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Seminari
di Neuropsichiatria, Psicoterapia e Gruppo Analisi
2008 - 2009

Bullismo
Franca Rimicci

Le radici biologiche della violenza
Volfango Lusetti


Coordinatore dr.ssa Leandra Taborra
(r) elaborazione testi da registrazione vocale a cura della Dr.ssa Antonella Giordani con revisione dei relatori



La Dr.ssa L. Taborra, coordinatrice introduce i relatori.
Presenta la Dr.ssa Rimicci che è laureata in lettere moderne e in psicologia ad indirizzo applicativo. Docente d'italiano e storia nelle scuole superiori, ha maturato esperienza di adolescenti da circa 40 anni. Ha preparato progetti d'intervento didattico, educativo e psicologico nelle scuole di Roma e dell'Abruzzo. Ha attivato Servizi CIC (Centri Informazioni Consulenze: servizi che assicurano la presenza dell'esperto per i docenti, i genitori e che dovrebbero essere per legge attivati in tutte le scuole). Attualmente è docente di metodologia per la comunicazioni, con corsi di aggiornamento per docenti della scuola media e superiore. E' specializzata in terapia familiare ad orientamento umanistico. Ha seguito un corso di grafologia. Ha partecipato ad un corso per genitori efficaci, secondo le teorie di Gordon. Per la scuola media dell'obbligo, ha pubblicato i seguenti testi: "Il bambino come persona" e "Comunicare con gli adolescenti". Fra le sue tante attività ha collaborato col Prof. Pisani presso l'Ambulatorio di Neurologia nell'Università degli Studi di Roma.
La Dr.ssa F.Rimicci che parlerà del "Bullismo"

La Dr.ssa Taborra presenta il Dr.V. Lusetti che esercita la professione di psichiatra dal '65. Ha contribuito a numerose esperienze per il superamento degli ospedali psichiatrici, prima e dopo la legge 180; ha diretto per molti anni le attività psichiatriche sul territorio in alcuni dipartimenti di salute mentale. E' stato Primario dell'ospedale di Tivoli, reparto di psichiatria, attualmente è in pensione. È analista didatta dell'Associazione Italiana di Analisi Mentale di Roma. È autore di numerosi articoli pubblicati su riviste specializzate; ha scritto il libro "Cannibalismo ed evoluzione"in cui propone un originalissima ipotesi dell'origine della coscienza. Il Dr. Lusetti aggiunge che ha recentemente pubblicato "Psicopatologia antropologica" Edizione Universitarie della Dr. Pallai, che ospita i seminari.
Il Dr.V.Lusetti che esporrà il tema "Il tatuaggio come comunicazione pre-verbale: dalla persecuzione all'appartenenza".


"Bullismo" presentazione di Franca Rimicci.

La Dr. Rimicci ringrazia il Prof. Pisani che le ha offerto l'opportunità di affrontare l'argomento del bullismo, parola ricorrente, ma spesso usata in modo improprio. Spiega che sui giornali viene denominato bullismo qualsiasi tipo di manifestazione violenta che coinvolga dei ragazzi, il che non è assolutamente corretto. Quando dei ragazzi invadono la scuola, l'allagano, rompono le suppellettili ecc., non si tratta di atti di bullismo, ma di vandalismo e di teppismo, ed è molto diverso. Il bullismo ha una connotazione precisa: è un insieme di comportamenti, di prepotenze, insulti e violenze perpetrate da una persona su un'altra. Non è neppure vero che riguardi una specifica età, tanto è vero che il mobbing dovrebbe esserne la traduzione adulta, in campo lavorativo. Purtroppo le inesattezze riportate nei giornali depongono per la scarsa conoscenza della precisa connotazione del fenomeno "Bullismo" e delle sue caratteristiche che sono fondamentalmente due: intanto l'azione deve essere ripetitiva e poi deve essere fatta con intenzionalità.
Gli studi sul bullismo sono iniziati in Norvegia dove Dan Olweus, professore di psicologia all'Università di Bergen, negli anni '70, ha dato questa definizione scientifica in base alla quale l'azione del bullo rispetto alla vittima è compiuta in modo intenzionale e ripetuto. Altri studi sono stati condotti recentemente in Italia da Ada Fonzi che nel '97 si è occupata di bullismo. (confr."Il Bullismo in Italia - Il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla Sicilia - Ricerche e prospettive d'intervento"Giunti Editore)
La Dr.ssa Rimicci evidenzia che quando un ragazzo danneggia la scuola si tratta di atti di teppismo che va punito, anche giuridicamente. È vero che più si parla di bullismo, più viene a galla come problema e più è necessario trovare soluzioni per poterlo arginare. Il bullismo è un fenomeno dilagante che non va sottovalutato: esso richiede dei mezzi adeguati per arginarlo che purtroppo spesso non lo sono. Riporta un articolo di un giornale dal titolo "Bullismo-inchiesta", nel quale viene evidenziato che tutti i ragazzi portano un coltello della lunghezza di quattro dita, il che è legale. I ragazzi lo portano nello zaino e loro stessi spiegano che il coltello serve per difendersi, per farli sentire "fichi", per fare impressione sulle ragazze. Questa moda viene soprattutto dall'Inghilterra dove ha sortito effetti tragici, se pensiamo che nel 2008 trentaquattro teenager sono morti accoltellati. Questi fatti però non hanno a che vedere col bullismo: qui si tratta di fatti gravi di violenza. Il bullismo è invece un insieme di comportamenti molto dannosi, perché il bullo è in realtà un ragazzo che vive in un ambiente che lo porta ad essere prepotente. Affrontando le cause del bullismo, vediamo che il ragazzo vive in un ambiente dove c'è la violenza e dove manca la collaborazione e la cooperazione familiare: il ragazzo riporta questo copione appreso dai genitori. Il bullismo si origina poi nella competitività all'interno della famiglia dove non c'è rispetto per l'altro. Non ultimo sono dannosissimi i reality. Le bulle sono peggio dei bulli. A differenza dei maschi, che agiscono in modo violento picchiando ecc., le femmine sono sottili e perverse. Operano un tipo di bullismo psicologico: parlano male della compagna, la isolano cercando di metterla da parte. Nella maggior parte dei casi si atteggiano a ragazze vissute imitando le ragazze delle classi superiori. La Veggetti-Finzi parla dei " lividi dell'anima " che non si vedono, ma restano dentro e sono molto più dannosi, perché intaccano l'autostima dell'adolescente. La Rimicci propone di riflettere sulla crescita dell'adolescente che per formarsi deve distaccarsi dal genitore, cosa che comporta la comparsa di un profondo senso di colpa. Per vincerlo deve accorparsi col gruppo. Se il gruppo lo rifiuta non solo l'autostima non si forma, ma viene compromessa l'identità stessa. Quindi quando queste ragazze cercano di colpire una compagna, le fanno un grosso danno perché la vittima, che di solito non ne parla con nessuno, perde l' investimento e l'interesse per la scuola; non studia più, oppure manifesta dei fenomeni psicosomatici, come attacchi di panico e di ansia. Il luogo dove nasce il bullismo è la classe, il bagno, il corridoio, la palestra, il tratto di strada percorso da casa a scuola: è in questi luoghi che accadono i fatti di bullismo. Le bulle determinano dei grossi danni alle vittime che possono continuare nel tempo. In genere il ragazzo bullo, se continua con i suoi atteggiamenti prevaricanti e violenti, finisce per compiere reati e andare in carcere: avrà anche da adulto atteggiamenti con conseguenze gravi.
Il fenomeno del bullismo non solo non è capito dai genitori, ma neppure dai professori, anche se l'adolescente dà in classe, così come a casa, tutti i segnali. Un adolescente che prima studiava e poi non studia più, che prima era allegro, poi non lo è più, che prima mostrava un certo atteggiamento, poi ne ha un altro, sicuramente ci sta dicendo qualcosa che bisogna saper leggere. I professori rivolgono spesso domande disarmanti come ad es."...in classe ho un bullo, che devo fare, lo mando dal preside?" La Dr.ssa Rimicci sottolinea che la lascia perplessa sia la domanda, in quanto non considera che l'insegnamento è un' attività estremamente creativa che può individuare strategie per risolvere il problema, sia la soluzione dell'invio del bullo dal preside, perché non serve. Al bullo la punizione non solo non serve, ma gli dà importanza ed avvalora il suo sentirsi importante. La punizione rinforza l'importanza che egli già sa di darsi. Non è quindi produttivo inviarlo dal preside è invece produttivo mettere in atto percorsi di accoglienza considerando che il bullo è un adolescente che non fa soffrire solo la vittima, ma soffre in prima persona la propria solitudine. I ragazzi nascono tutti uguali, è l'ambiente intorno che li cambia e che li porta a danneggiare gli altri non sapendo tirar fuori l'umanità che hanno dentro. Il professore pone tale domanda deve capire innanzitutto le dinamiche che ci sono nella sua classe e che quando esse sono disfunzionali la didattica non può andare avanti. Tuttavia spesso i docenti non accettano la proposta di risolvere prima le dinamiche, interrompendo l'iter didattico e riprendendolo solo dopo aver ristabilito un clima sufficientemente adeguato all'apprendimento. La proposta della dr.ssa Rimicci è che, successivamente all'interruzione della didattica, si facciano emergere i problemi e poi soprattutto si formi il gruppo. È il gruppo che porta alla collaborazione, a capire chi ha bisogno e non ad emarginare il diverso. Le vittime che vengono prese di mira dai bulli, sono di solito i ragazzi educati, studiosi che non corrispondono agli atteggiamenti strafottenti messi in atto dal bullo. Ma una volta formato il gruppo si acquisiscono quei valori che fanno parte della prosocialità: andare incontro all'altro, ascoltare, aiutare, che non è un superficiale "vogliamoci bene" ma è rispetto di chi ho di fronte. La Dr.ssa Rimicci ha scritto "ll bambino come persona", un libro scolastico da cui emerge che il bambino, fin dalla nascita, ha dei diritti in quanto persona. Ebbene una volta che la classe acquisisce questi concetti, il bullo non può emergere perché si trova nel gruppo buono, che porta avanti un certo tipo di discorso. Il fenomeno del bullismo, oltre il bullo, che è quello che si atteggia a forte, e la vittima, che subisce, è alimentato dagli aiutanti del bullo e dagli spettatori. Riferisce episodi di cronaca da cui risulta come la classe abbia assistito ad atti di bullismo, senza intervenire, partecipando passivamente, accettando quello che accadeva, dimostrando di non essere un gruppo. Dunque abbiamo il bullo, la vittima, il gregario, la classe che partecipa passivamente, quello che difende la vittima, ma che in realtà non fa niente. I danni sono sia per il bullo, che con l'andar del tempo farà atti gravi, anche reati, sia per la vittima che, se non riuscirà a tirar fuori quello che sente dentro, come solitamente accade, andrà incontro a depressioni, fino a fenomeni di anoressia. Il bullismo può essere persecutorio se la vittima è esterna, o d'inclusione. In questo ultimo caso, per far parte di un gruppo ci si deve sottoporre a riti d'iniziazione che denotano la fragilità emotiva della vittima, che viene presa di mira e ricattata.
Ultimamente va di moda il ciberbullismo: sono denigrazioni via internet. La foto di chiunque può essere messa in un sito internet ed andare in rete. La Dr.ssa S.Reginelli fa presente che esiste un'assicurazione internet che garantisce gli utenti dalla presenza in rete di cose non gradite; depura la rete di cose non gradite riguardo la persona interessata. L'assicurazione, a causa di questo fenomeno, sta avendo un successo crescente. La Dr.ssa Rimicci ribadisce che il concetto di bullismo viene usato in modo improprio per casi che non sono di bullismo. Quando però avvengono bisogna prendere delle misure di prevenzione e d'informazione. A proposito dei coltelli e delle droghe, è convinta che non serva far vedere i filmati, perché per i ragazzi diventa uno spettacolo. È invece importante capire perché il ragazzo è arrivato ad agire certi comportamenti e cercare di farlo parlare perché esprima le emozioni negative che ha dentro. Il bullo è una persona debole che, alla stregua di un cannibale, pur di acquisire un identità, anche se negativa, cerca di prendere all'altro quello che non ha: in lui agisce l'invidia per quello che non ha. E' una persona sofferente: partendo da questo presupposto si può capire perché non vada condannato, ma aiutato quanto la vittima.]


"Il tatuaggio come comunicazione pre-verbale: dalla persecuzione all'appartenenza". Presentazione di Volfango Lusetti

Il Dr. V.Lusetti si scusa per aver cambiato il tema della trattazione, che doveva essere " Le radici biologiche della violenza" , tema che non ha reputato affrontabile in 25 minuti. Parlerà perciò di un fenomeno che è meno impegnativo ed asimmetrico rispetto all'argomento del bullismo: il tatuaggio. È un fenomeno rispetto al quale ha compiuto non certo uno studio, non essendo antropologo, ma solo qualche riflessione dal suo punto di vista di psicoterapeuta e psicopatologo. In generale quando si parla del tatuaggio si pensa, in maniera un po' semplicistica e banalizzante, ad un semplice rito d'appartenenza. In realtà oggi il dilagare del tatuaggio è il portato di una vera e propria disgregazione sociale, ed anziché il recupero di riti d'appartenenza, denota piuttosto un'incapacità radicale, da parte della nostra società attuale, di ritualizzare alcunché. La nostra, infatti, è una società assai disgregata, in cui stanno venendo meno i valori portanti della società patriarcale e post-patriarcale; infatti non solo la vecchia famiglia patriarcale è in crisi, ma anche la stessa moderna famiglia nucleare. C'è quindi un gravissimo deficit d'identità che porta i giovani a cercare autonomamente dei rituali d'appartenenza che, usualmente, in tutte le società tradizionali esaminate dagli antropologi, vengono offerti dal mondo adulto. Insomma essi cercano disperatamente qualcosa che li faccia riconoscere, anche reciprocamente oltre che dall'esterno, e se lo creano essi stessi, attingendo alla meglio dal patrimonio dei riti tradizionali. È quindi sicuramente vero che nel tatuaggio c'è una ricerca dell'appartenenza, ma ciò è solo una piccola parte del discorso, la parte emergente dell'iceberg. Se si vuole arrivare un po' più in profondità, occorre parlare semmai di "riti di passaggio all'età adulta" che sono già qualcosa di più sofisticato del puro e semplice rituale d'appartenenza. Il rituale di passaggio all'età adulta è stato studiato dagli antropologi ed è ben noto per essere, anch'esso, ordinariamente gestito dal mondo adulto, o se da quello giovanile, su tacita delega del mondo adulto. Tra l'altro, anche alcuni fenomeni molto vicini al bullismo possono essere inquadrati in questa ottica. A questo proposito ricorda una sua esperienza quando si iscrisse all'università nel 1965. C'era la festa delle matricole con alcuni rituali d'ingresso nel gruppo dei pari, che già allora erano abbastanza antipatici; anche il nonnismo attuale nelle caserme e nelle scuole, però, rientra in questi rituali di passaggio, i quali esistono da sempre in tutte le popolazioni, anche nelle più evolute come la nostra. Questi due aspetti (dei "riti d'appartenenza" e dei "riti di passaggio"), cui si pensa più frequentemente, non sono però ancora sufficienti a cogliere sufficientemente in profondità il problema, nel senso che si limitano ad esaminare epifenomeni di tipo culturale. Lusetti, in quanto psicopatologo, crede si debba vedere il tatuaggio anche dal punto di vista biologico, ossia per come si manifesta morfologicamente, e partendo da lì cercare di capire cosa abbia in mente una persona che si tatua, considerando che il tatuaggio può arrivare a estremi raccapriccianti per il corpo; inoltre esso può accompagnarsi a tipi d'ornamento come il piercing (che a volte arriva ad essere qualcosa di assurdo, perché inserito sulla lingua, sulla laringe e così via): insomma,il tatuaggio è proprio qualcosa che muta il corpo in profondità, che letteralmente lo "incide", ed incide essenzialmente la pelle. Tecnicamente si parla di scarnificazione, cioè una tecnica d'incisione della pelle che ne ritarda la cicatrizzazione; in questa cicatrice viene messa una sostanza colorante che viene assorbita in maniera stabile dalla pelle. Quindi è un mutamento, una deformazione del corpo che è di tipo stabile, irreversibile. Naturalmente, più sono numerosi i tatuaggi, più il mutamento corporeo è accentuato. Ma la pelle cos'è? E' un organo d'interscambio col mondo esterno. La pelle deriva dall'ectoderma, cioè dallo stesso foglietto embrionale da cui si originano gli organi del sistema nevoso. Il sistema nervoso e la pelle sono quindi due sensori che, con modi e modalità diversi, si occupano dello stesso problema: regolare i rapporti dell'organismo col mondo esterno; discriminare ciò che è nocivo da ciò che non lo è; ciò che è piacevole da ciò che è doloroso. Naturalmente la pelle è molto più rozza in questo compito, rispetto al sistema nervoso, anche se negli animali inferiori questa differenza non è così visibile. Quindi chi si tatua, attuando una modalità così cruenta che comporta una perdita di sangue, ed a volte persino un rischio d'infezione, e facendo ciò manipola proprio questo organo così particolare, fa pensare di essere affetto da una profonda problematica di tipo relazionale con l'esterno.
In particolare chi si tatua sembra aver così paura del mondo esterno da cercare di contrapporgli un rituale di tipo apotropaico, esorcistico, volto a tenerlo lontano in qualunque modo. Questo aspetto indubbio del tatuaggio, si coglie più chiaramente se si vanno a vedere i suoi contenuti simbolici. Al di là del fatto che l'organo usato sia la pelle, gli stilemi che vengono tatuati, anche se ormai possono essere i più svariati, vedono sempre le stesse tematiche, soprattutto se ci si riferisce al tatuaggio tradizionale:oggetti simbolici come la rosa, il pugnale, i cuori sacri, le sirene, i vasi ,le ancore, oppure c'è una forma di tatuaggio detta "tribale", che è estrapolata dalle popolazioni della Polinesia e consiste nel disegno geometrico, cioè un disegno che tende ad accentuare la muscolatura del corpo, quindi a far vedere che una persona è più forte, più muscolosa di quello che è. Le tematiche dunque, in genere, riconducono a tre assi fondamentali:
asse della violenza, dell'essere forti, per poter prevalere sugli altri a fine intimidatorio;
asse esorcistico, apotropaico, volto a tener lontano un influsso malefico, quindi a trovare qualcosa che serva da strumento per tenere lontano un flusso negativo;
asse relativo all'aspetto erotico e seduttivo-influenzante: quest'ultimo aspetto non va sottovalutato, perché per far vedere il tatuaggio agli altri, indubbiamente un corpo deve denudarsi; quindi il tatuaggio può essere inteso anche come strumento di manipolazione dell'altro in senso erotico.

Si tratta dunque di tre modalità che, agli occhi di uno psicopatologo, denotano inconfondibilmente una problematica persecutoria, unita ai suoi classici contrappesi e rimedi (l'intimidazione diretta, l'esorcismo di tipo magico ed apotropaico, ed anche la sessualità con la sua enorme potenzialità d'influenzamento dell'altro). Beninteso, chi si tatua non è affatto consapevole di tutto ciò, anzi a volte non è nemmeno realmente portatore di questa problematica, in quanto si limita ad imitare altri soggetti in modo più o meno passivo: però è indubbio che almeno all'origine il tatuaggio abbia rappresentato uno strumento sia per tener lontani degli influssi malefici, sia per condizionare, in qualche modo, gli altri sul piano dell'intimidazione, ad es. mostrando un corpo muscoloso ed invulnerabile, che ha sopportato tanti dolori e li ha vinti tutti, sia infine sul piano erotico ("sono bello ed invulnerabile, e ciò alla fine mi farà aver ragione di tutto ciò che potrebbe minacciarmi").
Il tatuaggio è stato fatto oggetto di studi in epoca positivistica da un personaggio che era caduto, nella seconda metà del Novecento, in grande discredito e che adesso è tornato abbastanza di moda: Cesare Lombroso. Questo studioso aveva identificato il tatuaggio con una forma di "atavismo", ossia come la manifestazione di un retaggio antropologico primitivo, quasi una tara, una malattia ereditaria, che di tanto in tanto affiorava in soggetti marginali e "degenerati" appartenenti ai bassifondi della nostra società. Egli aveva notato, per affermare ciò, una cosa reale che, almeno fino a poco tempo fa, potevamo notare tutti: il tatuaggio era frequente soprattutto tra persone dedite alla delinquenza, all'alcolismo (nella sua epoca non c'era la tossicodipendenza), oppure tra ceti sociali molto particolari come i marinai, i militari, e comunque i soggetti dediti a "mestieri" che avevano a che fare con la violenza, con il libertinaggio, o con l'esplorazione di una dimensione ignota. Quello che diceva Lombroso , cioè che il tatuaggio sia il segno di una "degenerazione" da intendersi nel senso che chi si dedica a questa pratica, sia regredito ad una fase ancestrale dello sviluppo umano in virtù di una lesione, di una "tara", a causa della quale avrebbe recuperato vecchie caratteristiche antropologiche ormai tramontate nella maggior parte dei membri della nostra specie oggi, non appare accettabile: e difatti non è vero, poiché al giorno d'oggi vediamo con la massima chiarezza che si tatuano veramente tutti: non c'è ceto sociale, classe sociale, età, che sia totalmente esente da questo fenomeno; vediamo giovanissimi, giovani, adulti, anziani, gli uni accanto agli altri, e basta andare su una spiaggia per osservare questa universale diffusione dei tatuaggi. Il Dr. Lusetti fa a questo punto un passo indietro, per vedere se è possibile ipotizzare una qualche, presuntiva, datazione d'origine per il tatuaggio. In genere gli studiosi negano tale possibilità, perché la pelle non si conserva nei reperti paleontologici come invece avviene per le ossa. Così, mentre è possibile vedere sulle ossa dei segni di scarnificazione, che ad es. ci dicono che il Neanderthal era probabilmente un cannibale, per la pelle ciò non è possibile. Ci sono però almeno due eccezioni: la mummia Oetzi, che è stata trovata sulle Alpi italiane ed è conservata in un museo austriaco, la quale mostra chiari segni di un tatuaggio probabilmente fatto a scopo "terapeutico". Lo scopo "terapeutico" è un altro aspetto importante del tatuaggio, che si ricollega con le tematiche persecutorie ed apotropaiche di cui abbiamo parlato: basta andare sulla rete internet, dove si può osservare una fioritura d'iniziative in questo senso che, secondo Lusetti, non hanno nulla di terapeutico, bensì di apotropaico e d'esorcistico nei confronti di possibili malefici che inducono l'insorgenza di malattie. Un altro esempio è quello della mummia di una sacerdotessa egiziana vissuta 2500 anni a.C., che era stata tatuata, anch'essa per ragioni "terapeutiche". Rispetto alla nascita del tatuaggio si riferisce ad alcuni indizi che la farebbero coincidere con la nascita dell'attività figurativa dell'uomo. Segni indiretti di tale attività figurativa sono reperti che non si deteriorano come la pelle, ad esempio le rocce, dove ci sono pitture rupestri che risalgono a molte migliaia d'anni fa e denotano l'inizio di un'attività magica attraverso la manipolazione dell'immagine di animali, mani, ecc.. Le pitture rupestri risalgono a trenta, quarantamila anni fa e quindi all'epoca in cui il Neanderthal fu soppiantato dal Sapiens, per cui il nascere di tale attività figurativa sembra contrassegnare uno strano e misterioso passaggio di consegne tra due specie di sapiens (solo la nostra specie ha caratteristiche simboliche, quindi è capace di esercitare la magia attraverso i simboli dati dalle immagini). Quindi si può pensare che anche il tatuaggio sia nato, più o meno, quando è nato l'uomo appartenente alla nostra specie. In particolare, una pre-condizione per potersi tatuare, è, ovviamente, il non avere tanti peli addosso. Quindi, da quando i nostri progenitori hanno perduto la peluria ad oggi, ogni momento può essere considerato "buono" per la nascita del tatuaggio (e forse, delle attività simboliche per immagini in quanto tali). C'è una teoria antropologica, appartenente a Marvin Harris, che è abbastanza interessante: questo autore, riportando anche studi di altri suoi colleghi, sostiene come la perdita dei peli corporei, nella nostra specie, sia servita a favorire la traspirazione del sudore, semplicemente perché era legata all'attività della caccia in gruppo. Secondo questa teoria, i nostri antenati praticavano una caccia di gruppo agli animali che non si basava sullo scatto perché, essendo bipedi, non avevano ovviamente la velocità di un quadrupede, bensì sulla corsa di fondo, dunque sulla resistenza; quindi essi facevano lunghissime rincorse all'animale che scappava, e questo alla fine crollava "per estenuazione". In queste lunghissime "cacce d'estenuazione", dunque, ai nostri antenati serviva, oltre che andatura bipede, la possibilità di raffreddare il corpo. La cosa curiosa però è che il tatuaggio s' intreccia, presumibilmente, con altre attività di pittura corporea che sono documentabili anche storicamente: sappiamo che dipingersi il corpo è collegato ad attività di tipo guerresco, oltre che venatorio. Ci sono molti esempi di questo: i traci, i britanni, sono tutti popoli guerrieri che notoriamente si dipingevano il corpo prima di andare in battaglia; sappiamo poi, da alcuni dipinti Aztechi, che i prigionieri sacrificati agli dei cannibalici di questo popolo, erano dipinti di blu, perché questo era il colore che contrassegnava il sacrificio; sappiamo anche, dalla mitologia greca, che i Titani che fecero a pezzi Dioniso e che lo misero a bollire in un calderone, si dipinsero il volto di bianco (e la stessa cosa si osserva in alcuni cruenti riti aborigeni australiani di iniziazione. Quindi il dipingersi, assai spesso è collegato con attività violente, sia venatorie che iniziatiche, sia sacrificali che guerresche. Probabilmente anche il tatuaggio, alle origini aveva una funzione simile: tuttavia è difficile immaginarsi che potesse essere utile per la caccia, poiché è ovvio che gli animali non s'impressionano di certo vedendo dei simboli, per definizione comprensibili solo a noi umani. Qui si può perciò avanzare una seconda ipotesi, a parziale correzione o integrazione di quanto detto sulla pittura del corpo: la finalità delle figure che venivano tatuate, forse era quella di suggestionare non già degli animali, bensì degli essere umani; in qualche modo, insomma, il tatuaggio potrebbe essersi intrecciato con attività di tipo cannibalico, ossia di caccia e di predazione portate da uomini nei confronti di altri uomini. Questa spiegazione, fra l'altro, combacerebbe perfettamente con la tematica precedentemente proposta, cioè che ancora oggi il tatuaggio porta con sé un'idea di predazione, un alone persecutorio, violento ed apotropaico: in questo senso tutto quello che di predatorio proviene dal di fuori e può rappresentare una minaccia, io lo posso fronteggiare col tatuaggio; se mi tatuo, infatti, incorporo, attraverso la pelle, proprio ciò che mi minaccia, e quindi lo posso far mio per poi ri-usarlo contro il mio persecutore. Questa reversibilità, di natura abbastanza magica, è in effetti insita nel tatuaggio, poiché ciò che mi minaccia viene raffigurato, quindi padroneggiato tramite la raffigurazione, ed infine riproposto e brandito come un'arma contro lo stesso soggetto che mi ha minacciato. Questo, come si vede, è un meccanismo tipicamente magico; nella magia, infatti, tutto ciò viene attuato in varie forme: ci sono forme di magia in cui si trafigge con uno spillo un oggetto che raffigura una persona, un nemico; altre in cui si tocca l'oggetto; il tatuaggio, in questo senso, può essere stato un elemento che ha avuto fin dall'inizio strettamente a che fare con tematiche persecutorie. Il discorso circa i rituali d'appartenenza e i riti di passaggio in età adulta, a questo punto, diviene forse un po' più comprensibile: esso non cambia nelle sue linee generali, però appare come qualcosa di diverso, ovvero come un meccanismo di padroneggiamento magico, esorcistico ed apotropaico, di una tematica persecutoria. Tutto ciò spiega anche perché questo fenomeno si sviluppi impetuosamente proprio laddove tutti gli altri strumenti di padroneggiamento del "male" sembrino venuti meno: ad es. laddove le religioni entrino in crisi, oppure entri in crisi la società patriarcale, insieme alle culture tradizionali che la supportano. Vediamo che, paradossalmente, di fronte alla caduta dei valori tradizionali spesso prodotta, o semplicemente segnalata, dalla spinta di culture anarchiche ed "alternative", genericamente classificate come "di sinistra" , rinasce puntualmente un aspetto tribale, cioè qualcosa di molto più antico, inquietante e tradizionale delle stesse culture patriarcali contro le quali la "sinistra" si scaglia: insomma, qualcosa che è profondamente e coerentemente "di destra" proprio perché improntato alla cultura dell'appartenenza; solo che si tratta di un'appartenenza di tipo ben altrimenti ferreo e tribale della stessa società patriarcale e cristiana. La situazione attuale, in un questo senso, sembra molto simile a quella dei romani prima dell'arrivo dei barbari e del cristianesimo: nell'antica Roma, i tatuaggi si praticavano fino all'epoca di Costantino, il quale introdusse ufficialmente il cristianesimo nell'impero e interdisse allo stesso tempo il tatuaggio, avvalendosi di un'ingiunzione presente nella bibbia ( nel Levitico) che dice "Tu non devi farti incisioni o disegni sulla pelle, in onore dei defunti, perché io sono il Signore Dio tuo". Questa interdizione, peraltro, è parte integrante di una problematica tipica delle religioni monoteistiche, le quali sono tendenzialmente contrarie alle immagini, e soprattutto al loro uso magico, non solo perché si arrogano l'esclusiva della lotta contro la morte, ma anche perché ritengono (giustamente!), che l'uso apotropaico delle immagini sia parte integrante di un rituale magico che la religione monoteistica deve assolutamente abolire, al fine di prevenire l'uso eventuale della magia contro le stesse immagini della divinità! Nella politeistica Roma antica, invece, gli dei non avevano alcuna esclusiva sull'uso della magia, anzi ne erano degli umili fruitori, alla pari con gli umani; ed infatti in epoca romana venivano fatti dei tatuaggi per ingraziarsi i defunti (i quali erano essi stessi degli "dei del focolare"!), al fine di propiziare il loro cammino nell'al di là e di proteggerli dai demoni. Lusetti sottolinea come anche questo fosse un modo di padroneggiare una tematica persecutoria. Qui il cerchio sembra davvero chiudersi: il tatuaggio venne interdetto quando il Cristianesimo si affermò come religione di stato, ed ora torna di nuovo d'attualità quando il Cristianesimo, almeno secondo il suo punto di vista, attraversa una crisi all'apparenza irreversibile: ora che non c'è più il Dio unico ed onnipotente dei cristiani a proteggerli, insomma, gli uomini debbono tornare proteggersi da soli tramite la magia del tatuaggio ed altre forme di magia ad esso simili. ]


Fa seguito alla relazione il dialogo tra i partecipanti:

Il Prof. Pisani ripropone quanto già affermato nell'ultimo seminario circa la modalità dei seminari da lui ideati molti anni fa, come erede di G. Tedeschi, alla clinica neuro e che poi ha continuato in questa sede. Spiega che tornando da Londra con Marirosa Franco e Anna Maria Meoni, dove hanno partecipato ad un gruppo di discussione libera per commemorare la vita e le opere di P. de Marè, hanno riflettuto su quanto questa modalità avesse funzionato così bene da volerla trasferire in questi seminari. Piuttosto che la modalità tradizionale, in cui si pone la domanda all'esperto e si aspetta la risposta, la modalità di libera discussione del gruppo è quella in cui c'è un intervento libero da parte di ciascun partecipante. Questo intervento libero può essere sia la domanda agli esperti, i quali hanno il compito d'introdurre il tema e di mostrare la loro competenza sul tema, sia l'opinione dei partecipanti; gli esperti sono poi assolutamente liberi di esprimere la loro opinione, di riferire o meno la loro esperienza. Precisa questo aspetto collegandosi alla psicologia gruppale. I nostri grandi maestri, Freud e Bion, hanno visto i gruppi più che altro nei loro gruppi primitivi, arcaici e, secondo la terminologia di Majore, mortiferi o per la massificazione, che genera appiattimento, oppure per la ricerca di un grande capo che sa tutto, che sa fare tutto, cioè la posizione verticistica. La discussione libera di gruppo è una modalità introdotta da Foulkes, ma anche Bion aveva avuto un'idea di questo tipo quando diceva di voler trasformare un gruppo degli assunti di base, per esempio il gruppo della dipendenza dove c'è un grande capo che ci deve guidare per difenderci dalla morte. Ci massifichiamo poi magari, facendo questo, ammazziamo gli altri, anche il capo. Bion diceva di trasformarlo in un gruppo di lavoro, però ha mantenuto di fatto una posizione psicoanalitica: il gruppo era il paziente da trattare. Pisani chiarisce che lancia l'idea, se i partecipanti sono d'accordo, la coltiviamo e la perfezioniamo, mantenendo comunque inalterata la cornice spazio-temporale.
Entrando nel tema del seminario si chiede come si origini il fenomeno del bullismo, che è, tra l'altro, un fenomeno sociale.
La Dr.ssa M.A. Ferrante, propone un contributo a proposito del tatuaggio. Ricorda che durante l'era neolitica di 7000-8000 anni fa, naturalmente la data varia da regione a regione, era di moda tra i neolitici l'uso dei "pintedera", stampini di terracotta sui quali veniva incisa un'immagine, di solito una figura geometrica che veniva bagnata nell'ocra rossa e poi applicati sulla pelle. In questo caso il tatuaggio, abbastanza innocuo, più che un significato cannibalico di morte e di persecuzione, era un segno di vita perché veniva incisa la spirale o la doppia spirale che è il segno della vita, l'eterno ritorno, la circolarità della vita e della morte; durante il neolitico la spirale ha avuto molta fortuna e veniva incisa sui monumenti e sugli oggetti. Ferrante sottolinea che a quel tempo il tatuaggio aveva una funzione rigenerante e oltretutto sembra anche che l'ocra, proteggendo dalle punture degli insetti e richiamando il colore del sangue, fosse anch'essa legata ad una simbologia vitale. Sottolinea questo aspetto benefico del tatuaggio.
Il Dr Lusetti osserva che non ci si può fare troppe illusioni in proposito, poiché lo studio dell'antropologia e della mitologia primitive ci dice che tutti questi riti di rigenerazione sono stati prima o poi abbinati ad elementi sacrificali, oppure ad altri elementi comunque sostitutivi di elementi sacrificali, per cui attraverso questi vari passaggi si arriva a qualcosa che è solo apparentemente innocuo perché, procedendo a ritroso, comunque questa catena ti conduce all'elemento sacrificale, o in ogni caso ad un elemento persecutorio. Del resto, lo stesso esempio portato dalla collega ci dice che il senso del tatuaggio è, anche in questo caso, proteggere da qualcosa di malefico o persecutorio: nella fattispecie, dalla puntura degli insetti. Alla Ferrante risulta dai reperti, che ovviamente possono essere solo interpretati, questa idea fondamentale della ciclicità nel senso che la morte portava alla vita e la vita alla morte, come a dire che non si moriva mai.
La Dr.ssa L.Di Gennaro approva la proposta del Prof. Pisani e, alla luce di questa nuova impostazione, chiede al tutto il gruppo, oltre che agli esperti, perché quando noi andavamo a scuola i fenomeni di bullismo fossero molto scarsi o del tutto assenti.
Per la Dr. G. Gargano la differenza fondamentale è imputabile al tipo di rapporto con l'Eros e senza l'Eros. Oggi giorno tra gli adolescenti responsabili del bullismo, manca il rapporto dell'Eros, cioè il rapporto che permette di fare un corpo a corpo, di picchiarsi però poi di recuperare, di riparare. Nel bullo non può avvenire perché non c'è un rapporto con l'Eros: c'è un rapporto distruttivo, la distruzione per la distruzione e non si crea niente. La mancanza del valore è la mancanza dell'Eros nella relazione.
La Dr.ssa Rimicci sottolinea come i ragazzi parlino attraverso le mani,dandosi spintoni e pugni. In particolare li vedi usare le botte durante l'intervallo della ricreazione ma, a parte le degenerazioni, questo è un gioco ed anche un modo per scaricare le energie compresse durante la lezione.
I ragazzi si azzuffano, lottano , ma è il loro modo di comunicare; l'insegnante che entra in classe e li vede in tali atteggiamenti, può ricorrere alla punizione, che però non serve. Azzuffarsi non è di per se un atto di prevaricazione, che invece caratterizza il bullo che è distruttivo e manca di compassione per la vittima.
Il Dr. D. Surianello osserva che il bullo e il tatuato hanno in comune l'Io debole: l'uno lo dimostra attraverso l'aggressione contro un coetaneo più debole; l'altro attraverso il segno sulla pelle. Porta il contributo clinico di un ragazzo, avuto in terapia alcuni anni fa, che non aveva il coraggio di esternare il propria simpatia per una ragazza e, per dimostrargliela, se ne era fatto tatuare sul braccio nome e cognome, malgrado fossero entrambi abbastanza lunghi.
Il Dr. S. Zipparri, rispetto al perché oggi il bullismo sia un fenomeno in espansione, chiede conferma su un'altissima percentuale di episodi di bullismo i quali si verificano in particolare su ragazzi che presentano caratteristiche di omosessualità. Crede non vada sottovalutato che il fenomeno del bullismo sia anche collegato ad un' identità maschile nascente. È stato poi molto colpito dall'accostamento che il Dr. Lusetti ha fatto tra l'iniziazione e le feste della matricola, il nonnismo delle caserme; ciò si collega al discorso sui tatuaggi che, prima del boom della moda, erano circoscritti alle galere: se uno era tatuato, si poteva quasi identificarlo con una sua permanenza in galera, invece oggi non è più così.
Al Dr. M. Muscarà più che l'aspetto sessuale, è sembrato interessante il discorso dell' assenza di Eros, che determina un' aggressività gratuita:cioè non si attacca quello che è brutto e mingherlino. Anche tra bambini di 8 anni, che frequentano la scuola elementare, non si capisce perché ci sia questa violenza specifica che è sostitutiva dell' assenza di Eros, perché il gioco anche tra bambini e bambine non è sessuale, oppure tra uno più robusto e uno più mingherlino; è più un bullismo psicologico per cui c'è il piccolo dispetto, oppure l'azione di sottrazione di matite, temperini, colori, di oggetti che rappresentano l'aggressione.
La Dr.ssa S. Reginelli esprime una riflessione a latere al tatuaggio che, pur se nella media è attuato da persone di tutti i tipi ed età, tipicamente è praticato in larga scala da giovani maschi. Le giovani donne si tatuano piccole cose minimali, accenni. Vede una correlazione interessante tra il tatuaggio, che è giovanile e, viceversa, la chirurgia estetica come fenomeno di età matura. Le sembra che l'estetica sia un intervento sulla pelle rivolto a modificare la struttura dell'apparenza in maniera da convergere, come è per il tatuaggio, verso un' immagine ideale di potenza vitale, in questa smania vitalistica che la cultura tende a comunicarci.
La Dr.ssa L. Taborra in un 'ottica junghiana, concorda con la Dr.Gargano a proposito dell'Eros. Evidenzia che il fenomeno dell'espansione del tatuaggio, va di pari passo con l'espansione del fenomeno della violenza; c'è un innalzamento dell'indice d'aggressività incredibile, senza essere necessariamente delinquenti. Sottolinea come per essere aggressivi, per essere costretti a mordere, oggi basti andare a fare la fila in un ufficio postale, oppure andare a fare degli acquisti, oppure salire su un autobus o trovarsi immersi nel traffico. In effetti stiamo perdendo la dimensione dell'Eros come parte dell' individuo che crea e non distrugge. Abbiamo poi a che fare con i mass media, col mondo del consumismo: sono tanti i fattori che ci stanno facendo perdere la parte creativa, vitale dell'uomo.
Il Dr. F. M. Cilento sottolinea come l'Eros, la pulsione libidica in Freud era comunque difficile da gestire; estremamente nociva per l'Io perché fattore disgregante e antisociale. Quindi il problema dell'Eros non è tanto non avercelo, quanto avercelo e non saperlo gestire, organizzare. Probabilmente l'atteggiamento bullista di aggressione del più debole è anche un tentativo di estroflessione della propria debolezza e di gestione, attraverso l'altro, di questa debolezza: io domino te, per dominare me.
Il Dr. S.Zipparri enfatizza questo aspetto in relazione al suo precedente intervento che era anche una domanda. Chiede se effettivamente rientra nell'esperienza del bullismo il fatto che si eserciti verso vittime che sono in qualche modo deboli. Prima faceva l'esempio del ragazzino omosessuale, ma riporta anche il caso dell'handicappato, cioè del diverso nel senso di menomazione di forza. Reputa importante non perdere di vista il fatto che il bullismo sia espressione di una prova di forza, del voler sancire un ruolo dominante. Poi possiamo anche compatire il ragazzino che è diventato bullo, anche se personalmente non condivide questa commiserazione.
La Dr.ssa Rimicci evidenzia come non vada bene né la giustificazione, né la sottovalutazione del fenomeno, come a volte risulta sui giornali dalle interviste ai genitori che minimizzano atti delinquenziali e parlano di bravate. E' chiaro che il bullo voglia dominare però non è un forte, ma un debole. Nel momento in cui vuole prevaricare, si orienta verso il bambino che non si sa difendere, perché poi anche gli altri fanno da spalla, in parte lo incitano, in parte lo proteggono.
Il Dr. Majore condivide che il bullo riceva l'appoggio degli altri. Da questo egli evidenzia come il bullismo esprima la dinamica del gruppo, che suddivide i compiti tra le varie persone partecipanti al gruppo stesso, almeno transitoriamente, finché non si ferma l'agito del bullo. Quindi nel gruppo ci sarà la vittima e il violento, ma né l'uno né l'altro sono sostanzialmente responsabili, perché sono portavoci sia della parte aggressiva, sia della parte passiva del gruppo. Quindi il bullo è la voce della violenza del gruppo. Questo ce lo insegna il Prof. Pisani che fa terapia di gruppo e vede come chi manifesta aggressività, stia portando alla luce l'aggressività di tutto il gruppo.
Il Dr. Lusetti osserva che nel gruppo c'è sempre un conduttore, mentre nelle situazioni di classe, dove più emerge questo fenomeno, manca proprio questo aspetto, cioè manca qualcuno che tenga le fila. A livello intuitivo, gli sembra che quando, ad es., i bulli picchiano qualcuno in classe proprio di fronte all'insegnante, in realtà è l'insegnante stesso che intendono attaccare. Hanno di mira una sovversione della gerarchia, semplicemente perché gli manca un'autorità reale, ossia non sentono nessuna forza contenitiva intorno a loro, per cui, a loro modo, la evocano, quasi la invocano. Attaccando la figura paterna cercano di farla definire. Questo l'ha sperimentato personalmente andando a teatro. Ha avuto la malaugurata idea di prendere un palco anziché la platea. Si è trovato immerso tra scolaresche che non gli facevano sentire nulla: parlavano prima piano, poi sempre più forte, quasi facendolo apposta, e senza minimamente curarsi delle lamentele degli altri. Lui era livido di rabbia, e ad un certo punto ha perso la pazienza, è uscito ed ha iniziato a gridare alla maschera che se non li avesse azzittiti, ci avrebbe pensato lui buttandoli giù dal palco, perché se il problema era quello di fare casino, lui sapeva di certo farlo assai meglio di loro. Rientrato nel suo palco ha sentito i ragazzi che dicevano fra loro, quasi ammirati: "però, come s'è incazzato!" In seguito, dopo che la maschera ha allontanato i più facinorosi, gli altri sono rimasti tutti in religioso silenzio fino al termine dello spettacolo. Personalmente ha letto l'accaduto come un attacco, ed insieme un'invocazione, proprio a quella autorità che ai ragazzi mancava.
Per Di Gennaro il problema dei bulli è che in casa non hanno limiti, quindi il loro agito è collegabile ad un vissuto familiare e bisognerebbe intervenire sui genitori.
La Dr.ssa Rimicci spiega che, quando nei corsi per i genitori rivolge loro l'invito a comunicare con i figli in modo diverso, non viene capita a cominciare dalla differenza tra l'uso dei termini "vuoi o puoi fare questo". A questo punto è il genitore interno che dovrebbe diventare adulto. Ma come fare quando sul giornale leggiamo che una mamma e una nonna sono andate a picchiare la professoressa? Tuttavia quando un professore le dice che non entra in classe perché ha paura, lei si meraviglia perché pensa che con i ragazzi sia possibile trovare la chiave di lettura, pur comprendendo che è in gioco anche la personalità dell'insegnante:se è persona insicura, non ce la fa ad affrontare il problema. C'è anche il docente che non riconosce l'importanza della relazione. Riporta un 'esperienza di presentazione del CIC in una scuola di Frascati,dove un professore giustificò la propria mancanza d' interesse per l'alunno come persona, in quanto insegnante d' informatica.
Il Dr. Majore sottolinea che in generale nel bullismo il singolo è espressione del gruppo. L' aumento è dovuto alla mancanza di ogni forma d'autorità che prima c'era, come dimostra l'assenza di tale fenomeno nel periodo fascista: quando c'è un grande capo, nessuno si muove. Fa poi un' osservazione sul tatuaggio che è una scrittura, quindi una maniera di stabilizzare, di eternizzare una cosa. Noi siamo transitori, moriamo e chi scrive lo fa anche per i posteri. Chi scrive su se stesso vuol rendere stabilizzata una situazione, come fosse per sempre, nell'illusione che anche la pelle rimanga per sempre. Crede molto importante questo aspetto del tatuaggio che per Lusetti è la negazione della morte.
Per Pisani è tanto più forte quanto più si teme che non sarà per sempre.
Per Taborra questo desiderio di esorcizzare la morte e' tanto più è forte quanto più intorno a noi c' è la violenza, che troviamo continuamente riportata sui giornali.
Per Majore c'è anche lo stabilizzare una situazione che è transitoria, come è avvenuto per il tatuaggio degli ebrei.
Taborra ricorda la lettera scarlatta.
Il Prof. Pisani collega il bullismo e il tatuaggio come modalità di espressione di una forte insicurezza. Si collega all'aggressività cannibalica in riferimento all'evoluzione dei tatuaggi, presentata da Lusetti, a cominciare dall'organizzazione dei popoli primitivi, dalla modalità magica di difesa e di attacco: mors tua, vita mea. Crede che in definitiva abbia a che fare con una regressione collettiva:cioè la riaffermazione di manifestazioni del bullismo e i tatuaggi hanno molto a che fare con una fase regressiva sociale di tipo orale-cannibalico.
La Dr.ssa Meoni ha avuto due momenti di distrazione e il suo pensiero è andato a una situazione privata caratterizzata dalla prepotenza. Si chiedeva se più che di violenza, in realtà la lettura della problematica del bullismo, ma anche del tatuaggio, si debba ridimensionare ad aspetti prettamente sociali pre-potenti. L'intervento della Di Gennaro le ha sollecitato una considerazione circa il fatto che tutti quelli che vivono un' epoca non riescono a leggere quello che sta succedendo e usano chiavi di lettura probabilmente superate, rispetto al cambiamento in essere. Quindi, pur non avendo esperienza né clinica, né privata di bullismo, le pare però che sia un fenomeno effettivamente in aumento e bisognerebbe collegarlo al cambiamento fondamentale della nostra epoca, rispetto al quale possono certamente aiutare le considerazioni sociologiche e le idee politiche. Il suo pensiero è andato a Obama e alla differenza tra Bush ed Obama: sono due forti leader sociali, due leader diversi: uno democratico, l'altro più gerarchizzato; uno a destra, uno a sinistra, ma nel tutelare le situazioni, nessuno dei due con la sua forza, con le sue capacità, riesce a prevenire o risolvere dei problemi che hanno radici nei grandi cambiamenti. Crede che il tempo sia parte costituente.
Il Dr. Lusetti riporta due film che ci fanno vedere da dove veniamo, come eravamo e come siamo adesso. Uno è "Full Metal Jacket" di Stanley Kubrik, l'altro è "I giovani Leoni" un film di tanti anni fa. Sono due film di caserma in cui il bullismo, il nonnismo, l'oppressione di qualcuno da parte del gruppo o del leader del gruppo, viene fomentato dall'autorità, dagli ufficiali, e da essi gestito momento per momento: ciò dimostra che esiste quasi sempre, da qualche parte, una figura "autoritaria" che scatena e fomenta il bullismo. Forse il cambiamento epocale che attraversiamo può consistere proprio in questo: adesso i nostri insegnanti scelgono, o sono costretti a limitarsi ad osservare impotenti questo fenomeno, che cresce da solo e si rivolge contro di loro, mentre una volta esso veniva padroneggiato ritualmente, o addirittura innescato, proprio da loro, o meglio dal potere. La sopraffazione del più forte sul più debole veniva quindi padroneggiata dall'autorità, cosa che non è più, e proprio questo, forse, contrassegna il cambiamento culturale più rilevante della nostra epoca.
Per Muscarà l'autorità che si è concretizzata nella comunicazione, è la TV del grande fratello. In quella stanza vediamo chi è il bullo. Nelle classi scolastiche, il bullo è quello che si metterà in evidenza per cui, se portato dal preside, sarà lui il leader acclamato ufficialmente. È inutile punirlo: la punizione lo pubblicizza, quindi lo premia.
Il Prof. Pisani conclude ribadendo l'idea della discussione gruppale che è posizione non verticistica, ma orizzontale; non è appiattimento, ma esperienza nuova, vitale, erotica. I partecipanti sono d'accordo.]


Note di redazione:
(r) registrazione delle letture presentatate sono riviste dai relatori Dr.ssa Rimicci e Dr. Lusetti, così come il dialogo nel dibattito a seguire la registrazione vocale degli interventi dei partecipanti.
Antonella Giordani agior@inwind.it e Anna Maria Meoni agupart@hotmail.com


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