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Seminari
di Neuropsichiatria, Psicoterapia e Gruppo Analisi
2007 - 2008

Gruppo piccolo e grande. Musica da camera e orchestrale, con e senza direttore

Prof. Alessandro Tenaglia
Coordinatore Dr.ssa Anna Maria Meoni
(r) elaborazione testi da registrazione vocale con revisione del relatore a cura Dr.ssa Antonella Giordani



La Dr.ssa Anna Maria Meoni, coordinatrice dell’incontro, presenta il Prof. Alessandro Tenaglia che è pianista e concertista e, pur essendo sempre in giro per il mondo, ha dato la propria disponibilità per questo seminario: gli siamo doppiamente grati per aver ricavato uno spazio per noi.
É professore di musica da camera del conservatorio di Foggia; ha una laurea in filosofia e attualmente è laureando in scienze bibliche e teologiche presso la Facoltà Valdese di Teologia .
Il legame con noi è dato dal suo interesse e conoscenza per la psicoanalisi; fondamentalmente conosce le nozioni di base della psicoanalisi freudiana, junghiana e lacaniana, della quale (l’ultima) ha esperienza personale diretta. Non sa nulla della gruppoanalisi.
Il Prof. R. Pisani propone alla Dr.ssa Pallai di far dono al Prof. Tenaglia di una copia del libro di Foulkes.
La coordinatrice si augura che il Prof. Tenaglia si trovi bene nel vivere questa prima esperienza che è già una situazione gruppoanalitica. Gli dà la parola presentando la sua relazione dal titolo:
“ Gruppo piccolo e grande. Musica da camera e orchestrale, con e senza direttore”.

Il Prof Tenaglia ringrazia tutti i presenti. Ribadisce di non avere una formazione psicoanalitica, ma di avere una formazione in base alla quale proporrà il tema dal punto di vista interno di chi è musicista e fa musica. Fa presente che le dinamiche che avvengono nel gruppo cameristico e nel gruppo orchestrale, e tra orchestra e direttore, sono dinamiche tra loro molto diverse. Invita a partire da un dato: l’opera musicale, lo spartito che deve essere eseguito.
Lo sparito è l’elemento oggettivo intorno al quale gira comunque, qualsiasi modo di fare musica che non sia improvvisativi. Nel titolo della relazione c’era il punto interrogativo su chi sia l’autore dell’interpretazione, che presuppone appunto il dato oggettivo dello spartito, dell’opera musicale che deve essere eseguita . L’opera musicale, finché resta nello spartito è qualcosa di assolutamente morto, ma nello stesso momento, essendo qualcosa di assolutamente morto, che deve essere vivificato di nuovo nell’esecuzione musicale, presenta dei dati incontrovertibili: ci sono delle cose che sono scritte e che vanno lette con delle decodificazioni; vanno assolutamente lette ed interpretate nel modo più ragionevole e corretto possibile.

Si può dire grossolanamente che nel gruppo cameristico, cioè il gruppo in cui si suona da due a otto, dieci persone o anche piccoli complessi orchestrali di venti, venticinque, trenta persone, senza direttore, nel gruppo cameristico si dia per scontato che la responsabilità dell’interpretazione sia individuale da parte di ciascuno del gruppo, e che però questa responsabilità individuale debba assolutamente avere come riferimento un risultato che non sia individuale, ma collettivo; quindi l’atteggiamento individuale di responsabilità prevede anche una responsabilità riguardo al risultato collettivo che è determinante. Una delle qualità secondo cui si giudica l’esecuzione di un gruppo cameristico è appunto la qualità d’insieme, la qualità secondo cui non spicca la personalità di qualcuno sulle altre. Al contrario, nella situazione in cui c’è un’orchestra con un direttore abbiamo esattamente l’opposto: è il direttore, l’individualità del direttore che si prende la responsabilità dell’interpretazione.
Il relatore fa una premessa storica a tutto questo, perché vedendo come si sono evolute le situazioni nella storia, come si è arrivati a questa grossolana codificazione, i rapporti di responsabilità dell’interpretazione musicale, possono risultare infine anche molto variabili.
Quando nasce tutto questo? Si può dire che il momento fondamentale di nascita, il momento aurorale della musica da camera e quello della musica sinfonica coincidono, e coincidono entrambi con la nascita della filosofia dell’estetica.
L’estetica in filosofia nasce nel 1750 con gli scritti di Baumgarten e poi fondamentalmente con la “ Critica del giudizio” di Kant. Non che prima non ci fosse un pensiero sull’arte, però l’estetica come riflessione specifica ed autonoma sull’arte nasce a metà del settecento e la prima opera importante è la “Critica del giudizio” di Kant.
Similmente, nello stesso periodo, la musica da camera e la musica sinfonica, nell’accezione in cui ancora oggi le utilizziamo, nascono nello stesso momento e nascono da una rivoluzione sociologica fondamentale: a metà 700 si è costituita una classe sociale medio-alto borghese e piccolo nobiliare che ha i mezzi economici e il desiderio estetico di emulare, nel proprio piccolo, quello che un tempo avveniva esclusivamente nelle grandi corti; nasce l’esigenza, nel proprio piccolo, che poi può essere anche molto grande, molto esteso, molto fastoso, di dilettarsi delle varie arti e dilettarsi anche di musica. Questo provoca un grande cambiamento anche nello stile musicale: finisce il barocco, che in musica, e non solo in musica, è lo stile in cui la concettosità del comporre musica è arrivata al suo estremo; la concettosità del comporre contrappuntisticamente è arrivata al suo massimo livello. A questo punto i dilettanti hanno bisogno di una musica più semplice, perché la musica barocca è per loro troppo difficile: è quasi irraggiungibile per i loro mezzi dilettanteschi, di neofiti.
Nasce un nuovo stile che viene chiamato “Galante” che si pone all’origine di quello che è il vero e proprio stile classico. Lo stile classico è quello della grande triade viennese Haydn, Mozart, Beethoven che nella loro opera abbracciano il periodo dal 1765 al 1827, anno della morte di Beethoven. Abbiamo la nascita della figura moderna del musicista; della figura moderna dell’utente di musica; abbiamo la nascita dell’editoria musicale in senso moderno.
Il musicista, da questo momento in poi, comincia ad essere un libero professionista che vive della pubblicazione dei suoi pezzi, pubblicazioni rivolte al crescente pubblico di dilettanti della musica che acquistano questa musica, queste pubblicazioni, che cercano le lezioni private, possibilmente dei compositori in modo diretto, perché fa ancora più lustro poter prendere lezione direttamente dai compositori. Nasce un nuovo stile che è dedicato alla musica fatta per i dilettanti.

In epoca barocca e fino a tutto il ‘700, la forma di spettacolo musicale più importante è il melodramma: tutto ruota intorno al melodramma. In realtà, con questa rivoluzione sociologica riguardo alla musica, comincia a nascere qualcosa che nel giro di sessanta, settant’ anni acquisterà una potenza paritaria a quella del teatro melodrammatico, del teatro d’opera: comincia a nascere la vera e propria musica sinfonica.

Questa schiera di dilettanti della musica, che hanno imparato e continuano a fare musica in proprio, a suonare degli strumenti, più d’uno, e a suonarli in piccoli gruppi, cominciano ad appassionarsi alla musica strumentale: alla musica che non sia più per il teatro e che non pretenda esclusivamente il grande cantante d’opera, per essere approvata e apprezzata.
Il grande passaggio lo dobbiamo ad un’ invenzione mozartiana: l’invenzione del concerto solista. In epoca barocca c’erano già stati dei concerti solistici, e molti, però avevano ancora una forma non così caratterizzata come avviene in Mozart. In Mozart il concerto solista, prevalentemente per pianoforte (ma ha scritto anche concerti solisti per violino, per flauto e un po’ per tutti gli strumenti, anche se il grande blocco è quello per pianoforte e orchestra), lo strumento solista acquista lo stesso peso nella scrittura e lo stesso impatto nello spettacolo concertistico che sino ad allora aveva avuto il cantante d’opera virtuoso. Per la prima volta uno strumentista acquista l’impatto che era assegnato esclusivamente al cantante, ed è una grande rivoluzione estetica. Da qui nasce anche una maggiore importanza per l’orchestra perché, se lo strumento solista riesce ad essere equiparabile nel suo successo e nell’impatto sul pubblico al grande virtuoso cantante, anche l’orchestra cresce d’importanza autonoma e quindi incomincia a nascere la vera e propria orchestra sinfonica come oggi noi la definiamo.
La musica da camera , la musica per piccoli complessi, alla fine di questa evoluzione si emancipa essa stessa e diventa non più solo quella che era stata fin dal 1750-60: un modo di far musica più abbordabile per i dilettanti; con i suoi quartetti d’archi, Beethoven inventa la possibilità di una specie di diario di annotazioni privato del compositore: quindi comporre musica da camera, specificatamente quartetto, ma non solo, comporre per piccoli gruppi, diventa il territorio in cui il compositore si concede più libertà per una ricerca linguistica più libera e più approfondita.
Il concerto solista o l’opera lirica o la grande sinfonia, fanno pesantemente ancora i conti col successo di pubblico che paga il biglietto, invece nella scrittura quartettistica e nella scrittura cameristica, il compositore non si pone questo problema, o se lo pone molto poco, e la musica da camera diventa il luogo della ricerca, dell’approfondimento. I musicisti che fanno musica da camera, gli esecutori sono sempre gli stessi orchestrali, e fino alla nona sinfonia di Beethoven, che mette in campo una quantità enorme di persone perchè c’è un grande coro, ci sono quattro solisti e c’è un’ orchestra che non era mai stata così grande fino ad allora, diventa necessario il direttore. Sappiamo dall’aneddotica che Beethoven, ormai completamente sordo, pretese di dirigere ancora lui la sua nona sinfonia, ma era talmente importante avere un direttore che ci sentisse, che fosse un vero direttore, che, nella debacle della prova generale, fu deciso da parte dell’orchestra e dell’impresario, di mettere in un angolino una persona che dirigesse davvero, perchè Beethoven non poteva sentire quello che avveniva, quindi non poteva avere il controllo: Beethoven fu lasciato sul podio, ma il vero direttore era in un angolino, ed era lui che dirigeva realmente.

Dirigere vuole dire fondamentalmente portare il tempo.
Fin dall’origine della musica i gruppi hanno sempre avuto il problema di andare a tempo insieme, e non ci si è fatti molti scrupoli, nel senso che battere il tempo è stata una cosa fisica, anche rumorosa; si poteva fare col piede ed era accettato in varie situazioni, anche di corte; poi si è arrivati a raffinare un po’ questo gesto, per cui alla corte del Re Sole c’era Jean Baptiste Lully, grande musicista fiorentino naturalizzato francese, l’inventore del balletto e il primo codificatore della danza, che dirigeva battendo, anziché il piede, un grande bastone cerimoniale con cui scandiva il tempo molto vistosamente e sonoramente sul pavimento.
Con il melodramma questo ha cominciato ad essere troppo ingombrante, perché il rumore disturbava l’azione, per cui la mansione di tenere il tempo ha cominciato ad essere affidata a due figure: il primo violino, per quanto riguardava il gruppo orchestrale (si parla di gruppo orchestrale e non di orchestra perché in epoca barocca l’orchestra non era come cela rappresentiamo oggi, e c’era un altro modo di concepire i gruppi orchestrali, che non superavano di solito il numero di venti, ventidue, venticinque persone al massimo, erano comunque gruppi piccoli); c ’era dunque il primo violino che faceva da punto di riferimento, che dava gli stacchi dei tempi per il gruppo orchestrale, e poi c’era la figura del cembalista, del continuista, che aveva il contatto diretto con i cantanti: li sosteneva nei recitativi ed era il punto di riferimento per i cantanti sulla scena.
La direzione, che non era artistica, poetica, ma tecnica, cioè atteneva al modo di costruire il ritmo e il tempo dell’esecuzione, era pertanto divisa tra due persone: il primo violino e il cembalista continuista. Questa ripartizione dei ruoli è continuata a lungo.
Mozart stesso, che ha inventato il concerto solista come qualcosa di nuovo che poteva dare finalmente importanza alla musica strumentale ponendola allo stesso livello della musica operistica, era insieme il pianista solista e il direttore. I gruppi orchestrali mozartiani erano ancora gruppi piccoli, normalmente non superavano le trenta, trentacinque persone, anche se oggi le sinfonie di Mozart vengono suonate da orchestre più grandi. I gruppi mozartiani erano piccoli ed era perciò assolutamente possibile per il solista, dal pianoforte, dare quel minimo di cenni necessari perché si andasse insieme; era possibile farsi intendere col semplice contatto degli occhi.

Il punto di non ritorno è stato quando l’orchestra ha cominciato a crescere di numero. Negli anni 20, 30, 40, dell’ 800, i primi grandi direttori sono stati quelli che hanno inventato la famosa bacchetta del direttore, che è una stilizzazione dell’archetto del violinista .
Il violinista utilizzava l’archetto scandendo il tempo, prima d’attaccare per dare il ritmo; la stessa cosa fa la bacchetta che in origine era nera, poi aveva di segni bianchi sulla punta o al centro, fino a diventare tutta bianca, è diventata uno strumento con cui il direttore scandisce il tempo.

A questo punto però, quando l’orchestra è diventata così grande che non era più sufficiente il riferimento al primo violino, ma è stato necessario un direttore perchè tutti andassero insieme, il direttore si è trovato ad acquistare un’importanza particolare.

Negli anni 30 e 40 dell’800, il primo grande direttore moderno è stato Mendelssohn. E’stato il primo grande direttore moderno perché è andato a dirigere non solo la musica che lui stesso scriveva, ma è andato a riesumare la musica del passato A Mendelssohn si deve la prima grande riesecuzione moderna, a ottant’ anni dalla morte di Bach, della “Passione secondo San Matteo”, il grandissimo oratorio che Bach prevedeva eseguito da un’orchestra più limitata di quello che ha poi usato Mendelssohn. Difatti Bach dirigeva dal cembalo perché non aveva bisogno di cinquanta persone, gliene bastavano venticinque; aveva sempre il suo coro, anche questo composto non da cinquanta, ma da una ventina di persone. Quindi i numeri erano più ridotti e gli permettevano di dirigere dal cembalo.
Mendelssohn ha allestito una grande esecuzione, di portata storica: ha voluto dire la riscoperta di Bach, che era stato completamente dimenticato, e lo ha fatto con una grande orchestra romantica, con un grande coro romantico, con solisti romantici, cioè già abituati al teatro romantico, ad una sonorità più accentuata, più presente. Con Mendelssohn nasce il direttore d’orchestra in senso moderno che, ancora oggi, è fondamentalmente un grande coordinatore di eventi.

L’altra figura, contemporanea di Mendelssohn , che ha impostato in qualche modo uno dei filoni della direzione d’orchestra, è stato il francese Victor Berlioz: anche lui un grande organizzatore, anche lui assolveva fondamentalmente non a mansioni poetiche dell’interpretazione, perché le mansioni poetiche erano ancora implicite, erano ancora ritenute come inessenziali, ma assolveva alla funzione di stabilire il tempo, con molto rispetto per la professionalità degli strumentisti dell’orchestra, che dovevano essere molto preparati e ognuno dei quali si prendeva la propria quota di responsabilità per l’esecuzione.
Va chiarito che il primo violino è quello che non dà semplicemente degli attacchi , ma stabilisce, ancora oggi, le arcate. Banalmente significa quando si deve andare su o giù con l’archetto, ma fondamentalmente vuol dire dare le indicazioni del fraseggio, le indicazioni delle inflessioni espressive di tutto quello che si suona. La responsabilità del primo violino di mettere le arcate è una responsabilità già poetica, anche se lo è ancora molto da un punto di vista puramente tecnico come il portare il tempo.

Il primo grande direttore che cambia la tendenza e che fa diventare in qualche modo il direttore d’orchestra una figura demiurgica è Wagner. Tutta la sua opera complessivamente va intesa come un’ opera di esaltazione dell’artista come demiurgo, verso altezze che sono negate alla gente comune.
Wagner è il direttore-poeta: è il direttore che spesso maltratta l’orchestra perchè non riesce ad ottenere quello che vuole; è il direttore temperamentale ed umorale; è il direttore che ha le illuminazioni. Un po’ tutto nella sua opera è in questo senso: dal suo legame con Ludwig di Baviera, dal quale riesce ad ottenere la costruzione di un teatro a Bayreuth, che diventa sua proprietà privata ed è ancora oggi proprietà privata della famiglia Wagner . Si fa costruire un teatro perché non esistevano al mondo teatri adatti per la nuova concezione di opera che lui voleva mettere in scena. Utilizza l’orchestra sinfonica romantica con ulteriori aggiunte di strumenti a fiato e di ottoni, ma la nasconde in buona parte sotto il palco, perché l’orchestra non deve essere visibile, incurante delle condizioni in cui i musicisti sono obbligati a suonare per ore. Ci deve essere un suono che emerge quasi dal nulla e che avvolge tutto il teatro in modo mistico. La rappresentazione teatrale diventa una specie di funzione mistica da tutti i punti di vista e il direttore-compositore è il demiurgo di questo enorme rito mistico.

Si è passati praticamente dalle origini classiche, in cui non era importante che ci fosse un direttore come persona, ma c’era la funzione direttoriale di stabilire un tempo che veniva assegnato a seconda delle circostanze e dei casi a diversi tipi di musicista, ma veniva comunque assegnata, al ribaltamento della dinamica: con Wagner, la funzione direttoriale non è semplicemente una funzione: c’è una funzione del teatro, una funzione dell’orchestra, una funzione dei cantanti per questo grande rito, ma tutti sono in funzione del grande artista demiurgo. Si è completamente ribaltato l’equilibrio dei termini: dal direttore come funzione per l’esecuzione della pagina musicale, alla pagina musicale e all’orchestra come funzione per permettere al direttore di celebrare il rito demiurgico della musica.
Ancora oggi possiamo vedere in quelle che sono le gestioni di grandi e piccole orchestre, di grandi e piccoli teatri, questi due filoni. Il filone wagneriano lo troviamo pienamente nella figura di artista e nella carriera di von Karajan. Von Karajan è stato l’inventore del festival di Salisburgo, che ha costruito a sua immagine e somiglianza; il festival di Salisburgo è diventato grande perché la figura di von Karajan diventasse sempre più grande. Chiaramente tutto questo ha voluto dire un enorme vantaggio per Salisburgo e per tutta l’Austria, però l’importante era che von Karajan emergesse, e ovviamente era un musicista di levatura tale da avere le qualità per mettere in atto una dinamica di questo genere. Von Karajan si è sempre proposto come, ed è sempre stato, il direttore assolutamente ineccepibile, dalla personalità assolutamente indiscutibile, ma il direttore accentratore: il direttore –poeta-demiurgo. Anche il modo in cui si è proposto al pubblico con queste sue fotografie, queste immagini assorte, sognanti, con gestualità attoriali: è sempre stato molto in questa direzione.
Dall’altra troviamo una situazione completamente agli antipodi: l’orchestra filarmonica di Berlino, che ha una strutturazione particolare. L’orchestra filarmonica di Berlino elegge un direttivo al suo interno; questo direttivo gestisce artisticamente tutto quello che fa l’orchestra, tra cui la selezione dei direttori. Il direttore dell’orchestra filarmonica di Berlino ha tutte le responsabilità direttoriali, cioè le scelte di programma, di repertorio, dirigere in prima persona i concerti, però è praticamente un perfetto esempio moderno di quella che è la funzione del direttore assegnata ad un individuo di grandissimo livello, ma assegnata ad un individuo sostituibile: non è l’individuo in sé che è importante. Non si va a sentire Abbado, che per tanti anni ha diretto la filarmonica di Berlino, ma si va a sentire la filarmonica di Berlino, in questo caso diretta da Abbado.
C’è un film molto bello che il relatore ha visto in Germania e che non sa se arriverà in Italia. E’ un film- documentario sulla tournee che l’anno scorso, la filarmonica di Berlino ha fatto in Cina.- Giappone- Corea con l’attuale direttore Simon Rattle. E’ un film molto bello perchè mostra molto su quello che è la vera vita e il vero lavoro degli orchestrali, dei musicisti. Nel film ci sono vari spezzoni di interviste, e ce n’è una ad una violinista che finisce il suo discorso dicendo: “L’orchestra filarmonica di Berlino resta, i direttori cambiano. Ora abbiamo questo, prima ne avevano un altro, ma l’orchestra resta.”

Sul versante della musica da camera i gruppi sono piccoli. Ciascuno degli strumentisti del gruppo cameristico è responsabile in prima persona, non solo di quello che lui deve suonare materialmente sul suo strumento, ma è responsabile che tutto possa funzionare nell’insieme. Non essendoci un ruolo attribuito, come può essere quello del direttore dell’orchestra che dice “…qui suoniamo a questa velocità: il tempo ve lo scandisco io…qui cominciamo piano, lo facciamo in crescendo fino a questo punto….a questo punto lo spartito dice forte , ma io preferisco fare il forte mezza battuta più in là…” Prende le sue decisioni , dà le istruzioni e le fa eseguire. Nel gruppo da camera non è così, nessuno ha questo diritto sugli altri, quindi teoricamente tutti sono pari grado. Però nel gruppo da camera si afferma subito, sin dalla prima prova, che ci sono dei ruoli non detti, come avviene in qualsiasi altro gruppo e in qualsiasi altra situazione.

Il relatore presenta un breve escursus storico anche sull’evoluzione della musica da camera.
Alla fine del 700 e per tutto l’800, i cameristi che facevano musica da camera, erano gli strumentisti delle orchestre che si riunivano occasionalmente per suonare quartetto, per suonare quartetto col pianoforte, per suonare quintetto col pianoforte, per progetti isolati, ma non esisteva il concetto di gruppo stabile, mentre invece era molto forte l’uso che il grande solista del violino del momento andasse in tournee col suo quartetto e il quartetto prendesse il nome dal cognome del primo violino. Questo per dire che nel gruppo cameristico il primo violino o, se non era un quartetto d’archi, lo strumento melodico più acuto, aveva un ruolo di riferimento e di guida.
In realtà nell’800 il pianoforte vede crescere la sua importanza in modo esponenziale, anche
nella musica da camera. Dall’inizio alla fine dell’800, i vari compositori ottocenteschi assegnano al pianoforte il ruolo di collante per la strutturazione della scrittura e dell’esecuzione. Spesso il ruolo assegnato al pianoforte è un ruolo che tecnicamente richiede moltissimo, molto di più di quanto venga richiesto agli altri strumentisti. Di fatto anche qui veniamo ad avere una sorta di sostanziale predominanza del pianista e del violino o comunque dello strumento più acuto che c’è nel gruppo.
Questa cosa assomiglia molto a quello che già avveniva in epoca barocca nel 600.-700, nel teatro musicale dove all’orchestra pensava di più il primo violino e ai cantanti il cembalista –continuista.

I primi gruppi cameristici stabili sono un’invenzione modernissima. Non ci sono praticamente gruppi stabili prima della seconda guerra mondiale; i primi gruppi stabili di successo internazionale, e a questo punto possiamo dire mondiale, sono nati nella seconda guerra mondiale. Sono quelli che hanno inventato il suono moderno; sono quelli che hanno affermato la loro carriera con la nuova grande invenzione della discografia.
Ad esempio il Quartetto Italiano, appena dopo la seconda guerra mondiale, è stato il primo quartetto nel mondo a proporsi non solo come gruppo stabile, ma ad utilizzare strumenti montati con quattro corde d’acciaio, mentre fino a quel momento le corde erano di budello. Le corde di budello non sono qualcosa relegato solamente al 700 e primo 800. Le orchestre, fino alla seconda guerra mondiale, suonavano prevalentemente strumenti montati con corde di budello. I musicisti del Quartetto Italiano hanno invece innovato a livello mondiale il suono del quartetto d’archi, utilizzando le corde d’acciaio per motivi discografici, nel momento in cui la discografia aveva cominciato a divenire importante. La discografia è uno strumento meccanico che riproduce esattamente quello che avviene e lo riduce meccanicamente: questo vuol dire che se nell’esecuzione c’è un’imperfezione tecnica, d’intonazione, qualche rumore, qualcosa che sfugge, in un concerto dal vivo può anche essere poco importante, l’attenzione può anche non sostare su questa imperfezione, ma nel momento in cui ascoltiamo un disco, ascoltiamo quasi solo le imperfezioni: siamo presi molto di più dalle imperfezioni che da tutto il resto. Quindi bisogna trovare un modo per eliminare totalmente le imperfezioni. Le corde di budello davano sempre problemi di intonazione; le corde d’acciaio tenevano meglio l’accordatura; lo strumento moderno per la carriera era la discografia: il Quartetto Italiano fa questa scelta, primo nel mondo, ed apre così una carriera internazionale e una tendenza che ha fatto scuola.
Altro gruppo italiano importantissimo del secondo dopoguerra, è il Trio di Trieste: violino, violoncello e pianoforte. Altra cosa importante: il Quartetto Italiano e il Trio di Trieste erano costituiti da musicisti di altissima levatura, ma non da stelle di prima grandezza del solismo. Erano giovani, a quel tempo più o meno venticinquenni, che si aprivano al mondo del concertismo con un’altra mentalità, un altro taglio: non era più nessun solista che dava il suo nome al gruppo camieristisco, ma erano quattro giovani da una parte e tre dall’altra, e così analogamente nel resto del mondo, che insieme volevano costruire un insieme. Loro dovevano essere riconoscibili come Quartetto Italiano; era del tutto secondario che il primo violino fosse Paolo Borciani e il secondo violino fosse Elisa Plegreffi. I nomi Borciani e Plegreffi li conoscono gli addetti ai lavori, mentre il nome del Quartetto Italiano è conosciuto nel mondo.
La costituzione di gruppi stabili, che fanno musica insieme, che passano insieme una esorbitante quantità di tempo fra prove, concerti, viaggi di tournee, che lavorano artisticamente, cioè mettendo al centro dell’attenzione la realizzazione musicale, sonora di uno spartito che sta lì morto e che ha bisogno che le sue emozioni vengano tirate fuori, che svolgono quindi un lavoro fondamentalmente emotivo, comporta che i gruppi cameristici si sviluppino con dinamiche interne che hanno molto a che fare con le dinamiche dei gruppi familiari. Quindi c’è sempre qualcuno che assume il ruolo normativo paterno; c’è sempre qualcuno che assume il ruolo di accoglienza materna; c’è sempre qualcuno che assume il ruolo del figlio scapestrato che vuole sovvertire i ruoli e cambiare le cose, che è poi la spinta propulsiva del gruppo. Questo comporta una serie di dinamiche complesse perché nel momento in cui si riesce nel gruppo a restare professionali, cioè a non dare spazio con verbalizzazioni eccessive a tutte queste dinamiche, ma a rimanere fedeli a questo oggetto morto che aspetta di essere resuscitato che è lo spartito musicale, allora il gruppo riesce a vivere a lungo e a fare carriera, come è avvenuto nei gruppi citati. Nel momento in cui queste dinamiche relazionali prendono il sopravvento, si perde l’oggettività della realizzazione dello spartito, si perde l’attenzione per lo specifico che non è verbalizzare le emozioni o viverle come in un gruppo familiare, ma funzionalizzare le emozioni per la creazione di qualche cosa di estetico; allora i gruppi si sfasciano, non si riesce a tirare avanti: non esiste più la possibilità di costituire un gruppo stabile.
A quel punto non è che non si faccia più musica da camera: c’è sempre la possibilità di fare musica da camera in gruppi non stabili. In gruppi che, come è avvenuto per tutto l’800 e come continua ad avvenire, si riuniscono su progetto. Viene l’idea a qualcuno di fare un concerto con un certo programma. Si realizza con le sue tre, cinque, dieci prove per fare uno, due, dieci concerti, a seconda dei casi: si realizza un progetto limitato. Anche in questi progetti limitati chiaramente vengono fuori le stesse dinamiche, però tutti sanno che è qualcosa che ha un termine, quindi c’è l’autoaccomodamento perché queste dinamiche non diventino esasperate, che permette di solito si arrivi alla fine dei progetti e le cose procedano professionalmente, come devono procedere.
Per quanto riguarda i rapporti nell’orchestra sinfonica tra i musicisti e il direttore, rispetto a chi è l’autore dell’interpretazione, il relatore ha detto che si dovrebbe ascrivere questa responsabilità e questo onore al direttore; però in realtà gli stessi musicisti che suonano nell’orchestra, sono quelli che fanno musica da camera e molto spesso fanno anche i solisti, quindi non sono musicisti di serie B, ma sono musicisti molto preparati, tanto più oggi che le orchestre sono poche e i musicisti sono tanti e per trovare posto in un’orchestra bisogna essere molto, molto preparati.
Allora, c’è qualcosa che cambia nella testa delle persone? Non è che facciano un trapianto di cervello e di emozioni a seconda delle situazioni in cui si trovano, o almeno non del tutto, anche se in realtà un po’ questo succede.
Cosa succede allora? Succede che il direttore d’orchestra deve conquistarsi subito la stima dell’orchestra. Ci sono delle dinamiche molto simili a quelle che avvengono a scuola tra il gruppo classe e il nuovo professore. Il nuovo professore che arriva ha il registro in mano: può mettere cattivi voti, può mettere le note, però non ci sono santi: non farà mai lezione finché la classe non deciderà di starlo a sentire e la classe lo starà a sentire se lui dimostrerà che ha qualcosa da dire alla classe e se lo dirà nel modo giusto.
La stessa cosa avviene, in una dinamica molto simile, compresi gli infantilismi, fra direttore e orchestra. Il direttore, fin dai primissimi cinque, dieci minuti della prima prova, decide il suo destino con quel gruppo, per il suo concerto che deve fare con quel gruppo orchestrale.
Se perde in quei primi cinque, dieci minuti, il concerto non sarà come deve essere, perché l’orchestrale non gli darà fiducia; non avrà fiducia nel dargli le sue emozioni. Oppure sarà molto faticoso raggiungere un risultato adeguato.

In realtà l’orchestrale è qualcuno che sin da ragazzino ha deciso di studiare musica perchè gli piaceva moltissimo e perchè lo studiare musica, anche se pretendeva tanto, chiedeva tanto del suo tempo, della sua attenzione, chiedeva tanta disciplina, però gli dava in realtà la possibilità di sublimare quello che aveva da sublimare, altrimenti non sarebbe andato avanti; di sentirsi bene nel fare quella cosa, di trovare un modo di mettere fuori le sue emozioni, anche molto inconsapevole, cioè senza capacità di verbalizzare quali emozioni e perché, però un modo molto diretto di ripercorrere le sue emozioni più profonde nello studiare il suo strumento, nello studiare gli spartiti legati al suo strumento.
Il professore d’orchestra è ancora quel ragazzo lì! Ovviamente è diventato una persona sempre più esigente, quindi non mette in mano la sua preparazione professionale, il suo amore per la musica e, andando sempre più in profondità, le sue emozioni personali legate alla musica e legate alle sue capacità di mediare le sofferenze attraverso la musica, non le mette in mano al primo che viene: il primo che viene se le deve conquistare. Se le conquista nei primi cinque, dieci minuti, e non è un fatto magico: se li deve conquistare dicendo le cose giuste, nel modo giusto, rispettoso ed efficace. Anche se le dinamiche sono simili a quelle che avvengono a scuola, il direttore d’orchestra non deve fare l’insegnante: non deve fare grandi discorsi; non deve fare nessuna predica; deve dire “questo si fa da qui a qui, perchè questo serve” e l’orchestrale deve sentire che fare “da qui a qui”, in quel modo funziona; riesce veramente a tirare fuori il meglio. Questo potrebbe poi esere di aiuto anche per gli insegnanti: dire le cose giuste e utili nel modo più efficace. L’orchestrale deve avere la sensazione che fare le prove con quel direttore, non è perdere tempo e non è perdere la propria professionalità.
Se tutto questo avviene, c’è uno scambio emotivo fra i singoli dell’orchestra, che sono stati ragazzi che hanno studiato musica per i loro motivi, e questo direttore, che è stato anche lui, allo stesso modo, un ragazzo, e mettono insieme le loro emozioni; nel mettere insieme le loro emozioni in modo professionale, arrivano al concerto. Questo corto circuito fra direttore e orchestra, se ha funzionato, alla fine del concerto fa saltare in piedi il pubblico ad applaudire, oppure fa uscire delle lacrime a qualcuno che ha quel modo di esprimere le sue emozioni, cioè riesce a mettere in moto le emozioni del pubblico: riesce a sublimare anche le emozioni del pubblico.
Se invece questo non avviene, in qualche modo lo strumentista si lobotomizza da solo, cioè fa tecnicamente tutto quello che deve fare, ma lo fa freddamente: diventa irreprensibile. Il direttore non potrà dirgli “Tu hai fatto male il tuo lavoro”; non potrà mai dirgli questo, perché lo strumentista avrà fatto tutto quello che doveva fare dal punto di vista tecnico, però non ci sarà di più; il gruppo non funzionerà; non ci sarà nessuno scambio emotivo o uno scambio emotivo troppo parziale, e questo si sentirà anche nel concerto. Sarà magari difficile dire “Questo concerto non è stato buono” perchè tecnicamente avrà funzionato tutto, però il pubblico non reagirà come avrebbe potuto reagire; noi che stiamo a sentire non ci sentiamo emozionati come avremmo voluto essere.
Fondamentalmente fare musica è sempre un problema di tempo: il direttore scandisce il tempo; ci vuole qualcuno che si prenda la responsabilità di scandire il tempo. Questo vuole dire che fare musica è l’arte dei suoni, ma ancora di più è l’arte del tempo; l’arte di costruire un tempo che sia un tempo emotivo. Se questo succede facciamo musica davvero, se questo non succede avremo prodotto dei suoni.


Fa seguito alla relazione il dialogo tra i partecipanti:

Il Prof . R.Pisani evidenzia che il relatore ha parlato della gruppoanalisi. Si presenta come vecchio gruppoanalista d’età e d’esperienza. Proviene dalla scuola inglese della Group Analisys Society, di cui è stato maestro Foulkes che era uno psichiatra, psicoanalista ebreo tedesco, che si era rifugiato in Inghilterra per sfuggire agli attacchi nazisti, alla persecuzione nazista. Lavorando in ospedale, sui pazienti, si chiese cosa sarebbe accaduto se li avesse messi insieme: accadde che inventò la gruppoanalisi. Che cos’è la gruppoanalisi? E’ un tipo di analisi che mette continuamente in interazione l’inconscio individuale della psicoanalisi freudiana, cioè tutto il rimosso della storia individuale, con l’inconscio sociale. L’analisi individuale ha più a che fare con la storia personale dell’individuo; l’altra invece ha più a che fare con il contesto nell’ambito del quale l’individuo ha sviluppato tutti i suoi problemi, che sono stati rimossi nell’inconscio. La psicoanalisi tradizionale esclude, o prende poco in considerazione, gli altri membri del contesto sociale; il gruppoanalista li mette insieme e può lavorare con tre tipi di gruppi. Il gruppo piccolo che, guarda caso, ha molto a che fare col contesto familiare: l’orchestra da camera, dove c’è il padre, la mamma, il cugino, il fratello: sette, otto persone. Poi c’è il gruppo grande che va oltre le trenta persone, che ha molto a che fare con la grande orchestra e poi c’è il gruppo intermedio, il median group, di venti, trenta persone al massimo che ha a che fare col contesto sociale e che può suonare in maniera più armonica . Il Dr. Foulkes, che ha inventato la gruppoanalisi, si è ispirato a due filoni: il primo è quello delle orchestre; il secondo del teatro soprattutto il teatro di Pirandello con “Uno, nessuno, centomila” e “Sei personaggi in cerca d’autore”. Si è ispirato a questo, ha riflettuto e ha detto “A me il termine di leader, come si usa in gergo anglosassone, non piace” E’ un termine che ha più a che fare col demiurgo wagneriano che dà gli ordini; con una posizione hitleriana o staliniana o mussoliniana; ha più a che fare con la conduzione demiurgica.. Foulkes ha detto “ Preferisco che l’analista del gruppo si chiami conductor” . Questo ha molto a che fare con l’orchestra filarmonica di Berlino, nel senso che il conduttore scandisce i tempi. In che modo? Innanzitutto innesca il dialogo che è un passarsi voce; è un associazione libera del gruppo che può essere più o meno armonica o disarmonica; se è armonica dipende dal conduttore non in senso tecnico, cioè facendo rispettare le regole perchè è una musica che non piace, ma è armonica nel momento in cui le emozioni del conduttore combaciano con quelle dei partecipanti dell’orchestra. Allora si fa musica analitica che è musica terapeutica in cui l’inconscio individuale viene continuamente collegato, con quello sociale ed emerge nei suoi significati. Dopo aver esposto il pensiero sollecitato dalla relazione, chiede al relatore d’indicargli a chi appartenga Toscanini: se al gruppo wagneriano o alla filarmonica di Berlino.
Racconta un fatto aneddotico. Si è trovato a Lubiana, nell’ambito di un simposio di gruppoanalisi in cui parlava del gruppo intermedio, quello di 20,30 persone, e conduceva un gruppo intermedio e c’era il dr. Josef Shachid di Vienna che parlava della conduzione dei grandi gruppi Nell’intervallo gli si è avvicinato e gli ha detto “Maestro Toscanini, permetta che mi presenti, io sono il maestro Furthwängler”. Chiede al relatore a chi appartenga Toscanini e Furthwängler”
Il Prof. Tenaglia spiega che purtroppo erano cugini della stessa famiglia, intendendo quella wagneriana.
Il Prof. Pisani, sempre in senso aneddotico, riferisce che quella dispettosa della moglie, per metterlo in ridicolo, gli ha regalato la bacchetta.
Si augura che la Dr.ssa Conti possa dare in omaggio al Prof. Tenaglia sia la copia del libro di Foulkes ed Antony, sia quella del suo libro “Elementi di gruppoanalisi”. Evidenzia come nell’ambito della situazione analitica ci sia una continua solitudine, mentre nell’ambito della situazione gruppale ci sia una continua relazione; non si può fare analisi senza le relazioni o si può fare, ma rimane un fatto a se stante.
Il Prof. Tenaglia osserva che forse sono due cose diverse.
Il Prof. Pisani ribatte che sono due rovesci della stessa medaglia perchè l’inconscio individuale non può essere scisso da quello sociale e viceversa: sono continuamente in relazione; un po’ come l’individuo e il gruppo in cui nessuno dei due può fare a meno dell’altro perché l’individuo senza il gruppo è nessuno e il gruppo senza gli individui è nessuno. E’ un po’ come i componenti dell’orchestra. Mantenendo il parallelo tra la musica e l’analisi, l’analisi individuale ha molto a che fare col solista; ad esempio Uto Ughi che fa un magnifico concerto di violino.
Il Prof. Tenaglia l’interrompe per osservare che l’analisi individuale ha molto a che fare con lo studio individuale, perchè il ruolo del solista nel concerto pubblico è comunque un ruolo centralizzato, cioè del solista che si propone al pubblico; in campo musicale così come nel campo della ricerca personale, non esiste alcuna possibilità di suonare da solo o un gruppo, se prima non c’è stato un lavoro di autoanalisi, di studio individuale, privato, disciplinato. Non sa nulla di gruppoanalisi, ma ha esperienza personale di psicoanalisi ed esperienza personale riguardo la musica: pensa che non sia possibile nessuna relazione autentica, se non c’è un lavoro individuale sulla propria coscienza, sulla propria consapevolezza. Questo in musica vuol dire avere un rapporto giusto col proprio strumento: saperlo usare; avere gli strumenti tecnici ed essere in un buon rapporto personale col proprio strumento. Individualmente può voler dire mille altre cose su cui non reputa il caso soffermarsi in questo contesto.
Il Prof. Pisani ribadisce che la conoscenza individuale avviene attraverso il lavoro gruppale.
Il Prof. Tenaglia chiarisce che in musica non può essere così: c’è un rapporto che è sempre, sempre individuale. C’è un rapporto di discepolato: l’insegnamento della musica passa sempre attraverso un insegnamento maestro-allievo che è a tu per tu: è a quattr’occhi, con il medium dello strumento. Questa è una cosa che purtroppo la società moderna ci sta abituando a non considerare più neppure come verosimile, mentre invece il rapporto di discepolato è quello che per secoli e millenni ha costruito la civiltà occidentale.

La Dr.ssa M.A. Ferrante riferisce che giorni fa ha sentito un’intervista a Lorin Maazel sulla figura del direttore d’orchestra, nella quale emergeva quanto detto dal relatore sulla capacità tecnica, l’allenamento, la bravura, la capacità di comunicare. Parlava però di “un’idea” che deve avere il direttore d’orchestra che deve essere proiettata sull’orchestra; questa idea, secondo la sua teoria, è innata, non si apprende e non si può nemmeno comunicare. Chiede questo, anche considerando che Maazel ha diretto la prima orchestra a 6 anni. Dobbiamo perciò credere che direttori come Mendelssohn o Wagner, fossero grandi in base al possesso di quest’idea che ha dato loro madre natura? A parte questo, chiede se il pubblico possa percepire questa dote di quelli che dirigono che appunto non è solo allenamento, bravura.
Il Prof. Tenaglia ritiene che tutti quelli che vanno a fare musica in pubblico o che vanno a fare qualsiasi attività performativa in pubblico, dovrebbero avere non solo i requisiti tecnici, ma un minimo di talento per farlo. Maazel, da quanto riferito, usa la parola “idea”, che gli appare impropria. Lui parla più di talento, cioè di quella particolare predisposizione, molto difficile da definire, che possono avere anche bambini molto piccoli. L’invenzione del bambino prodigio non è solo un’ invenzione che nasce da coercizzazioni dei genitori, ma esistiono dei geni che nascono così. Gli risulta che Lorin Maazel sia stato realmente un bambino prodigo. D’altro canto Lorin Maazel viene da una famiglia circense, e non è strano che nelle famiglie circensi i talenti vengano subito valorizzati: è molto più facile che, se ci deve essere un bambino prodigio, nasca in una situazione in cui è normale che, se un bambino di un anno e mezzo mostra una qualità, venga subito esercitata. Riguardo al talento, il pubblico se ne accorge, però si possono avere anche delle forti delusioni. Capita di andare a sentire concerti con nomi altisonanti e di uscire dalla sala fondamentalmente insoddisfatti, malgrado il grande direttore, la grande orchestra. Secondo lui, e sottolinea che è secondo lui, dipende da questo meccanismo che deve instaurarsi tra direttore ed orchestra: meccanismo di fiducia emotiva.
La Dr.ssa M.A. Ferrante chiede se dipende anche dal direttore.
Il Prof. Tenaglia chiarisce che è bilaterale, però il potere più forte ce l’ha l’orchestra. Come sempre nelle situazioni gruppo- leader, il poter più forte ce l’ha il gruppo, per quanto il leader possa avere delle armi nelle sue mani. Deve essere comunque circolare e deve nascere circolare. Si può avere anche il direttore meglio disposto e più accomodante, con i maggiori valori umani e musicali, ma se l’orchestra è chiusa, è chiusa; così come si può avere un’orchestra apertissima, ma se si trova davanti uno che vuole semplicemente puntualizzare che in quella battuta c’è un re e non un re diesis, c’è poco da fare. Quindi è sempre un fatto di circolarità.

La Dr.ssa L.Taborra si complimenta e ringrazia il Prof. Tenaglia perché le ha permesso di rivivere momenti indimenticabili vissuti col padre che era direttore d’orchestra, diplomato a Santa Cecilia. Ha passato la sua vita in famiglia a sentire sinfonie; quando c’erano temporali suo padre la prendeva, le faceva la Sinfonia Pastorale di Beethoven: è cresciuta in questo clima.
Le è venuto in mente a proposito di emotività, del campo emotivo sia del direttore che degli orchestrali, un episodio di quando aveva sei anni. Erano a tavola e, non ricorda il motivo, ma il padre la rimproverò. Lei, senza ribellarsi, lo guardò negli occhi e gli disse “ Tu sei un altro papà”. Lui non capiva, le chiese spiegazioni, ma la cosa morì là per l’intervento della madre. Dopo qualche anno ripresero questa cosa . Aveva 13 anni ed ebbe la possibilità di spiegargliela. Quando la portava alle prove dei concerti vedeva, sentiva, un altro padre. Quando il padre dirigeva, a parte che era amato dagli orchestrali che gli volevano molto bene, lì conosceva in lui un’altra persona: il padre sul podio che dirigeva, come si muoveva, come era, quello che trasmetteva, diversi dal suo rigore la sua rigidità in casa. Quindi “tu sei un altro papà” era perché in casa non riusciva ad essere così sanamente emotivo come era quando dirigeva. A sei anni, senza razionalizzare e senza comprendere, sentiva che lui era un “altro papà”. Conferma quanto detto dal relatore e lo ringrazia ancora per il ricordo che le ha permesso di rivivere.
Il Prof. Pisani commenta: “ la storia di Toscanini”
Il Prof. Tenaglia dice che Toscanini è stato un enorme direttore d’orchestra; è stato importante anche a livello morale per la storia italiana, dirigendo il primo concerto della Scala dopo la seconda guerra mondiale, affermando la voglia di vivere e fare musica nelle grandi difficoltà dell’immediato dopo-guerra.
La Dr.ssa L. Taborra pensa che forse è stato il più grande.
Il Prof .Tenaglia evidenzia che adesso lo stanno ridimensionando dal punto della levatura artistica, comunque è stata una grande personalità del 900; sicuramente della famiglia wagneriana; è stata una grande personalità accentratrice; come diceva di Furthwängler: cugino della stessa famiglia, e anche lui un personaggio molto accentratore.
La Dr.ssa Taborra commenta che ora capisce la rigidità di suo padre.
Il Prof. Tenaglia ritiene che sia anche un fatto generazionale. Per quella generazione era molto più normale essere direttore con quella mentalità che non quello che possiamo trovare oggi con Claudio Abbado, Riccardo Chailly o Simon Rattle.
La Dr.ssa Taborra chiede sul potere dell’orchestra e tutti i direttori narcisi: ad es la filarmonica di Berlino, diretta da… come può andare d’accordo il potere dell’orchestra con il narcisismo dei direttori, visto che il narciso non cede tanto facilmente il potere?
Il Prof. Tenaglia spiega che la filarmonica di Berlino si è tenuta Claudio Abbado molto a lungo, circa 25, 30 anni, fino a che la malattia non gli ha più permesso di essere il direttore principale. Questo perché Abbado non è un direttore narciso; la cosa non avrebbe potuto funzionare con Riccardo Muti, che pure ha diretto occasionalmente la filarmonica di Berlino, per progetti limitati, perché Muti è il tipo di direttore narciso, come si vede anche da ogni manifestazione mediatica.
La Dr.ssa L. Taborra commenta che in questo caso, c’è uno stridore.
Il Prof. Tenaglia ripete che la filarmonica di Berlino si è tenuto stretto Abbado il più possibile. Adesso c’è Simon Rattle che è una personalità diversa da quella di Abbado, ma comunque è un partecipativo, un democratico, una persona sorridente, non impositiva. Consiglia in proposito la visione del film-documentario di cui ha già parlato.

Il Dr S.Ghera chiede se non ci sia il rischio nella filarmonica di Berlino, di raggiungere un modello tecnicamente e professionalmente molto bello, ma che non ha la passione dentro.
Il Prof Tenaglia sottolinea che avviene proprio il contrario, e che secondo lui è l’orchestra migliore del mondo in questo momento e lo è già da un po’.
Porta l’esempio del grande esperimento pedagogico-politico in Venezuela delle orchestre per i giovani, messo in piedi dal regime venezuelano attuale. Praticamente hanno costruito una struttura piramidale per cui in ogni villaggio sperduto del Venezuela ci sono scuole di musica dove ai bambini viene messo in mano uno strumento classico, e viene loro insegnato a suonare questo strumento e a suonarlo in gruppo. In questa infinita varietà e quantità di scuole di tutti i villaggi sperduti, di gente povera che vive con niente e che ha problemi grossi di vita quotidiana e anche di delinquenza minorile, tutti suonano. Da qui si costituiscono poi, con i migliori delle singole scuole, gruppi nel centro più grande vicino e così piramidalmente fino ad arrivare all’Orchestra Giovanile Nazionale del Venezuela, che è continuamente in tournee per tutto il mondo. Circa un anno e mezzo fa l’orchestra sinfonica giovanile nazionale del Venezuela è stata invitata dalla filarmonica di Berlino: hanno fatto dei concerti da soli; hanno suonato insieme ai filarmonici di Berlino. E’ stata una grande festa musicale; era veramente una festa caraibica attraverso il medium dell’orchestra sinfonica in concerto, dove però i filarmonici di Berlino avevano lo stesso atteggiamento: si sono lasciati trascinare da questi ragazzi che suonavano in piedi, suonavano ballando secondo la loro vitalità naturale e la loro cultura originale. Hanno fatto concerti insieme e concerti separatamente: Simon Rattle ha diretto l’orchestra giovanile; il direttore dell’orchestra giovanile, poco meno che trentenne , ha diretto i filarmonici di Berlino. Guarda caso, da questo grande tessuto, nelle selezioni è venuto fuori un ragazzo ventunenne che si è presentato come contrabbassista e che si è conquistato un posto di contrabbasso nella filarmonica di Berlino.
Questo è lo spauracchio di tutti gli strumentisti: vincere un concorso della filarmonica di Berlino che è uno dei posti veramente più inarrivabili; è il top per lo strumentista orchestrale. Ma non c’è assolutamente questo senso di gelo, di eccessivo rigore. È il giusto rigore: viene richiesto un livello professionale elevatissimo, ma perché l’orchestra è a un livello elevatissimo; se non si è a quel livello, si va in un’altra orchestra; non è che manchino orchestre di livello inferiore, anzi: tutte le altre sono di livello inferiore!
Il Dr. S. Ghera precisa che la sua domanda era sul direttore d’orchestra ideale e sulla dinamica. Quando il direttore si accorgesse che non va d’accordo con l’orchestrale o non riesce a tirar fuori il top da quell’ orchestrale, cosa fa? Gli dà i compiti a casa, lo aiuta, lo licenzia, lo sostituisce?
Il Prof.Tenaglia spiega che il direttore d’orchestra non ha il potere di licenziare nessuno orchestrale.
Il Dr. S. Ghera ribadisce che si sta riferendo ad una dinamica ideale, perché poi ciascuna orchestra lo risolverà a modo proprio. Ma in un’orchestra ideale?
Il Prof.Tenaglia evidenzia che nell’orchestra ideale non bisognerebbe mai dimenticare che al centro
c’è lo spartito da eseguire. Quando questi problemi diventano così radicali, evidentemente si è dimenticato questo, cioè si è usciti dall’ambito professionale che è l’ambito deputato, quindi si sta sbagliando da tutte e due le parti. Secondo lui il direttore ideale non dovrebbe arrivare mai a quel punto. Il bravo direttore, a parte il direttore ideale, non arriva mai ad un punto di rottura con uno qualunque degli strumentisti dell’orchestra perché comunque, anche se è il gruppo che ha il grande potere, è il leader che lo gestisce.

Il Dr.S. Zipparri ha ascoltato con estremo interesse e con piacere l’esposizione del Prof. Tenaglia perché probabilmente questa attitudine musicale, dà anche all’esposizione una sorta di armonia, di ordine e di misura che è propria di un’esecuzione musicale con scansioni e tempi definiti. Fa una breve parentesi dicendo che l ‘analisi individuale, che poi si chiama individuale, ma che in realtà è diadica in quanto si fa a due persone, nella metafora nel parallelo che si è voluto instaurare con la struttura della musica, personalmente ha a che fare con l’insegnamento dei primi rudimenti della musica. C’è un rapporto tra il maestro di musica e l’allievo che, anche per la cadenza degli incontri, ricorda molto l’analisi individuale.
Il Prof. Tenaglia sottolinea che la somiglianza tra le due relazione c’è anche perché l’allievo mette nelle mani del maestro un sacco di emozioni.
Il Dr. S. Zipparri reputa che il bravo maestro di musica è quello che riesce a far esprimere la personalità dell’allievo, senza forzarla con la dimensione coartativa. Approfitta della presenza del Prof. Tenaglia presentato, oltre che come esperto musicologo, anche come conoscitore della psicoanalisi, per fare un discorso sul rapporto tra psicoanalisi e musica. Secondo lui è un rapporto che ha sofferto molto del fatto che il suo fondatore non apprezzava la musica, e forse non è un caso se consideriamo che le teorie moderne assegnano all’emisfero emozionale la sede della attitudini musicali, mentre invece l’emisfero della razionalità sarebbe quello più sviluppato in un personaggio come Freud. In realtà è colpito da questa contrapposizione tra emozione e razionalità. Riporta una metafora che ha sentito dal filosofo Remon Boday ad un congresso di psicoanalisi, il quale diceva che la personalità umana dovrebbe suonare come una tastiera in cui con una mano si suonano i bassi e con l’altra si fa la melodia. Secondo questa metafora gli sembra che la musica sia una sorta di esempio in cui l’emotività non viene espressa in un modo caotico, ma nel modo più disciplinato che ci possa essere senza rinunciare, senza raffreddarsi in una razionalità priva di affetto. Chiede il parere del relatore.
Il Prof. Tenaglia dichiara di avere un’opinione precisa in merito. Anche se è un musicista pensa che Freud, non avesse tutti i torti, anzi aveva ragione nel senso che il lavoro musicale è un lavoro che riguarda le emozioni e riguarda la psicomotricità, ma non riguarda mai la verbalizzazione delle emozioni; quindi il lavoro del musicista e dello studente di musica, è un lavoro di grande approfondimento della propria sensibilità e, quando gli riesce bene, di grande sublimazione delle tensioni, ma non è un lavoro analitico. Il lavoro analitico ha bisogno della verbalizzazione. Lui ha fatto un po’ di analisi lacaniana e, secondo i principi lacaniani, l’inconscio si struttura come linguaggio verbale; il passare attraverso il linguaggio verbale è fondamentale e determinante. Il lavoro che il musicista può fare nella sua formazione, nel suo essere musicista è un lavoro emotivo, è un lavoro di sublimazioni, ma il lavoro di analisi, il lavoro di autoconsapevolezza e di costruzione della personalità, non può essere disgiunto dalla verbalizzazione. Lo dice soprattutto per esperienza personale, non pretende di avere una valenza maggiore di questa.
Il Dr. S.Zipparri osserva che i neologismi di Lacan avevano molto di musicale.
Il Prof. Tenaglia spiega che Lacan si riferiva allo strutturalismo linguistico, ai fonemi che hanno ragione di esistere anche in riferimento al modo in cui il linguaggio viene appreso nella primissima infanzia; al modo in cui si struttura l’apprendimento del linguaggio nella primissima infanzia e quindi l’inconscio nella primissima infanzia: si struttura non improvvisamente con frasi di senso compiuto, ma con fonemi che hanno un suono prima di avere un senso; certamente però suoni legati alla verbalità e alla verbalizzazione, non suoni puri.
Il Dr. S. Zipparri sottolinea che la discussione è molto interessante e si augura di avere l’occasione di altri incontri per continuarla. Il prof. Tenaglia ringrazia per l’attenzione.

La Dr.ssa L.Di Gennaro. si complimenta anche lei per il seminario eccezionale in cui il relatore e’ riuscito a fondere le conoscenze teoriche, razionali con quelle emotive e tecniche. Avendo perso l’inizio della presentazione si domandava se fosse musicista o direttore d’orchestra vista la conoscenza approfondita del ruolo. Esprime due considerazioni rispetto alla comparazione tra psicoanalisi, gruppoanalisi e musica. La prima riguarda il linguaggio del gruppo e dell’orchestra.
Il relatore ha spiegato che un direttore d’orchestra può tirar fuori l’emotività, e allora diventa un concerto eccezionale, oppure può essere una mera esecuzione tecnica. La stessa cosa succede in un gruppo e con il conduttore del gruppo. Il talento nel gruppoanalista e nello psicoanalista è la stessa cosa che ci vuole per il musicista: non basta la sola preparazione tecnica.
Il Prof. Tenaglia osserva che questo si potrebbe dire per ogni attività umana.

Il Dr. M.Longo espone le sue riflessioni rispetto alla sua attività sia di musicista, sia di psicoanalista che non se la sente di dividere la parte razionale dalla parte emotiva dicendo che Freud era razionale; pensa avesse un orecchio diverso. Ci sono persone che hanno un orecchio più o meno sviluppato, naturale, istintuale, che in qualche modo sentono le cose e sono favoriti nel diventare musicisti e altri che sono meno favoriti. Comunque ci sono persone tra i musicisti che sono più musicologhi che musicali: possono leggere lo spartito a primissima vista, fare cose eccezionali, però il cuore, ce ne vuole perché esca. Ci sono invece persone che hanno una musicalità innata, anche se a volte non hanno potuto nè studiare, nè approfondire, ma che saprebbero esprimersi. Essere poi direttore d’orchestra a livello professionale e saper mediare tra queste due cose e tirar fuori sia un lavoro eccezionale. Anche gli psicoanalisti hanno orecchi molto diversi: ci sono analisti molto razionali, carrieristi e altri che, più umilmente, suonano molto bene nell’alleanza terapeutica col paziente.

Il Dr.W.Lusetti chiede al relatore se ritiene casuale che la disciplina delle emozioni, che si articola sul piano collettivo qual è la musica , considerata la più collettiva rispetto a tutte le altre forme d’espressione artistica che sono più individuali, si sia sviluppata soprattutto in Germania: i nomi che ha fatto sono di artisti tedeschi. Gli vengono in mente anche due film in cui ci sono dei protagonisti tedeschi. “Prova d’orchestra” di Fellini è uno di questi in cui il direttore d’orchestra è tedesco e c’è questo popolo d’orchestrali; l’altro è “Pane e cioccolata” con la scena famosa del quartetto e di Manfredi che addenta la cioccolata e fa un rumore che blocca la violinista. Questo lavoro di padroneggiamento delle emozioni sul piano collettivo, sembra un problema del popolo tedesco.
Il Prof. Tenaglia dichiara di essere un pò germanofilo, quindi concentra la sua attenzione su ciò che è tedesco, ma è un suo “problema”. In realtà la musica europea è europea: la musica tedesca ha avuto il suo grande momento nell’800, ma il melodramma italiano è stato di pari importanza e di pari livello a partire dal 600 fino a tutto l’800 e il primo ‘900; la musica francese ha avuto una produzione fondamentale. Propone invece di riflettere su come mai in Inghilterra ci sia una grande tradizione esecutiva, però i compositori inglesi siano pochi. Questo potrebbe essere un argomento di riflessione, mentre non c’è un problema specifico legato al popolo tedesco. E’ un problema legato al fatto che nella musica in genere e nella musica strumentale, vissuta collettivamente nel rito del concerto, c’è una grandissima risorsa: cioè, in una situazione fortemente emotiva, in cui però non viene verbalizzato nulla, ciascuno, sia chi suona sia chi ascolta, ci mette dentro la propria emotività. Quindi la musica è un enorme contenitore, molto più del teatro, molto più dell’opera lirica, che comunque passano attraverso la parola. Capita che la grande musica strumentale sia fiorita in ambito tedesco, però nel dire questo, dice anche il suo contrario. Se pensiamo alla grande musica strumentale della seconda metà dell’800, dei primi venti anni del 900 in Francia con Debussy, Ravel: come dire che loro sono meno importanti dei tedeschi? E’ la musica strumentale in se che dà questa enorme risorsa di scatenare una situazione emotiva in cui ciascuno ci mette dentro le sue personali emozioni.


Note di redazione:
(r) registrazione della lettura presentata così come il dialogo nel dibattito a seguire la registrazione vocale degli interventi dei partecipanti rivista dal relatore Prof. A. Tenaglia.
Antonella Giordani agior@inwind.it e Anna Maria Meoni agupart@hotmail.com

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