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Pietro Roberto Goisis e Gioia Gorla
UNO SPAZIO PER TOMMASO SENISE

2.4. Gioia Gorla, Conversazione con Tommaso Senise



Durante la stesura dell'articolo sulla psicoterapia breve di individuazione con l'adolescente di Tommaso Senise, pubblicato nei numeri 8, 9 e 10 di "Contrappunto", era sorta in me l'esigenza di chiarire e approfondire alcuni argomenti. In particolare, mi sembrava importante sapere di più del rapporto tra il lavoro di Senise entro l'istituzione in qualità di consulente del Tribunale per i Minorenni e le caratteristiche del suo metodo di lavoro, con la sua peculiare attenzione alle influenze sulla vita interna dell'adolescente della famiglia e della società in cui è immerso, e insieme degli eventuali influssi del suo lavoro di psicoterapeuta di adolescenti su quello di analista e di supervisore, o delle singolari coincidenze di alcune concettualizzazioni di teoria della tecnica con quelle di Heinz Kohut o ancora delle tematiche del narcisismo in adolescenza.
Il colloquio con il dottor Senise rientra nella tradizione di interviste con psicoanalisti propria di "Contrappunto", ma il clima in cui si è svolto, fatto di semplicità, di umorismo, di rispetto del punto di vista dell'interlocutore, così lontano insomma da ogni tono inamidato e solenne, suggeriscono di chiamarlo "conversazione".
L'incontro è avvenuto a Milano il 25 aprile 1994, una data il cui significato era ben presente alla mente del dottor Senise: “ Oggi è il 25 aprile. E, naturalmente, abbiamo parlato anche della libertà”.

Dottor Senise, la prima domanda che vorrei porle è relativa alla sua lunga esperienza quale consulente nei servizi medico-psico-pedagogici per i Minori istituiti dal Ministero di Grazia e Giustizia. Lei è stato uno dei pochissimi psicoanalisti che non hanno rinunciato a questo lavoro. Che cosa pensa che possa averla indotto a questa scelta?

SENISE - Devo correggere la sua informazione, perché in realtà eravamo in parecchi analisti e siamo tutti rimasti per parecchi anni. La maggior parte di noi è andata via nel 1976, o poco prima, quando entrò in vigore la legge che trasferiva agli Enti Locali i casi che appartenevano al settore amministrativo del Tribunale per i Minorenni. In tal modo veniva molto a diminuire il lavoro e conseguentemente l’interesse: si trattava di intervenire solo per i casi di competenza del tribunale, cioè di ragazzi che avessero commesso reati. In quell'occasione ci fu uno sfoltimento grosso sia da parte degli specialisti che delle assistenti sociali. Fu un grande peccato perché tutta un'esperienza andò perduta: non è che gli Enti Locali si rivolgessero nè alle assistenti sociali nè agli specialisti che si erano occupati di un caso per tanti anni. Solo da tre o quattro anni comincia ad esserci un rapporto migliore tra i servizi degli Enti Locali e il Tribunale per i Minorenni, in quanto all’inizio c’era stata una grossa diffidenza da parte degli specialisti e assistenti sociali nei confronti del Tribunale che chiedeva relazioni sui minori e c’era anche una incompatibilità nei confronti della deontologia professionale. Per noi, anni prima, era stato diverso perché eravamo riusciti a stabilire dei buoni rapporti con il Tribunale dei Minorenni, non solo a Milano, ma anche a Roma e a Firenze.
Avevo ricavato questa informazione da un articolo di Arnaldo Novellette apparso su di un recente numero della rivista "Adolescenza".

SENISE - Alcuni sono andati via prima di me, altri sono rimasti, come la dottoressa Giaconia. Ma certo lei ha avuto le sue ragioni per dir così, siccome col '68 e negli anni immediatamente successivi ci fu un grosso coinvolgimento, per dir così, nel movimento da parte anche degli specialisti, e delle assistenti sociali e allora è possibile che una parte degli specialisti sia andata via in quella occasione. Un'altra parte andò via prima del 76 perché nel 7'1-72 ci fu una reazione da parte del Ministero, perché alcuni specialisti si erano spinti in avventure un pò eccessive in nome del rinnovamento e delle ideologie, specialmente educatori e direttori di case di rieducazione. Alcuni specialisti si sono spinti troppo oltre nel voler difendere i ragazzi, in quanto frutto di una società malata.

La ringrazio di questa precisazione. Ma c'è un'altra domanda che vorrei porle riguardo a questa sua esperienza Dentro l'istituzione lei ha lavorato da un punto di vista psicoanalitico, il che penso si possa riassumere come il porre una speciale attenzione al mondo interno degli altri e proprio. A me è venuto spontaneo istituire un collegamento con un'altra esperienza, che è iniziata sempre negli anni Cinquanta, di uno psicoanalista entra un contesto istituzionale, anche se molto diverso. Mi riferisco a Paul-Claude Racamier, l'autore de "Lo psicoanalista senza divano".

SENISE: Non mi è facile risponderle, perché mi mancano dati, ma credo che ci sia stata una serie di esperienze di analisti nelle istituzioni e una serie di tentativi di esportare e di usufruire della psicoanalisi, sia per quanto riguarda l'analisi delle istituzioni, come ha fatto Fornari, sia per porsi il problema di un’applicazione della psicoanalisi nelle istituzioni. Però all’interno delle società psicoanalitiche, sia le nazionali che la internazionale, 1’IPA, non ho l'impressione che questi tentativi siano stati bene accolti e che siano stati ritenuti validi. Sembravano quasi inquinanti rispetto al presunto rigore che dovrebbe conservare la psicoanalisi. A me pare un punto di vista molto sbagliato: del resto, si trattava di analisti molto validi. Le società psicoanalitiche sembrano molto poco aperte verso quelli che non sono analisti delle società.

La sua teorizzazione dell'adolescenza come culmine del processo della individuazione del Se e della separazione, pur riconoscendo il ruolo delle gratificazioni pulsionali, sembra porre in primo piano il problema delle relazioni oggettuali. Lei pensa che l'attuale approfondimento delle tematiche dell'adole-scenza possa essere un ulteriore stimolo al superamento di una spiegazione della vita psichica in termini meramente pulsionali?

SENISE: Sì, penso di sì. Non solo si è scoperta l'importanza della relazione in quanto relazione oggettuale, ma anche l'enorme importanza della presenza di una realtà che può essere molto diversificata da soggetto a soggetto come fonte di stimoli e di elaborazioni che possono contribuire ad una evoluzione sana oppure ad una non sana, sia facente parte di una patologia nevrotica o psicotica o borderline ma anche intesa in senso delinquenziale.

Questa sottolineatura dell’importanza della realtà, che caratterizza il suo metodo, sembra essere molto legata alla sua esperienza di lavoro nella istituzione.

SENISE: Questo e possibile, perché pur avendo fatto, da psicoanalista, un’esperienza con soggetti con cui non era possibile l'applicazione del metodo psicoanalitico, ma che inevitabilmente venivano guardati con occhio psicoanalitico, non potevo non constatare che la realtà, che la storia dei soggetti che prendevo in carico era costantemente una realtà che faceva capo al sottoproletariato, alla civiltà contadina, al fenomeno della emigrazione, dell’impatto dell’immigrato con la civiltà industriale e quindi ad una serie di fattori socio-ambientali che erano prevalenti su quelli della storia del rio mondo interno, che originariamente non poteva che essere, come è per tutti un mondo interno in cui erano preminenti le figure dei genitori. Solo che il rapporto oggettuale, con oggetti interni originari, veniva sconvolto e sopraffatto dalle mortificazioni del mondo esterno. Quindi io credo alla grande importanza che ha per ogni adolescente l'insieme degli incontri che il caso, la famiglia e la scuola determinano per lui e che sono occasioni ora edificanti ora destrutturanti per la sua personalità. Io non credo che ognuno di noi dopo i primi quattro o cinque anni di vita abbia il suo destino segnato.

L'attenzione agli aspetti dell'ambiente sociale e alla famiglia è, in effetti, tipico del suo metodo di intervento con l'adolescente rispetto ad altri.

SENISE: Sì, perché mi sembra che la famiglia sia, per ogni adolescente, il principale termine di riferimento. Oltre tutto, la comunicazione all’interno della famiglia è costantemente una comunicazione distorta o difficile quando ci sono delle sofferenze di un certo livello. La possibilità, che non sempre si verifica, ma abbastanza spesso sì, che le cose migliorino attraverso una psicoterapia breve di individuazione, proprio perché tiene conto sia dell’ado-lescente che dei genitori e tratta anche con i genitori, migliora la comunicazio-ne all'interno del gruppo familiare e questo di solito comporta una diminuzione della sofferenza e quindi della patologia. Oltre tutto i genitori rimangono ancora oggi un tramite importante tra i figli e la realtà esterna, cioè il rapporto che ragazzo istituisce con l'esterno non è quasi mai avulso completamente dal rapporto che ha con i genitori. I genitori in qualche modo intervengono e interferiscono e possono atteggiarsi in un certo modo o in un altro. Ha importanza per l'adolescente come i genitori si pongono rispetto ai suoi amici, agli ambienti che frequenta, agli orari a cui deve rientrare, se può oppure no andare in discoteca

Alcuni autori, come Novelletto o De Vito, hanno accostato alla sua teoria e alla sua pratica clinica con gli adolescenti la posizione di Heinz Kohut, con riferimento soprattutto al suo concetto di identificazione empatica con l'adolescente e con i genitori, a quello del terapeuta come oggetto di investimento narcisistico per adolescente e alla teoria dell'effetto-specchio. Questo fa pensare ai concetti di empatia, al transfert narcisistico o transfert di oggetto-Sè di cui parla Kohut. Ci sono solo queste analogie oppure lei condivide anche le tesi di Kohut sullo sviluppo narcisistico?

SENISE: Le posso dare elementi di tipo storico. Quando, nel 1980, tenni alla Società Italiana di Neuropsichiatria infantile la conferenza che aveva come titolo “Per l'adolescenza: psicoanalisi o analisi del Sé? “, io parlavo proprio di analisi del Sé. Al termine, tra gli interventi ci fu quello di Novelletto, che mi disse: 'Ma guarda che di analisi del Sé ha già parlato Kohut !”. E io lo ignoravo avendo fatto un percorso totalmente diverso. Del resto il mio schema operativo era già presente nelle sue linee essenziali nel 1976, quando Pier Francesco Galli organizzò a Milano un convegno sulle psicoterapie e io presentai il mio metodo con gli adolescenti. Poi naturalmente, dopo la cosa di Novelletto, io sono andato a leggere Kohut e mi ha anche molto interessato e ho trovato molte affinità. Ma direi che c'è una diversità, che nasce proprio dal fatto che si è pervenuti in modo diverso alle conclusioni che ognuno di noi ha tratto, ad esempio, sul transfert narcisistico.

Quindi la sua posizione teorica sembra diversa da quella di Kohut che parla di uno sviluppo narcisistico normale.

SENISE: Qui io sono ignorante. Non leggo molto, però leggo, ma non ho mai nella mente degli schemi precisi di riferimento, non mi si fissano in mente, quindi non potrei dirle che conoscevo bene il pensiero di Kohut o quello di Kernberg. Pur avendone letto, trattengo quello che mi serve, il resto me lo dimentico, non sono capace di fare un riferimento bibliografico preciso.

Ecco perché Kohut non viene mai da lei citato! La sua posizione mi sembra più clinica, non schematica come quella di Kohut. Però io avrei piacere di parlare un po' di più con lei, anche perché alcuni colleghi me lo hanno chiesto, delle problematiche narcisistiche in adolescenza. In particolare, vorrei approfondire il tema dello sviluppo e delle vicende dell'ideale dell'Io in adolescenza, differen-ziando in tal modo le problematiche narcisistiche da quelle psicotiche e borderline.

SENISE: In questi ultimi tempi ha avuto molta importanza in me la formazione dell’Ideale dell’Io, credo un pò partendo dall’ampliamento del discorso sulla mortificazione. L’Ideale dell’Io mi è parso un’istanza psichica parallela, anche se sorge dopo, al Super Io e che ha una forza di elaborazione interna molto forte. Se l'Ideale dell’Io è fortemente investito, è capace di portare a risoluzione spontanea certe situazioni complessuali e conflittuali profonde, nella misura in cui più l’ideale dell’Io è investito e più è facile che si riesca a modificare il Super Io. Cioè nella misura in cui l'Ideale dell’Io entra in una situazione dialettica col Super Io con cui è tendenzialmente in conflitto, in quanto l'Ideale dell’Io, quando un bambino nasce, è quello di soddisfare i suoi bisogni istintuali, mentre man mano che egli viene a patto con il Super Io il rapporto da conflittuale si trasforma in dialettico, l'Ideale dell’Io ottiene conferme da parte del Super Io nello strutturarsi. Il Super Io, nella misura in cui l'investimento nell’Ideale dell’Io è molto forte, viene a subire delle modificazioni.
Si parla già di rimaneggiamento dell’Ideale dell’Io durante l'adolescenza e io credo che questo rimaneggiamento oltre che dal rapporto con i genitori dipenda anche dai rapporti reali che il ragazzo vive, ma soprattutto dalla elaborazione dei modelli ideali e di comportamento e di riferimento.
L'Ideale dell’Io è una formazione che ha molto a che vedere con il narcisismo perché in ogni adolescente - Anna Freud ne ha parlato
- aumenta il narcisismo, perché tutto fa sì che l'adolescente imbrocchi canali che portano all’investi-mento del Sé. C 'è quindi questo naturale aumento del narcisismo, che dura per tutta l'adolescenza sinché non diventano possibili i rapporti oggettuali maturi più significativi, come quelli dell'amicizia e dell'amore, che in adolescenza sono molto impregnati di proiezioni e quindi di narcisismo.

Per finire, due domande. La prima è questa: quali temi e quali suggestioni ha recato al suo lavoro di analista e di formatore di analisti il suo impegno nella psicoterapia con gli adolescenti? Ad esempio, le sue osservazioni così sottili su affetti come la mortificazione e la vergogna sarebbero potute nascere senza questa esperienza?

SENISE: Quello che a me sembra di poter dire dell'esperienza con gli adolescenti, che si è svolta contemporaneamente a quella con gli adulti e alla supervìsìone degli analisti in training, è che ingiustamente l'adolescenza è trascurata dagli analisti che sono interessati solo alla prima infanzia e che spesso le situazìoni transferali riguardino proprio fasi adolescenziali. E ' vero che alle orìgini c'è sempre la prima infanzia, però durante l’adolescenza situazioni conflittuali dell'infanzia vengono in qualche modo rimaneggiate. Occorre quindi distinguere tra una situazione rimaneggiata in adolescenza e una solo infantile. Non saprei né teorizzare né dire con esattezza che le cose stanno così, ma a me veniva spontaneo, soprattutto negli ultimi anni in cui praticavo l'analisi, di riferirmi a situazioni che riguardavano l'adolescenza del paziente piuttosto che la prima infanzia.

L'ultima domanda che vorrei porle è questa. Lei crede che la visione del mondo del terapeuta, gli ideali e i valori in cui crede influenzino la relazione terapeutica e che quindi chi fa il mestiere di analista o di psicoterapeuta debba averne consapevolezza per poterlo svolgere correttamente?

SENISE: Che posso dirle ? L'elaborazione dei valori non è mai finita. Io ho fatto un grosso investimento sull 'ideale della libertà e recentemente ho avuto una gran delusione. Non ricordo come ci sono arrivato, probabilmente era una cosa banale che gli altri conoscevano benissimo. Ho capito che la libertà non può essere concepita senza la distruttività. Come nasce il senso della libertà? Detto in parole molto povere, allo stadio di elaborazione a cui sono arrivato, ho immaginato che il bambino fa una serie di esperienze per raggiungere l'oggetto dei suoi bisogni e dei suoi desideri. Ma prima o poi l'oggetto non è accessibile ed egli deve superare degli ostacoli per accedervi e può accedervi solo distruggendo tali ostacoli. Oppure il bambino è animato da una grande aggressività nei confronti dell'oggetto dei suoi desideri che non gli si dona, come accade nel rapporto con il seno. Man mano egli sperimenta che la sua attività, che da molti è vista come un derivato della sua aggressività, se lui ha due braccia che sono capaci di eliminare l'ostacolo che lo separa dall'oggetto dei suoi desideri, ha la possibilità di scegliere una condotta. Il senso della libertà, che è quello di poter scegliere la via più adeguata per raggiungere certi scopi, nasce quindi insieme con la consapevolezza di doversi liberare dagli ostacoli che lo separano dall’oggetto. Questo fa sì che potenzialmente ognuno di noi è un predatore e un assassino e che la sua libertà è legata alla capacità di distruggere. Per passare da questo stadio primitivo a quello più evoluto di una libertà intesa w senso kantiano, ci vuole una fatica enorme. Io, all'età che ho, se faccio, alla cattolica, un esame di coscienza la sera, mi chiedo: "Quante volte ho peccato, offendendo la libertà altrui o desiderando di farlo?” Gli avvenimenti di questi anni sono terribili da questo punto di vista. Quello che sta succedendo in Russia o in Jugoslavia mostra che dal punto di vista biologico una delle cose primordiali è la difesa del territorio. Ora la difesa del territorio che avviene lì da parte di ognuno minaccia la libertà dell’altro. E io mi sono chiesto se uno in fondo di cultura come me e tanti altri hanno messo tanto tempo per acquisire il senso della libertà, quanto ci metteranno persone che non hanno la possibilità, perché il caso non le ha messe in grado di prima di arrivare a conquistare una libertà che permetta quella degli altri, una libertà con giustizia. E con questo fatto di amare tanto una libertà che va rispettata negli adolescenti, devo considerare, e non mi piace parlarne, che ha un 'origine distruttiva.
Sul tema della Weltanschauung, mi sembra che esso non sia scindibile da quello delle motivazioni profonde. Un cattolico molto fervente come fa ad analizzare ma persona senza aspirare, dentro di sé, che l'altro acquisti la fede?

Penso di aver esaurito le domande. Le sono grata per questo incontro, dottor Senise.

SENISE: Grazie del suo interessamento per il mio pensiero.


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