PM - HOME PAGE ITALIANA PM-TELEMATIC PUBLISHING PSYCHO-BOOKS UNO SPAZIO PER TOMMASO SENISE

PM-TP
PSYCHOMEDIA
Psycho-Books

Pietro Roberto Goisis e Gioia Gorla
UNO SPAZIO PER TOMMASO SENISE

3.3. Enrico de Vito, Empatia, fiducia e capacità di riflettere *



La comprensione empatica, lo stabilirsi di un'area di fiducia e lo svilup-po della capacità di riflettere possono essere considerati come elementi essen-ziali della relazione psicoterapeutica con l'adolescente.
Nel trattare questo argomento mi riferirò ad alcuni contributi teorici che sono venuti dalla psicoanalisi e dalla psicologia evolutiva a specificare il significato di questi concetti. In particolare mi riferirò al contributo di Tommaso Senise a partire dalla sua lunga esperienza di lavoro clinico con gli adolescenti e con i genitori.
Senise era una persona dotata di una particolare capacità di essere em-patico e di favorire il capire e il capirsi, attraverso un rapporto in cui le emo-zioni e le idee venivano comunicate in modo diretto, limpido e con una grande attenzione e rispetto dell'altro. L'importanza teorica che dava all'atteggia-mento empatico si può ritrovare già in un suo scritto del 1964, “Psicoterapia psicodiagnostica degli adolescenti”: “La fase diagnostica non può essere separata da quella psicoterapeutica e l'operatività diagnostica deve essere svolta con la consapevolezza che essa, sempre che sia possibile, deve anche poter condurre l'adolescente ad una presa di coscienza capace di contribuire a decondizionare certi moduli comportamentali patologici. Diventa a questo sco-po necessario stabilire innanzitutto un rapporto interpersonale che permetta sul piano del legame identificatorio e sul piano empatico una reciproca co-municazione ancora prima che sul piano logico-verbale”.
Entrare in empatia, secondo Greenson (1978), significa condividere, sperimentare i sentimenti di una certa persona sia pure temporaneamente. Si partecipa alla qualità, non all'intensità dei sentimenti, alla loro natura e non alla loro quantità.
L'empatia deve essere distinta dalla simpatia perché non contiene gli elementi del dolersi insieme, dell'essere d'accordo, della pietà. Sono anzi spesso questi, elementi che nel rapporto con l'adolescente comportano un allontanamento più che un avvicinamento.
Nella psicoterapia dinamica il terapeuta empatizza non solo con lo stato men-tale e le preoccupazioni attuali del paziente, ma anche con i contenuti e con i con-flitti sottratti alla coscienza, e con le sue operazioni difensive (Berger, 1987).
Negli ultimi vent'anni, a partire dal lavoro clinico con pazienti border-line e con disturbi narcisistici della personalità e grazie soprattutto all'opera di Kohut e degli altri Autori della “psicologia del Sé”, è molto aumentata l'attenzione sul ruolo centrale dell'empatia nel processo psicoterapeutico. Nel corso di un seminario a studenti di psichiatria Kohut (1987) affermava a questo proposito: “Fin dai primi colloqui insegno al paziente ad acquisire un atteggiamento verso se stesso. Cerco di creare un clima particolare: non in modo artificiale si intende, perché è qualcosa che mi è congeniale, un clima in cui sia incoraggiata la più ampia comprensione per se stessi. Il mio interesse si indirizza a ciò che sta accadendo al paziente, non solo nel senso di ciò che sperimenta, ma anche di come lo sperimenta e come entra in rapporto con le proprie difficoltà. Questo, in sostanza, è un atteggiamento di estesa autoem-patia - un'ampia capacità di essere empatici verso il proprio passato, verso aspetti di Sé che di fatto non sono in nostro possesso o non lo sono del tut-to, non escludendo quegli aspetti di Sé che non sono stati ancora sviluppati - ovvero le proprie possibilità future”.
L'empatia viene quindi a coinvolgere il passato, il presente e il futuro dell'individuo: e per l'adolescente in particolare questo significa entrare in contatto con le proprie potenzialità di crescita oltre che con le proprie diffi-coltà e con le proprie paure. L'empatia rappresenta inoltre un fattore fonda-mentale per costruire, consolidare e valutare momento per momento lo stato dell'alleanza terapeutica, per quanto concerne cioè il passato, il presente e il futuro di questa particolare relazione.
Senise nell'articolo: “ Il setting nella presa in carico psicodiagnostica dell'adolescente” (1985) definisce in questo modo il processo per cui avvie-ne il passaggio, da intendersi nelle due direzioni, tra empatia e capacità di riflettere, come essenza della formazione strutturale:
“Il senso del rapporto si costituisce appunto dalla nostra posizione iden-tificatoria e da quella controidentificatoria dell'adolescente, sì che il luogo e il tempo del colloquio diventino un momento privilegiato di riflessione e di inve-stigazione da parte dell'Io soggetto sull'Io oggetto, cioè sul Sé. Se l'adolescente ci sceglie quali strumenti del suo pensiero da utilizzare per i suoi processi di individuazione egli investe con libido narcisistica il nostro ruolo nei suoi confronti costituendo un legame oggettuale particolare. Tale rapporto riecheggia quello che il bambino ha con la madre nella fase della precostituzione del Sé”.Winnicott e Bion avevano già indicato nei loro scritti, l’importanza, perché vi fosse un rapporto sufficientemente buono tra madre e bambino, ai fini del contenimento e dell'internalizzazione, che la madre avesse la capacità di raffigurarsi il bambino come entità mentale. Kohut ha descritto in modo ar-ticolato come per lo sviluppo del Sè sia indispensabile l'esperienza vitalizzan-te e coesiva del rispecchiamento.
Negli ultimi anni alcuni psicoanalisti con uno specifico interesse nella psicologia evolutiva, come Sandler, Emde, Stern e Fonagy, così come gli studiosi dell'attaccamento, da Bowlby a Mary Main, hanno esplorato anche su base empirica lo sviluppo del mondo rappresentazionale del bambino e lo sviluppo delle sue capacità metacognitive a partire dalla qualità della relazione madre-bambino. Per capacità metacognitiva si può intendere la capacità di comprendere la natura meramente rappresentazionale del pensiero, proprio e altrui; la capacita che rende possibile andare oltre la realtà immediata dell'esperienza e afferrare la distinzione tra esperienza immediata e stato mentale (pensieri, sentimenti, desideri , credenze, etc.) che vi è sotteso. E’ il comprendere l'altro in termini di stato mentale che permette di dare senso e anticipare le azioni.
Questi Autori in riferimento ai fattori che rendono possibile il costituirsi di un attaccamento sicuro, che comporta il rafforzamento progressivo della funzione metacognitiva e corrispondentemente l'aumento della coerenza della propria narrativa personale, hanno messo in evidenza la capacità di sintonizzazione emotiva (attunement) e la capacità di rispondere in modo sensibile e accurato (sensitive responsiveness), da parte del genitore, ai bisogni di vi-cinanza, protezione e contatto del bambino. Attunement e sensitive respon-siveness sono in correlazione diretta con l'accuratezza della rappresentazione mentale del bambino nella madre. A sua volta la madre riflette al bambino sia la sua comprensione della causa del disagio sia la percezione corretta dello stato affettivo del bambino.
A questo proposito mi sembra utile ricordare che già Erikson nel 1950 riferiva la condizione di “fiducia di base” al riconoscimento da parte del bambino della capacità di rispecchiamento e di contenimento nel genitore per cui la risposta corretta e coerente del genitore implica la sua disponibili-tà e la sua capacità di non essere sopraffatto, cioè di far fronte efficacemente all'affetto. Secondo Erikson “la formazione di un modello duraturo per la soluzione del conflitto fondamentale tra la fiducia e la sfiducia è il primo compito dell'Io e quindi il primo compito delle cure materne. La fiducia deriva dall'esperienza della prima infanzia in una misura che non sembra dipendere dal nutrimento ricevuto o dalle manifestazioni d'affetto ma piuttosto dalla qualità del rapporto con la madre. Ciò che consente alle madri di fondare la fiducia nei loro figli è una combinazione ideale di sensibilità per le esigenze individuali del bambino e di fiducia in se stesse sperimentate nella forma particolare a una determinata cultura e appoggiata dalla stabilità di questa. (Mi viene da notare quanto queste idee richiamino le nuove conoscenze sugli aspetti dell'attaccamento, per cui la capacita’ di rispec-chiamento del genitore e’ correlata a sua volta a un'esperienza di attaccamento sicuro con i propri genitori). Ciò costituisce nel bambino la base di un senso di identità che più tardi si combinerà al senso di essere se stesso. I genitori non debbono guidare i loro figli soltanto per mezzo dei consensi e delle proibizio-ni: essi dovrebbero essere anche capaci di trasmettere al bambino una con-vinzione profonda e quasi fisica che ciò che essi fanno ha un significato”.
In altri termini si tratta cioè di trasmettere al bambino, attraverso un attaccamento sicuro, una comprensione della natura degli stati mentali, favo-rendo lo sviluppo di una “teoria della mente”.
Questa prospettiva dialettica dello sviluppo del Sé induce inoltre, se-condo Fonagy (1995), a passare dalla visione tradizionale psicoanalitica della strutturazione del Sé come internalizzazione, da parte del bambino, della ma-dre capace di contenimento emotivo a quella della internalizzazione del Sé pensante da dentro l'oggetto contenitore. Il bambino percepisce nel caregi-ver l'immagine di se stesso percepito come essere intenzionale, che ha in cor-so e avrà in corso dei processi mentali da cui derivano i comportamenti.
Vorrei tornare ora alla formulazione di Senise per cui alla base del rap-porto su cui si fonda l'azione psicoterapeutica dell'analisi del Sè c'è la dispo-nibilità da parte dell'adolescente di costituire con il terapeuta un particolare legame e reciprocamente da parte del terapeuta la capacità di promuovere la costituzione di questo legame. I concetti di empatia, fiducia e capacità di riflet-tere possono essere quindi riformulati come fondamentali mezzi e fini di que-sto rapporto terapeuta-adolescente, in funzione di una progressiva composizio-ne-ricomposizione dei vari aspetti del Sé “in un insieme che costituisce l'ab-bozzo più o meno coerente e armonico di un immagine globale e unitaria”.
L'adolescente in questo rapporto che riecheggia il rapporto primario si trova in una fase di sviluppo diversa, sia dal punto di vista affettivo che co-gnitivo e va riconosciuto in base alle sue specifiche caratteristiche di aver rag-giunto, di occupare e usare la nuova fase e i suoi elementi costitutivi, oppure di ritrovarsi bloccato più o meno settorialmente a fasi di sviluppo precedenti, talora molto precoci.
Da parte del terapeuta quindi, quello che è particolarmente importante cercare di afferrare empaticamente fino dai primi tempi del trattamento è la qualità del contatto con l'altro, anche ai fini di rilevare la disponibilità e l'at-titudine dell'adolescente di stabilire un legame che configuri un'area dialetti-ca di fiducia, che permetta la costruzione di significati condivisi in termini di affetti e di parole.
Si potrebbe affermare che in questa area di fiducia, venga a costituirsi nel corso del processo terapeutico, a partire dalla fiducia di base, una forma più matura di fiducia che risulta significativamente integrata con un grado crescente di autonomia e responsabilità, fino a divenire la condizione di fidu-cia in se stesso, nelle proprie capacità di modulare i propri affetti, di control-lare le proprie azioni, di verificare (“monitorare”) lo stato del proprio Sé.
Queste tappe del percorso terapeutico sono schematizzate nella tabella:
Queste tappe dei percorso terapeutico sono schematizzate nella tabella:
Fasi di sviluppo della relazione terapeutica

1) Il terapeuta cerca di comprendere il paziente per mezzo dell'empatia
2) il terapeuta descrive al paziente cos'ha compreso di lui

Si viene a stabilire un'area di fiducia in base al processo dialettico di identificazione
e controidentificazione.

3) Il paziente comincia a comprendere se stesso in quanto sviluppa la capacità di esser empatico con se stesso.
4) Il paziente, una volta divenuto empatico con se stesso, sviluppa la capacità di autoriflessione

Vorrei ora concludere con un esempio clinico che proviene da un classico e pionieristico testo della letteratura psicoanalitica sull'adolescenza: “Gioventu' disadattata” di Aichorn (1925).E’ un esempio che mostra molto efficacemente come un intervento paradossale possa rappresentare una forma creativa di risposta empatica che porta in tempi brevi a mettere le basi per il costituirsi di una area dialettica di fiducia e di una relazione con nuove possibilità regolatorie. Il padre di un ragazzo di 17 anni chiede a Aichhorn di ricoverare il figlio dopo che quest'ultimo era scappato da casa e dopo che il suo comportamen-to era diventato chiuso, diffidente e imprevedibile, continuamente teso a sfi-dare gli altri.
Aichorn dice al ragazzo: “Suo padre mi ha raccontato tutto ciò che è accaduto e io voglio aiutarla”.
Ragazzo: “E’ impossibile” (risponde il ragazzo stringendosi nelle spalle con espressione scostante).
A: “Se lei non vuole allora certo no”.
R.: “Lei non mi può aiutare”.
A.: “Le faccio una proposta”
R.: “Quale?” (il tono sottintende una notevole attesa).
A.: “Di non rispondere alle domande che le sono sgradite”.
R.: “Come sarebbe a dire?” (la domanda viene posta in tono meraviglia-lo ed incredulo).
A.: “Perché alle domande spiacevoli lei comunque non mi ri-sponderebbe la verità”.
R: “Come lo sa?”
A.: “Lo fanno tutti e lei non è un'eccezione. Io stesso non rac-conterei tutto a uno che incontro per la prima volta”.
R: “E va bene”
A.: “Allora è d'accordo?” gli porge la mano che il ragazzo stringe vigo-rosamente.
R: “D'accordo”.
Quello che mi importa rilevare è come Aichhorn abbia fatto sperimentare immediatamente al ragazzo, saltando ogni altro passaggio, la sua capacità di riconoscere, attraverso la sua identificazione con lui, come lui si sente (sfidu-ciato, costretto e minacciato). Quando il terapeuta anche e soprattutto nel la-voro di consultazione, non tiene conto della necessità di essere con l'adolescen-te con questa capacità di riconoscimento empatico, di mantenersi accessibile e rispettoso, coerente e attendibile, l'adolescente non potrà che sentirsi sottomesso, escluso o intruso, con il rischio che rinunci, talvolta definitivamente, a essere attivo, a disporsi a rinegoziare le sue modalità di relazione e ad appro-priarsi di un progetto evolutivo rivolto alla libertà e alla conoscenza di sé.

Bibliografia

Aichhorn A. (1995): Gioventù disadattata.Roma, Città nuova, 1978.
Berger D.M. (1987): L’Empatia clinica. Roma: Astrolabio, 1989.
de Vito E. (1989): Diagnosi e indicazioni di trattamento. In Senise T. (a cura di): L’adolescente come paziente.Milano: Franco Angeli.
de Vito E., Muscetta S. (1997): note per un approccio evolutivo-relazionale alla formazione della psicopatologia in adolescenza. In: Fava Vizziello G., Stocco P. Tra i genitori e figli la tossicodipendenza.Milano: Masson
Erikson E.H. (1950): Infanzia e società. Roma: Armando, 1996.
Fonagy P. (1995): Psychoanalytic and empirical approches to developmental psychpathology:an object relations perspective. In:Shapiro T.,Emde R.N. ed.:Research on Psychoanalysis. Madison :International Universities Press.
Greenson R. (1978): Esplorazioni psicoanalitiche.Torino:Boringhieri, 1984.
Kohut H. (1987): I seminari. Teoria e clinica della psicopatologia giovanile. Roma:Astrolabio, 1989.
Senise T.L. (1964):Psicoterapia degli adolescenti. In: Atti del 1 corso di aggiornamento sui problemi di psicoterapia. Milano:Centro Studi di Psicoterapia Clinica.
Senise T.L. (1985) : Il setting nella “presa in carico” psicodiagnostica dell’adolescente.In AA.VV.:Il Setting.Roma:Borla

* già pubblicata su Adolescenza, volume 9, numero 1, gennaio-aprile 1998, pagg.10-15


PM - HOME PAGE ITALIANA NOVITÁ RIVISTA TELEMATICA EDITORIA MAILING LISTS