo precoce nella terapia rischia di far entrare pz borderline vulnerabile nella modalità del "fare finta" e vorremmo mettere in guardia i terapeuti su problemi che possono essere difficili da identificare. La MBT cerca evidenziare il processo invece che i pattern relazionali reali, per evitare il rischio di indurre la modalità del "far finta".

Il transfert offre una opportunità di evidenziare come la mente del pz sta funzionando con noi nella stanza.
Il focus iniziale è sull'esplorazione e sull'elaborazione di una rappresentazione più sfaccettata dell'esperienza attuale in particolare quella con il terapeuta. Così la validazione dell'esperienza del paziente si trasforma gradualmente nell'esplorazione dell'attuale relazione terapeutica, ma prima il terapeuta deve dimostrare la sua comprensione dell'esperienza del paziente come reale e giustificata. Solo dopo che ciò si è stabilizzato è possibile introdurre nel dialogo delle prospettive alternative. Anche allora procedendo con l'approccio curioso di chi non sa, da parte del terapeuta, questo processo va inteso come non strutturato e il contributo del terapeuta come non avente maggiore o minore validità rispetto a quello del paziente ­ dovrebbero arrivare insieme ad una comprensione ma è presumibilmente il terapeuta che stimola le prospettive alternative. é proprio lo stimolare una prospettiva alternativa che costituisce il fulcro della mentalizzazione del transfert.
Mentalizzare il transfert è una frase agevole che vuol dire incoraggiare i pz a pensare alla relazione in cui sono nel qui ed ora. Intendiamo portare l'attenzione del pz su un'altra mente, quella del terapeuta, e aiutare i pz nel compito di confrontare la propria percezione di sé stessi con quella che gli altri hanno di loro, attraverso il terapeuta o certamente i diversi membri di un gruppo terapeutico. Enfatizziamo l'uso del transfert per mostrare ai pz come uno stesso comportamento possa essere vissuto e pensato in modo differente da menti differenti. Per esempio il vissuto del terapeuta come persecutorio e richiedente, distruttivo o spietatamente critico da parte del pz, è soltanto una percezione tra le altre. Può essere un'interpretazione valida, dato un comportamento del terapeuta; ma possono esistere modi alternativi di interpretare quello stesso comportamento.
Ancora una volta lo sforzo non è quello di sottolineare come i pz distorcono la loro percezione del terapeuta secondo una modalità specifica, ma piuttosto quello di spingerli a chiedersi come mai, data l'ambiguità delle situazioni interpersonali, loro scelgano e si soffermino su quella specifica versione. Nel chiedersi perché debbano fare questo speriamo di aiutarli a recuperare la capacità di mentalizzare, e così facendo, ad abbandonare quella modalità rigida e schematica tipica dell'equivalenza psichica come modo di interpretare la propria soggettività e l'altrui comportamento.
Quando si identifica una prospettiva alternativa il terapeuta deve monitorare non solo la sua reazione ma anche quella del pz. La reazione congiunta diventa allora il focus della seduta cosche il processo va avanti. é particolarmente importante sottolineare ancora che l'obbiettivo non è aumentare l'insight su come ci sia un influenza del passato nel presente, ma piuttosto di riparare la frattura attuale nella struttura del sé e di facilitare la mentalizzazione all'interno di un interzione emozionale. Il processo della terapia diventa più importante del contenuto.

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