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PSYCHOMEDIA
CONGRESSI E SEMINARI



LA VALUTAZIONE CLINICA
COME STRUMENTO DI PREVENZIONE

SEMINARIO DI STUDIO DEL 20 APRILE 1996 SVOLTO PRESSO L'UNIVERSITA' CATTOLICA DI ROMA ORGANIZZATO DALL'AIPPI (ASSOCIAZIONE ITALIANA DI PSICOTERAPIA PSICOANALITICA INFANTILE) E DALLA SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN PSICHIATRIA DELL'UNIVERSITA' CATTOLICA DI ROMA

Resoconto a cura di Roberto Quintiliani



Questo seminario fa parte di una serie di incontri allargati che l'AIPPI sta organizzando su tematiche di ampio respiro che implicano l'incontro tra varie professionalità e prende spunto dalla pubblicazione del libro curato dalla dott.ssa Emanuela Quagliata "Un buon incontro", edito da Astrolabio. Il libro raccoglie il contributo di alcune autrici didatte dell'Associazione di Psicoterapia Psicoanalitica Infantile Britannica della Tavistock Clinic di Londra: A. Alvarez, B. Copley, J. Magagna, L. Miller, M. Waddel, G. Polacco, M. Rustin e S. Reid, quest'ultime due presenti al seminario con una loro relazione.

Il modello innovativo proposto in questo seminario riguarda un nuovo modo di considerare gli incontri di valutazione in particolare con bambini e adolescenti e con le loro famiglie. La valutazione clinica è considerata secondo quest'ottica, non solo come preparazione ad un processo terapeutico e/o come un processo diagnostico, ma anche come un incontro che racchiude in sé un potenziale terapeutico.

Nell'ambito di questo tipo di valutazione, l'approccio psicoterapeutico ad orientamento psicoanalitico, pur proponendosi di alleviare il più rapidamente possibile il dolore mentale, come fa presente nell'introduzione al seminario la dott.ssa Quagliata, si basa su di un tipo di relazione con lo psicoterapeuta centrata sull'esplorazione delle qualità degli oggetti interni e dei loro rapporti, del tipo di fantasie, di angosce, di difese, nonché sulla esplorazione della possibilità e della disponibilità dell'individuo a mettere in discussione l'equilibrio interno. Tenendo conto che, in particolare nelle Istituzioni, la maggior parte delle persone vengono alla consultazione soltanto per poche sedute, tale processo di valutazione si propone di sfruttare al massimo questa possibilità.

Vengono presentati nel seminario due lavori: "Un altra cornice: aspetti terapeutici della valutazione"di M. Rustin e "La valutazione dei bambini autistici e delle loro famiglie: un nuovo modello" di S. Reid. Tali lavori tendono principalmente a mostrare che la conoscenza così come definita da Bion (K da Knowledge) si ha quando si stabilisca un'intima relazione con l'altro e che questo incontro porta inevitabilmente ad una trasformazione di se stessi e dell'altro poiché la conoscenza è strettamente legata agli aspetti emotivi della personalità (Love e Hate) (Bion).

Ponendosi in quest'ottica lo psicoterapeuta non può ignorare che nel processo di valutazione ha di fronte una persona che sta in relazione con lui. Come riferisce la dott.ssa S. Adamo 'la valutazione è un processo reciproco e non può basarsi unicamente sul fare una diagnosi se non vuole diventare essa stessa evento traumatico.

Fondamentale in questo senso è l'atteggiamento di colui che offre la valutazione e la sua formazione. 'Come psicoterapeuti infantili disponiamo di uno strumento molto efficace per l'esplorazione terapeutica con le famiglie: l'osservazione di neonati e bambini piccoli nelle loro case. Imparare ad osservare i dettagli dell'interazione e riflettere privatamente sul significato dei fenomeni di transfert e controtransfert fornisce una preparazione ideale per la valutazione clinica" (M. Rustin).

L'osservazione si basa sulla capacità di recepire anche le connotazioni non verbali della comunicazione e sulla 'capacità negativa' (Bion, 1970), cioè saper tollerare ciò che non si conosce e non si capisce senza inserire immediatamente ciò che si osserva in categorie prestabilite o in un modello teorico. "Quanto più siamo in grado di essere aperti nei confronti di un problema finora sconosciuto, e di pensare che noi possiamo se mai avere solo conoscenza parziale di ciò che è rilevante, tanto più manterremo flessibilità nel pensare e nel metterci in rapporto con noi stessi e con gli altri" (M. Rustin).

In tal senso, sempre a proposito della formazione, come sostiene la dott.ssa De Rosa: "Bisogna introiettare molto bene i modelli a cui fare riferimento per poter, durante la valutazione, lasciare questi modelli sullo sfondo". Si arriva così a teorizzare con la dott.ssa S. Reid "un modello osservativo della valutazione" in cui l'attenzione fluttua tra il soggetto e tutti membri della famiglia. Ci si sente così "liberi di non dover fare nulla, ma soltanto pensare, scoprendo attraverso l'osservazione, non soltanto ciò che il bambino fa, ma anche quello che non fa, imparando così comeil mondo appare ai suoi occhi" (S. Reid).

Un' altra capacità che attiene al training formativo di colui che fa la valutazione, riguarda l'attenzione al transfert e al controtransfert. E' di fondamentale importanza "discriminare quelle che sono le comunicazioni provenienti dal bambino da quelle che invece sono delle risonanze che le problematiche del bambino inducono riguardo ai problemi personali e istituzionali degli operatori" (S: Adamo). E' illuminante l'esempio che ci porta S. Reid nel suo lavoro con bambini autistici. Ella sostiene che bisogna comportarsi 'come se' i gesti, le parole, i tic di questi bambini avessero un significato, lottando contro il senso di inutilità e di non valore delle loro comunicazioni che essi controtransferalmente ci trasmettono poiché: "dobbiamo sostenere con la nostra interpretazione che ciò che il bambino fa ha un significato per mostrare ciò ai genitori e dar loro speranza" (S. Reid).

Collegata a questa attenzione al transfert e al controtransfert è la capacità di entrare in contatto con le paure le angosce che il paziente porta, senza spaventarsi ma cercando di contenerle e possibilmente restituirle elaborate. E' la capacità di 'reverie materna' così come è stata concettualizzata da Bion in 'Apprendere dall'esperienza'(1962).

Da quanto sin qui detto è chiaro che l'obiettivo di questo nuovo modello di valutazione non è quello di formulare unicamente una diagnosi, bensì aiutare la persona, il bambino, l'adolescente, la famiglia, ad affrontare il momento di disagio, vagliando assieme la possibilità di porsi in maniera nuova rispetto alle relazioni sia col proprio mondo interno che con l'ambiente esterno. Ciò è possibile se si tralascia l'idea di inserire il paziente in una categoria diagnostica e si considera quel paziente come unico e speciale per noi come per la sua famiglia.

Se ci si pone in quest'ottica le potenzialità di un tale approccio sono notevoli, possiamo offrire infatti una nuova prospettiva in modo tale da mostrare che esiste la possibilità di realizzare un cambiamento che migliori la qualità della vita e al tempo stesso offrire l'occasione di evitare che si producano danni maggiori a livello mentale.
Quando poi accade che riusciamo ad entrare in contatto con quegli impulsi dei nostri pazienti "che tendono alla verità, la capacità del paziente di continuare ad evolvere nella sua comprensione viene sostenuta. Nel caso di genitori, ciò può essere di grande importanza nel potenziale contenimento dei loro bambini" (M: Rustin).

E' interessante notare come vi sia in questo contesto una rilettura della teoria kleiniana nel dare importanza alle relazioni col mondo esterno oltre che con quello interno. Come la dott.ssa M. Barria fa notare: "teniamo conto del mondo interno dei pazienti, ma anche della relazione che hanno con i loro familiari e delle difficoltà che hanno a stabilire una buona relazione col mondo esterno che è ciò che ritroviamo spesso nei loro sintomi".

A conclusione di questo resoconto bisogna accennare all'importante argomento, emerso a più riprese in questo seminario, della specificità della valutazione all'interno delle strutture pubbliche. L'elevato numero di consultazioni che lo psicoterapeuta si trova a compiere all'interno dei Servizi pone problemi specifici che riguardano sia la salute mentale, sia le elaborazioni del lutto dovute alle separazioni continue con i piccoli pazienti, sia l'esigenza di dover riflettere in fretta sul lavoro che si svolge, col rischio di mettere da parte l'elemento creativo che la valutazione richiede. La dott.ssa M. Rustin parla di due fattori protettivi nel lavoro dello psicoterapeuta nel Servizio Pubblico: uno riguarda il concedersi lo spazio per trascrivere tutto ciò che concerne la prima consultazione "poiché ciò ci impedirà di sentire che non si sia giunti ad una conclusione del rapporto. Scrivere ci dà lo spazio per elaborare e digerire. Il secondo fattore riguarda il mantenere un contesto professionale di confronto teorico e clinico con i colleghi per evitare di essere invasi dall' eccesso di dolore che ci portano i nostri pazienti".

D'altra parte particolarmente nel Servizio Pubblico può aver più significato il valore preventivo della consultazione che in questo contesto diventa effettivamente una psicoterapia breve. Il paziente, la famiglia che periodicamente nel corso degli anni si ripresentano al Servizio fanno pensare alla figura del "medico di famiglia per la salute mentale" (O. Caccia), auspicabile ma effettivamente realizzabile solo se la valutazione è pensata come un processo che dura nel tempo.

Hanno partecipato al seminario con loro contributi scritti e/o con loro interventi:

dott.ssa S. Adamo psicoterapeuta e Segretario Scientifico Nazionale dell' A.I.P.P.I.
dott.ssa M. Barria psicoterapeuta Università Cattolica di Roma
prof. P. Bria dell' Università Cattolica di Roma
dott.ssa O. Caccia psicoterapeuta A.I.P.P.I.
dott.ssa E. De Rosa psicoterapeuta Università Cattolica di Roma
dott.ssa B. Ravagli psicoterapeuta A.I.P.P.I.
dott.ssa E. Quagliata psicoterapeuta A.I.P.P.I.
dott.ssa S. Reid Consultant Child Psychotherapist presso il Child and Family Department della Tavistock Clinic di Londra
dott.ssa M. Rustin responsabile della formazione in psicoterapia infantile alla Tavistock Clinic di Londra


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