PSYCHOMEDIA --> HOME PAGE
SNP --> HOME PAGE

Seminari
di Neuropsichiatria, Psicoterapia e Gruppo Analisi
2008 - 2009

Il gruppo allargato applicato alla formazione nelle scuole

Dr.ssa Lisa Di Gennaro
Coordinatore dr.ssa Ernesta Cerignoli
(t) testo di relazione fornita dal relatore
(r) elaborazione testi dialogo a cura Dr.ssa Antonella Giordani



(r) La coordinatrice, E. Cerignoli presenta la Dr.ssa Lisa Di Gennaro che è psicoanalista e gruppoanalista. Lavora a Roma dal 1980. E’ consulente civile e penale dei minorenni al Tribunale di Roma. Dal 1990 si occupa, per l’Ordine degli Psicologi dei grandi gruppi in alcune aziende e nelle scuole. Per il Comune di Roma ha tenuto un grande gruppo sul bullismo. Nel 2007, nel territorio della dodicesima circoscrizione di Roma, ha fondato l’ Associazione Onlus “Wanda” per la tutela della famiglia. Il seminario di questa sera ha come oggetto “La terapia nel gruppo allargato”.

La relatrice premette cenni sullo sviluppo della sua esperienza di conduzione di gruppi allargati prima di presentare gli aspetti teorici di Gruppoanalisi dei gruppi allargati.

La Dr.ssa Di Gennaro quindi descrive le proprie esperienze professionali ed umane. Racconta di aver iniziato conducendo un grande gruppo in un’azienda. Chiarisce che non è facile organizzare i grandi gruppi sia per la poca disponibilità delle persone e la scarsa reperibilità degli spazi, sia perché nessuno ancora sa nulla sulle peculiarità del gruppo allargato e tanto più è difficile spiegarlo ai responsabili aziendali. A lei è stato possibile per una ritrovata amicizia. Il primo grande gruppo che ha condotto si è svolto in un’azienda di una sua ex compagna di scuola delle elementari che ha incontrato dopo molto tempo. Dallo scambio d’esperienze è emerso che questa persona era titolare di un’ azienda per la produzione di alcool etilico e ha accettato di fare un grande gruppo presso la propria azienda in cui lavoravano circa 90 persone. Hanno utilizzato un setting di una sessione giornaliera di un’ora e mezza (tranne l’ultimo giorno). Hanno partecipato tutti perché incentivati da sessioni retribuite come straordinario. Hanno iniziato il grande gruppo, ma la prima sessione di un’ ora e mezza è stata di totale silenzio. Lei non è intervenuta anche se poi si è rivolta disperata alla Dr.ssa Ricciardi per capire cosa stesse succedendo. Nella seconda sessione ha cercato di offrire qualche spunto interpretativo per sollecitare il gruppo a parlare, ma inutilmente. Alla quarta sessione si è preoccupata che ci fosse in circolo dell’angoscia che non poteva essere scaricata ed elaborata, allora ha deciso di arrivare alla sesta ed ultima sessione per poi fare dei piccoli gruppi. D’accordo col suo formatore ha deciso di fare gruppi di settore, evitando di mettere insieme persone che lavoravano nello steso settore. Per prima cosa è emerso che le persone si dicevano molto contente dell’esperienza di gruppo allargato nel quale si erano sentite accolte, ascoltate e capite. Lei era molto contenta di questa cosa e di verificare la bontà della previsione ad andare avanti perché sarebbe successo qualcosa. l partecipanti erano anche disposti a ripetere l’esperienza, ma non in ambito lavorativo. Questa esperienza le ha confermato che nelle aziende non è possibile fare formazione di questo tipo. E’ passata a fare formazione nelle scuole, anche qui grazie a conoscenze che l’hanno presentata nei consigli di classe, dove è stato deciso di fare questa esperienza svolta in base alle disponibilità, con sessioni a giorni alterni. Ha potuto osservare che gli insegnanti sono una categoria che tra loro comunica molto poco. C’è stata una forte resistenza e un paio di questi gruppi si sono frammentati non reggendo l’angoscia del setting. Nel 2003 è stata chiamata dall’ordine degli psicologi per tenere un seminario. L’anno dopo è stata chiamata di nuovo e lei ha azzardato la proposta di fare un seminario esperenziale di gruppo allargato con sei sessioni. Non è stato possibile perché il tempo concesso era di 4 ore e perché comunque era necessaria una relazione introduttiva di formazione teorica. Allora ha fatto una breve presentazione iniziale di un quarto d’ora e poi due sessioni di grande gruppo di un’ora e mezza ciascuna, con una breve interruzione di 15 minuti.

Ha spiegato ai colleghi intervenuti i limiti del gruppo così impostato che ha voluto comunque proporre per lanciare un messaggio. E’ stato un grande gruppo nel quale si è passato il tempo a decidere se la finestra dovesse restare aperta o chiusa; a recriminare sulla confusione del parlare tutti insieme: insomma una sessione di lamentele. La seconda sessione ha visto un attacco a lei che non era capace di disporre la chiusura o apertura della finestra; di zittire chi stava parlando troppo o far parlare chi era in silenzio. Poi è finalmente arrivata ad utilizzare il grande gruppo come terapia. La dodicesima circoscrizione, anche se con un pò di scetticismo, ha accolto questa tecnica in relazione a molti casi di bullismo che si sono verificati nelle scuole. Lei ha specificato, mediante la presentazione di relazioni, che il bullismo è una vera patologia sociale e che bisogna intervenire con una terapia idonea: la terapia di gruppo allargato. L’esperienza è recente e ancora non ha i dati per saperne l’evoluzione. E’ stato solo un assaggio per fare in modo che questa tecnica si potesse utilizzare nelle scuole da ottobre. Essa è rivolta a genitori, insegnanti e ragazzi.
Il secondo aspetto che tratterà ha attinenza con i motivi per cui si è dedicata al gruppo allargato. Premette che col passare del tempo il rapporto tra formatore ed allievo si fa sempre più orizzontale: questo è accaduto a lei con la Dr.ssa Alice Ricciardi con la quale ha avuto un rapporto di grande stima reciproca. S’incontravano anche per un cinema, un teatro, una cena; durante questi incontri lei sollecitava la Dr.ssa Ricciardi a riflettere che avrebbe dovuto teorizzare e lasciare qualcosa della sua esperienza; cercava di spingerla ad accettare quanto non fosse giusto che tenesse per sé tutta l’esperienza; le sottolineava il grande gap tra quello che sapeva e quello che aveva fatto. La Ricciardi nicchiava fino a che espresse il desidero di condurre un gruppo allargato in Italia. Di Gennaro prese appunti su questo argomento; la Ricciardi le spiegò di cosa si trattasse, le illustrò i problemi anche in relazione alle spese da affrontare. Di Gennaro si occupò della sponsorizzazione e riuscì ad avere sei milioni dalla banca di Roma. Formarono un comitato con due persone (di cui poi una risultò poco affidabile).

Fu formato il primo gruppo e la Ricciardi lo condusse insieme ad Aldo Lombardo. Dopo il primo gruppo la persona del comitato trasferì sul suo conto personale i soldi; ciò non rese possibile far partire il secondo gruppo anche perchè Aldo Lombardo non era più co-conduttore. A quel punto lei si arrabbiò e interruppe il rapporto con la Ricciardi: adesso si rende conto di aver perso un pezzo della propria formazione. Da questa esperienza ha dedotto che il rapporto formatore-allievo non dovrebbe andare oltre, perché quando finisce è molto frustrante.

La Dr.ssa Di Gennaro proietta diapostive per illustrare la relazione dal titolo:

Il Gruppo allargato”. (t)

Freud ha grandemente influenzato la psichiatria e la psicologia del XX secolo, insegnando a comunicare con la persona sofferente di disturbi psichici e ad andare oltre il sintomo, non isolandolo dal suo contesto relazionale e sociale.


La comunicazione terapeuta–cliente è stata intrapresa dapprima con il singolo, quindi con il piccolo gruppo e ora si sta orientando all’esame delle relazioni dinamiche tra un numero maggiore di persone nella psicoterapia di Gruppo Allargato, coinvolgendo sempre più la psicologia nei processi sociali e abbandonando il concetto tradizionale della cultura occidentale dell’individuo isolato che “contiene” la malattia (M. Pines), caro alla psichiatria organicistica.

Con il dopoguerra comincia la storia vera e propria della gruppo analisi e progressivamente si sono evidenziate e valorizzate, accanto al piccolo gruppo e alla psicoterapia individuale, le potenzialità della tecnica del gruppo allargato con la sua specificità dinamica ed il suo setting problematico ed affascinante. Ci si è accorti che la terapia di gruppo allargato offriva grandi possibilità e che le sue manifestazioni non erano un semplice ampliamento di quelle del piccolo gruppo.

Il gruppo allargato, in realtà, grazie alle sue dimensioni ed alla profondità della regressione che induce nel partecipante è lo strumento più adatto per affrontare i problemi di identità. Infatti, come ha dimostrato Foulkes, l’individuo che partecipa al gruppo allargato è tormentato tra la paura di perdere la propria identità ed il grande fascino che questo ha per lui. Nel gruppo allargato si viene a contatto con gli aspetti più arcaici della propria personalità in misura maggiore che in qualsiasi altro trattamento analitico.

Il setting del gruppo allargato analitico si costruisce con un solo conduttore sul quale viene a focalizzarsi il transfert verticale.

Come unico preliminare il conduttore stabilisce la regola analitica fondamentale secondo la quale i membri vengono invogliati a comunicare i loro pensieri e i loro sentimenti con la maggior chiarezza possibile.

Il conduttore limita i suoi interventi principalmente alla interpretazione del transfert e delle reazioni di resistenza del gruppo. In linea di massima, si considera tutto ciò che accade nel gruppo come ad esempio la distorta espressione degli impulsi inconsci o la resistenza ad essi.

La disposizione dei posti nel gruppo consiste in diverse file concentriche, il conduttore del gruppo non ha un posto fisso, mentre l’osservatore siede da una parte, in un angolo.

In queste condizioni il grande gruppo attraversa fasi di sviluppo abbastanza prevedibili, che possono essere interpretate come una ripetizione modello, in tempo accelerato, del processo di maturazione individuale.

Caratteristica fondamentale del grande gruppo è l’incapacità del singolo di stabilire un rapporto personale con tutti gli altri membri del gruppo.

La situazione iniziale è vissuta dai membri in maniera minacciosa. Domina la sensazione d’essere incapaci di pensare e di comunicare. Di solito, all’inizio regna un gran silenzio che occasionalmente è interrotto da manifestazioni di disagio.

Si diffonde la paura di perdere la padronanza di sé, si palesano sentimenti di vuoto, di isolamento, di oppressione e di chiusura. Si manifestano sensazioni fisiche di freddo o di caldo, di soffocamento o di vertigine. Lo spazio è visto o troppo scuro o troppo luminoso. La percezione del tempo e dello spazio è limitata, si crea una situazione, di vuoto paralizzante. Si esternano paure di distruzione, di annichilimento e di essere in balia degli eventi.

La disposizione concentrica dei posti a sedere rafforza le paure paranoiche. Di solito nelle prima seduta, la fila interna rimane vuota. In tal modo il gruppo manifesta il suo senso di vuoto, la sua mancanza di informazione, di nutrimento, di sicurezza e l’assenza di strutturazione.
Da questo sentimento caotico di vuoto si sviluppa la fantasia di onnipotenza del gruppo quale entità sublime in cui i membri possono fondersi insieme. Questo desiderio genera, in particolare, la paura di essere inghiottiti da questa madre arcaica e di perdere la propria identità.
In questa fase i membri si sentono dipendenti dal conduttore il quale rappresenta un oggetto materno che il gruppo deve magicamente proteggere dall’innovazione emotiva e dalla mancanza di coesione della situazione iniziale. Le parti negative del gruppo si frammentano e si proiettano sul mondo esterno, mentre il gruppo si identifica proiettivamente con l’onnipotenza del conduttore.

Sentimenti di invidia e di rivalità contro la potenza di quest’ultimo sono rinnegati e manifesti in una forma frammentata: emergono gli pseudi conduttori del gruppo che partecipano all’onnipotenza e che sono ammirati dagli altri. Da un altro lato il gruppo trova capri espiatori i quali rappresentano l’impotenza e la dipendenza del gruppo e sui quali questo ultimo può riversare tutto il suo disprezzo e la sua ostilità.

La fase successiva è contraddistinta da un conflitto tra autonomia e subordinazione, tra il tentativo di infrangere le barriere e la paura delle conseguenze. Gli impulsi sono vissuti in maniera parziale, si cercano vittime da offrire allo scherno del gruppo. Si esternano fantasie di grandezza con disinvoltura, si sviluppa una specie di mitologia primitiva del gruppo spesso sadica e di contenuto osceno.

Dopo ci si scaglia contro il conduttore. In questa fase, egli rappresenta il padre edipico con i suoi ordini e divieti, la cui deposizione rappresenta per il grande gruppo la liberazione dall’inibizione degli istinti e la soddisfazione di desideri incestuosi.

La seduta successiva si svolge in un’atmosfera depressa. Dopo un lungo silenzio seguono manifestazioni di delusione, di vergogna e di rimorso, il gruppo ha perso le sue idee di grandezza e si deve adesso confrontare con il suo senso di colpa.

L’introspezione dei propri limiti avviene dopo l’interiorizzazione delle norme sociali e dopo che i membri del gruppo hanno preso coscienza di essere persone reali con problemi e debolezze.
La capacità di stabilire delle relazioni vere e di superare i conflitti è la prova della maturazione del gruppo.

La risoluzione del conflitto edipico sta ad indicare che è stato raggiunto un certo livello di identità dell’IO e che si è ottenuta una certa capacità a stabilire rapporti. I rapporti tra i sessi nel gruppo non hanno più coloriture incestuose e la comunicazione tra i membri si attua ad un livello in cui i sentimenti e i desideri degli altri possono essere presi in considerazione e possono ricevere riscontro.

Non tutti i gruppi raggiungono questo stadio, alcuni rimangono fermi ad una fase fallico-narcisistica dove dominano desideri di esibizionismo, altri gruppi debbono di nuovo annullare i loro desideri edipici e quindi non sono capaci di avere alcun senso di colpa né capacità introspettive.

L’ultima seduta è dedicata al congedo, emergono immagini di morte e si incomincia il lavoro di lutto. La storia del gruppo è esaminata criticamente.

L’autoanalisi rende possibile una presa di coscienza realistica ed una conoscenza delle proprie possibilità e dei propri limiti. Il gruppo può prendere in considerazione il quesito relativo ai legami tra l’interno e l’esterno, tra la vita di gruppo e la vita quotidiana.

Certi gruppi non possono sottoporsi a questo lavoro di lutto e pertanto si frammentano a causa di idealizzazioni e svalutazioni in quanto non riescono a rinunciare al primitivo oggetto del sé.

Adesso accennerò ad alcune differenze tra un piccolo e un grande gruppo. I problemi principali ed i conflitti che forniscono materiale agli eventi di gruppo sono simili in entrambi i casi, il contesto degli eventi, però, non è lo stesso. Mentre il gruppo piccolo fa rivivere le scene familiari dell’infanzia con le relative ambivalenze e rivalità, il grande gruppo richiama alla mente principalmente un’area nella quale gli aspetti alienanti e mal integrati del sé possono essere proiettati sugli altri, i quali rappresentano le caratteristiche del mondo esterno con le sue convenzioni e i suoi limiti.

A causa della sua ampiezza ed impenetrabilità, il grande gruppo risveglia le primitive paure della frammentazione e della perdita di identità. Melanie Klein (1962) vede questo gruppo come una madre arcaica onnipresente le cui qualità positive sono divise per difendere la buona madre dalla propria rabbia.

Il compito terapeutico del grande gruppo e quello di integrare entrambe le parti di questa estrema ambivalenza, mentre il piccolo gruppo funziona ad un livello più sviluppato dell’IO e perciò ha il compito di annullare le regressioni.

Il grande gruppo rispetto a quello piccolo è più primitivo e violento, le sue contraddizioni ed i suoi conflitti sono più accentuati. Esso tende a nascondere le differenziazioni individuali e a fare di alcuni individui i protagonisti delle aspirazioni del gruppo. Questa peculiarità del grande gruppo è strettamente collegata con la sua propensione alla rappresentazione scenica. Il processo di gruppo si sviluppa su di un immaginario palcoscenico con protagonisti ed antagonisti i quali usano un linguaggio simbolo polisemico. Le fantasie di gruppo sono rappresentazioni collettive alla stregua di una mitologia o di una religione primitiva e sono vicine al pensiero magico infantile, al mondo dei sogni, agli stati d’animo psicotici e ai rituali delle società primitive.

Fantasie di grandezza si manifestano relativamente non censurate quale aspetto opposto della vergogna, del senso di colpa e della paura che sconfina nel panico. Perciò il grande gruppo si dimostra particolarmente adatto per lo studio delle manifestazioni del narcisismo.
La dipendenza dal conduttore nel grande gruppo è particolarmente rilevante. Le fantasie del gruppo per la maggior parte ruotano attorno alla figura del conduttore: con ciò è possibile confermare la tesi di Freud sul conduttore quale impersonificazione dell’IO ideale del gruppo con cui quest’ultimo si identifica per raggiungere stabilità e coesione (1921).

Il gruppo ama in modo ambivalente la propria guida la quale rappresenta l’autorità prevaricatrice: segretamente la vorrebbe spodestare e vorrebbe eliminare la dipendenza nei suoi confronti (Freud 1912, 1913). Il gruppo si aspetta dal conduttore una magica risoluzione dei suoi problemi.

Il lavoro analitico si propone di evidenziare la natura e la radice infantile di questa aspettativa. La delusione del gruppo riguardo al rifiuto del conduttore di giocare un ruolo magico, spinge il gruppo a cercare finti conduttori nelle proprie file i quali offrono comode soluzioni e confondono i gruppi labili alla maniera dei demagoghi.

Giacché i singoli partecipanti non si comportano spiccatamente come individui, il conduttore cerca di rivolgersi al grande gruppo nel suo insieme come se questo fosse un unico organismo con comportamenti, desideri ed obiettivi contradditori. La strana sensazione predominante che gli eventi di gruppo possano assumere il loro corso determinato, nonostante l’intenzione dei singoli, facilita il trattamento degli individui che portano avanti e rappresentano gli sforzi di gruppo. Questo tipo di intervento rafforza nuovamente la coesione di gruppo e focalizza il transfert sul conduttore che diventa il polo contrario del gruppo sotto la cui protezione questo può esplorare i suoi limiti relativamente libero da paure.

L’alto livello delle aspettative e le intense proiezioni, sia come oggetto di idealizzazione e sia come figura nemica, possono facilmente pesare molto sul conduttore che, pertanto, può trovare assai difficile controllare il suo contro-transfert.

Per quanto può essere auspicabile, non è facile rimanere immuni dalla forza, dalla paura e dalla disperazione del gruppo. D’altra parte è anche importante rimanere in contatto con il gruppo.
Il grande gruppo s’indirizza da solo verso una direzione, accompagnato sia dalle interpretazioni del conduttore sia dalla fiducia riposta nelle sue capacità tramite la comune ricognizione analitica. In quelle rare occasioni in cui qualche membro si trovò sull’orlo di una dissociazione psicotica, il gruppo assunse nei suoi confronti un atteggiamento di sostegno aiutandolo a raggiungere di nuovo l’equilibrio. Queste esperienze mi rendono ottimista riguardo ai potenziali terapeutici del grande gruppo.

E’ stato studiato che la capacità del pensiero logico è di danno al gruppo. Il gruppo deve attraversare una fase di pensiero magico prima che in esso possano verificarsi discorsi interpersonali. Un grande gruppo non deve imparare solamente a pensare razionalmente, ma deve anche comprendere l’irrazionale ed interpretarlo nel pensiero cosciente. Il grande gruppo contiene, come l’Amleto, il gioco della follia adatto per scoprire verità nascoste. Il dialogo che si sviluppa poi nel grande gruppo, non è solamente una comunicazione ragionevole tra una moltitudine di persone, ma anche un dialogo tra ragione e follia sia nel gruppo e sia all’interno di ogni singolo individuo. Il conduttore rende possibile al gruppo di superare il limite dell’irrazionale.

In tal modo il grande gruppo acquisisce non solo la possibilità di farsi un’idea dell’affascinante mondo dei nostri sogni e delle psicosi, ma anche di comprendere la relatività della nostra rappresentazione della realtà. Attraverso la parziale eliminazione delle convenzioni quotidiane il gruppo può osservare quest'ultime dall’esterno e riflettere criticamente. Il gruppo impara che l’allontanamento dalle fantasie dalla vita cosciente è una conquista precaria.

L’efficacia e la riuscita del grande gruppo come mezzo terapeutico può essere soltanto presupposta. Come parte di un concetto di terapia a lungo termine all’interno di istituzioni, potrebbe senz’altro dimostrarsi sensata ed efficace.

Vorrei concludere esprimendo l’aspetto del gruppo allargato che ha messo per primo in luce P. de Marè, quello di essere un elemento di koinonia, di partecipazione e comunicazione spirituale umana per questo chi è koinonicos si riferisce all’altro in verità, a differenza di chi è cosmicos, ed intraprende in prevalenza relazioni superficiali e mondane.
E’ soprattutto questo il potere del gruppo allargato che rende possibile raggiungere cambiamenti emotivi intra-psichici stabili sia nel gruppo nel suo insieme che nell’individuo inserito nel gruppo.]

Fa seguito alla relazione il dialogo tra i partecipanti (r):

E. Cerignoli chiede chiarimenti rispetto ai partecipanti ai gruppi e all’intervento non di formazione, ma di terapia nelle scuole.

La Dr.ssa Di Gennaro spiega che si sta occupando della terapia del bullismo, cioè di una patologia sociale che non investe soltanto il singolo individuo, ma un’intera società, le famiglie, gli insegnanti, quindi ha proposto una terapia che dovrebbe essere l’unico mezzo per creare una visione globale della problematica. Quando facciamo una terapia individuale affrontiamo il problema del singolo che prende le mosse da una situazione familiare o sociale; nel grande gruppo avviene la stessa cosa, ma in un contesto più vasto che vede il coinvolgimento di più persone. Non sono quindi solo le problematiche individuali, ma le problematiche individuali che interferiscono in maniera grave sulla società, sul contesto sociale della scuola; si ripercuotono sulla famiglia in un continuo gioco di rimandi. Non sa ancora se riuscirà: la sua è un’esperienza terapeutica in corso.

E. Cerignoli immagina il grande impegno di questa applicazione terapeutica al bullismo poiché si tratta di convocare 40 persone che debbono riconoscere il proprio ruolo e le proprie responsabilità a livello sociale. Chiede cosa accada in un’azienda dove pensa sia più difficile trasporre i principi del grande gruppo se, in quel contesto, non trovano terreno fertile.

La Dr.ssa Di Gennaro conferma la difficoltà e presenta generalmente questa esperienza nell’azienda come formazione. Non sarebbe male proporre la terapia, ma la terapia è frutto di una scelta personale di fronte ad un problema. Anche nelle scuole non è che partecipino tutti i genitori e gli insegnanti, ma solo quelli che lo scelgono. Nelle aziende l’alta partecipazione è dovuta all’imposizione aziendale e comunque, qualunque esperienza di formazione che preveda spazi esperenziali, funziona solo se ha a che fare col il lavoro che si svolge all’interno dell’industria e non con il proprio intimo. Va bene fino a che si parla di un prodotto, di tecniche di vendita, della gestione del personale, ma nel momento in cui entra nel discorso qualcosa di soggettivo, tutti tacciono. Questa e’ un’esperienza condivisa da tutti quelli che fanno formazione nelle aziende: non si possono dire tante cose perchè deve andare tutto bene e non si può porre l’attenzione su una persona, oltretutto per non correre il rischio di essere denunciati, perseguiti.

E. Cerignoli pensa che la partecipazione al gruppo come terapia debba essere una scelta personale, come formazione invece possa essere imposta. La Dr.ssa Di Gennaro conferma che nella terapia bisogna lasciare una scelta che può non esserci nella formazione. Nel suo lavoro sulla terapia del bullismo, ha valutato di lasciare una scelta: sono stati fatti incontri per pubblicizzare cosa si sarebbe fatto e poi si è lasciato scegliere.

Per E. Cerignoli quando l’individuo sceglie si sente responsabile come essere umano delle problematiche sociali, perché se sceglie può riconoscersi un ruolo.

Il Prof. Pisani suggerisce di sostituire alle domande la libera discussione.

La Dr.ssa S. Palumbieri distingue il ruolo del leader e del capro espiatorio. Dipende dalla personalità:ci sono personalità che hanno più spicco, ma a volte non emergono le personalità che hanno più capacità. Dipende dal contesto del gruppo e dalle dinamiche che cambiano. Non sempre quello che si pensa di poter essere si riesce a manifestare. Un gruppo ha regole che però possono essere anche disattese.

La Dr.ssa Di Gennaro sottolinea che bisogna arrivare alla comprensione delle regole. Questo è uno dei vantaggi del grande gruppo nel quale oltre al leader e al capro espiatorio c’è una terza figura: il leader negativo. Mentre il leader ha delle capacità positive e viene accettato per tutto il tempo, il leader negativo depista; c’è poi il capro espiatorio su cui si getta tutta la negatività del gruppo; si proiettano gli aspetti negativi.

La Dr.ssa A. M.Meoni fa una premessa sull’uso terapeutico del grande gruppo che è di fatto impossibile dal punto di vista filosofico-culturale e pragmatico. Non esiste gente disposta a partecipare al grande gruppo neppure privatamente. C’è una cultura e una filosofia fortemente individuale, post positivistica, che non è matura per raccogliere l’idea di grande gruppo. Di fatto sono esperienze di gruppi applicati alla formazione o alle cosiddette riabilitazioni psichiatriche. Il punto è che queste esperienze sviluppano un inatteso risultato terapeutico, allora stiamo tutti li a chiederci “perché, dove, cosa è stato”? Lei se lo domanda da anni ed è alla ricerca di una chiave di comprensione. I gruppi allargati, che ha condotto, in sede istituzionale, hanno portato alcuni psicotici a miglioramenti terapeutici tanto da sollecitare meraviglia, poiché non era prevedibile a confronto con gli altri trattamenti farmacologici o di psicoterapia individuale. Tali migliorameti sembrano avvenuti come per caso e più analizzi gli aspetti e meno capisci quale sia stata la chiave.

La Dr.ssa Di Gennaro le chiede se si riferisca a gruppi basati sulla manualità.

La Dr.ssa Meoni chiarisce che si riferisce a grandi gruppi applicati ad un compito, cioè che abbiano un obiettivo:una caratteristica sulla quale raccogliere persone in gruppo che vogliono essere centrate su un compito. Quando la gente arriva si chiede cosa c’è da fare, non cosa c’è da capire. Per esperienza ha osservato che c’è la necessità di derogare dalle regole teoriche. E sua personale esperienza, così come l’esperienza della relatrice che non ha potuto seguire lo schema classico delle sedute, ma si è dovuta adattare. Attualmente con la Dr.ssa Federica Manieri e il Dr. Maurizio Giorgio, sta conducendo un gruppo di mosaico in una comunità terapeutica, con incontri limitati ad un giorno a settimana: non avendo alternative, ha dovuto accettare queste condizioni, anche se con molta perplessità. Ad una riunione di controllo con gli operatori che seguono i pazienti, lei sosteneva che non c’erano stati progressi, mentre gli operatori hanno espresso parere contrario. Altro aspetto su cui lei non era d’accordo era l’obbligo della partecipazione, a discapito della motivazione; pertanto ha espresso la necessità di lasciare i pazienti liberi di venire, senza conseguenze irreparabili in caso di rifiuto. Anche qui gli operatori hanno evidenziato che i pazienti hanno in mente di partecipare al gruppo e che quindi se lasciati liberi avrebbero partecipato ugualmente, mentre le sue aspettative erano che non avrebbero più partecipato. Sono pazienti psicotici con allucinazioni uditive, con disturbi dell’umore da psicosi maniaco depressive e in trattamento farmacologico sedativo a posologia generosa. L’obbligo consisteva da parte degli infermieri di andare a svegliarli perché prima dell’inizio del gruppo dormivano. Ebbene, dopo che e’ passato il messaggio che se non si svegliavano da soli nessuno la avrebbe chiamati, a sorpresa hanno partecipano tutti.

La Dr.ssa Di Gennaro segue in terapia individuale una paziente psicotica di 42 anni, di famiglia abbiente, ma sempre abbandonata a stessa che, pur essendo intelligente, non riesce a scrivere un semplice pensierino: viene sempre puntualmente.

La Dr.ssa Meoni pensa alla raccomandazione di P. de Marè di fare tre sedute una dietro l’altra perché questo permette al grande gruppo di attraversare gli stadi esposti dalla relatrice: aggressività. depressione e diffidenza, che strutturano la coesione del gruppo. Ma lei nella sua esperienza non ha potuto osservare lo sviluppo di questi stadi per l’impossibilità ambientale di applicare il settino raccomandato teoricamente.

La Dr.ssa Di Gennaro rileva che delle volte gli stadi vengono attraversati tutti nella stessa sessione.

La Dr.ssa Meoni non sa se possa dipendere da lei: dai “suoi occhi che non hanno visto”. A questo proposito dà la parola a Maurizio Giorgio che partecipa all’esperienza come tirocinante.

Il Dr.Maurizio Giorgio osserva che, da quando i pazienti non sono stati più costretti a partecipare, c’è stato qualche cambiamento; tuttavia non gli sembra sia una partecipazione attiva nel senso che fanno l’attività che gli va di fare : soprattutto vanno e vengono. All’inizio sono quasi tutti presenti, ma nel corso del lavoro si allontanano e poi ritornano, però sono un po’ più recettivi agli stimoli.

La Dr.ssa Di Gennaro interpreta questo andare e venire come una scelta e quindi una crescita in autonomia.

Per Maurizio Giorgio la crescita è nelle relazioni: hanno legato molto di più; prima c’era una divisione tra i più gravi e i meno gravi; adesso i meno gravi, quelli con meno disturbi cognitivi, riescono a prendersi cura degli altri.

La Dr.ssa Meoni, in risposta alla richiesta di chiarimento della relatrice, spiega che si tratta di pazienti inseriti nella comunità terapeutica residenziale di Marà, a Primavalle, prima e unica nel Lazio. E’ la comunità romana storica. Dopo l’avvento della 180 sulla carta erano predisposte un numero eccezionale di comunità terapeutiche pubbliche. Quando Massimo Marà uscì dall’ospedale psichiatrico sulla carta aveva la comunità, ma in pratica no; allora andò ad occupare una casa popolare vuota che era un edificio inutilizzato del Comune, amministrazione che ha poi ratificato questa destinazione d’uso riconoscendola ufficialmente come “Comunità terapeutica di Primavalle”. E’ stata per decenni l’unica comunità terapeutica pubblica, mentre sorgevano comunità terapeutiche private in convenzione surrettizie di una programmazione sanitaria pubblica che non realizzava l’applicazione di legge.

Il Prof. Pisani si rivolge alla Dr.ssa Palumbieri dicendole che gli fa molto piacere sentire l’opinione di persone che non siano “psicosi”. Sottolinea come lei stessa svolga un’attività che la coinvolge a livello gruppale. Chiarisce che il grande gruppo va oltre le 300-400 persone. Distingue la tipologia dei gruppi. Il gruppo grande è il gruppo arcaico; il gruppo piccolo è il gruppo familiare; il gruppo intermedio è il gruppo sociale. Nessuno ha un’esperienza a lungo termine della conduzione di gruppi grandi con pazienti; nei gruppi piccoli l’esperienza è dai 4 ai 10 anni, così anche con i gruppi intermedi dei qualiha esperienza di conduzione personale; reputa che il gruppo grande non sia terapeutico perché non abbiamo accumulato esperienze a lungo termine. Egli ha condotto solo due gruppi grandi di una cinquantina di persone, ma ha partecipato a quasi tutti i grandi gruppi nelle riunioni internazionali, simposi europei di gruppo, riunioni della Analytic Society di Londra; i gruppi della Associazione Internazionale di Psicoterapia di Gruppo: nessuno di noi che svolge questo lavoro ha esperienza superiore alle 10-15 sedute, quindi non possiamo quantificare gli aspetti terapeutici.

Il gruppo grande è in ogni caso la tipica espressione dei concetti gruppoanalitici. Il concetto gruppoanalitico per eccellenza dice che il conflitto intrapsichico individuale, cioè il conflitto tra le pulsioni istintuali e l’Io che deve tener conto della realtà esterna e del Super-Io, è in stretta relazione col conflitto individuo-gruppo; questo significa che se sto in un gruppo e parlo, corro il rischio di essere fatto a pezzi; se non parlo sono fatto a pezzi lo stesso perché vengo annientato, fagocitato da questo contesto. La sua esperienza gli dice che il gruppo grande ha molto più a che fare con i livelli di comunicazione junghiana, cioè ha a che fare con l’inconscio collettivo in cui l’archetipo della grande madre è simbolicamente rappresentata, soprattutto nel suo aspetto negativo di grande madre che ti fagocita. Nella fase iniziale il gruppo grande sviluppa una rabbia furiosa perché “ho paura che mi mangino” (ed è una paura psicotica), ed è in preda al caos: l’aspirazione dei partecipanti è quella di trovare un grande leader che tenga a bada questa grande madre-caos.

Lo sviluppo di questo stato iniziale non lo conosciamo; personalmente egli conosce molto bene quello del gruppo di 20 persone.

La Dr.ssa Di Gennaro chiede a Pisani se per sviluppo intenda evoluzione. Egli ribadisce che parla di evoluzione nel tempo.

Il Prof. Pisani si confronta poi con la relatrice sul transfert. Personalmente si guarda bene dal parlare di transfert, parola che si riferisce al transfert psicoanalitico, cioè il bambino che trasferisce sul suo analista le figure genitoriali e il controtransfert che è la reazione dell’analista nei confronti dei suoi pazienti individuali . Il rischio che si corre parlando di transfert nei gruppi è l’assimilazione ai concetti bioniani, per cui se io mi metto nella posizione dello psicoanalista, mi tiro fuori dal gruppo e tutto il gruppo è il mio bambino che debbo curare. L’ottica bioniana è ancora di tipo psicoanalitico nel senso che il problema è individuale, il contesto è sociale. Nell’ottica foulkesiana invece il conduttore condivide gli stessi problemi: è quello più esperto e fà il moderatore per fare in modo che tutto il gruppo lavori su un problema comune. Nel piccolo gruppo, ma soprattutto nel gruppo intermedio di 20 persone, le regressioni sono rare; il lavoro che si fa è molto poco transferale, è molto più gruppale basato sul rispecchiamento, sulla risonanza emotiva. Il conduttore ha il compito di far lavorare tutto il gruppo su un tema per far emergere le individualità. (Di Gennaro commenta che questo è scritto molto bene nel libro di Pisani). Pisani ha partecipato al gruppo di G. Sciaked ad Hidelberg ed evidenzia che ha condotto il gruppo in un’ottica bioniana: lui era lo psicoanalista e il gruppo stava di là; lui faceva le interpretazioni.

La Dr.ssa Meoni sottolinea che l’esperienza di far parte di un grande gruppo è raccomandabile. I gruppi ai quali ha partecipato erano gruppi di pari (psicoanalisti, gruppoanalisti), quindi già educati all’idea di stare chiusi in una stanza per un’ ora e mezza.

La Dr.ssa Di Gennaro li reputa capaci di esprimere le proprie emozioni e sensazioni.

La Dr.ssa Meoni pensa che, anche se circolano emozioni, non è assodato che le esprimano, tuttavia stanno in 400 in una stanza.

La Dr.ssa Di Gennaro sottolinea che per usare il grande gruppo come strumento terapeutico, innanzitutto non dobbiamo parlare di dimensioni così grandi. Forse con 60 persone è un’esperienza che può diventare terapeutica. Il suo progetto sul bullismo coinvolge circa 60 persone e prevede una seduta a settimana, per un anno. Per ora ancora non è iniziato; si sono fatte delle sedute illustrative con il consiglio di cattedra perché, anche se è gestito dal Comune, richiede sempre il gradimento della scuola.

Il Dr.S. Zipparri si occupa di terapia individuale, anche se nella comunità psichiatrica in cui lavora vengono fatti gruppi con pazienti psicotici, quindi ha un’esperienza abbastanza vicina a quelle presentate. E’ stato colpito dall’inserimento di questa tecnica in ambito aziendale. Gli sembra che la riunione aziendale sia la negativa di un’ esperienza gruppoanalitica; in quest’ultima vi è un tentativo di far emergere la comunicazione e creare uno spazio nel quale liberamente possano fluire emozioni. In questo contesto il gruppo agisce come facilitatore della comunicazione. Nella riunione aziendale sembra che il modello sia antitetico a quello di un’ espressione libera del pensiero. Sostanzialmente nelle riunioni aziendali, programmatiche non c’è nessuna intenzione di facilitare la comunicazione; il messaggio implicito è quello di accettare le decisioni già prese. E’ stato colpito dal fallimento dell’esperienza riportata dalla relatrice: le persone erano angosciate e non parlavano e lei ha dovuto dividere i partecipanti per far emergere qualcosa. Per la Dr.ssaDi Gennaro non si tratta di fallimento in senso tecnico. Inizialmente lei si è sentita distrutta pensando di non esser capace di fare qualcosa. A mano a mano che procedeva diventava sempre più difficile gestire il silenzio che alla fine si è rivelato un silenzio terapeutico (riferisce che sul silenzio terapeutico di gruppo ha scritto una relazione presentata in Argentina nel ‘95). Forse è un silenzio diverso perché nella riunione di lavoro è motivato dalla paura di emergere sugli altri, dal timore di attirarsi le antipatie, di fare da leader negativo. E’ comunque il lavoro d’equipe applicato al gruppo, nel senso che dobbiamo sapere di poter esporre le nostre idee senza che si crei qualcosa di negativo o che suscita invidia, da cui bisogna guardarsi nel posto di lavoro.

E.Cerignoli considera che il silenzio scaturisca dalla paura di essere divorati per cui stai zitto e non ti esprimi. Lei sta vivendo un’esperienza di gruppo da 6 anni poichè sta frequentando una scuola con classi di 40, a volte anche di 80 persone. Per la tipologia dell’insegnamento teorico- pratico sono sollecitati ad esprimere pareri davanti a 40 persone di fronte alle quali si debbono fare cose pratiche. Pensa di aver continuato la terapia di gruppo interrotta tanti anni fa. All’inizio era timidissima poi è stata spinta da diversi insegnanti a venire fuori perchè loro sono essere umani e debbono esprimere il proprio parere. Lei si sente cambiata dopo 5 anni di seminari intensivi nei quali o ti esprimi o te ne vai.

Per Di Gennaro ha superato la paura.

Cerignoli aggiunge che quest’esperienza l’ha fatta crescere sia professionalmente che umanamente.

Note di redazione

(r) elaborazione testi da registrazione vocale con revisione del relatore

(t) testo relazione direttamente fornito dal relatore

Antonella Giordani agior@inwind.it e Anna Maria Meoni agupart@hotmail.com


PSYCHOMEDIA --> HOME PAGE
SNP --> HOME PAGE