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Seminari
di Neuropsichiatria, Psicoterapia e Gruppo Analisi
2011 - 2012

Concetto di follia nell’Islam

Dr.ssa Maria Antonia Ferrante
Coordinatore Dr. Domenico Surianello
(t) testo di relazione fornita dal relatore (r) elaborazione testi dialogo a cura Dr.ssa Antonella Giordani


Il Dr. D. Surianello, coordinatore dell'incontro, evidenzia che come al solito l'ultimo seminario è affidato alla Dr.ssa Maria Antonia Ferrante che vuole essere presentata solo come psicologa e psicoterapeuta gruppo analista. Aggiunge che è una persona sempre interessata allo studio e alla ricerca di usi e costumi dell'uomo di ieri e di oggi. Questa sera presenterà un' interessante relazione dal titolo “Concetto di follia nell’Islam” .

La Dr.ssa Ferrante, prima d'iniziare la sua presentazione, ringrazia il Prof. Pisani che affidandole ogni anno l'ultimo seminario, la sollecita nell' approfondimento teorico di nuovi argomenti.


(t) [ “ Il concetto di Follia nell’Islam ”

Premessa

Non renderei chiara la presente relazione se operassi un passaggio diretto al concetto di follia nell’Islam senza introdurre informazioni, sia pure sommarie, sull’assetto politico, religioso e culturale, in genere, dei paesi arabi prima dell’Islam.

I paesi arabi del nord, prima del 622 d.C. , data relativa al primo anno dell’Egira (égira; fuga di Maometto e dei suoi seguaci dalla Mecca a Medina) si sono meritati, non so quanto giustamente, il giudizio di terre percorse da tribù e sottotribù beduine nomadi, aggressive ed incolte.

L’era pre-islamica è nota con il termine giahiiyya, cioè “ignoranza”.

Difficile da accettare questo termine se ci informiamo dell’amore che queste tribù dimostravano per la poesia, per la musica e per la danza.

Il beduino è fortemente attaccato al suo clan ed alla sua tribù. Il capo del clan è il sayyd, anziano saggio, il quale incarna per il gruppo i valori della libertà, della giustizia, del legame di sangue; l’alleanza e la memoria dei padri.

Il nomade soffre la solitudine, è malinconico perché la morte gli cammina accanto. Ma è proprio il senso dell’ineluttabilità della fine che rinforza la sua fede.

Il poeta beduino è spesso un mistico esaltato. Così parla nei suoi poemi Al-Halaaj “Sei entrato nel mio essere con il tuo Amore, oh mia santità” - “Tu ti sei manifestato tanto da non avere che te in me”; amante e amato. (Dal testo di Mohamed Abdesselem, professore di lettere e Scienze Umane). Vivere nel deserto spostandosi per la sussistenza induce anche ad atti violenti di difesa. Ed è vero che nel deserto le tribù si attaccavano con ferocia, ma è giusto guardare gli altri aspetti di questo popolo errante sotto il cielo che era il tetto della propria casa. Nel deserto, i pre-islamici hanno espresso la loro solitudine in poemi di rara bellezza. Poemi evocanti la morte; soprattutto l’onorevole morte in battaglia. I Borana, islamici dell’Etiopia meridionale estraggono l’acqua dai pozzi organizzandosi in cordate e tirando su i secchi cantando. Da qui il nome dei “pozzi che cantano”. L’acqua è di tutti; nessuno, ricevendola, la paga. I canti poetici dei beduini, raccolti all’inizio oralmente, sono stati stampati e tradotti in diverse lingue. In lingua francese, nel 1977.

I beduini erano religiosi. Molti gruppi nomadi praticavano già arcaiche forme di monoteismo.

La maggioranza, tuttavia, era votata al politeismo espresso soprattutto dall’animismo e dal polidemonismo. Gli spiriti maligni possono aggredire ed indurre al male. Necessario il sacrificio per placare i djinni; anche quello umano. Perché meravigliarci dei beduini pre-islamici i quali placavano la furia dei demoni con i sacrifici cruenti, mutati nel tempo con il sacrificio di un animale o tramite offerte vegetali, se constatiamo che l’uomo continua ad uccidere l’altro uomo e senza le motivazioni dell’uomo del deserto: l’onore, la libertà e la difesa della propria appartenenza?

I miti portano i segni spaziali, climatici, geografici, i segni di tutto l’ambiente dove essi nascono. Ed i miti del deserto, dei beduini, non possono che essere l’albero della palma, sacralizzato, i betili, le pietre che spesso, in virtù dell’azione atmosferica, assumono conturbanti forme antropomorfiche. La dea cammella che nutre e conduce lungo le rotte carovaniere. Le costellazioni, anch’esse sacre perché il tetto dei berberi e dei beduini è il cielo.

Il sud del’Arabia era detto “Arabia felice” per le grandi civiltà che vi fiorirono. La città di Saba, nello Yemen, già nota nel II millennio a.C., fu terra di traffici commerciali, ricca di templi dedicati soprattutto al dio Luna . L’arte orafa era giunta ai livelli di mirabile fattura, come attestano i reperti ivi rinvenuti. E Petra, in Giordania, con le tombe monumentali scavate nella roccia. E Babilonia, nella Mesopotamia, conquistata dagli Arabi nel VII-VIII sec. a. C. i quali dalle civiltà sepolte trassero spunti per le loro opere d’arte.

È di questi anni la scoperta in Iran di una già supposta città: Aratta, oggi identificata nella cittadina di Jiroft, più antica delle città sumeriche. A Jiroft esisteva la scrittura geometrica già nel III millennio a. C. ed era attiva la produzione di vasi di clorite sui quali ricorre il motivo dell’aquila e del serpente, simbolo che attraverso le vie carovaniere e la famosa “Via della seta”, che copriva 8.000 kilometri dalla Cina, attraverso l’Arabia fino alle coste mediterranee, è trasmigrato sulle coste mediterranee e più tardi nell ‘America centrale, (vedi il dio Quetzalcoalt azteco: sepente ed aquila al contempo) sia pure con le trasformazioni locali. In Italia, esemplari di vasi con serpenti piumati che si confrontano aggressivamente sono stati rinvenuti in una necropoli di Canosa, 300 a.C., circa duemila anni dopo.


L’ Islam

Nel VII sec d.C., si manifesta l’Islam con il profeta Maometto. L’Islam si propaga soprattutto

nei 22 paesi della Lega Araba dove non tutti gli Arabi sono Islamici e non tutti gli Islamici sono Arabi. Lingua ufficiale è l’arabo; la religione ufficiale è l’ Islam. Ma gli Arabi islamici e non islamici, si sono localizzati in tutti i continenti adattando al territorio le proprie credenze. Accenno brevemente ai fondamenti della religione islamica secondo il Corano, sottolineando che dei 22 paesi arabi alcuni sono strettamente legati ai famosi hadith, i “detti” del profeta raccolti nella Sunnah sottoforma di pensieri, esempi di vita, consigli. I Sunniti sono fedeli alla Sunnah il cui termine significa “la Comunità”, ma anche “la raccolta dei pensieri, delle pratiche di vita, degli esempi che il profeta comunica ai credenti”.

Il partito che fa capo ad Alì, cugino e genero di Maometto, è quello degli Sciiti. In Marocco la prevalenza dei fedeli è sunnita.

L’islam condivide molti dei principi espressi dalle altre due religioni monoteiste: Ebraismo e Cristianesimo. L’Islam riconosce Gesù come profeta. Maometto è l’ultimo dei profeti; con lui la volontà di Dio si esprime definitivamente. Non ci sono intermediari fra il credente ed Allah. Il Corano, composto da 114 ripartizioni; ognuna delle quali detta “sura”, può essere comunicato da uomini saggi i quali si sono dedicati allo studio, alla lettura dei testi sacri, alla contemplazione mistica, ma anche all’azione di propaganda religiosa. Sono detti anche “santi”, ma non operano miracoli direttamente. Marabutto o marabit indica un eremita, ma anche un luogo di preghiera. Il termine deriva da murabit che significa legame, attaccamento. Il miracolo, quando ci si rivolge ad un santo marabutto, se avviene, è perché la fede aiuta a trarre beneficio dall’aiuto di un santo il quale si venera per la vita esemplare che ha condotto. Chi si reca a Marrakesh incontra, nel centro della città, un gran numero di piccole costruzioni a cupola; i marabutti, dove i fedeli sostano in preghiera. Il Corano non è seguito ed interpretato da tutti gli Arabi islamici nello stesso modo. I paesi arabi sono tanti, i fedeli un miliardo e mezzo; impossibile cogliere tutte le differenze della pratica religiosa; come diverse possono essere le linee di condotta in qualsiasi altro ambito. Qui, molto sommariamente, e generalizzando, segnalo le basi comuni condivise.

L’avvento dell’Islam ha fatto rinnegare da parte dei fedeli di Allah, di quelli ottusi ed accecati dalla credenza assoluta, detti oggi “fratelli musulmani”, “fondamentalisti”, fanatici incapaci di moderazione e critica, tutta la cultura pre-islamica. Dei loro predecessori, dei poeti beduini del deserto e della cultura pre-islamica dicono: “feroci, barbari; il loro sapere era solo di datteri e dromedari. La luce della civiltà, a loro avviso, si è accesa con l’ultimo profeta, con Maometto. Tale pregiudizio vige ancora, ma i dati storici parlano e declamano quanto parte dell’Islam sia ancora barbarica. Il Corano ordina e chiede la messa in atto degli ordini, ma i moderati islamici tendono a mitigare la shari’a, l’insieme delle regole religiose, sociali e giuridiche indicate nel Corano; cioè la Legge.


Il sogno e l’Oniromantica (abilità di interpretare il sogno)

Il sogno, per gli Islamici, ha valenza terapeutica. Il sogno è messaggero di bene e/o di male; è predittivo per il 40% della verità, ma solo un interprete irreprensibile, dal punto di vista religioso ed etico, può offrirne la chiave di lettura. Il Corano regola l’interpretazione del sogno essendo, il libro dei libri, l’unico mezzo per comunicare con Dio. Il sogno è in piccolissima parte profetica, dice la quarantesima parte di verità. Non esiste la classe sacerdotale, per cui solo un saggio, che non è un veggente, ma un mu’abbir, cioè interprete, può entrare nel significato del sogno. Ricordiamo che tutti gli eventi salienti della vita di Maometto sono preannunziati da sogni veritieri. Il sogno è buono se lo invia Allah; malefico se lo invia il demonio. Importante, nel sogno, l’oggetto sognato e il suo nome, soprattutto bisogna tener conto del significato del nome, di quello che gli si dà nel Corano e della valenza etimologica. Si può ricorrere, per l’interpretazione, al suo contrario . Ad esempio, sognare di piangere, purché il pianto non sia smodato, significa che è prossima la gioia.

L’oniromantica ha occupato e continua ad occupare un notevole spazio nella vita dell’islamico, ma già in era pre-islamica esercitava un forte potere convincente. Con l’avvento dell’Islam ogni sultano, califfo, o altro uomo politico, aveva il suo personale interprete dei sogni. Un radiofonista islamico il quale interpreta, attualmente, i sogni degli ascoltatori, ha dichiarato ultimamente che negli Emirati sarà istituito un corso di dottorato universitario sull’interpretazione dei sogni.

Il sogno è vero; è al ru’ya; è sempre buono perché d’oro sono le ore della notte quando, svincolati dai sensi, possiamo godere degli Angeli e della Luce. Ci sono anche sogni satanici, ma si rigettano perché procurano fastidio ed il sognatore se ne libera come si libera dei sogni detti “grovigli di sterpi”; insignificanti e non trascendenti come sono i veri sogni. I simboli onirici sono tratti dal Corano. Il più famoso fra i tanti libri sul sogno è quello (è incerta, tuttavia l’appartenenza) di Muhammud ibn Sirin, “Il libro del sogno veritiero” di epoca pre-islamica. Consiste in una raccolta di sogni personalizzati. Ibn Sirin interpretava in modo diverso lo stesso sogno fatto da due sognatori diversi; le interpretazioni erano diametralmente opposte. Interpretava nel gruppo: lui, i due sognatori ed altri personaggi presenti i quali rappresentavano parti del Sé dei due in causa. Dall’Islam in poi il sogno è interpretato in senso religioso. I simboli che vi ricorrono si ritrovano nominati, più volte, nel Corano. Sognare le uova significa sognare le donne perché nel Corano è detto “Esse sono come uova celate”. Sognare corvi e topi significa sognare persone turpi perché nel Corano è detto che “Corvi e topi sono turpi”.


Seconda Parte

Ho proposto il breve excursus sull’Islam in quanto la cultura coranica ha impregnato e continua a farlo tutta la cultura araba islamica. Non solo l’aspetto religioso, ma anche quello politico-sociale ed economico; quello medico-sanitario, il regime alimentare, i rapporti uomo-donna, i ruoli all’interno della famiglia. L’aria di cambiamento circola da tempo, ma il cambiamento è lento, timoroso, quasi temerario. In molti paesi arabi islamici il segno è più appariscente; in altri manca, addirittura. Il dato cardine di questa relazione è la constatazione dell’esistenza di tre diverse modalità di interpretazione e di cura della malattia mentale; atteggiamenti conflittuali tutt’ora presenti nella cultura medica arabo islamica.

Molti e valenti furono i medici pre-islamici i quali si ispirarono alla cultura greca in ogni ambito, soprattutto in quello filosofico, artistico, medico e farmaceutico. Molti testi di medicina furono tradotti in arabo, prima che ciò avvenisse nei paesi occidentali. Dante conosceva la lingua e la cultura araba “Avicenna e Averroè, scrive Dante, sono gli unici due filosofi mussulmani che possono sedere fra filosofica famiglia” (Inf., IV,132). Dal VI-VII, fino al XIV secolo d.C., molti valenti medici arabi praticarono la Medicina scientifica, ufficiale, anticipando le conquiste odierne in ambito di ogni forma di patologia. L’arrivo dei Mongoli arrestò per un lungo tempo il progresso delle scoperte mediche e farmacologiche. Nel Medioevo islamico non esisteva il termine psichiatria, ma all’interno dei primi ospedali vi erano settori speciali per i malati mentali. I primi bimaristan, luoghi per malati, sorsero in Siria: ad Aleppo e a Damasco, al Cairo, a Bagdad, a Marrakesh , a Divrigi, a Edirne (Turchia) ed in altre località avanzate nel campo del progresso scientifico, intorno all’ VIII secolo d.C.

Nei bimaristan vi era, per la cura degli psicotici: il reparto della musicoterapia, quello della cromoterapia, dell’idroterapia, dell’olfattoterapia, della terapia psichica e la zona per l’interpretazione dei sogni. AVICENNA, ovvero ‘Abu Alì al Husayn ibn Abdallah ibn Sina’, (980-1037) fu medico di grandi capacità intuitive, vissuto alla fine del X sec d.C. Turco, nato a Bukhara, parlava l’arabo e in lingua araba scrisse , fra gli altri suoi trattati, il “Kitaab al Qanum fii l al Tibb’” composto di 14 volumi (Il libro del “Canone della Medicina”). Avicenna sostenne l’importanza di una mente sana in un corpo altrettanto sano ed a questo riguardo consigliò l’assunzione di alimenti buoni accompagnati dalla pratica della ginnastica e l’uso di farmaci adeguati. Fra l’altro, ha scritto settecento ricette da confezionare, soprattutto a base di erbe, di nitrato di potassio, di aceto di miele . Ma non suggeriva solo queste prescrizioni. Avicenna affermava che tutte le scienze possono contribuire alla guarigione in caso di malattia: la musica, ad esempio, che insieme alle altre provvidenze contrasta gli elementi nocivi del corpo: la bile nera, la bile gialla e il flegma, il muco che si ritrova nelle vie respiratorie. Come altri suoi colleghi, Avicenna si ispirò alle opere di Ippocrate, di Aulo Cornelio Celso, di Galeno, di Rufo da Efeso.

A suo avviso, gli stati emotivi interagiscono con gli umori.

Avicenna si interessò dei disordini della mente ed a suo modo praticava la psicoterapia, quella definibile come paradossale. Non so se sia un aneddoto, ma si legge che Avicenna consigliò di metter un pesante casco sulla testa di uno psicotico il quale diceva di non avere più la testa. Dopo un certo tempo il malato supplicò affinché gli togliessero quell’oggetto dal capo. In un’altra occasione, visitò il figlio (o la figlia, secondo diversi testi) anoressico di un notevole personaggio, un pascià o sultano. Tenendo il polso del ragazzo, lo invitò a parlare. Il ragazzo disse di una città, di una strada, di una casa e qui si fermò per un attimo e prima che pronunziasse il nome di una giovane, il suo battito cardiaco aumentò notevolmente. Avicenna sentenziò che il giovane era affetto dal mal d’amore. Dai Mesopotamici Avicenna attinse l’uso, in farmacologia, dei cereali, dei lupini, di adeguate dosi di veleno, di narcotici, di nitrato di potassio, di vino (proibito dal Corano a meno che non serva per uso curativo), dell’elleboro bianco. Dai tuberi di questa pianta si ricavava una polvere dalle proprietà cardiotoniche e narcotiche; era usata per la cura delle forme maniacali e per l’epilessia. Tutto ciò nelle sue ricette. Quasi contemporaneo di Avicenna (844-926 d.C.) fu Abu Bakr Muhammad al Razi, conosciuto i n occidente come Al-Razi, oppure Razes. Ha scritto il famoso “Kitab al Hawi”, cioè il “Libro completo”. Con Al-Razi la clinica diventa più scientifica tramite l’introduzione dei tre interventi fondanti della Medicina: diagnosi, prognosi, casistica. Al Razi consiglia l’uso adeguato dell’oppio, della teriaca, medicina di origine animale, dell’hashish; moderatamente, della mandragola e di una specie di viagra, un afrodisiaco ottenuto con verdure e formiche vive; il tutto per ungere il pene. Anticipò gli studi di Mosè Maimonade, anch’egli grande medico nato a Cordova nel XII sec. d.C., poi trasferitosi a Fez. Anch’egli annetteva importanza alla sanità mentale come garante di quella fisica. Fu autore di libri sulla sessualità, molto graditi ai sultani. Importante, per Al-Razi, anche il digiuno periodico e la musicoterapia. Interessato, come tutti i medici del tempo, soprattutto alle forme di melanconia riconosciute come stati depressivi, consigliava il divago sottoforma di giochi; ad esempio quello degli scacchi, le partite sportive e quelle di caccia. A suo avviso la malinconia o melanconia non è una vera e propria malattia, ma un offuscamento della mente, spesso transitorio.

Furono Avicenna e Al-Razi ad introdurre l’uso del termine psicoterapia. Al-Razi parla di “tabdir” e di “nafsdni”, cioè terapia psichica (nafs significa anima). Nel suo trattato “Sira al Falsafiyya, cioè “Medicina Spirituale”, di ben 20 capitoli; 4 riguardano la follia ed il suo trattamento.

In questo trattato, Al-Razi descrive il dolore fisico e quello psichico ed i rimedi possibili; le droghe e il placebo, la musica, il divago, l’igiene alimentare. Si sofferma anche sull’ anoressia. Interessante segnalare”Il trattato della melanconia” di Isahaq ibn Imran (circa il 970 d.C.) tradotto in latino dal grande medico della Scuola Salernitana, Costantino l’Africano, autore anche di un testo tradotto dal greco in latino: “Sulla dimenticanza”. Altro grande medico, filosofo e matematico fu Aven Rushd, conosciuto in occidente con il nome di Averroè, (1126-1198) arabo andaluso di Cordova il quale, ancora giovane, si trasferì a Marrakesh divenendo medico di corte. Appassionatosi delle opere di Aristotele, del “De Anima” soprattutto, ne trasse spunti per le sue speculazioni sulla mente e sul pensiero. Anticipando il concetto di inconscio collettivo junghiano, afferma, detto in termini comprensibili, che il pensiero individuale muore con la morte del’individuo; ‘l’anima individuale è mortale, ma è il pensiero collettivo, l’intelligenza originaria che è eterna. A suo avviso, Il Corano contiene la religione perfetta. Il Corano va interpretato; non può essere compreso senza la decodificazione. Islamista convinto, Averroè non si lasciò captare, tuttavia, dal fanatismo religioso. La sua opera di Medicina, in sette libri, è il “Liber Universalis” “Medicina Generale”.

Per i medici arabi, per quelli che anticiparono la Medicina scientifica ufficiale, nella cura della malattia mentale è fondamentale l’identificazione del problema e la presa di coscienza dello stesso.

I medici arabi islamici hanno redatto un vero e proprio DSM (Manuale di Diagnosi e Statistica) con mille anni di anticipo rispetto al recentissimo manuale. In Medicina acquista importanza fondamentale la ragione, “al ‘aql”; la capacità di riconoscere la cosa giusta da quella sbagliata.

Nel pazzo, la al ‘aql , la ragione, non funziona più e pertanto non gli si può addebitare nessuna colpa; anzi, il folle va protetto. Egli è, secondo l’interpretazione coranica della malattia mentale un majnun , un posseduto da un djinn, spirito maligno. Il Corano ordina di proteggere l’alienato. Negli ospedali arabi medioevali il malato mentale era isolato nella semioscurità. Nei cortili vi erano fontane zampillanti che dovevano favorire la sedazione insieme all’isolamento.

Il secondo periodo di cura prevedeva il semi-isolamento e l’aumento della luce. Le finestre dei nosocomi erano protette da sbarre e per i malati furiosi, non essendo ancora in uso le camicie di forza, si usavano le catene. All’interno degli ospedali vi erano anche le farmacie.

Alla luce di questi presupposti entro nel vivo dell’argomento dividendo la presentazione del concetto di follia nell’Islam e delle relative cure in tre settori: Medicina pre-islamica; Medicina di impostazione scientifica, ufficiale, precorritrice della moderna Medicina (medicina praticata già prima del Medio Evo arabo da valenti medici, alcuni dei quali già nominati) affiancata alla medicina popolare, superstiziosa, primitiva; Medicina coranica ispirata ai detti coranici, al Sufismo ed alla ancora dominante presenza della medicina sciamanica e, infine, la moderna Medicina scientifica, di stampo occidentale in via di affermazione soprattutto in Marocco, in Tunisia e negli Emirati. In questi paesi è progressivo l’uso di farmaci psichiatrici moderni, gli stessi usati nei Paesi d’avanguardia nella Psichiatria, ma è ancora difficile convincere il sofferente psichiatrico a curarsi con tali farmaci e con interventi psicoterapeutici di nostro uso.

Parecchi psichiatri arabi sono emigrati, soprattutto a Parigi, essendo la lingua francese conosciuta nei paesi nord-africani e negli Stati Uniti. Lì, questi medici esercitano liberamente l’attività di psichiatri ed anche quella di psicoterapeuti, soprattutto nei confronti degli immigrati. Ma devono farlo, nei confronti di questi ultimi, con il referente etnico.

Fra questi, ben noto è lo psicanalista Fethi Benslama, lacaniano. Nel suo libro, “La psicanalisi alla prova dell’Islam”, difficile da capire, a mio avviso, l’autore sottolinea l’ assenza in Freud di un’indagine sull’Islam, sebbene Freud si fosse interessato di religioni.

Benslama, un moderatore di fronte all’irrisolutezza coranica, fa rilevare che la Psicanalisi non si può praticare nel’Islam secondo il modello “padre originario” con ciò che implica dal punto di vista mitico-antropologico, in quanto Allah non è padre. Allah non è stato generato e non genera. Non ha avuto padre e non ha figli; è sempre stato e sarà sempre.

Fathi Benslama cura anche gli Islamici, ma facendosi attento alla loro cultura, in quanto è consapevole del valore della tradizione per coloro i quali per necessità hanno lasciato il paese di origine.

Impossibile, egli ribadisce, utilizzare la Psicoanalisi nei paesi arabi islamici. Differenze linguistiche, religiose, credenze ataviche, stili di vita, istituzioni familiari etc…vanificherebbero questo tentativo.

Benslama afferma: “la psicoanalisi necessita di aggiornamenti”

Gli psichiatri che, coraggiosamente, restano nei loro paesi, a Marrakesh, a Casablanca, al Cairo, a Tunisi, praticano, con un eccellente espediente, tecniche di psicoterapia molto originali. Ai farmaci moderni si affiancano i farmaci artigianali che rassicurano i pazienti riottosi a farsi curare in ospedale. La farmacologia officinale è ancora di moda. La cura psichiatrica integrata è riconosciuta dal corpo medico psichiatrico di carattere scientifico come la più adeguata nei paesi arabi islamici dove è ancora molto radicata la credenza nei malefici, nella magia nera, nella possessione demoniaca, nel malocchio e nel Corano che propone solo la sua cura ; la Medicina coranica. Pertanto, il malato psichiatrico, convinto di essere posseduto dagli spiriti maligni chiede di avere con sé, se decide di farsi ricoverare (con l’inevitabile consenso della famiglia), degli amuleti. Gli si permette di averli con sé (la famosa mano di Fatima, l’occhio di Allah, diverse pietre investite di potere magico) e di utilizzarli, eventualmente, anche in alcune pratiche rituali. Recita le sue preghiere mentre lo si cura con i farmaci e con incontri di gruppo ai quali partecipa buona parte del personale infermieristico e il curatore sciamanico. In Somalia, gli operatori psichiatri adottano tale strategia in via di diffusione. Prima di tutto individuano i pazienti i quali si fidano, se non ciecamente, ma parzialmente, della Medicina occidentale e quelli per i quali sono necessarie delle precauzioni essendo del tutto scettici di fronte alle cure mediche moderne. Per i diffidenti, come già detto, l’operatore medico collabora con un guaritore coranico.

A Berbera, città somala, una ragazzina ammalatasi dopo un terribile trauma di guerra, è stata curata in questo modo. Gli incontri del gruppo composto dai due operatori: il medico ed il guaritore, da altre pazienti, dai parenti della ragazzina e dal personale sanitario, avvengono in una sala allestita per parlare di tutto; di vecchie storie locali, del disturbo della giovane e per gustare tutti insieme una tazza di tè. Il tè è per gli Arabi, islamici e non, la bevanda nazionale, necessaria contro la disidratazione, ma è anche bevanda molto simbolica. Bere il tè alla menta, insieme, è segno di partecipazione del gruppo ad un unico intento; è segno di alleanza e consenso. Questo caso clinico è stato segnalato da un gruppo di studiosi italiani: psichiatri e psicologi sociali che operano all’interno della transculturalità e dell’etnopsichiatria. Il gruppo si ispira alle tecniche di Tobie Nathan, egiziano, il quale non cura ricorrendo alla tecnica dell’elaborazione soggettiva del paziente circa il proprio disturbo, ma sul fare, nel senso letterale del termine, sul fare del malato. (Qui il ricordo di Ernesto De Martino, del suo libro “La fine del mondo”; dello spaesamento del contadino angosciato avendo perduto di vista il campanile di Marcellinara, il suo saldo punto di riferimento). Torno alla tecnica di Tobie Nathan : utilizzando le esperienza di vita del soggetto, lo si invita a collaborare, dopo aver creato un clima di fiducia e di intesa. Confezionare feticci, oppure procurarseli e portarli con sé, avere un curatore, pregare Allah ed osservarne le prescrizioni, portare il velo o il burka (se femmina), sono eventi della storia ancestrale del malato trasmessigli dal suo gruppo . La ragazza di Berbera dice che gli spiriti dentro di lei le vietano di assumere la pillola bianca, la cloropromazina. Si procede alla “decostruzione” dell’interpretazione del paziente per gradi, fino a quando la pillola bianca viene accettata e gli spiriti maligni abbandonano la ragazza. Si rifugge da interpretazioni psicoanalitiche, da suggerimenti comportamentistici, da approfondimenti cognitivisti; sarebbero inefficaci. L’idea della possessione può sfociare in una nuova consapevolezza. Lo psichiatra e lo sciamano affidano al feticcio che, infine, rappresenta il malato ed il suo sé sofferente, di diventare operante fino al punto in cui la ragazza decide di poter assumere con fiducia la pastiglia bianca e continuare a credere nel feticcio. Importante è la scomparsa delle voci pericolose e l’inizio di un nuovo stile di vita, anche se la fanciulla continua a credere nel djinn. Importante è che finalmente abbia abbandonato il suo corpo. .

A Bosaso, altra città somala, nelle cure psichiatriche si fa ricorso ai minghis, sciamani di cultura pre-islamica che collaborano con lo psichiatra andando periodicamente in ospedale per assistere il proprio malato.

A Casablanca funziona un moderno ospedale psichiatrico organizzato secondo i principi dell’etnopsichiatria; l’integrazione della cura sciamanica con la cura farmacologica moderna. In questo ospedale sono molti i pazienti che dichiarano si essere stati, anche accidentalmente, investiti dallo spirito maligno. Il maligno, secondo la concezione magica, si introduce ovunque: in una pietra, nell’erba del prato, perfino in una bibita. Se calpesti la pietra o l’erba o bevi la bibita, il maligno ti entra nel corpo. È inevitabile l’intervento dell’esperto il quale riesce a tirarlo fuori usando diversi espedienti: pozioni, preghiere, letture coraniche. Si va dai medici dell’ospedale nei casi disperati, dopo ogni altro tentativo fallito. Anche a Casablanca gli esorcisti onesti, i quali propongono al folle di andare in ospedale, dopo le sue pratiche infruttuose, viene accolto per continuare ad incoraggiare il malato. Purtroppo, se sono veri, si segnalano anche casi di abusi da parte di esorcisti islamici disonesti. E’ il caso trasmesso da una radio televisione libanese qualche mese fa.

Negli studi della radio è stato invitato l’esorcista saudita Sheykh Munir, un’autorità politica e religiosa, fondamentalista, che impone prudenza nel giudicarla. L’esorcista cita il caso di una sua paziente vergine, di 13-14 anni, da lui liberata dal demonio che le stava nella vagina. L’esorcista presenta agli intervistatori ed al pubblico che segue la trasmissione un involucro di stracci e corda di circa mezzo metro , vagamente di forma fallica, che dice di aver tratto dalla vagina della fanciulla in più riprese e senza toccarla. Troppo lungo riferire i dettagli. Non so se l’evento spiacevole, aberrante, sia vero; se la trasmissione libanese avesse interessi politici. Ci auguriamo che sia solo propaganda politica.

Attualmente, aumentano i convegni mondiali di psichiatria nei paesi arabi già citati: Marocco, Egitto, Tunisia, Emirati. Qualche anno fa il re del Marocco ha fatto sì che a Marrakesh si incontrassero psichiatri di tutto il mondo per trattare il tema dell’ ”Etica in Psichiatria”; nessuna relazione sulle psicoterapie. Purtroppo, in molti paesi arabi islamici, soprattutto nelle zone desertiche lontane dalle aree in fase di avanzamento; terre povere dove l’analfabetismo raggiunge l’80% per le donne e il 70% per gli uomini; dove le nascite non vengono registrate, la malattia mentale è qualificata, più che altrove, come possessione demoniaca.

Chi è convinto di essere posseduto si rivolge allo stregone che consiglia diversi esercizi. Ad esempio:

“Esegui questi giochi tre volte al giorno per esorcizzare il djinn. Leggi, leggi e leggi fino a quando il djinn si stanca (i djinn sono molto simili agli umani). Prega, prega, prega e non fidarti dei medici pagani, di quelli non islamici”. Oppure: “Recati presso un marabutto e rivolgiti al santo che lì dimora”.

Lo scrittore marocchino Tahar ben Jelloun che vive a Parigi, nel suo romanzo “Marocco”(più che romanzo è un libro di viaggio) ci parla dei tanti santuari siti in Marocco dove la gente, come accade dovunque, va in pellegrinaggio per implorare conforto e rassegnazione.

Uno di questi santuari è il mausoleo di Bouia Omar, santo deputato alla cura della follia. Qui, nel 2010, Tahar ben Jelloun ha assistito a scene raccapriccianti. Non è un santuario, ma un luogo dove i pazzi vengono curati sommariamente se le famiglie contribuiscono appena alle spese del miserevole mantenimento, altrimenti i folli sono lasciati lì, abbandonati. “Alcuni sono legati e chiusi con catene. “Volti che fanno orrore, scrive ben Jelloun, sguardi febbrili, smarriti, inquieti…”Questo è l’aspetto di un vastissimo mondo dove gli opposti sono al limite. Non è un caso che gli Arabi Islamici dicono che l’eccesso, in qualsiasi contesto, è nocivo.

Il Corano è Medicina; il Corano guida per la giusta strada i medici. I “detti” islamici sono farmaci benefici. Ripetere, ritmando, i versetti coranici più e più volte: questa è la migliore cura; solo così si guarisce; è un assunto di base degli Islamici estremisti. La pazzia è anche considerata una forma di esaltazione mistica; rapimento divino. Follia d’amore; follia di Dio. Il Sufismo rientra nella categoria della follia divina. Il termine sufi deriva da tasawwuf o suf che significa “lana”; forse il tessuto della tunica portata dai monaci sufi. Può anche significare safà, purezza. I Sufi, mistici attivi, lavorano, hanno famiglia e fanno parte di confraternite organizzate. Ma, pur essendo nel mondo, se ne distaccano per mirare continuamente alla visione divina. Il Sufismo, attraverso i suoi adepti, pratica la Medicina coranica erede di antichissime tradizioni risalenti allo sciamanismo, sia pure alla luce dei “detti” coranici.


Conclusione

Una cultura religiosa antica, quella pre-islamica, politeistica e molto simile alle religioni diffuse in tutti i paesi del globo. L’avvento dell’Islam ha modificato radicalmente la struttura politica, religiosa, artistica, economica dei paesi arabi islamici. Il Corano ha regolato e continua a regolare la vita degli Islamici, dei fanatici e dei moderati. I primi restano inflessibili; mentre predisposti a modifiche, anche di fede, sono i secondi. L’islam, tuttavia, è anche: arte, musica, poesia, danza, creatività, bellezza; bellezza misteriosa delle donne velate e di quelle i cui occhi soltanto vedono, parlano, ridono o piangono. Occhi conturbanti, portatrici di segreti mai detti. Nelle sconfinate terre arabe, il mare incontra il deserto; il deserto incontra i palmeti dove sosta ancora la carovana. Il canto del muezzin è preghiera e lamento di terre dove l’antico insiste per restare ed il presente preme per esserci. La malinconia o melancolia è qualificata, come ho già detto, come depressione nei paesi islamici, ed è forse, statisticamente parlando, la malattia mentale o disturbo mentale più diffuso. E ciò, a buon motivo a causa di una intransigente fede religiosa, a causa della politica del potere, dello sfruttamento, del maschilismo imperante, dei dislivelli sociali, della sub ordinanza della donna. È notte profonda, Amina e cinque sue amiche si incontrano a casa di Malika. Prendono il The. Dopo, praticano il rituale del Boqala, ovvero il canto poetico delle donne di Algeri.

Nel boccale viene versata l’acqua di sette fonti o di sette fontane. Ogni donna vi versa un suo gioiello. La più anziana per sette volte fa girare il boccale sotto un braciere dove brucia l’incenso. Recita formule magiche ed i versi di una poesia, mentre ogni donna riflette sulla propria vita. Una ragazza vergine tira fuori un gioiello dal boccale, a caso, ed invita la proprietaria del gioiello e poi tutte le altre ad analizzare i versi della poesia recitata dall’anziana; versi di carattere profetico: il risultato ruota sempre intorno al sogno di ogni donna araba: la propria emancipazione. È questa una psicoterapia tutta mediterranea.

Un pugno d’oro e uno insieme ho mescolato,

un presagio ne ho tratto.

L’anziana, figlia di al-Murtadha, ha detto:

Sarai sposa certamente,

come il burro con l’acqua si rapprende.]


(r) Fa seguito alla relazione il dialogo tra i partecipanti:

Dr. Surianello ringrazia la Ferrante che ha portato all'attenzione dei partecipanti informazioni importantissime e in gran parte sconosciute. Dopo aver sottolineato che sicuramente la nostra cultura proviene dai Greci, dai Fenici e dagli Egizi, in quanto sono loro i primi ad aver formulato la cultura attraverso la quale noi ci siamo successivamente formati, chiede quali siano i passaggi tra questa cultura e la cultura araba soprattutto quella islamica.

Dr.ssa Ferrante spiega che il monoteismo islamico ha molti collegamenti con il Cristianesimo. Sono delle religioni che fanno riferimento ad Abramo perciò hanno sicuramente delle radici comuni. Ad esempio: la Madonna ha avuto l’annuncio dall’Angelo ed anche Maometto l’ha avuto dall’Angelo Gabriele al quale, quando gli si presenta, obietta di non saper né scrivere né leggere, allora l'Angelo gli mette sulla testa una fascia dove è trascritto il Corano e Maometto riceve il miracolo di assorbire la parola di Dio, pur non sapendo né leggere né scrivere, mentre la Madonna ha avuto il miracolo di concepire senza peccato. Perciò i punti di contatto tra queste due religioni, come con l’Ebraismo, ci sono senza dubbio, anche se poi ognuno va per la sua strada e li sviluppa secondo le sue idee. Quello che forse molti Fondamentalisti dovrebbero capire è che il Dio è unico, anche se poi tu gli dai un volto diverso e lo siti alla Mecca o lo metti a Gerusalemme. A volte prevale l' ottusità dell’uomo di credere che il suo Dio non è uguale a quello dell’altro, quando invece dovrebbe essere unico ed uguale per tutti.

Dr. Surianello crede che quel Dio diverso tra una religione e l’altra sia una invenzione dell’uomo.

Dr.ssa Ferrante è la presunzione che fa dire all'uomo “il mio Dio è migliore del tuo”.

Dr.ssa G. Valacca che ha trovato interessante la relazione, esprime un modo diverso di concepire il problema della differenza che, secondo lei, è una questione del gruppo e del singolo. Si può parlare di differenza in un contesto in cui c’è l’uno (il singolo) e c’è un insieme di tante persone che nelle culture, primitive e non, per molti aspetti si ritrovano nel gruppo, ma per molti altri aspetti tendono anche a ritrovarsi in se stessi. Ritiene cioè che il concetto della differenza sia di necessità legato al fatto del dover accettare, da parte di ciascuno, l’esistenza di sé, cioè del singolo in rapporto al gruppo. Nel lavoro di gruppo non è possibile confondersi totalmente in esso in quanto attraverso l'analisi di gruppo ( medio – piccolo – large che sia) il singolo ritrova alcuni termini di se stesso. Quindi il problema forse può presentare questi altri aspetti un poco più complessi e meno riferibili alla non capacità di capire l'affermazione monoteistica di un Dio unico ed uguale per tutti. È che ciascuno vuole salvare in qualche modo se stesso, anche se per molti aspetti l’individuo singolo è tale rispetto al gruppo; però nella cultura occidentale l’individuo tende a distinguersi dal gruppo, se non addirittura a contrapporsi ad esso. Valacca sostiene sia un aspetto del problema a cui dedicare qualche altra considerazione.

Dr.ssa Ferrante reputa giusta l' osservazione e chiarisce che la sua affermazione rispecchia un desiderio utopico perché, pur auspicandolo, molto probabilmente non si avvererà mai il riconoscimento che il Dio è lo stesso. Giustamente nella differenziazione tra un Dio e un altro entrano in gioco tante problematiche ad iniziare dalla cultura insieme ad altre componenti che andrebbero appunto valutate una per una e che giustificherebbero quanto detto circa la necessità di avere comunque un proprio Dio. D’altra parte anche nel Pantheon greco, nel Pantheon sumerico ogni gruppo aveva il suo Dio.

Il Dr. C. Lo Jacono conosce l’arabo e sa leggere quelle frasi strane, invece non sa che vuol dire DSM e il Prof.Pisani spiega che il DSM è il manuale di classificazione dei disturbi psichici ideato dagli Americani.

Dr. Lo Jacono fa un' osservazione sullo psicanalista francese Fethi Beslama di origine nord africana, non condivisibile quando immagina che la Psicanalisi non sia applicabile agli Islamici in quanto le stesse identiche convinzioni religiose che ha l’Islam sono quelle che ha l’Ebraismo: un dio che non è rappresentabile, che non è nato, che non ha generato, che è inconoscibile se lui non vuole. La Psicanalisi nasce con Freud: un israelita, magari non praticante, ma tutto sommato immerso nella sua cultura. Quindi gli sembra una strana pretesa di Fethi Beslama e non lo giustifica perché altrimenti dovrebbe eliminare dalla storia della Psicanalisi tanti israeliti.

Dr.ssa Ferrante conviene che quello che si legge andrebbe anche criticato. In verità si è un po' meravigliata per quanto affermato dall'autore. Ha trovato poi questo libro pesantissimo da leggere, proprio lacaniano. Le è piaciuto solo quando parla del burca e della donna, però anche lì con una simbologia tutta personale. Insomma non è riuscita a leggerlo tutto.

Dr. Lo Jacono la ringrazia per l' interessante esposizione. Sottolinea alcuni punti che sono particolarmente importanti: il debito complessivo contratto dall’Islam dalle altre culture, da quella greca in prima misura (Costantinopoli, con cui trattava sempre, stava lì vicino), a quella ebraica, a quella persiana, cinese e indiana, come giustamente ha ricordato la relatrice. Gli arabi sono il 10% dei Mussulmani e quindi non sono neanche la maggioranza, debbono moltissimo della loro ascesa culturale ad aver attinto alle culture con cui sono venuti in contatto in tempo di guerra o per motivi economici.

Dr. Lo Turco è rimasto colpito dalla citazione di Nathan che ha un ambulatorio a Parigi dove cura persone provenienti da diverse etnie e li cura con qualche forma di gruppo. Nathan è di formazione psicoanalitica, fa etnopsichiatria, ha un ambulatorio a Parigi dove cura persone delle etnie diverse e naturalmente anche islamiche. Certo ha grande rispetto delle ideologie , delle religioni, della mentalità, dello strato socio economico e culturale delle persone, quindi tende a rispettare anche chi ama gli stregoni. Fanno delle grosse riunioni e cercano di curare le persone tenendo conto della loro mentalità. Gli pare che il rispetto delle etnie sia emerso anche nella relazione della Ferrante, ed è indubbio che bisogna averlo per l’Islam, ma anche per le altre culture. Lo Turco si riferisce poi al problema che la relatrice ha posto alla fine e cioè se sia possibile utilizzare la cultura che deriva dalla Psicanalisi. Reputa chiaro che Freud sia criticabile (ma è criticabile anche per la nostra cultura), tuttavia pensa che sia fortemente adattabile tenendo però conto delle lacune che ci sono. Il problema è riferirsi non all’uomo culturale ma all’uomo biologico, che ha gli stessi problemi nell’Islam, nell’occidente, cioè nasce, vive sempre in modo molto precario e poi muore. Secondo lui anche qui da noi bisogna che ci rendiamo conto che la Psicanalisi va benissimo, ma dobbiamo tener conto dell’uomo biologico che nasce, vive, muore.

Dr.ssa Ferrante: lo ringrazia per l' interessante intervento che arricchisce sempre di più i suoi dati.

Dr.ssa A. M. Meoni pensa la religione islamica come un qualcosa che si pone in un tempo storico abbastanza recente e quindi per alcuni versi forse più vicino a noi, più contemporaneo, ma non si diversifica dalle precedenti religioni riguardo il contesto di interpretazione della domanda fondamentale che l’uomo sempre si è fatto, oltre quelle biologiche, e che dalla preistoria ad oggi costantemente ritorna: il problema della trascendenza, cioè cosa altro c’è oltre quello che noi vediamo. Il grande dilemma se questo è un qualcosa che veramente esiste o no, se è una proiezione, un auto lenimento, un auto cura. Il fatto che l’Islam sia più recente, più contemporaneo, secondo lei, fa perdere di vista che all’origine di questa religione c’è essenzialmente una risposta a questa angoscia fondamentale relativa alla trascendenza. Un altro problema è riferito alla Psichiatria Transculturale. Lei non ha esperienze del mondo arabo però ha esperienza del mondo orientale, del Giappone in particolare. La Psichiatria Transculturale più che essere una disciplina di malattie diverse in giro per il mondo è piuttosto una disciplina psicopatologica cioè individuazione di diverse manifestazioni di sintomi nell’ambito delle diverse culture, laddove assurgono o meno a malattia. Riporta un episodio che le è sempre rimasto impresso nella mente. Quando l' hanno accompagnata a vedere il padiglione dei depressi in Giappone le hanno detto : “Questi non sono malati, è gente che non ha coraggio di fare karakiri. L' occidentalizzazione del nostro sistema sanitario che ci impone di curarli, ma noi non li vogliamo curare, non li possiamo curare perché non li riteniamo e non li sentiamo malati” Emerge dal pubblico una puntualizzazione terminologica tra karakiri e kamikaze e la Dr.ssa Meoni chiarisce che il kamikaze è un altro problema che ha la sua spiegazione in una radice culturale e non religiosa, perché in alcune culture il kamikaze è sostanzialmente l’eroe.

Dr. Lo Jacono evidenzia che è così anche nella cultura latina dove Publio Decio Mure si immola per convincere.

Dr.ssa Meoni precisa che siamo nel contesto psicoanalitico dell’ideale dell’Io, dell’Io Ideale. In merito a Freud, lei non è tanto d’accordo che la Psicanalisi non possa essere applicata, da parte culturale al mondo arabo e da parte religiosa all’Islam, perché in effetti l’impostazione di Freud nell’ambito delle religioni non è impostazione fideistica, lui dà una chiave, giusta o sbagliata che sia, in base alla quale qualsiasi religione propone, oltre una fede, una funzione normativa nell’ambito della situazione collettiva. Crede che questo sia applicabile anche al Corano con le sue regole. Anzi forse è il paradigma, se ci riferiamo alla differenza fra la religione e la politica, che sicuramente non c’è nel mondo arabo o non arabo, e comunque nella fede mussulmana. Quindi è proprio il classico caso dove la religione svolge una funzione normativa ben chiara, più chiara che nel mondo cattolico.

Prof.Pisani pone due quesiti, uno di natura clinico- nosografica, l’altro di natura psicodinamica. Le classificazioni psichiatriche di fatto iniziano con Kraepelin in occidente poi, attraverso varie evoluzioni, siamo arrivati al cosi detto DSM che è il manuale di classificazione psichiatrica ideato dagli Americani che serve a noi psichiatri come orientamento nel nostro lavoro. Kurt Schneider, che a suo avviso è stato e rimane uno dei maggiori esponenti della psicopatologia tedesca e occidentale (solo i Francesi sono contrari, ma loro sono contrari a tutto quello che non è francese), ha elaborato una classificazione semplicissima che noi possiamo seguire. Schneider divideva i disturbi sostanzialmente in nevrosi e psicosi: le nevrosi hanno a che fare con disturbi più o meno normali, ma quantitativamente diversi dal cosi detto normale; le psicosi sono disturbi che hanno a che fare con la perdita del senso di realtà; ci mettiamo dentro schizofrenie, paranoie, disturbi paranoidi, parafrenie, depressioni gravi, psicosi maniaco- depressive che ora chiamano disturbi bipolari. Sono dei criteri di orientamento. Chiede se nella cultura islamica, anche se di impostazione diversa, c'è una classificazione; se usano dei punti di riferimento da cui partire che seppur discutibilissimi sono dei punti di partenza per stabilire se qualcuno è da curare o meno, magari nell’ospedale generale e non nelle strutture psichiatriche. Dopo questa prima domanda di natura clinico nosografica, pone la seconda di tipo psicodinamico. Personalmente è stato per oltre 10 anni consulente al Centro di Igiene Mentale dell’Università di Roma la Sapienza, per cui ha incontrato tantissimi studenti orientali (arabi, africani, indiani) . Tra i molti arabi ha trovato spesso persone molto intelligenti e preparate nel loro campo (chi faceva fisica, chi ingegneria, chi medicina), che all’inizio si mostravano molto interessati ai gruppi analitici da lui condotti all’ambulatorio della clinica neuro. Arrivavano ma dopo una, due al massimo tre sedute, fuggivano spaventati. Pisani si rendeva conto che utilizzavano un meccanismo di difesa basato essenzialmente sulla razionalizzazione, molti sull’intellettualizzazione, però avevano una paura terribile di entrare in contatto con il mondo interiore, che certo erano i contenuti interiori del mondo occidentale, problematiche di tipo edipico e pre edipico: appena si cominciava ad entrare, fuggivano spaventatissimi. Allora poiché l’inconscio dell’Islam è l’inconscio sociale più che collettivo (chiarisce che l’aspetto collettivo ha più a che fare con l’inconscio collettivo indiano che è di tipo biologico, mentre l’inconscio sociale contiene sia aspetti di tipo biologico sia aspetti di tipo culturale), cosa c’è nell’inconscio sociale della cultura araba e di conseguenza nell’inconscio individuale ma soprattutto nell’inconscio sociale?

Dr.ssa Ferrante in riferimento alla prima parte della domanda, risponde che non sa come sono organizzati i grandi ospedali di Marrakech, di Damasco, di Tunisi e se abbiano un DSM uguale al nostro. Per quanto riguarda la seconda domanda evidenzia che si torna al discorso dell’entrare in una cultura a piccoli passi. Se uno studente arriva all’età di 20 anni da Marrakech a Roma, è logico che sia disorientato se immesso immediatamente in un tipo di studio, con alle spalle un esperienza di vent’anni. Anche nel caso in cui deve diventare medico e deve affrontare i libri di medicina per sostenere gli esami, è logico il disagio che prova di fronte ad un libro che espone la malattia. Se avevano il terrore delle spiegazioni come l’Edipo, questo e quest’altro, vuol dire che l’immersione immediata genera inevitabilmente la paura dovuta all'uscita da una cultura e al passaggio immediato in un'altra sia pure universitaria e di studio. Ricorda che nella sua attività di psicoterapeuta ha avuto un paziente mussulmano che ha fatto solo una seduta. È convinta di avergli fatto una pessima seduta, tanto che se ne è scappato; ha trascurato che quando si propone una riflessione ci vorrebbe una fase di preparazione. La reputa necessaria anche nelle scuole dove è giusto mettere i ragazzi italiani occidentali con quelli orientali. Lei, che è stata psicologa nelle scuole, ha potuto valutare l'importanza di una preparazione in anticipo: ad esempio c’erano dei ragazzini cinesi che quando si parlava di Roma dicevano “che schifo, che città brutta” in quanto mancava loro la preparazione per avvicinarsi alla nuova cultura. Non ha studiato Medicina e non sa come funzionassero le lezioni, ma pensa allo sconcerto degli studenti orientali di fronte ad una lezione sul corpo femminile proposta in maniera occidentale. Aggiunge che nella loro cultura ci sono ancora gli esorcisti. Ha visto un filmato alla televisione, presentato da non molto tempo, dove una radio televisione libanese ha invitato un esorcista famoso della Arabia Saudita e lui ha spiegato come ha salvato una ragazzina dalla possessione di un demonio dicendo “Vedete questo” (ed ha tirato fuori un pezzo di stoffa attorcigliato, brutto, rozzo, lungo mezzo metro, dalla forma fallica) “gliel’ho tirato fuori dalla vagina” L’intervistatore, abbastanza occidentalizzato anche se libanese, gli ha chiesto se la ragazzina fosse vergine, come sostenuto dall'esorcista, perché il fatto che avesse nella vagina tutta questa roba, faceva pensare ad una donna sposata. Alla domanda di come fosse avvenuto, l'esorcista rispondeva che non l’aveva toccata per niente e che questo coso malefico era venuto fuori da solo, piano piano. Alla Ferrante non interessa valutare la veridicità o falsità dell'episodio, quanto sottolineare quale ancora sia la cultura dell’ Arabia più centrale.

Dr. M. Bernardini osserva che da una parte vediamo delle pratiche magiche comuni a molte altre civiltà, pensa a Padre Pio o a Milingo che qui a Roma faceva gli esorcismi identici a quelli ora narrati e quindi non c’è nessuna differenza. Secondo lui l’Islam ha dato un contributo abbastanza importante su altre cose di cui si è parlato prima: l’attenzione per la Psicologia, per la Musicoterapia oppure per la Psicosomatica. Avicenna è proprio il teorizzatore della Psicosomatica. Tempo fa ha letto il saggio di Bruno Bettelheim che si dedicava alle Mille e una Notte come ad una terapia rovesciata, strumento molto utile quando si parla di ricerca del Sé, di ciò che è nascosto. Effettivamente è un itinerario molto diverso quello che fa un Mussulmano rispetto a quello che fa un Cristiano. Ad esempio il concetto di pace dell’Islam, è un concetto completamente diverso dal concetto che abbiamo noi in occidente, non c’è paragone tra le due idee. Quindi ci sono forme diverse e forme simili, oltre ad alcune anticipazioni importanti; in questa ottica va vista l’idea formidabile della terapia rovesciata : Le mille e una Notte che cosa sono? Sono mille e una seduta e queste mille e una seduta rispondono alla cura dell’insonnia, della depressione anche se in un modo alternativo. Questo dovrebbe far riflettere molto.

Dr.ssa Ferrante reputa che questo esorcista non possa meravigliarci più di tanto se poi vediamo che anche da noi esistono i santoni.


Prof.Tempesta fa riferimento all' ultimo intervento su quello che è stato nella storia l’atteggiamento del mondo Cristiano e del mondo Mussulmano nei confronti della malattia mentale. Invita a non dimenticare che nel mondo Cristiano la malattia di mente è stata vista nel medioevo come peccato, addirittura nel 500 c’era l' emarginazione, la pietra, cioè la tortura, venivano fatte delle pressioni proprio per ottenere l’espiazione, senza poi arrivare alle streghe e così via. Tutto ciò ha portato al “diverso” come un qualche cosa da eliminare dalla società e sono nati gli ospedali psichiatrici come momento di emarginazione, di chiusura, di difesa del sano rispetto a quello che era il diverso. Nella cultura Islamica proprio da quello che è stato l’approccio di Avicenna, ma forse anche l’approccio proveniente dal mondo berbero, che considera l’alieno cioè il diverso impossessato, appartenente al gruppo. È il collettivo che lo assorbiva, lo difendeva. Lui ha insegnato per sei mesi in Africa ed è andato a visitare l’ospedale psichiatrico. Il collega psichiatra, di formazione occidentale, che usava i manuali e la classificazione francese (in Costa d’Avorio c’è il centro per la psichiatria dell' OMS per l’Africa), gli diceva che questi malati esplodevano nel momento in cui venivano tolti dal gruppo del collettivo tribale e andavano nelle urbanizzazioni. Diceva “Li tengo in ospedale fino a quando è passata la crisi, poi finita la terapia per pochi giorni li tengo chiusi in una struttura tipo lager, quindi li rimando allo stregone, perché lo stregone li riprende in carico” . Questo è stato il rapporto dell’Islam, se vogliamo è un rapporto di presa in carico, di accoglienza, ma anche di rappresentanza di un collettivo che accetta il malato, mentre noi abbiamo dovuto elaborare tutto un percorso anti istituzionale. Se andate a vedere nell’800 l’organizzazione degli ospedali psichiatrici era una sistematizzazione in parte legata alle diagnosi o ai tentativi di organizzazione diagnostica ma erano dei lager, cosa che nel mondo islamico invece proprio il gruppo era un gruppo terapeutico. Riguardo l’Edipo, certamente dietro c’è la cultura familiare, di come viene concepita la famiglia: il Corano ti dà proprio una gerarchizzazione della struttura familiare completamente diversa dalla nostra, per cui è chiaro che il concetto di Edipo cozza contro questo aspetto che è fondamentale, che si è interiorizzato in una cultura dove la famiglia è gerarchicamente e strutturalmente costruita: è un collettivo molto solido che non offre spazi per elaborazioni individuali.

Dr. Lo Turco si sente più fortunato della relatrice per aver fatto una lunga analisi ad una collega dello Yemen che poi è diventata anche una allieva e gli ha raccontato una situazione abbastanza arcaica come cultura. Da una parte esiste una Medicina molto occidentalizzata che, pur essendo una Medicina ancora abbastanza povera, fa riferimento alla diagnostica occidentale e utilizza modelli occidentali per la medicina del corpo e della mente. Dall’altra parte c’è “l’Uomo Medicina”, cioè quello che cura con le piante. Tutto sommato sembra che la situazione sia quella di un' Italia di qualche decina di anni fa , cioè una cultura arcaica che, anche se abbastanza sorpassata, è comunque da noi ancora esistente in collegamento con la religione, basti dire che quando si parla di esorcismo, noi qui abbiamo addirittura l’istituzione dell’esorcismo e a Roma c'è il presidente degli esorcisti Amorth. Quindi esiste in modo diverso, ma esiste anche qui da noi, una cura più popolare, certamente più presente nello Yemen dove c’è la cultura tribale. Il nonno della sua paziente andava a cercare tutte le erbe per curare, era uno sciamano, era un curatore. Oggi forse da noi tutto questo sta sparendo, surclassato dalla medicina ufficiale, comunque qualche decina di anni fa era molto presente.

Dr. M. Muscarà conferma che a Casablanca c’è un mercato ricchissimo di erbe e di amuleti

Ferrante evidenzia che gli amuleti li abbiamo anche noi, ma facciamo finta di non crederci.]


Note di redazione:

(t) testo della relazione fornito dalla relatrice

(r) dialogo nel dibattito a seguire la registrazione vocale degli interventi dei partecipanti rivista dalla relatrice Dr.ssa Maria Antonia Ferrante.

Antonella Giordani agior@inwind.it e Anna Maria Meoni agupart@hotmail.com



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