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Coordinamento Psicopedagogisti-Psicologi iscritti all'Ordine della Regione Lazio

DALLO PSICOPEDAGOGISTA ALLO PSICOLOGO DELL'EDUCAZIONE

M. Benedetto - S. Brizi - R. Ceccarelli - T. Di Bonito - B. Iellamo - P. Marinelli - M. Matteini - G. Morelli - L. Pace (*)




INTRODUZIONE
LINEE GUIDA

di Mirella Benedetto
Paola Marinelli


La pratica clinica con gli adulti segnala, sia sul fronte istituzionale che su quello privato, un mutamento delle forme della sofferenza psichica emergente: dal generico e subdolo disagio "esistenziale" ai problemi di identità, alle condotte devianti e tossicomaniche, agli attacchi di panico e a tutta l'ulteriore casistica che gli addetti ai lavori definiscono "borderline" e che rivela gravi deficit della struttura basilare del Sé.

Parallelamente nell'età evolutiva si osserva un aumento della domanda di cura a causa di un preoccupante disagio e di un altrettanto sconcertante aumento dei disturbi dell'apprendimento ed in particolare della letto-scrittura.

Quanto si evidenzia nell'ambito dell'osservatorio clinico e scolastico, altro non è che la punta di un iceberg che ha dimensioni molto più ampie.

Un'analisi della situazione evidenzia le tracce di tale malessere come diffuse nell'humus sociale, dove tale disagio si alimenta.

Siamo in presenza di un processo trasformativo in cui viene fortemente messo in crisi tutto l'impianto sul quale si è retta la convivenza civile. Le strutture socio-culturali deputate ad allevare (famiglia), aggregare (centri di quartiere, scuola), e a canalizzare (sistemi di valori, ideologie, costumi sessuali, concezione del lavoro ecc.), la spinta evolutiva, estremamente sollecitata dal circuito mass-medianico, mostrano evidenti segni di crisi e rendono più arduo il percorso verso l'identità.

Inoltre la cultura dominante, improntata alla tecnologia, tende ad alimentare l'illusione che le stesse strategie di delega all'esperto, funzionali alla soluzione concreta dei problemi della vita, possano essere estese anche alla vita vissuta, favorendo così l'abdicazione all'assunzione di responsabilità soggettiva e una conseguente e progressiva perdita di senso.

La velocità infatti con cui si muove il mondo della tecnologia e delle comunicazioni, se risolve molti problemi pratici sul piano della qualità della vita, si trasforma in fretta ponendo dei problemi allo sviluppo psico-affettivo che non è programmabile, al pari di una macchina, se non a costo di produrre sofferenza. Non è un caso che, a fronte di un'anticipazione dei tempi della maturazione cognitiva, si assiste ad un notevole allungamento dei tempi della maturazione psico-affettiva che sfocia in una dilatazione dell'adolescenza.

La scuola, in particolare quella dell'obbligo, sembra essere oggi l'unico centro di aggregazione per molti bambini e genitori ed è proprio all'interno della scuola che si manifesta sempre di più un disagio crescente (alunni, genitori, docenti).

Per comprendere meglio tale disagio è opportuno riferirsi al problema della sofferenza psichica, del dolore mentale e del modo di affrontarli.

Condividiamo il pensiero di A. Blandino e B. Granieri (in La Disponibilità ad apprendere, R. Cortina) riguardo i fattori che favoriscono la crescita mentale; li possiamo pensare come equivalenti alla capacità di riconoscere, tollerare ed elaborare la sofferenza psichica, ovvero, in una parola, alla capacità di contenerla o alla possibilità di essere aiutati a contenerla.

Viceversa i fattori che ostacolano o inibiscono o si frappongono alla crescita sono identificabili anche nelle forze distruttive della mente la cui mancata elaborazione e integrazione dà luogo, come ricordano Meltzer e Harris, alla perdita di preziose attitudini e capacità intellettuali, di abilità linguistiche.

Ciò che favorisce la crescita si può quindi definire propriamente come una funzione - anzi la funzione - terapeutica della mente, mentre ciò che la ostacola o la danneggia rientra nell'ambito di funzioni che si possono definire antiterapeutiche.

La funzione psicoterapeutica della mente è dunque quella che si prende cura degli aspetti sofferenti sia propri che altrui, che non pretende di eliminarli o di ridimensionarli, ma di contenerli e pensarli, di abituarsi a conviverci e a darvi un senso.

In un recente convegno rivolto prevalentemente ai docenti, lo stesso autore poneva l'evidenza di come secondo Winnicott la mente opera in modo terapeutico verso se stessa nella misura in cui aiuta e favorisce l'emergenza del vero sé nascosto dal falso sé, mentre per gli psicologi dell' Io l'obiettivo è il rafforzamento delle funzioni dell' Io.

Fornari parla di genitalità come stato mentale coincidente con la maturità emotiva, mentre per altri autori la crescita avviene in concomitanza con l'acquisizione di nuove capacità auto-espressive, di nuovi modi di mettersi in relazione.

Per altri ancora la crescita dipende dalla possibilità di emanciparsi che si realizza con il superamento delle fissazioni e dei blocchi subiti dall'individuo durante lo sviluppo.

Con Bion la mente mostra di esercitare la sua funzione terapeutica quando è capace di apprendere dall'esperienza e sviluppa consapevolezza di quella che è la costante e distruttiva azione dei fattori anticonoscitivi operanti in noi.

Le indicazioni che giungono da una prospettiva di questo genere, per quanto riguarda le operazioni che promuovono la crescita, sono dunque molto precise: aiutare a contenere l'angoscia e a modularla piuttosto che difendersene o addirittura evacuarla dalla propriamente.

Più precisamente Meltzer e Harris indicano quali sono le "funzioni emotive" (che possiamo anche chiamare atteggiamenti, modalità di relazione, stati della mente) adeguate a favorire la crescita mentale, individuandole in quattro funzioni chiamate introiettive che sono: generare amore, infondere speranza, contenere la sofferenza depressiva, pensare appunto, inteso come capacità di sentire; per converso vi sono quattro contrapposte funzioni proiettive che ostacolano la crescita, ovvero suscitare odio, seminare disperazione, trasmettere ansia persecutoria, creare confusione.

Come si vede, secondo Blandino, il termine terapeutico non è da intendersi nel senso più tradizionale e riduttivo di cura, ma proprio nel senso di un qualcosa che si incarica di far crescere.

Veramente curativo, maturativo, educativo, creativo, non è togliere il dolore mentale, l'angoscia, ma aiutare a comprenderla, a tollerarla e a utilizzarla per apprendere e conoscere dall'esperienza.

E' interessante osservare che anche etimologicamente il termine vuol dire questo. Infatti il termine terapeutico deriva dal verbo greco uerapeuw che vuol dire in primo luogo: "esser servo, servire, trattare amichevolmente e poi: aver cura di qualcuno o "qualcosa"; vuol dire anche coltivare la terra; e poi vuole dire anche trattare diligentemente, curare malattie; e ancora, curioso, formare, educare con cura. (Gemoll, Sandron, Firenze, 1949 - in Atti Convegno Alessandria 24/10/98 "Fattori favorenti e inibenti la crescita" G. Blandino).

Terapia significa dunque sostanzialmente servire, prendersi cura, coltivare, educare. Non vuol dire curare né tantomeno guarire. Nel suo insieme il termine greco sottolinea una funzione di attenzione e di servizio nei confronti dell'altro inteso come fine o finalizzata all'educazione.

Ciò comporta immediatamente alcune implicazioni; per esempio l'atteggiamento pedagogico di chi ha un obiettivo da perseguire (il programma, assunto come un totem o un persecutore) è perciò stesso antiterapeutico, anticrescita. Pertanto vero insegnante non è chi si limita a trasmettere conoscenze, sia pure nel miglior modo possibile, ma chi ti affianca nel processo di apprendimento.

Un docente che svolga bene il suo mestiere con attenzione alle persone e ai sentimenti che accompagnano l'apprendimento sarà un insegnante che esercita una funzione psicoterapeutica proprio mentre fa l'insegnante, e continuando a fare rigorosamente l'insegnante.

Stessa cosa si può dire anche dei docenti che rivestono una funzione professionale diversa all'interno dell'istituzione scolastica e il cui compito non è solo quello di erogare servizi ma di fornire presenza, attenzione, ascolto e contenimento.

Secondo quanto emerso i docenti sono chiamati ad avere una sempre maggiore conoscenza dell'iter evolutivo dei processi cognitivi e consapevolezza dei propri vissuti nell'affrontare le dinamiche relazionali individuali e di gruppo. Appare evidente che una loro formazione in tal senso è da considerarsi un obiettivo da raggiungere, ma altrettanto cruciale ci sembra poterli ascoltare, sostenere, contenere, incentivare e motivare attraverso una serie di interventi interni alla scuola che, connotandosi non come la risposta ad una delega, ma come uno stimolo concreto, una offerta specialistica, tendano a favorire il loro processo di crescita e quindi quello degli alunni.

Una figura interna alla scuola che abbia il compito di favorire la crescita dei docenti i quali compiono traslatamente analoga funzione a quella che, in senso Winnicottiano, la madre svolge nella primaria relazione con il proprio figlio. Ovvero "tolgono" all'allievo le sensazioni e i vissuti sgradevoli che lo accompagnano in certe fasi della vita scolastica.

In questo quadro dunque lo psicopedagogista-psicologo dell'educazione, può rappresentare una figura che, se stabile, favorisce la promozione delle parti sane della "mente istituzionale", ridimensionandone ed integrandone le parti distruttive.

La stabilità di un ruolo professionale infatti lo "riconosce" in quanto autorevole. Quindi l'autorità, se legittima, è la funzione propria di colui che promuove una "crescita".


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