PSYCHOMEDIA --> HOME PAGE
SNP --> HOME PAGE

Seminari
di Neuropsichiatria, Psicoterapia e Gruppo Analisi
2008 - 2009

Psicopatologia di un caso di tossicodipendenza. Considerazioni psicodinamiche

Marcello Muscara, Salvatore Zipparri
Coordinatore Dott.Volfango Lusetti
(r) relazione da registrazione vocale a cura Dr.ssa Antonella Giordani (t) testo di relazione fornita dal relatore (r) elaborazione testi dialogo a cura Dr.ssa Antonella Giordani



Il Dr. V. Lusetti, coordinatore dell’incontro, presenta i relatori: Il Dr. Marcello Muscarà è neurologo. Ha lavorato per molti anni nella marina militare. Svolge la propria attività nella ASL di via Appia Antica. Presenterà il caso di una paziente tossicodipendente eroinomane, che sta seguendo.
Il Dr. Salvatore Zipparri psicologo, analista, che ha già presentato altri lavori, in base alla sua esperienza a Rebibbia, stasera ci parlerà della personalità tossicomania . È un argomento inedito perché generalmente si parla di disturbi di personalità, associati al comportamento tossicomanico.
Dà quindi la parola al Dr.Muscarà per la presentazione del caso clinico.

(r)Marcello Muscarà ricorda che nell’80, presso la ASL di via Appia Antica, furono istituiti i primi SERT verso i quali erano rivolte minacce di morte sia a chi si drogava, sia a chi li aiutava. In quegli anni iniziò questo servizio da cui ha tratto molti insegnamenti.
Il caso che presenta e che segue da poco tempo, ha un precedente: è una ragazza inviata da una signora che ha perso un figlio per overdose e che, alla morte del figlio diciannovenne, ha pubblicato tre libri. È lei che lo ha ritenuto adatto a seguire la ragazza. Dall’ 80 al 2000 ha visto molti casi, ma è rimasto colpito da questa ragazza, che è una studentessa universitaria, dotata di una bella mente e sa molte più cose di lui. Da quando ha iniziato a trattarla, nei pochi incontri avuti, gli ha portato films quali “Ritorno dal nulla”, “Cristiana F”, “Trasporting e il libro “Lo zoo di Berlino” che ha una bella postfazione di V. Andreoli.
Non è stato lui a parlare alla ragazza, ma la ragazza a parlare con lui, portandogli tutte queste notizie. Egli ha riflettuto sulla necessità di parlare perché le cose le sentiamo, le studiamo, leggiamo, vediamo, diciamo, ma non bastano a colmare i non detti, la solitudine e l’incomunicabilità. La ragazza sa meglio di lui le cose, ma resta il dolore. Chiarisce che la complessità del caso, non gli ha permesso di farne una sintesi esplicativa. Ritorna ai libri del ragazzo diciannovenne morto di overdose. Sono poesie da cui emerge la cultura, la consapevolezza, le emozioni, i sentimenti, ma non sono bastati rispetto a tutto il dolore provato, che traspare. La cosa assurda è nell’ossessione del male, nel non senso: il confronto è proprio con il non senso ed è facile trovare nella cronaca dello sviluppo di questa adolescenza tanti piccoli episodi, segnali di fronte ai quali i neuropsichiatri affermano l’inevitabilità della caduta nell’uso delle sostanze. Riferisce come Andreoli sintetizzi la difficoltà ad aiutare una persona che coglie già nell’insicurezza degli adulti, genitori o professori, le ragioni per andare a fare una bella corsa a Tor Bella Monaca, dove con 20 ¤ è facilissimo acquistare una dose. Noi sappiamo che il divieto non serve. Il paradosso è che per aiutarli veramente, non serve parlare di queste difficoltà coinvolgendoci, perchè percepiscono il nostro dolore o l’ impotenza. Il problema è allora riportare un discorso terapeutico, di sostegno scansando i “don’t” e ricostruire lentamente quel vissuto di maternage, come se il terapeuta potesse reinventare un seno che non sia la polvere “pura come la neve per strada”,come dice il protagonista del “Ritorno dal nulla”. Sarebbe stato utile estrapolare dai films, gli episodi principali che riportano storie autenticamente vissute. Ribadisce che nella situazione di realtà del SERT ha visto ragazzi convinti di farcela ad uscire che poi si sono rovinati, malgrado il metadone e i protocolli terapeutici previsti dai SERT stessi.
Ribadisce che non l’ha colpito il caso in se, ma l’invio da parte di una madre che ha perso il figlio e che non permette di liquidare il problema affermando che i genitori non sanno fare i genitori e che per i figli è più facile risolvere il problema con l’uso di una sostanza. Il problema, come dice Andreoli, non è la sostanza. Fare le conferenze sui danni cerebrali da droghe per dire quanti neuroni si sono bruciati, è importante per i neurologi per conoscere, attraverso le attuali metodiche, i danni prodotti dalle sostanze, ma non basta perchè il danno è soprattutto la solitudine che è stata trasmessa, non da un’ educazione imperfetta, né in casi di maltrattamento o di ragazzi che vivono nei ghetti: è la solitudine che troviamo anche in situazione di protezione, come quella del ragazzo. Conclude leggendone una poesia dal titolo “Due maledizioni”:

Maledetta portatrice di nulla .
Ora rivoglio il mio dolore.
L’aspetterò tutta la notte
Per montarlo fino alla rabbia.
Maledetti ladri del mio tempo
che avete avuto quello che volevate,
ma che non sapete nulla di ciò che avete rubato. ]


(t)Segue l’intervento del Dr. S. Zipparri dal titolo
La Personalità “Tossicomanica”

1. Premessa.
Benché l’ipotesi di una “personalità tossicomanica” trovi parecchio disaccordo tra gli studiosi, cercherò ugualmente di esporre qui di seguito gli argomenti a sostegno di un punto di vista così controverso. Generalmente, infatti, si parla più facilmente di disturbi di personalità associati al comportamento tossicomanico. Viceversa la posizione che si vuole qui sostenere si collega alla possibilità che esista una specifica “organizzazione di personalità” che si ritroverebbe più o meno invariabilmente in tutti coloro che sono inclini a fare ricorso ad un uso smodato di sostanze tossiche.
Il compito è estremamente arduo perché quasi tutte le ricerche tentate in questo senso (ma con eccezioni rimarchevoli!) hanno smentito la possibilità d’individuare una specifica “personalità tossicomanica”.
Credo tuttavia che tali ricerche siano viziate da un presupposto errato che tende a confondere i “patterns psicopatologici” con quelli “di personalità”, trascurando il fatto che analoghe condizioni psicopatologiche (come per esempio la schizofrenia) possono manifestarsi in soggetti dalla personalità molto diversa (violenti o, all’opposto, mansueti; creativi o affettivamente coartati; ecc.) e, viceversa, che determinate caratteristiche di personalità possono trovarsi invariabilmente in soggetti con le più diverse diagnosi psichiatriche.
Se dunque, come risulta evidente dalla pratica clinica, la tossicomania è un comportamento che può trovarsi associato alle più varie condizioni psicopatologiche (si droga il nevrotico , lo psicotico, il borderline e, addirittura, persino la persona “normale”), questo ci autorizza ad escludere che possano ugualmente sussistere specifici “tratti” di personalità che tendono a riscontrarsi nei più diversi quadri sindromici? Dopotutto la “personalità” è solo in parte collegabile (o sovrapponibile) al disturbo psichiatrico di cui può essere affetto un determinato individuo: e se è lecito aspettarsi che un “nevrotico ossessivo” sia ordinato, preciso e meticoloso come tutti gli altri individui con il suo stesso disturbo, nondimeno per un altro verso questo stesso soggetto potrebbe avere in comune altri “tratti” (un interesse spiccato per gli argomenti di natura sessuale, per esempio!) con altre persone affette da un differente disturbo mentale.
Tornando quindi alla tesi di questo lavoro, non è difficile constatare come, nonostante il comportamento “tossicomanico” si riscontri nella più grande varietà di condizioni cliniche, ugualmente e unanimamente è stato riconosciuto che le persone che fanno uso di sostanze siano accomunate da talune caratteristiche di personalità che tendono a presentarsi invariabilmente, indipendentemente da quanto diversi possano essere gli altri sintomi manifestati. L’individuazione di uno specifico “pattern di tratti” condiviso da tali soggetti ci porterebbe così a convalidare l’ipotesi che una “personalità tossicomanica” effettivamente esista.
Da ultimo intendo precisare perché preferisco parlare di “personalità tossicomanica” piuttosto che di personalità “del tossicomane” proprio per mettere in risalto come il comportamento di “assunzione” della sostanza sia in qualche modo secondario rispetto alla persistenza di questi “tratti”. Si tratta di un argomento squisitamente (e radicalmente!) “psicologico” che pone in primo piano la questione del lavoro psicoterapeutico necessario in questi casi anche dopo la scomparsa del comportamento di assunzione della droga e che va quindi ben al di là della cosiddetta “dipendenza fisica” cercando piuttosto di intervenire sulle condizioni “organizzative” della personalità che predispongono a fare uso di sostanze stupefacenti

2. Sigmund Freud e la cocaina.
Nei suoi scritti Sigmund Freud ha solo sfiorato l’argomento della tossicomania, pur essendo notoriamente un tabagista accanito, vizio che gli causò un tumore osseo alla mascella. Si sa inoltre che faceva un uso personale di cocaina, anche se non si potrebbe affatto definirlo un cocainomane nel senso che si attribuisce oggi a questo termine.
Non c’è qui lo spazio per approfondire i numerosi ed interessantissimi spunti che possono essere collegati alla “liason” di Freud con la cocaina. Ci si può limitare a dire, però, che nella proposta contenuta negli scritti di un giovanissimo Freud (poi espunti da quasi tutte le edizioni “ufficiali” delle sue opere complete!) di un uso “terapeutico” della cocaina è possibile intravedere una preconizzazione “ante litteram” della moderna “terapia antidepressiva” in un periodo storico in cui quest’ultima era ancora molto al di là da venire e la neuropsichiatria dell’epoca praticava soprattutto la “sedazione” degli stati mentali morbosi mediante somministrazione di morfina e oppiacei.
Contrariamente però a quello che ci si sarebbe potuti aspettare, date queste premesse, una delle poche volte che Freud parla di sostanze tossiche, nel “Disagio della civiltà”, esprime un giudizio tanto netto quanto ambivalente sulla soluzione tossicomanica, dicendo che “.. quando si tratta di eliminare una situazione di sofferenza il più rozzo, ma anche il più efficace metodo per influire sull’organismo è quello chimico: l’intossicazione”. Quindi Freud considerava la soluzione tossicomanica efficace, ma rozza al tempo stesso.

3. Cenni sull’abuso di sostanze.
Se ora guardiamo ai nostri giorni, possiamo introdurre il discorso sulle dipendenze patologiche così come viene trattato nel DSM-IV che contempla da un lato l’alcolismo e dall’altro le sostanze stupefacenti. Il DSM-IV distingue inoltre tra “abuso” e “dipendenza”.
Nei criteri diagnostici forniti dal DSM – IV per l’abuso di sostanze si parla di una modalità patologica di utilizzo di alcool o stupefacenti che porta ad uno o più dei seguenti disagi clinicamente significativi per almeno 12 mesi:
•incapacità a svolgere i compiti connessi al lavoro, a scuola o a casa;
•uso rischioso della sostanza (guidando l’auto, lavorando a macchinari di precisione ecc.);
•conseguenze giuridiche e legali provocate o correlate alla condotta di abuso.
Sarà il caso di notare che i medesimi criteri diagnostici possono caratterizzare anche il quadro clinico di quelle che oggi vengono definite “nuove dipendenze” non-tossiche (gioco d’azzardo, sex addiction; internet addiction ecc.).
Al contrario, se guardiamo a questi stessi criteri, dobbiamo necessariamente ridimensionare quel tipo di “tossicodipendenze tra virgolette” consistenti nell’assunzione esagerata di caffeina, tabacco (tabagismo) o, addirittura, la cioccolata: questi abusi non portano mai a conseguenze così gravose!
Tra le vere e proprie sostanze stupefacenti sono rubricate a) la cannabis e i suoi derivati, b) l’eroina, c) la cocaina, e d) le droghe sintetiche, tipo LSD, e quelle più recenti come l’extasi e similari.
A questo elenco, oggi, si potrebbe aggiungere anche l’uso “tossico” degli “stimolanti a base di anfetamine” a causa dell’attuale e preoccupante fenomeno di abuso, da parte di ragazzi adolescenti normali che devono prepararsi agli esami, di farmaci la cui principale indicazione consiste nella cura dei decadimenti cognitivi connessi al “morbo di Alzheimer”.

4. Eziologia della dipendenza patologica.
Naturalmente sono state proposte numerosissime ipotesi eziologiche per spiegare lo sviluppo della tossicodipendenza: ognuna di queste può tendere ad enfatizzare ciascuno dei complessi fattori che portano ad assumere sostanze stupefacenti e quindi ora l’elemento organico, ora quello psicologico ora quello sociale ecc.
Nella teoria psicoanalitica classica sono sempre state evidenziate le “componenti pulsionali orali” alla base della condotta tossicomanica (e questo anche quando la sostanza non è necessariamente assunta “per bocca”). Inoltre un’ipotesi centrale, per quella psicoanalisi che ha accettato l’idea freudiana della “pulsione di morte”, è quella che fa riferimento al concetto di “coazione a ripetere” che, come recita il titolo del saggio freudiano in cui fu formulata per la prima volta, si pone per l’appunto “Al di là del principio di piacere”.
Tra gli autori di orientamento psicoanalitico che si sono interessati più recentemente della tossicomania, l’elemento pulsionale “orale” è stato notevolmente (e non so quanto opportunamente!) ridimensionato a favore di una lettura del problema tossicodipendenza maggiormente centrata su manovre di tipo “adattativo”.
Tra gli altri meritano di essere qui citati Olievenstein (“Il destino del tossicomane”) e Bergeret (“Lo psicoanalista in ascolto del tossicomane”) oltre a Freda (“Psicoanalisi e tossicomania”).
Claude Olievenstein ha sottolineato che, se chiunque può fare un uso sporadico di sostanze stupefacenti senza per questo sviluppare necessariamente una tossicodipendenza, evidentemente ci deve essere qualcos’altro che porta solo alcuni individui a reiterare un’esperienza che negli altri rimane circoscritta ad eventi episodici.
Jean Bergeret ha invece ribadito come la tossicodipendenza possa svilupparsi all’interno delle tre grandi “strutture di personalita” a) nevrotica, b) psicotica e c) “depressivo – limite” (cioè “borderline”). Ma nonostante questa premessa, così come si evince dallo stesso titolo di un altro suo libro sull’argomento (“Chi è il tossicomane”), sotto differenti “macro-strutture psicopatologiche di personalità” risulterebbe comunque ugualmente possibile individuare, in chi fa abuso di sostanze, altre ulteriori caratteristiche di personalità, in qualche modo “trasversali” alle prime, che renderebbero molto più uniforme di quanto non sembri a prima vista il quadro di personalità del tossicomane.

5. La personalità tossicomanica.
Da un punto di vista meno psicoanalitico e più “descrittivo”, esiste uno storico studio sull’argomento che avrebbe individuato come il 78% dei tossicomani presentava un disturbo di personalità: in particolar modo il 14% aveva un disturbo borderline; il 10% un disturbo narcisistico ed il 55% un disturbo antisociale.
Si può qui notare come questi tre disturbi di personalità appartengano tutti al “cluster B”, e quindi fanno riferimento ad uno o più “fattori” di personalità piuttosto costanti ed uniformi.
Se perciò scorriamo la letteratura scientifica sull’argomento ritroviamo alcune “ridondanze” nel modo in cui sono descritti i tossicodipendenti. Qualunque sia il quadro clinico-diagnostico della patologia preminente, ritroviamo quasi invariabilmente nelle persone che abusano di sostanze stupefacenti (o anche di alcool), la presenza di alcune caratteristiche.
A parte la manipolatività, di cui si dirà nel successivo paragrafo, a proposito dell’Io astenico dei tossicomani (che si accompagna alla mancanza di confini chiari tra Sé e mondo esterno) si parla spesso di debolezza dell’io (di una struttura egoica fragile), di bassa autostima, incapacità di essere autonomi e totale dipendenza dagli altri.
Un altro tratto che è stato evidenziato in maniera invariabile è quello della compulsività, che in termini freudiani si può collegare alla “coazione a ripetere” e quindi ai concetti di “pulsione di morte” e di autodistruttività.
Una ulteriore caratteristica, evidenziata soprattutto da Bergeret, che probabilmente rende ragione anche della difficoltà di individuare uno specifico profilo di personalità del tossicomane, è l’estrema mobilità psichica.
Bergeret scrive in proposito che <<la psiche del soggetto tossicomane è in grado di imprimere accelerazioni e decelerazioni prodigiose a tutti quei processi che nelle altre strutture di personalità impiegano anni a strutturarsi o a destrutturarsi. […] Il tossicomane si trova a passare velocemente da una struttura ad un’altra, da un meccanismo psichico ad un altro (ciclo o rottura). Perciò il significato che può assumere l’assunzione di droga può essere diverso per uno stesso individuo>>.
Questa capacità o attitudine del tossicodipendente di riuscire a mutare rapidamente, ad organizzarsi e riorganizzarsi su aspetti di personalità differenti è un concetto difficile da comprendere e per esemplificare il quale io personalmente mi sono servito delle immagini del bellissimo film sul “Dr Jeckill” (nell’interpretazione celeberrima di Spencer Tracy) in cui il mansueto dottore si trasforma improvvisamente nel crudele e mostruoso Hyde. E già il solo fatto che questa trasformazione avvenga a seguito dell’assunzione di una sostanza (si ricorderà che Jeckill comincia ad assumerla nel suo “laboratorio” chimico dopo averla preparata personalmente fra alambicchi e provette), rende l’utilizzo delle qualità “simbolicamente” tossicomaniche di Jeckill quanto mai pertinenti nel contesto del discorso che stiamo qui facendo.
Questa mobilità psichica repentina, questo improvviso e velocissimo cambiamento di personalità possono rendere ragione, oltre che della difficoltà riscontrata dagli studiosi a trovare un univoco “modo di essere” del tossicomane, anche della rapida mutevolezza con cui questi soggetti cambiano, assieme al loro quadro organizzativo, anche le loro idee, i loro valori o i loro propositi al punto che, quando promettono con sincera convinzione che “smetteranno di farsi” da quello stesso giorno, si può essere sicuri che, appena usciti dalla stanza, cominceranno a pensarla diversamente.
A queste caratteristiche si può aggiungere ancora l’autosensorialità, un’aspetto studiato soprattutto nel caso dell’autismo infantile. Consiste nella tendenza a ricercare sensazioni vitali, ripiegandosi su se stessi (come fanno i bambini autistici, per esempio, dondolandosi). Nella tossicomania (soprattutto in quella “non socializzata”) è stato spesso osservato un meccanismo simile. Quando invece la droga è assunta “in gruppo” questo meccanismo tende a ridimensionarsi a scapito di tendenze imitative, emulative ecc.
Inoltre, a partire dall’osservazione di quei ragazzi che usano le anfetamine per prepararsi agli esami, si potrebbe aggiungere un’ulteriore caratteristica di personalità, peculiarmente legata alla tossicomania, a cui darò il nome di: “ricerca dell’effetto doping”. Si tratta della tendenza a “falsificare le carte”, a “truccare il gioco” e, in ultima analisi, anche se stessi: a presentare cioè un’immagine falsata di se stessi in grado di poter fare, proprio come uno sportivo “dopato”, qualcosa che normalmente non si saprebbe o si potrebbe fare. Ha certamente a che fare con l’insincerità del tossicomane ma va ben al di là del semplice scarso amore per la verità concretizzandosi in una predisposizione all’”alterazione della realtà” ed in una spiccata tendenza all’”artifizio”.
Riassumendo quanto siamo andati dicendo, in chi fa abuso di sostanze ed è portato a sviluppare una dipendenza da queste ultime, potremmo aspettarci di trovare i seguenti “tratti di personalità”, a costituire uno specifico “pattern tossicomanico”:
•debolezza dell’Io;
•compulsività;
•manipolatività;
•estrema mobilità psichica;
•autosensorialità;
•ricerca dell’effetto doping (artificialità).

6. La tossicodipendenza nell’arte, nella mitologia ecc .
A proposito di quest’ultima tendenza all’artifizio si potrebbero innanzitutto ricordare le pagine che Baudelaire, grande consumatore di vino e hashish oltre che di “assenzio” (l’eroina dei poeti maledetti!), ha dedicato ai “paradisi artificiali”.
Soprattutto questa tendenza all’artificiosa alterazione della realtà è esemplificata dalla figura di Dioniso, uno dei più importanti riferimenti mitologici per la tossicodipendenza.
Nel dionisismo infatti, al di là dei molteplici significati simbolici che vi si condensano, è espressa in modo particolarmente efficace questa propensione alla “falsificazione della realtà” che è alla base delle categorie del “teatro” e della “maschera” (sappiamo che Dioniso è il dio del teatro, il dio del travestimento; nelle tragedie che lo vedono protagonista, come Le Baccanti, si trova sempre questa idea dell’inganno e della menzogna espresse attraverso il mascheramento).
Sembra, addirittura, che il vino servito nel corso delle feste dionisiache non fosse come quello dei nostri giorni, ma una bevanda che veniva “alterata” con l’aggiunta di sostanze tossiche che provocavano fenomeni allucinatori.
Nel dionisismo troviamo espressa altrettanto bene l’idea dell’iniziazione. Non dobbiamo sottovalutare, per il tossicodipendente, la problematica dell’iniziazione: l’entrare a far parte di un “gruppo” col quale sperimentare insieme che cosa si prova veramente assumendo sostanze stupefacenti sembra riproporre una sorta di nuovo “culto antropologico” simbolicamente assimilabile a quell’antica religione misterica che fu il dionisismo.
Data l’elevata correlazione tra abuso di sostanze e disturbi di personalità del “cluster B”, di cui si è già detto, non ci stupiremmo di trovare nel tossicodipendente la disonestà e la menzogna del disturbo antisociale; la cronica sensazione di vuoto e le condotte suicidarie del disturbo borderline e, infine, la mancanza d’empatia caratteristica del disturbo narcisistico con il conseguente disconoscimento dei bisogni altrui e la tendenza a strumentalizzare gli altri.
Sono caratteristiche che hanno genericamente a che fare con la “manipolatività” del tossicomane. Possono trovare una singolare coincidenza con la descrizione psicopatologica del “caratteriale ostile-dipendente” che vive ”sfruttando” gli altri (come si vede dal suo comportamento, che non è solo manipolatorio, ma anche seduttivo e solo apparentemente “ipersociale”) e “dipendendo” da coloro con cui instaura un rapporto “simbiotico-parassitario”.
Questo rapporto di dipendenza fondato sullo sfruttamento, sulla manipolazione e sull’asservimento ci fa ritornare all’ipotesi psicoanalitica più antica sulla tossicodipendenza, quella basata sull’”oralità”, di cui negli ultimi tempi si è parlato sempre meno, ma che al contrario meriterebbe di essere rivisitata e riproposta nella sua giusta collocazione.
In realtà la dipendenza e molti degli altri tratti caratteristici del tossicomane riguardano proprio l’oralità. Soprattutto un’oralità di tipo “parassitario” che è “sadica” ma, al tempo stesso, “passivo-dipendente”.
Forse nessun’altra figura letteraria o cinematografica si presta altrettanto bene ad esemplificare questo “sadismo orale e dipendente” del tossicocomane come la figura del “vampiro” che ricorda un “drogato” per più di un aspetto, primo fra tutti quello della compulsività e della reiterazione notte dopo notte, a cicli regolari, dello stesso comportamento stereotipato finalizzato all’approvigionamento della sostanza tossica.
Questa, consistente nel sangue della vittima, viene letteralmente assunta attraverso un atto cannibalico (il morso sul collo) che oltre a ribadire l’oralità sadico-dipendente che “tossici” e “vampiri” sembrano avere in comune, ci dice molto anche del comportamento distruttivo di tali “sanguisughe” verso gli oggetti con cui stabiliscono il loro legame, le loro vittime, che è contemporaneamente autodistruttivo, dato che le vittime sono nello stesso tempo anche le persone da cui dipendono per la loro sopravvivenza, molto più di quanto non avvenga negli stessi rapporti sado-masochistici.
Che dire poi di questa condizione perennemente in bilico tra la vita e la morte che accomuna ancora una volta “tossici” e “vampiri” e che tanto ricorda le figure spettrali uscite dalla penna di quell’alcolista autodistruttivo che fu Edgar Alan Poe?
Esiste un film di qualche anno fa che sembra aver colto intuitivamente molte delle assonanze che sussistono tra “vampiri” e “drogati: si tratta di “The Hunger” (in italiano fu presentato con il titolo “Miriam si sveglia a mezzanotte”) dove David Bowie e Catherine Deneveu interpretano due vampiri dei giorni nostri, vestiti in maniera punk, che a mezzanotte in punto escono dalle discoteche a caccia delle loro vittime cui “succhiare il sangue”, proprio come noi potremmo immaginarci che facciano i tanti “tossici” che girovagano nelle nostre metropoli alla ricerca della loro “dose”.
Per finire, rimanendo nell’ambito delle suggestioni culturali, vorrei qui citare una frase tratta dallo “Zibaldone” di Giacomo Leopardi che, anche se non parla direttamente di tossicomania, centra comunque la questione dell’ ”artificiosità” contrapposta all’”autenticità” e mi sembra quanto mai adatta a concludere le considerazioni sulla “personalità tossicomanica” che ho cercato di proporre in questa sede.
Scrive Leopardi: “I mezzi più semplici e veri e sicuri sono gli ultimi che gli uomini trovano, così nelle arti e nei mestieri come nelle cose usuali della vita, e così in tutto. E così chi sente e vuol esprimere i moti del suo cuore l'ultima cosa a cui arriva è la semplicità e la naturalezza, e la prima cosa è l'artifizio e l'affettazione…….”.
Come dire che la soluzione tossicomanica è la più rozza, la più immediata, quella che non presuppone nessuno studio, nessun percorso interiore: ed è la più artificiale, la più falsa e la più menzognera di tutte.


Bibliografia
American Psychiatric Association, Diagnostic and statistical manual of mental disorders, 4th edn.: APA: Washington, DC, 1994.
Bergeret J., Lo psicoanalista in ascolto del tossicomane, Borla, Milano 1983.
Cotrufo P. et al., Tossicomania e organizzazione di personalità:risultati preliminari, Psychofenia – vol. VI, n. 9, 2003.
Freda , Psicoanalisi e tossicomania, Mondatori, Milano 2001.
Freud S., (1924-29)Disagio della civiltà in opere vol. X, Boringhieri., Torino, 1978. Kernberg O., “Aggressività, disturbi di personalità e perversioni”, Cortina, Milano 1993.
Olievenstein C., Destin du toximane, Fayard, Paris, 1983. ]



(r)Fa seguito alle relazioni il dialogo tra i partecipanti:

Il Dr. Lusetti propone la riflessione su due punti: il primo riguarda l’aspetto rituale della tossicomania. C’è un pesante ritualismo nel tentativo di modificare l’aggressività attraverso l’uso delle sostanze. La parola eroina viene dal fatto che queste sostanze vennero inizialmente sperimentate su chi doveva andare in guerra, quindi l’uso era per padroneggiare la paura. Attraverso l’uso delle sostanze si cerca di controllare l ’aggressività, così come di stimolarla; anche l’alcool viene assunto per poter compiere un atto delittuoso. Questo aspetto ha delle analogie con altri comportamenti rituali che conosciamo in psicopatologia. Si riferisce al caso dell’anoressica, presentato da Zipparri in altro seminario, come esempio di modifica di un comportamento attraverso un altro comportamento. Le perversioni sessuali sono un altro esempio, da manuale, di manipolazione: il tentativo di padroneggiare l’aggressività, attraverso la sessualità. Chiede il parere di Zipparri sul peso esercitato, nella difficoltà del trattamento, perché il tossicodipendente ha già la ricompensa all’interno del suo comportamento rituale.
Il secondo punto riguarda la citazione dei travestimenti dei tossicomani e del mito di Dioniso. Dioniso si traveste molte volte però poi viene preso dai Titani e fatto a pezzi e questo, cioè questi travestimenti vengono adottati per difendersi da una persecuzione (che gli sembra inviata da Era). Chiede se nel travestirsi del tossicodipendente ci sia un vissuto persecutorio, perché il tossico è sempre sotto una pressione persecutoria che agisce, ma che sente su di se.

Il Dr. Zipparri chiarisce di aver presentato un lavoro estremamente teorico, basato sull’esame della letteratura, pur considerando l’esperienza clinica che ha avuto rispetto alla tossicodipendenza. Anche nella pratica privata ha contatto tossicodipendenti, più spesso per problemi collaterali che non per la tossicodipendenza vera e propria perché, come indicava Lusetti, nella tossicodipendenza si riscontra il maggior numero di insuccessi terapeutici soprattutto quando si tratta d’intervento di tipo psicoterapico. Conviene sulla presenza dell’aggressività e della persecutorietà.

Il Dr.Muscarà sottolinea che il primo tratto notato nella sua paziente era questa invisibilità, l’ assenza d’identità. L’assenza d’identità ci fa facilmente mentire. La menzogna diventa una falsa maschera; un modo per dare un’immagine. Una personalità che non c’è, indossa maschere a volte giocose, a volte drammatiche, proprio come la “persona” del teatro latino e greco che non voleva dire tanto mascherare, quanto amplificare un’emozione o un sentimento. La maschera che si usava nel teatro greco e latino aveva la funzione di megafono. Quindi personalità significa saper mettere in risalto proprio quella parte della tua identità che o non hai o è insufficiente, per amplificarla. L’uso delle sostanze sembra aiutare in questo passaggio dell’assumere un ruolo che non ho o che non ho imparato. La paziente da bambina, si può dire che abbia avuto lezioni di perdita d’identità.. ad es. le dicevano “se ti guardi allo specchio, vedi il diavolo” La bambina piccola non ci capiva niente e quando guardava la propria faccia nello specchio, forse ci vedeva il diavolo: questa è una sottrazione d’ identità. Dopo che abbiamo parlato, la ragazza prima di uscire, gli ha chiesto se credesse a tutto quello che lei gli aveva detto. Egli, volendola sostenere, si era posto in ascolto di quello che diceva, ma lei che è una ragazza preparata, intelligente e che vuole essere aiutata, in tutta onestà gli ha posto questa domanda. Con i genitori è più facile mentire portando scuse di varie genere per avere dei soldi da destinare ad altro uso. È una menzogna che viene perpetuata per continuare a mascherarsi; è una maschera fatta di menzogna, ma è fatale, necessaria, irrinunciabile. Adesso la paziente è partita da Roma e gli ha detto che in valigia avrebbe messo qualche busta d’eroina per tranquillità, altrimenti doveva andare a cercarla. Non gli ha promesso di non portarla, per poi comunque comprarla dove andava. Quindi è il conflitto dell’essere costretti a mentire per difendere e tutelare una falsa identità.

Il Dr. Zipparri vuole fare un’autocritica sul come ha presentato la personalità tossicomanica che ha risentito di un controtransfert negativo. Ha parlato solo di qualità negative e la domanda di Lusetti gli serve per attutire quello che ha detto. La “falsificazione” nel SERT dove ha lavorato non era solo dei tossicomani, ma anche dei loro operatori che si prestavano a fornire certificazioni “indulgenti” per cercare di attenuare le pene detentive di questi soggetti. Spiega che così, invece di stare in carcere, potevano andare in comunità, con un alleggerimento della pressione carceraria. Rispetto all’osservazione di Lusetti che tutto nasca da un vissuto persecutorio, pensa che il tossicomane sia una vittima della propria fragilità, vittima della mancanza di contenimento che la sua storia personale, la sua struttura costituzionale, gli ha dato. È una vittima che però tristemente fa altre vittime tra le figure che gli sono intorno: per questo gli è venuta in mente la metafora del vampiro. Il vampiro diventa tale per aver ricevuto un morso: all’inizio è vittima, poi persecutore.

Il Dr. Lusetti chiarisce che lo ha colpito l’aspetto del piacere nell’essere aggressivo, cosa che non contribuisce a rendere il tossicomane simpatico.
Zipparri attribuisce il tono negativo del proprio intervento al voler dire qualcosa di inusuale sul problema del tossicodipendente del quale si parla sempre e solo come vittima della società che è vero, ma che lo ha spinto a parlarne da un altro punto di vista.

Il Dr. Muscarà evidenzia che l’aspetto trattato è di tipo caratterologico e ci riporta alla personalità psicopatica: colui che, poiché ha sofferto, ha come unica rivalsa il far soffrire gli altri. È così anche la cleptomania: rubare qualcosa anche se non serve, solo per infliggere nocumento alla vittima, tanto che spesso l’oggetto rubato poi viene buttato via. Così ci sono soggetti che rubano col certificato dello psichiatra in tasca. Riporta un episodio di pochi giorni fa dove i poliziotti hanno trovato in casa di un cleptomane una quantità di oggetti integri che aveva la compulsività di rubare, ma di cui poi non sapeva che fare. È il modo di difendersi dall’ansia, non del nevrotico, né dello psicotico. È il problema della caratteropatia che si esprime con la “pulsione a”.

Il Prof. Pisani evidenzia che sono stati trattati aspetti estremamente interessanti a partire dalla diagnostica, modalità con cui anch’egli si approccia ai tossicodipendenti. Lui preferisce continuare ad usare i criteri diagnostici di nevrotici, psicotici e disturbi di personalità o personalità psicopatica, perché una diagnosi di nevrosi e ancora meglio, di psicosi implica una prognosi tutto sommato più favorevole, mentre la diagnosi di disturbi di personalità, di personalità antisociale, come abbiamo sempre considerato la personalità psicopatica, comporta una prognosi sfavorevole.
Altra riflessione è relativa al nostro Freud, genio di grandezza infinita. Certo che s’intossicava col fumo fino a farsi venire il cancro, e non solo. Dopo che gliel’hanno diagnosticato, informandolo che il cancro dipendeva dal fatto che continuasse a fumare in modo così ossessivo, lui non ha smesso. È andato avanti per dieci anni ad abusare del sigaro fino a che ha chiamato Max Schur nel 1939 e gli ha ricordato che quando fosse arrivato il momento, sarebbe dovuto intervenire. L’uso e l’abuso è perchè il povero Freud aveva una depressione ipocondriaca ed è il motivo per cui ha scoperto la psicoanalisi. Si è cominciato a chiedere come mai riscontrasse in se stesso molti disturbi che gli portavano i suoi pazienti; ne dedusse che non era diverso da loro e attivò l’autoanalisi, prima della psicoanalisi. Quindi Freud aveva una depressione. Come è stato prima evidenziato, quando non si riesce a contenere i sintomi, in questo caso nevrotici, si può ricorrere all’uso di sostanze. A quel tempo le sostanze disponibili erano il tabacco, la cocaina e la morfina. Lui si difendeva in questo modo; oggi probabilmente Freud si sarebbe curato con antidepressivi, con l’anafranil, il laroxil, il tofranil.
A livello psicodinamico è d’accordo che in questi soggetti c’è una forte fragilità dell’Io e una marcata fragilità del Se, cioè del senso della propria identità, ma c’è anche una fragilità del Super Io.
Non a caso prima li mettevano nelle comunità dove Muccioli li picchiava e l’incatenava. Così come ricorda, al “Castello della Quiete”, dove tanti anni fa egli ha lavorato, l’intervento che consigliavano per i tossicodipendenti era quella d’imbarcarli su una nave per un anno, sotto la guida impietosa del nostromo.
Altro aspetto è quello dell’oralità. Un’oralità cannibalica, ma che esprime anche la ricerca del piacere distruttivo, attraverso l’assunzione di sostanze di morte. Quindi una specie di masochismo orale che ha molto a che fare col tradimento delle relazioni affettive. Pone una domanda rispetto al non aver chiaro perchè uno diventa tossicodipendente da alcool, uno diventa tossicodipendente da eroina, da cocaina, uno da giochi d’azzardo o altro.

Propone, insieme ad Anna Maria Meoni, per un seminario ad impostazione gruppale come questo, di sospendere la pratica della domanda e risposta e di avviare una discussione libera dove ognuno possa dire quello che pensa e i relatori se vogliono, intervengono.

La Dr.ssa L.Di Gennaro, per scelta non si occupa di tossicodipendenze, però non le sembra che Zipparri abbia dato una descrizione troppo negativa, ma che sia stato molto realista. La sua curiosità è sul perchè abbia inserito tra le tossicodipendenze la sex-addition o l’internet-addition, dove la tossicodipendenza è una patologia, mentre per le altre c’è più che altro una compulsività. Vorrebbe capire come sia arrivato a metterle insieme.

Il Dr. Zipparri risponde alla domanda chiarendo che, in riferimento alla propria formazione psicologica, ci tiene a ridimensionare i fattori organici. Pur non negandoli, non condivide la lettura della tossicodipendenza in chiave riduttivamente e esclusivamente organicistica che inscrive il bisogno di sostanze a livello genico del DNA. Ha voluto perciò mettere in evidenza l’esistenza di un filone di ricerca che troverà espressione compiuta nella prossima edizione del DSM (il DSM-V) dove è allo studio l’estensione delle sindromi di dipendenza, anche a situazioni “non tossiche”. Ci sono però delle analogie e delle differenze. L’autodistruttività nella sex-addition e nel gioco d’azzardo è presente, anche se non ai livelli mortiferi della tossicodipendenza; tuttavia nella sex-addition c’è gente che rischia la vita attraverso sessualità non protetta, aids etc. Non è quindi che non ci sia la morte, anzi secondo lui gran parte della sessuofobia è tanatofobia: non è che la gente abbia paura della vita, ma della morte. Sicuramente nell’eroina quest’aspetto mortifero è immediatamente più evidente e più forte. Evidenzia però che a volte la ricerca delle assonanze avviene a discapito di eventuali distinguo. Contraddicendo tutto quello che ha detto, fa presente che esistono dei singoli profili di personalità per le singole tossicodipendenze, che un individuo può sviluppare. Così l’alcolista è diverso dall’eroinomane; sono accumulabili rispetto a certe caratteristiche come l’io fragile, oralità etc, poi si cominciano a fare dei distinguo. Sicuramente l’autodistruttività in certe dipendenze, come la sex-addition, è ridotta rispetto all’eroina. Fa un distinguo tra cocaina e antidepressivo perché esiste una differenza sostanziale tra la cocaina che presa, anche a dosi terapeutiche, provoca lo sviluppo di una sindrome paranoide e l’antidepressivo vero e proprio. Noi diciamo che anche la cioccolata provoca dipendenza, poi però in sede di analisi non la consideriamo tale. Può esserci un uso tossicomanico degli psicofarmaci; quello di Freud, all’opposto, era uso terapeutico di una sostanza tossica come la cocaina.

Il Dr. Muscarà riferisce di una paziente tossicodipendente che non aveva paura della busta d’eroina, ma del prozac che le avevano prescritto in un ambulatorio di servizio sociale, come trattamento di una componente bulimica: lei ha sofferto il prozac, non ha sofferto l’eroina. Fa una considerazione sul piano pratico e non teorico: nei venti anni che ha lavorato al SERT come neurologo, le uniche gratificazione le ha avute quando il paziente era un tossicodipendente psicotico: il metadone non gli faceva niente; il serenase però faceva migliorare tutto il quadro. Togliendo il nucleo psicotico, anche la compulsività tossicomanica si riduceva. Il paziente in genere diceva di non essere schizofrenico, ma tossicomane: la maschera che aveva indossato da tossicomane era per non essere pazzo.

La Dr. M. Nocella riprende il discorso della ragazza che aveva paura del prozac e chiede quanto influisca il fatto che la droga la sceglieva lei, mentre lo psicofarmaco le veniva prescritto dal medico.
Il Dr.Muscarà valuta che la paziente non si sentiva depressa. Il medico le aveva prescritto il prozac perché è notorio che, in caso di bulimia aiuta, ma era antitetico al suo profilo di personalità. La domanda posta è in realtà: perché si sceglie un eccitante o un sedativo? La tua personalità ha bisogno di essere contenuta o di essere stimolata? La scelta diventa di ordine psicologico. Bisogna parlare di psicofisiologia e di neurofisiologia.

La Dr. A.M. Meoni in base alla propria esperienza, che non è selettiva sui tossicodipendenti, ma sugli psicotici adulti, reputa che uno psicotico non è tossicomanico tanto volentieri, spesso fa un incontro con le sostanze, lo stesso alcool, ma generalmente sta troppo male in relazione all’assunzione di sostanze per sviluppare tossicomania o dipendenza.
Altro problema diagnostico importante è invece quello di trovarsi di fronte a quadri psicotici secondari all’assunzione di sostanze esogene, a principiare dall’alcool. Non per essere organicisti, ma è una realtà che l’assunzione e l’abuso di sostanze tossiche, induca una patologia psichiatrica. Racconta poi un aneddoto su un infermiere conosciuto nel manicomio del Veneto, quando lei era un giovane medico e lui stava per andare in pensione. Quando dal manicomio si passò al servizio di diagnosi e cura che accoglieva patologie non più selezionate e quindi anche tossicodipendenti, un giorno dopo un intervento di PS, le disse “dottorè, mi sti drogai non me garba pè niente; l’etilista me fa pena perché beve pe lavorà; il drogà non me fa pena perché se droga per non lavorà”. Questo ha importanza per una società come quella veneta dove bisogna lavorare, lavorare e lavorare. L ’intolleranza dell’infermiere, di fronte alla tossicodipendenza, era motivata dal rifiuto del drogato della società. Non avendo le forze, si drogava per una sua debolezza, per l’incapacità di far fronte a richieste pressanti, sia di ordine affettivo, sia produttivo.

Il Dr. Muscarà ricorda una delle prime lezioni in clinica sui meccanismi di difesa, in cui si parlò della psicosi schizofrenica come di un estremo meccanismo di difesa della natura che ti fa entrare nella psicosi per non distruggerti completamente. Un’estrema difesa patologica. L’autismo come difesa dall’insopportabilità del reale. Nel tossicodipendente c’è proprio questa insopportabilità dell’essere una persona normale: un impiegato, operaio, infermiere, per cui i soldi che recuperano li trasformano nell’unica medicina possibile che è la busta. Zipparri evidenzia che c’è una grande distinzione da fare tra alcolisti e tossicodipendenti. Ci sono poi tanti profili di personalità, quante sono le sostanze. La cocaina viene presa da soggetti che vogliono superare sentimenti depressivi e d’inadeguatezza. L’eroina al contrario viene presa per avere situazioni di distensione. Poi ci sono altre droghe con effetti completamente diversi. È vero anche che le droghe slatentizzano delle patologie coperte. In contrasto con tutto questo, esiste poi il fenomeno della politossicomania, cioè soggetti che hanno la tendenza a sviluppare dipendenze dalle più varie sostanze. Dunque la realtà è molto più complessa di come cerchiamo di ridurla per un’esposizione.

Il Dr. Majore sottolinea la difficoltà a distinguere quanto sia dovuto alla struttura di personalità del malato e quanto invece dipenda dalla sostanza tossica. Vediamo persone che, fatte in un certo modo, dopo qualche tempo si modificano: appare la bugia, la copertura,la coazione. La sostanza tossica è potentissima: altera la personalità. Da una parte eccita, dall’altra abbatte; è generatrice di una confusione mentale per cui il tossicodipendente si attacca a quello che trova non solo fuori, ma anche dentro di sé. Ha visto persone che avevano nevrosi o psicosi normali, completamente trasformate per aver assunto sostanze. Stesso effetto anche con gli psicofarmaci. Riporta l’esperienza di una collega che si era imbottita di psicofarmaci e che avevano fatto ricoverare per ben due volte. Era diventata un’altra persona: mendace, variabile nel comportamento, coatta. La descrizione del tossicodipendente qui presentata è molto bella, ma molti quadri che vengono fuori, sono dovuti propri all’alterazione della sostanza. È vero che la sostanza tossica tira fuori cose che uno ha, ma è anche vero che altri aspetti li copre.

Il Prof.Callieri sottolinea che gli sarebbe piaciuto sentire da Zipparri, qualche parola riguardo la totale diversificazione a seconda delle varie culture, come ad esempio la cultura che portò alla guerra dell’oppio. Sono culture socio-economiche tremende che portano a non abolire i campi di coltivazione di papavero e quindi tutte le collusioni socio-economiche che obbligano turbe di dipendenti a servirsi di quello che danno loro a meno prezzo. Quindi la dimensione principale, che non è stata sottolineta, è quella socio-economica e politica. Se non teniamo conto di questo aspetto, facciamo una serie di considerazioni riferite solamente alla nostra cultura occidentale, a seconda delle nostre provenienze: lo psicoanalista, il somatologo. Questo aspetto antropologico- culturale è utile, ma è l’aspetto socio economico che coagula in se tutti gli aspetti. Pensa che il territorio d’azione di Zipparri possa darci molto, in merito alla possibilità di venire in contatto con persone di diverse provenienze culturali.

Il Dr.Zipparri, che ha avuto in passato tale esperienza , non ha voluto esaurire con questa presentazione tutto quello che si può dire sulla tossicodipendenza. Ha cercato di tirar fuori comunque un profilo di personalità, senza escludere aspetti sociali, relazionali, anche se si fa la critica da solo: gli sembra che questo profilo di personalità sia una tautologia poiché si parte dalle caratteristiche di personalità e da esse si fa derivare il profilo. Evidenzia che esiste una marea di argomentazioni sulla droga, certamente più importanti, come quella evidenziate dal Prof. Callieri sugli aspetti economico-sociali . Conclude affermando che probabilmente il profilo di personalità non è elemento causale, ma consequenziale.]


Note di redazione:
(r) registrazione della lettura presentata così la registrazione vocale degli interventi dei partecipanti sono state riviste dai relatori.
Antonella Giordani agior@inwind.it e Anna Maria Meoni agupart@hotmail.com
Note di redazione (t+d): a cura di Antonella Giordani


PSYCHOMEDIA --> HOME PAGE
SNP --> HOME PAGE