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Seminari
di Neuropsichiatria, Psicoterapia e Gruppo Analisi
2009 - 2010

Il sogno secondo l’analisi mentale

Prof.Ignazio Majore
Coordinatore Dr. Volfango Lusetti
(r) elaborazione testi e dialogo a cura Dr.ssa Antonella Giordani


(r) Il Dr. Volfango Lusetti, coordinatore dell’incontro, dopo aver evidenziato che la maggior parte dei partecipanti conoscono il relatore, presenta il Prof. Majore come uno dei padri della Psicanalisi italiana anche se si è distaccato dalla Società Italiana di Psicoanalisi (SPI) in tempi in cui bisognava avere molto coraggio per farlo. Oggi i confini tra l’ortodossia e l’eterodossia sono poco definiti, ma negli anni 60 non era così. Il Prof. Majore ha scritto molti libri tra i quali il primo è “Principi di psicoanalisi clinica” uscito negli anni 60 e che ha avuto più edizioni: un libro che ha formato una generazione di psicologi, psicoterapeuti e psichiatri italiani. I libri che hanno fatto seguito dagli anni 60, sono i capisaldi del suo pensiero originale. I primi che lo hanno seguito sono “Morte, vita e malattia” e “Il circuito fallico”.

Nel complesso ha pubblicato otto volumi sulla Psicoanalisi.

Il libro che stasera sarà presentato è “ Il sogno”, uscito negli anni ’80: un approccio originale e personale alla tematica onirica, diverso da quello freudiano, nella linea nei i libri precedentemente citati.

Il suo ultimo libro che ha appena pubblicato è “ll corpo, la mente e la speranza”.

Il Dr. Lusetti dà la parola al Dr.Majore che presenta una relazione con il l titolo “Il sogno secondo l’analisi mentale”.

Il Dr. Majore ricorda che Freud è stato il primo iniziatore di un esame scientifico del sogno ( ma accenna al fatto che è difficile usare propriamente il termine scientifico nel nostro ambito). La lezione di Freud resta fondamentale anche se gli pare ormai superata per molti aspetti. Per poter esporre la sua impostazione sul sogno trova comunque necessario fornire una breve presentazione del pensiero di Freud sull’argomento. Per Freud il sogno è una realizzazione inconscia e allucinatoria di desiderio. Il desiderio è di realizzare frazioni di istinti proibiti o pericolosi: sono generalmente impulsi incestuosi collegati al complesso edipico o sono impulsi di tipo aggressivo. II sogno avrebbe la funzione di proteggere il sonno. Freud dice che simili desideri compressi o rimossi vengono parzialmente realizzati nel sogno, seppure in forma allucinatoria e simbolicamente travestiti, se ciò non avvenisse il sognatore non potrebbe dormire. Per lui quindi il sogno sarebbe il guardiano del sonno, Il sogno si svolgerebbe sotto il controllo della rimozione che è il meccanismo con il quale sono posti nell’inconscio, desideri, tensioni e persino ricordi che non possono esser realizzati coscientemente perché proibiti o pericolosi. Una funzione specifica chiamata “censura” li blocca nell’inconscio; la stessa funzione è attiva anche nel sogno seppure in maniera attenuata.

I desideri profondi possono emergere, ma in maniera travestita. Persino nel sogno infatti non viene riconosciuto il diritto di soddisfare, seppure allucinatoriamente, i desideri proibiti. Il sogno è quindi simbolico: permette la realizzazione di desideri senza che ciò risulti comprensibile al sognatore che si spaventerebbe. La rimozione è tale che farebbe persino dimenticare i sogni da svegli. Freud ha identificato nelle allucinazioni oniriche due meccanismi principali: il simbolismo e lo spostamento. Questo ultimo consiste nello spostare su un altro oggetto/ persona ciò che riguarda l’oggetto primario.

La lezione di Freud è unica: è stato il primo che ha osato porci di fronte a noi stessi con la psicoanalisi e con i sogni, che erano, secondo lui, la via principale d’accesso all’inconscio, insieme alle con le cosiddette associazioni libere.

Al Prof. Majore non pare che l’inconscio sia il luogo dove sono depositati soltanto ricordi, istinti proibiti e pericolosi. Egli lo considera invece un livello della mente originariamente primitivo, molto vicino alle strutture biologiche. Un livello di cui il sogno è in parte rappresentante e che condivide l’intera lotta biologica per la sopravvivenza. Sono meccanismi che cercano di conservare la vita contrastando la morte che conteniamo (apoptosi). La mente affronta la morte che è dentro e fuori di noi, ma in tal modo inevitabilmente se ne fa carico finendo con l’essere infiltrata dalla stessa, così come avviene per il sogno. La lotta della vita, che si riflette nel sogno si rispecchia in esso sicché il sogno diviene una sorta di biopsia mentale. Ma, infine, perchè si sogna? Per Freud si sogna per non svegliarsi. Per Majore invece il sogno non serve per ingannare il dormiente, siamo già variamene ingannati durante la veglia, non si vede il motivo perché anche la biologia ci inganni durante il sonno. Freud dice, giustamente, che il sogno ci giunge alterato. Il sogno infatti è perlopiù comunemente incomprensibile a prescindere dalla nostra presunzione analitica. In genere si ricava dal sogno soltanto la sua frazione emotiva, non il suo significato. Il sogno non viene abitualmente capito, perchè sarebbe necessario dimenticarlo ?

In realtà il sogno viene dimenticato perché è parte della vita della notte, dove cerca di portare a termine il suo lavoro. I sogni che si ricordano sono quelli che non sono riusciti a raggiungere il loro fine. Secondo il Prof. Majore il sogno è l’occhio della mente che dorme e guarda nel nostro interno. Il sogno è infatti composto da percezioni essenzialmente visive. A cosa serve dunque?

E’ un collaboratore del sonno, ha le medesime finalità restauratrici. Il suo modo di collaborare al compito del sonno, è una sorta di auto-terapia . Il sogno si sofferma spesso su aspetti o frazioni della nostre strutture che sono in difficoltà. Anche se la mente cosciente non riesce a capire ciò che ci sta succedendo la mente inconscia, quella che ha creato il sogno, sa comprendere ciò che ha fatto. La mente è capace di creare delle rappresentazioni strane nel sogno perché servono alla stessa che le utilizza. E’ stata capace di codificarle, è egualmente capace di decodificarle. In altri termini: il sogno segnala al resto della mente le zone, i momenti, i punti di sofferenza e cerca d’intervenire. Il sogno è abitualmente costituito da tre fasi: nella prima v’è un ambiente generico, un luogo senza particolare rilievo; nella seconda giunge un dramma od un avvenimento notevole (ciò da critici cinematografici americani è stato chiamato il punto di morte); v’è infine un tentativo di risoluzione che può o non può riuscire; in questo ultimo caso ci si può risvegliare angosciati e con la sensazione di aver avuto un incubo.

Per il Prof. Majore il sogno, rapportato alla funzione del sonno, ha due aspetti principali: uno è la funzione disintossicante che appartiene alla fase NON-REM; l’altra è la funzione ricostruttiva che appartiene alla fase REM. In questa fase intervengono i meccanismi di riparazione. Il sogno assomiglia, ad una rappresentazione di tipo cinematografico: i film sono sostanzialmente divisi in tre atti ( anche se formalmente meno frequente). Nella prima parte si mostrano delle situazioni comuni, ad esempio una casa dove si vive normalmente oppure una città dove avvengono riunioni di politici o di gente dell’economia. Nella seconda parte accade qualcosa d’insolito mentre nella terza parte si giunge ad una soluzione. Il sogno si svolge più o meno nella stessa maniera. Majore evidenzia che certe intuizioni freudiane, come quella della soddisfazione del desiderio e della rimozione, si possano recuperare, ma in altri termini.

Il sogno è effettivamente una soddisfazione di desiderio, il desiderio è però quello di star meglio. Se la persona rimane in situazione di disagio generalmente si risveglia, non perché non abbia soddisfatto un qualche desiderio, ma perchè il sogno non è riuscito a risolvere una situazione controversa.

Freud parla di rimozione nel sogno da svegli. Non sembra che ciò abbia molto senso perché del significato del sogno, con la sua versione simbolica non si riesce a capire molto da svegli. E’ però vero che la non percezione del significato evita il contatto con la morte. Ciò, in effetti, assomiglia molto a quello che Freud ha chiamato “rimozione”.

Il Prof. Majore ha cercato di identificare nel sogno alcuni processi tra i quali quello di “assimilazione dell’esperienza diurna”. Freud aveva parlato di sogni che vengono dall’alto e di sogni che provengono dal basso; i primi sarebbero determinati da situazioni esterne. In realtà quasi tutti i sogni risentono di stimoli esterni; quando una percezione esterna viene assorbita e stimola una situazione interna. Così avviene quando un pericolo corso durante la giornata penetra e si somma alla sensazione di pericolo continuo che viviamo in termini persecutori. Uno stimolo sessuale funziona allo stesso modo: una persona che ci interessa sessualmente, stimola un sogno che incide sulla nostra propensione ad essere sessualmente mobilitati. Così l’assimilazione di un’esperienza diurna diviene una evenienza interiore.

Il Prof. Majore ricorda che il sogno è un’organizzazione linguistica che si presenta in forme prevalentemente visive. E’ importante il fatto che il sogno sia stanzialmente una comunicazione intrapsichica: il linguaggio del sogno viene accolto dal resto della mente e genera reazioni adeguate che sono tentativi di sistemare le situazioni osservate. Il sogno non può creare le eventuali modifiche, il suo compito è registrarle e segnalarle. Se sogniamo che un ladro o un assassino viene messo in fuga, non è stato il sogno farlo fuggire, ma lo stesso ha registrato che la mente si è mobilitata, dietro sua segnalazione, per cercare di sistemare quel problema. L’ espressione del sogno è una manifestazione linguistica della dinamica mentale. Ebbene, in che modo il linguaggio visivo e verbale esprime situazioni profonde?

Qualcosa del genere avviene anche nella veglia. Una situazione lesiva, drammatica, o conflittuale non può essere rappresentata mostrando direttamente le strutture alterate. E’ invece comunicabile con un linguaggio visivo. Viene mostrata nel sogno, ad altro livello, per mezzo di una storia che dovrebbe assomigliare il più possibile a quanto è accaduto dentro di noi. Ciò, in fondo, fanno anche gli scrittori che creano drammi od altre storie complesse. Anche loro devono prelevare dal profondo le tensione inconsce e trasferirle nel racconto. La nostra vita è inevitabilmente sostenuta da tre diverse esigenze: la tendenza a vivere, la lotta contro la morte e la sessualità. Nel sogni queste componenti sono inevitabilmente presenti.

Freud ha trattato del simbolismo onirico che consiste nella sostituzione di un’immagine, di un oggetto con altra rappresentazione. Quel simbolismo non consiste nel mettere semplicemente un oggetto al posto di un altro, ma è piuttosto un modo di esprimere ciò che avviene nell’interno delle nostre strutture e che di per sé non è rappresentabile. Non perché sia proibito ma perchè le strutture non sono direttamente visibili anche se sono alterate. Il sogno tenta di tradurre in un linguaggio percepibile e significativo le situazioni strutturali che non hanno linguaggio. Ciò che giunge invece alla coscienza è fatto di dolore, paura, piacere: il sogno tenta invece di comunicarlo in termini linguistici.

Il Prof. Majore racconta un sogno tratto dal suo libro. E’ di un paziente in fase di miglioramento, affetto da una situazione d’estrema conflittualità con le donne e quindi con se stesso.

“Sono in una barca con parenti e amici; vedo una ragazza carina che sta annegando; mi butto per salvarla; lei si arrabbia per orgoglio e non vuole essere aiutata. Litighiamo e lottiamo fortemente. C’è gente, tra cui i nostri parenti che ci acclamano: è un rapporto di amore e odio. Infine facciamo pace e ci sposiamo”.

Il Prof. Majore ricorda ancora che il sogno si presenta in tre fasi: qui la situazione iniziale è quella della barca con parenti ed amici. Di seguito sopravviene il dramma: una ragazza carina che però sta annegando. Cosa significa?

E’ il rapporto del paziente con le donne ma è anche lui stesso che sta annegando nella sua patologia. ( era di fatto il paziente una persona fortemente angosciata che non riusciva ad esprimersi e vivere in termini emotivi e vitali). Nel sogno la donna si arrabbia e non vuole essere aiutata. Ciò mostra scissione nel paziente tra il livello cognitivo e attivo ( si tuffa) e il livello emotivo nei riguardi della donna e di se stesso. E’ scissione con la sua parte profonda che non vuole essere aiutata. In questo sogno, tuttavia, il paziente si tuffa e si trova in contatto ed in lotta con la ragazza. Ciò mostra il suo conflitto verso la parte di sé che non vuole essere aiutata. Alcuni pazienti percepiscono, infatti, il nostro intervento come fosse un’ aggressione. Lo è in effetti, quando le loro strutture anche se negative, sono collaudate e organizzate seppure nel malessere. Alcuni tra loro sono persone che non chiedono di modificarsi, vorrebbero adoperare la terapia come una sorta di medicina antiansia e rassicurante.

Nella seconda parte del sogno il paziente tenta comunque un intervento: si tuffa mentre parenti acclamano.

Questi parenti e amici che acclamano sono espressione di quel collettivo del quale non ha ancora parlato. Per il Prof. Majore il collettivo è l’insieme della nostra biologia, nella sua espressione mentale, che si muove in maniera analoga per tutti. La biologia vive, lotta contro la morte e cerca la soluzione sessuale alla vita. La biologia è nostra amica ma può essere la nostra nemica quando decide che dobbiamo essere eliminati; è insieme nemica e amica quando ci costringe alla riproduzione. E’ importante notare che mentre spesso sembra plausibile, e anche giusto, che il collettivo decida la riduzione della popolazione anche per mezzo di una guerra. Se invece una persona singola uccide un’altra è il collettivo che si sente attaccato. In questo caso il collettivo del nostro paziente sembra favorevole alla vita e quindi lo acclama. Il rapporto di amore-odio, che sembra provare verso la ragazza, finisce infine con un matrimonio di coppia. La vera soluzione del sogno è in realtà il migliorato rapporto con se stesso.

Fa seguito alla relazione il dialogo tra i partecipanti (r):

Il Prof. Pisani chiede al Prof. Majore come sia avvenuta la sua evoluzione . Era il più giovane didatta della SPI ora è giunto alla attuale impostazione. Ciò dimostra tra l’altro che, partendo da una posizione assolutamente freudiana, sia possibile sviluppare nuove idee in maniera personale.

Il Prof. Majore chiarisce che la sua impostazione attuale è espressione del tentativo di riflettere in maniera libera da coercizioni dogmatiche e scolastiche. Crede che il nostro lavoro possa portare a pensare in maniera autonoma. E’ la stessa meta che tenta di far raggiungere ai suoi pazienti. Chiarisce inoltre alcuni dei motivi che l’hanno stimolato ad elaborare un pensiero suo. Nel corso della sua formazione analitica aveva trovato molti insegnamenti di grande interesse ed utilità, ma aveva incontrato anche notevoli difficoltà a recepire punti di vista che non poteva condividere e che non riusciva a riconoscere nei suo pazienti. Non gli sembrava corretto che l’inconscio fosse il serbatoio del proibito, dal quale estrarre contenuti allo scopo di curare e guarire le sofferenze. Era un inconscio ideologicamente già disegnato dove prevaleva il magico potere della presa di coscienza. Trovava strano che Glover nella sua “tecnica della psicoanalisi” rintracciasse passo per passo, tutto quanto aveva detto Freud. Ogni paziente diveniva un trattato di psicoanalisi Freudiana. Majore ricorda invece il suo primo paziente. Era molto angosciato, fobico e spaventato, piangeva e urlava. Ciò che poté fare non fu tirar fuori il rimosso dall’inconscio, bensì aiutarlo, mettendolo di fronte alla realtà, proteggendolo e lottando insieme con lui contro ciò che lo devastava. Ricorda ancora che ogni incontro alla SPI, iniziava sempre con “Freud ha detto..” in modo ritualistico, catechistico. Un esempio della sacralizzazione di Freud: un giorno Weiss, fondatore della psicoanalisi italiana, venne a Roma dall’america, dove era direttore dell’Istituto di Psicoanalisi di Chicago. Ad un certo punto, durante una cena disse: “ … non ripetete quanto ho detto altrimenti possono pensare che io sia antifreudiano…”. Parlando ad altro livello ricorda che Freud parlava, giustamente dell’istinto di morte, ma mai ha accennato alla morte come fatto. Freud ha aggiunto che nell’inconscio non c’è la morte, perché soltanto i morti potrebbero conoscere la morte: ne consegue che la morte non può essere stata sperimentata e quindi non può essere rimossa e far così parte dell’inconscio. Freud si riferisce all’idea della morte e non alla morte come fatto. Il prof. Majore vuole riferire, anche per rispondere al Prof. Pisani, che pochi mesi prima di uscire dalla SPI fece un sogno: “….era di un giovane medico che stava con dei giornalisti e comunicava alla stampa che aveva scelto la libertà” Ha capito solo successivamente il perché del suo sogno.

Il Prof.Pisani dice che il Prof. Majore è uno psicoanalista che ha scelto di non restare legato al dogma, ma ha sviluppato il proprio libero pensiero; potrà avere ragioni o torti; essere nel giusto o nell’errore, ma è comunque una persona che ha realizzato un pensiero libero. Molte cose importanti sono in quello che dice il Prof. Majore e cita la valorizzazione della dialettica primaria, fondamentale e primordiale tra la vita e la morte. Pensa che tale dialettica sia fondamentale anche in senso Junghiano, come processo primitivo archetipico. L’archetipo è una modalità comportamentale e lo scontro primario tra la vita e la morte è l’archetipo più antico. Si capisce così molto bene quanto Il Prof. Majore dice, a proposito del sogno e della sua funzione riparatrice, che è biologicamente centrata e quindi al servizio della vita. Osserva che forse l’idea del suo porsi al servizio della vita, fosse implicita anche in Freud quando parla della realizzazione del desiderio. Riferendosi a personaggi famosi che il Prof. Majore ha avuto in analisi, chiede se Fellini fosse in terapia con lui quando aveva realizzato “8 e mezzo” :un film che sembra freudiano.

Il Prof. Majore informa che in quel periodo Fellini era invece seguito da un analista Junghiano. Prima di entrare in terapia con lui, aveva anche avuto un primo contatto con il Prof. Servadio e poi una lunga terapia con il Prof. Bernard, noto come capostipite degli junghiani italiani.

Il Prof. Pisani chiede che tipo di sogni portasse ll regista.

Il Prof. Majore risponde che Fellini sognava moltissimo ed esiste un libro dei suoi sogni da lui stesso disegnati. E’ fatto di sogni elaborati in maniera fantasiosa e caricaturale, ma veramente artistica. Ricorda l’ultimo sogno che gli raccontò: “un portalettere gli consegna una missiva indirizzata ad un certo “nessuno”. La apre ma vi trova soltanto un foglio bianco”. Morì purtroppo poco dopo in seguito ad un intervento per aneurisma, operato in Svizzera con una tecnica che in Italia era largamente superata.

La Dr.ssa G. Sgattoni torna alla funzione riparatrice del sogno sia come decifrazione e attribuzione di significato a ciò che non sarebbe decifrabile (e in questo svolge una funzione analoga a quella del linguaggio). Si chiede se i sogni non siano solo traduzione di uno stile individuale, ma vengano anche influenzati nello stile, dal contatto che il paziente ha con il terapeuta.

Il Prof. Majore è d’accordo. Sottolinea l’importanza della domanda che riguarda il linguaggio. Ricorda ancora che il sogno comunemente non viene capito, a parte la presunzione del terapeuta. Il sogno è compreso soltanto dalla mente inconscia, la stessa che l’ha creato. Come può un sogno tradurre una situazione profonda presentando invece dei fatti, per poi fare intervenire la mente?

Il sogno decodifica gli stessi simboli che ha prodotto a livello profondo, elabora al contrario la medesima trasformazione linguistica, che ha precedentemente organizzato.

La Dr.ssa Sgattoni, collega il codice visivo che il sogno utilizza, ad un problema neuropsicologico rintracciato in soggetti che hanno perso la capacità di decodificare stimoli visivi per definire un qualsiasi oggetto e dare significato a ciò che vedono. Pensa alla funzione riparatrice del sogno in soggetti che soffrono di agnosia visiva e che non riescono a collegare i diversi elementi, né dare loro una forma utilizzabile.

Il Prof. Majore parla del sogno come l’unico momento della vita, nel quale impossibilitati a vedere il mondo esterno, viviamo le nostre strutture che devono essere rappresentate da qualcosa che assomigli alle stesse.

Il Dr. V.Lusetti sottolinea come per il Prof. Majore il sogno e il sonno siano funzione auto riparativa della mente. Nell’ambito di questa funzione generale, il sogno ha una funzione ancora più specifica: quella di rappresentare alla mente stessa le proprie strutture, attraverso un linguaggio visivo, che possa essere comprensibile alla maggior parte delle strutture stesse. Quindi la sua funzione di base è riparativa. A Lusetti interessa il collegamento tra il sogno e il discorso più generale che è quello di “ morte vita e malattia” e del “ circuito fallico”. E’ un discorso in cui il Prof. Majore postula l’idea, molto originale, che nell’ambito della nostra mente esista un circuito riparativo in cui la morte, che è presente nella nostra mente così come lo è nel nostro corpo, viene fronteggiata e riparata facendo ricorso a forze antimortifere come la sessualità è. Il circuito fallico è la rappresentazione di tale dinamica della mente che crede si ritrovi anche nel sogno. Chiede a Majore di esplicitare ancora di più il legame tra questi aspetti: il circuito fallico nel funzionamento della mente e la funzione riparativa del sogno.

Il Prof. Majore afferma che nel sogno, come nella vita, v’e il tentativo di neutralizzare o almeno di combattere la morte. Il circuito fallico, che è un circuito di movimento sessuale, ne è la rappresentazione. Nel sogno il circuito è continuo: quando si parte da una vicenda indifferente e si arriva al dramma vuol dire che si arriva al punto dove è la morte. Il circuito interviene cercando di fornire sessualità proprio dove è quella morte. Il Prof. Majore crede che il circuito fallico non sia soltanto un circuito. Ma anche una sorta di feedback. Significa che ad uno stimolo si oppone una reazione, che assomiglia allo stimolo stesso e nello stesso tempo lo contraddice. In ogni reazione vitale alla morte c’è dentro la morte stessa. La morte fa parte del circuito della vita perché se non ci fosse il suo stimolo, non ci sarebbe la reazione della vita e viceversa; tutto ciò è anche nel sogno.

La Dr.ssa A.M. Meoni si sofferma sugli aspetti premonitori dei sogni ( l’ultimo sogno di Fellini sembra avere un valore premonitore), per chiedersi il significato di “premonizione”. Pensa che sonno e sogno appartengano ad una alterazione quali-quantitativa dello stato di coscienza (alterazione nel senso di differenziazione, cioè di situazione diversa dalla lucidità della veglia). Somigliano a tutte quelle situazioni di percezione, che hanno una vasta gamma di errori percettivi: da quelli francamente patologici ai fisiologici come è appunto il sogno. Ritornando al sogno premonitore, si chiede se lo stesso non sia l’aspetto di una realtà metafisica, come ad esempio sono le alterazione di coscienza delle meditazioni, per arrivare alle allucinazioni nei disturbi psicopatologici. Crede tuttavia sia esperienza diffusa, indipendentemente dalla classe sociale d’appartenenza, che quando le persone si liberano dall’impellenza concreta di sopravvivere, sperimentano quella situazione di riflessione e di raccoglimento, che fa porre attenzione ai tanti segni percettivi che ci circondano e che forniscono importanti informazioni. Si chiedeva se il sogno, nel contesto del sonno, potesse avere qualche equivalenza biologica, che dia informazione simile a quella che si ha in un momento di riflessione senza rapporti interpersonali: cioè quando si è da soli assorbiti nei propri pensieri.

Il Prof. Majore rileva che la somiglianza tra i sogni e quanto detto dalla Meoni è nel fatto che si è distaccati dal mondo esterno. Rispetto ai sogni premonitori reputa che il sogno sembra una premonizione, perché mostra un movimento che è già avvenuto dentro di noi e che si può sviluppare. Il sogno qualche volta precede quello che accadrà perchè è già avvenuto dentro di noi. Tutto quello che facciamo, lo facciamo prima in noi, e talvolta in seguito si avvera. Quando lui stesso ha fatto il sogno della scelta di libertà, non pensava per niente alla libertà, ma aveva dentro di sé quella richiesta. Quando Fellini ha ricevuto nel sogno un foglio bianco, non sapeva che la sua vita stava per finire, ma il processo negativo si muoveva già dentro di lui. Il sogno premonitore anticipa qualcosa che già è avvenuto o sta per avvenire nel nostro interno.

Il Dr. S. Zippari è curioso di sapere come era finita tra Fellini e Servadio.

Il Prof. Majore riferisce quanto gli ha raccontato Fellini. Andò in terapia da Servadio perché stava male. Servadio gli fece il discorso abituale delle libere associazioni, spiegando che poteva dire tutto quello che gli passava per la mente senza tener conto di legami sociali o pregiudizi anche se avvertiva ostilità contro il terapeuta. Fellini si guardò intorno e disse: “Sa, mi sembra che il suo studio sia un pò piccolo” e Servadio. seccato gli rispose; “ Ma no, va benissimo! E’ adatto al mio lavoro”. Fellini dentro di sé pensò “ Ma questo è scemo! Prima mi dice che posso dire quello che voglio e i poi si arrabbia” In realtà Fellini avrebbe inteso dire che Servadio era troppo piccolo per lui; questo ultimo si era risentito perché si era sentito diminuito come analista. Fellini tornò ancora qualche volta da lui (per mera cortesia disse) e poi gli mandò dei fiori e non ci tornò più, Uscendo da quello studio fu consolato dall’incontro con una bella ragazza..

Il Dr Zipparri chiarisce che la sua domanda era interessata al percorso del Prof. Majore come analista nella società psicoanalitica e poi come persona che se ne era distaccata. Il Dr. Zipparri pensa che si debba distinguere Freud dai freudiani e sottolineando che Freud è stato un pensatore eterodosso. Per questa ragione gli appare che il Prof. Majore per il suo gesto di indipendenza è stato più freudiano di tanti psicoanalisti che sono restati legati all’istituzione. Non conosce però a fondo il concetto di collettivo di Majore. Gli chiede, a proposito della sua rottura con l‘istituzione stessa, quale sia il rapporto tra il collettivo e l’istituzione.

Il Prof Majore spiega che ogni istituzione è un collettivo organizzato. Il tentativo di tali organizzazioni è di contenere gli aspetti pericolosi del collettivo stesso e indirizzare le forze biologiche verso finalità più complesse e vitali. Il collettivo però, anche se organizzato, si frammenta talvolta in vari gruppi che si lottano a vicenda. Le Società che dovrebbero contenere gli aspetti più pericolosi del collettivo stesso e utilizzare le migliori, spesso non ce la fanno e cadono nell’indifferenziato. Lo stesso può essere apparentemente superato con una idealizzazione sotto forma anche di ideologia. Purtroppo teorie innovative e persino rivoluzionarie, come è stata la psicanalisi, vengono assorbite nel collettivo, con effetti inevitabili. Rispetto al suo percorso personale è stato però decisivo e drammatico l’incontro con quel collega, suo supervisore, che andava a letto con tutte le pazienti. Majore non poteva saperlo anzi lo stimava. Si trovò di colpo di fronte ad un baratro: quel personaggio era un rappresentante importane della psicoanalisi italiana. Ne seguiva formalmente tutte le regole ma infine trasformava il proprio studio in un postribolo. Teneva un diario dove appuntava i periodi in cui le pazienti non erano fertili erano quindi adoperabili: tutto era fatto con stile austero da sacerdote. Come primo passo pesava le pazienti che restavano in mutandine: lo faceva in maniera distaccata, motivando di dover conoscere tutto delle sue assistite. Fatto il primo passo, inevitabilmente di sapore intimo, finiva col dire ad un certo punto e con aria professionale, che bisognava passare dal linguaggio verbale a quello pre-verbale.

Per Majore fu un colpo duro. Attraversò una crisi grave che insieme era un attacco moralistico. Fosse stato più forte avrebbe ribaltata la situazione per parlare con chi era ormai un malato. Majore sa che coinvolgimenti di tipo sessuale nell’analista non sono nuovi, ma non crede che quella strana sistematica maniera sia ripetibile. La sua reazione fu come il lancio di una bomba nella società psicoanalitica. Purtroppo tutto ciò recò molto malessere ai colleghi e portò discredito alla psicoanalisi medesima. Majore si vide anche costretto a riprendere tre pazienti che aveva inviato a quel suo supervisore. Tutte avevano subito quel trattamento speciale e tutte stavano molto peggio. Altro che terapia! Erano state invase dalla sua psicosi. Egli parlava da freudiano e spiegava la sua opera sessuale come il tentativo di fare progredire le donne, facendole transitare dalla fase orale fino a quella genitale, attraverso le frazioni intermedie. Avvenne qualcosa di terribile anche con un suo paziente uomo: cercò di portargli via la fidanzata, che questi gli aveva fatto conoscere. Quel paziente ebbe una crisi psicotica preceduta da un sogno: “fuggiva inseguito da qualcuno. Si precipitava giù per delle scale ma nel fondo c’era proprio il suo analista. Questi era la morte”.

Majore dovette curare anche quel paziente. C’è da chiedersi quanti di noi partono da una situazione mentale compromessa e quanti piuttosto sono invasi da malattie di pazienti che non sanno filtrare. Si può forse rispondere che le due componenti agiscono di conserva. Gli effetti negativi sono legati quantitativamente alla capacità di filtrare la patologia dei pazienti e alla capacità di reazione del terapeuta alla diversa invasività dei pazienti.]

Note di redazione

(r) elaborazione testi dialogo da registrazione vocale a cura di Dr.ssa Antonella Giordani

Antonella Giordani agior@inwind.it e Anna Maria Meoni agupart@hotmail.com


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