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Gianfranco Ravaglia

L'INTENZIONE RITROVATA
Intenzioni e vissuti nel lavoro analitico




Questo saggio costituisce una nuova stesura corretta e sensibilmente ampliata del testo pubblicato nel 2000 con lo stesso titolo nella stessa sezione di PSYCHOMEDIA. Sei anni non sono pochi, ma nemmeno moltissimi e voglio sottolineare che questa edizione include alcuni approfondimenti e interi nuovi paragrafi, ma non riflette alcun cambiamento sostanziale nella concezione esposta.

Mentre la prima edizione è stata solo telematica, la seconda è sia scaricabile dal sito di PSYCHOMEDIA, sia leggibile su carta.
PM e la casa editrice Aran hanno ritenuto positivo che i lettori potessero scegliere se leggere gratuitamente il testo telematico o acquistare il prodotto cartaceo.

Il libro può essere ordinato e ricevuto per posta entro una decina di giorni versando 18 euro sul conto corrente postale: 76007400 intestato ad Aran Editore ed inviando una mail di richiesta al seguente indirizzo: aran@mail.aitec.it.
Nella mail vanno indicati nome, cognome, l'indirizzo per il recapito del pacco e quello (se non è lo stesso) per la fattura.



INTRODUZIONE

In questo lavoro mi propongo di affrontare alcune questioni teoriche e pratiche relative al filo conduttore del lavoro analitico; negli anni ho maturato sia la convinzione che l'analisi debba essere concepita come un percorso piuttosto che come una "cura", sia la convinzione che l'analisi fornisca degli spunti illuminanti per gli interrogativi che sorgono quando si riflette sul più ampio percorso costituito dall'esistenza umana. Tali interrogativi non appartengono alla psicologia e nemmeno alla filosofia, perché in realtà tutte le persone, prima o poi, in un modo o in un altro, si interrogano sul senso della loro vita, della loro morte e di quell'anticipazione della morte che è costituita dal dolore.
La mia formazione professionale è stata di tipo reichiano, ma da anni non mi considero un analista del carattere e nemmeno un analista di orientamento corporeo (pur utilizzando in qualche misura anche il lavoro corporeo). Provo un certo disagio a proporre la lettura di queste pagine, perché, pur trattando in esse certe importanti questioni epistemologiche e teoriche, in realtà suggerisco una "lettura" del percorso analitico che è di una semplicità disarmante e che non è nemmeno nuova. Da sempre essa ha di fatto caratterizzato i resoconti clinici di autorevoli analisti di scuole diversissime e in alcuni casi è stata esplicitamente formulata, anche se ogni volta nel linguaggio e con i limiti di un particolare orientamento teorico. Solo perché confortato da tale "tradizione" (che interseca le varie tradizioni della psicoterapia) mi sento di proporre organicamente tale chiave di lettura del lavoro analitico e di farlo in un linguaggio relativamente "povero", ovvero non troppo appesantito dai presupposti di specifiche scuole.
Il cambiamento di atteggiamento verso la propria esistenza, realizzato lavorando sul dolore non integrato e verificando che l'aspetto doloroso della vita non è intollerabile, costituisce un aspetto fondamentale del lavoro analitico che solo impropriamente può essere considerato una "terapia".
Per questi motivi non uso volentieri il termine "psicoterapia", proprio perché esso suggerisce l'idea che i disturbi psicologici siano cose da "curare". D'altra parte, tale termine è talmente diffuso ed anche ufficializzato dalle più recenti normative che la sua sostituzione con un altro risulterebbe artificiosa o addirittura provocatoria. Parlerò comunque il meno possibile di psicoterapia, ricorrendovi soprattutto per evitare espressioni orribili come ad esempio "il livello d'analisi di una teoria dell'analisi".
Espressioni quali "dati clinici", "teoria clinica", sintomi, patologia psichica, verranno utilizzati con molta parsimonia e solo per non complicare troppo l'esposizione, dato il loro uso corrente. Non userò invece i termini "cura" e "guarigione" perché sostituibili senza difficoltà con i termini "lavoro analitico" e "cambiamento". Eviterò il termine "paziente" e indicherò le persone in analisi con il termine "cliente". Il termine "analizzando", utilizzato da alcuni psicoanalisti sarebbe più corretto e distinguerebbe meglio il lavoro analitico da altre prestazioni professionali. Tuttavia è un termine che in italiano suona male; inoltre si deve riconoscere che per quanto umanamente intenso e significativo, il rapporto analitico è un rapporto professionale.
Farò uso del termine "analisi" in due accezioni: una molto ampia e l'altra più ristretta. Nell'accezione più ampia del termine, parlerò di analisi, lavoro analitico o percorso analitico per indicare qualsiasi tipo di attività psicoterapeutica orientata a chiarire gli aspetti cognitivi ed esperienziali non integrati della storia personale del cliente. In tal senso possono essere considerate "analitiche" moltissime pratiche psicoterapeutiche anche abbastanza diverse, mentre non possono essere considerate "analitiche" le varie psicoterapie relazionali, la terapia comportamentale classica, la PNL, le varie terapie ipnotiche, la psicosintesi, le varie tecniche di rilassamento, le varie psicoterapie supportive (nel senso di "finalizzate a rafforzare le resistenze"), e così via. Nell'accezione più ristretta del termine, parlerò di analisi, lavoro analitico o percorso analitico per indicare qualsiasi attività analitica orientata a chiarire l'intenzionalità delle azioni difensive dei clienti ed a favorire una elaborazione di vissuti non integrati. In tale accezione, considero "analitico" il lavoro di vari psicoterapeuti che perseguono questi due scopi, pur utilizzando tecniche diverse e inquadrando teoricamente il loro lavoro in modi diversi.
I cambiamenti significativi in un lavoro analitico (riuscito) incidono sulla qualità del coinvolgimento in quell'avventura che inizia con la nascita e finisce con la morte, e sono possibili nella misura in cui, con il superamento di un atteggiamento "difensivo" verso la vita consolidato nell'infanzia, la persona arriva a sentirsi impegnata a vivere piuttosto che orientata a non soffrire. In questa prospettiva, il lavoro sulle difese, sui vissuti, sul contatto emotivo è finalizzato al raggiungimento della decisione di non tradire mai se stessi o le altre persone anche in circostanze difficili o dolorose. L'esistenza umana, infatti, non è una bella favola in cui "qualche volta per sbaglio si soffre", ma è una realtà costituita dalla polarità di gioia e dolore e in questa realtà di gioia e di dolore abbiamo la responsabilità fare le scelte più costruttive. La vita umana non è "lieta". E' lieta e penosa, ma soprattutto, è "molto di più".
Vorrei riportare alcune frasi di clienti abbastanza avanti nel loro percorso, che chiariscono in modo inequivocabile l'irriducibilità del percorso analitico al modello medico.

A)"Da mesi non ho mal di testa. Con i miei genitori sono cambiate poche cose, però sono cambiata io. Anziché ripetere le manovre di sempre, sento che vorrei parlare con loro della mia vita e conoscere di più la loro vita. Però una comunicazione profonda è impossibile; hanno troppa paura di fermarsi ad ascoltare quel che sentono. Che peccato". [Sale il pianto, sente un po' di tensione alla gola, faccio qualche pressione sui muscoli scaleni, esce un lamento e quindi un pianto lungo e dolce con lacrime e singhiozzi]. "Sento che è davvero un peccato, ma non solo per me: anche per loro. Hanno fatto i genitori in quel modo e ... si sono persi tutto il piacere di stare con una figlia come me. Sarebbero stati felici se solo mi avessero vista davvero".

B) "Ora mi rendo conto di aver passato tutta la mia vita a cercare di dimostrare qualcosa, a sforzarmi di ottenere ammirazione, approvazione, compagnia. Tutto per riempire un vuoto. Ora qualcosa sta cambiando. A volte mi accorgo di star scivolando nell'accondiscendenza, e di volermi far notare. Sento che tutta questa fatica è inutile e lascio perdere. Sento spesso della tristezza e ogni tanto piango, sento però di stare meglio con me e di essere comunque più tranquillo. Ho conosciuto una ragazza nuova e non mi sono lanciato all'attacco come al solito. Voglio conoscerla meglio. Anche lei non riempirà nessun vuoto perché può far parte solo della mia vita attuale e per questo voglio semplicemente vedere come posso stare con lei".

C) "La seduta scorsa per me è stata molto importante. Mi sono stupita per averti davvero detto che sentivo di poter vivere anche senza di te. In passato, nel viaggio di ritorno in treno tenevo sempre gli occhi chiusi, come se non sostenessi l'esperienza di vedere la realtà. Adesso sento di avere gli occhi aperti ed è una bella sensazione. In questi anni di analisi sentivo un bisogno costante della tua approvazione. Ora io penso di poter esistere anche senza la tua approvazione. Credevo anche che tu mi facessi star bene, ma ora non credo che sia così. Io mi sento bene qui con te, ma credo piuttosto di star bene perché io ti voglio bene".
D)"Ora, col mio ragazzo sento un desiderio diverso da quello di una volta. Prima sentivo un desiderio puramente sessuale, mentre ora sento il desiderio-di-stare-con-lui. Prima volevo solo l'orgasmo (e, guarda caso, non lo raggiungevo). Poi ho smesso di cercare l'orgasmo e impegnandomi piuttosto a stare con quella persona ho scoperto delle cose nuove anche nel mio piacere".

E) "Una frase di mia madre mi ha ferita. Ora sono molto più vulnerabile che in passato. Poi, sentendomi così fragile ho sentito dolcezza e tenerezza per me. Ho pianto un po' la sera, prima di dormire. Poi la mattina, quando mi sono svegliata, ero molto serena e ho pensato che se si accetta il dolore si sente una maggiore solidità".

Ciò che più mi conforta è il fatto che queste "scoperte" dei clienti affiorano come fiori nel deserto, dopo un lungo tempo speso a negare, resistere, complicare le cose; affiorano spontaneamente "da dentro", come aspetti di un patrimonio personale; non hanno il "sapore" del cedimento ad un ragionamento, ma l'autenticità di un'evidenza che era "lì da sempre"; affiorano con la freschezza dell'ovvietà. Queste profonde manifestazioni di sensibilità affiorano semplicemente nella misura in cui vengono interrotti col lavoro analitico gli atteggiamenti difensivi e vengono affrontati e percepiti come tollerabili i vissuti più dolorosi del passato. Solo superficialmente si può dire che il lavoro analitico riduce i sintomi e favorisce il benessere. Infatti ciò su cui il lavoro analitico incide è proprio la profondità, la qualità, l'integrità della nostra esperienza umana. I "sintomi psicologici" non sono né corpi estranei né disfunzioni presenti "in" una persona, ma sono delle azioni personali che riducono la trasparenza o l'intensità dell'esperienza personale.
Con le frasi appena riportate non voglio far pensare che sempre e comunque l'analisi porti a questi risultati, ma voglio sottolineare quanto sia importante non rinunciare in partenza ad un tipo di lavoro che (quando viene adeguatamente svolto) può portare ad una maggior consapevolezza dell'esistenza così come essa realmente è: più dolorosa di quanto vorremmo e più bella di quanto normalmente immaginiamo.

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