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Seminari
di Neuropsichiatria, Psicoterapia e Gruppo Analisi
2007 - 2008

Comunità luogo di cura o strumento di cura?

Aldo Lombardo
Coordinatore dr.ssa Anna Maria Meoni
(t) testo di relazione fornita dal relatore così come presentata in slide schematiche (r) elaborazione testi dialogo a cura Dr.ssa Antonella Giordani



La coordinatrice, Dr.ssa A. M. Meoni, presenta il Dr. Aldo Lombardo : competente Gruppoanalista, Medico Endocrinologo. Ha esercitato la professione in Inghilterra, dove si è formato Gruppoanalista. In particolare ha avuto modo di frequentare ed essere allievo del Prof. Raymond Gledhill e a suo nome ha intitolato la Comunità Terapeutica che ha fondato, al suo rientro in Italia negli anni 90. La relazione che si domanda se la comunità e luogo di cura o strumento di cura descrive la comunità terapeutica ispirata ai principi gruppoanalitici alla luce teorico pratica della sua applicazione nel contesto italiano.
Il Dr. A. Lombardo ringrazia per essere stato invitato a parlare di questo argomento che gli sta molto a cuore. Spiega che la presentazione è suddivisa in due parti: la prima è sulla definizione di comunità terapeutica; la seconda entra più nel merito del come e del perché la comunità possa diventare uno strumento di cambiamento. Presenta il proprio lavoro con il supporto di diapositive, qui di seguito riportate.

SLIDE 1
Due Date di Nascita dell’approccio di gruppo al disagio psichiatrico grave

‘Moral Treatment’ 1796 William Tuke The RetreatYork
Compito: aggiungere un aspetto umano al trattamento dei malati di mente, complementare al modello medico
Target: Soggetti Psicotici

‘Sociotherapy ‘ 1942 M. Jones – W. Bion Mill Hill - Northfield Hospital Londra - Birmingham
Compito: studiare le tensioni interne al proprio gruppo, che ostacolano il raggiungimento dell’obiettivo che il gruppo stesso si da
Target: Disordini di Personalità

SLIDE 3
Definizioni di Comunità Psicoterapeutica secondo David Kennard e Aldo Lombardo

David Kennard 1. un gruppo di persone vive insieme o s’incontra regolarmente e insieme partecipa regolarmente ad una serie di compiti significativi: terapeutici, domestici, organizzativi, educativi…
possono esserci
2. relazioni informali, intime, non gerarchiche
3. scambio regolare e frequente di informazioni tra tutti i membri del gruppo.
Se questa non è ancora comunità terapeutica, comincerà ad esserlo se c’è:
3.1. un impegno condiviso verso l’obiettivo di “apprendere dall’esperienza” di vivere e/o lavorare insieme (a living-learning situation) sarà ancora più sviluppata per la presenza di:
3.2. un impegno condiviso verso esame aperto e risoluzione di problemi, tensioni e conflitti all’interno del gruppo (culture of enquiry) e DIVENTERA’ PSICOTERAPAUTICA se teoricamente indirizzata ad apportare:
3.3. consapevolezza dinamiche psicologiche dell’individuo e del processo del gruppo con le conseguenze per questo tipo di esame (psicoterapia)il tutto, all’interno di:
3.4 chiara definizione dei confini riguardanti, tempo, luogo e ruoli nell’ambito dei quali quanto sopra citato può effettivamente aver luogo (socioterapia)

SLIDE 5
Definizione di Comunità Psicoterapeutica secondo Aldo Lombardo
Sistema (grande gruppo organizzato)
Strumento operativo: gruppo
Target: modifica dell’identità di malato/ male adattato
Funzioni: educative e psicoterapeutiche
Principi: scelte democratiche, condivisione responsabilità e spazi, confronto con la realtà, “permissivismo”
Caratteristiche operative: Community meetings, crisis groups, gruppi emotivi per lo staff
Cultura: dell’inchiesta psicologica sui fenomeni di comunità “culture of enquiery”
Tecnica: empowerment e living-learning
Modello: non medico
Finalità: recovery (OMS 2007)

SLIDE 6
Un sistema vitale:
Flusso d’informazioni attraverso tutte le parti del sistema e sottosistemi. Possibilità di reazione/risposta (feedback) di adattamento alle informazioni che si ricevono
Capacità di cambiare per auto-strutturarsi o auto-generarsi


SLIDE 7
Strumento operativo: il gruppo
Sociologia = Gruppo Allargato: strumento di apprendimento sociale importante e particolare per l’identità
Psicologia = Gruppo Terapeutico

SLIDE 7bis
Sociologia: Gruppo allargato
Individuo nella collettività
Self-concept sul versante dell’Identità sociale:
Ruoli o posizioni sociali, interazioni molteplici regolate da NORME
Self-training in action
Identificazione con la cultura del gruppo allargato
Matrice dinamica sul compito
Umanizzazione del contesto
Compartecipazione,
Comunione
Condivisione
Super Ego nuovo: Prescrittivo; Proscrittivo
Esperienza culturale integrativa (di microculture)

SLIDE 7tris
Psicologia: Piccolo gruppo
Individuo nel gruppo
Self-concept sul versante dell’Identità personale:
Self-esteem
Self-image
Ego training in action
Identificazione con meccanismi di difesa nuovi anche di altri membri
Matrice dinamica sulle relazioni
Insight intrapsichico (“mindfulness”)
Transfert verso
Conduttore,
Altri membri,
Gruppo come oggetto
Ego nuovo rafforzato
Esperienza emotiva correttiva

SLIDE 8
L’Area Target Identità
Construction of Individual Identity
Social Identity Theory di Tajfel: non un solo Sè (“personal self”), ma molti Sé (“group membership”) “abbiamo un repertorio di identità sociali e personali disponibili: ci informano su chi siamo e cosa comporta una determinata identità in un determinato contesto”
(Tajfel,et al.1986)

SLIDE 9
Intercorrelazione dell’identità
Identità Sociale : pubblica presentazione di se .
Ruoli, Appartenenza, Discriminazione Intergruppale
Identità Interna : concetto privato di se .
Autostima, Self-image, Intenzioni, Mindfulness, Creatività
L’Identità serve: a relazionarci con gli altri in RUOLI di vario tipo.

SLIDE 10
Ruolo = incontro tra istinti (sistemi motivazionali sociali innati) e prerogative ambientali:i circuiti nervosi incontrano l’ambiente e si adattano: formano Strutture mentali, importante i lobi prefrontali laterale e mediale, sede delle strutture che regolano i tratti delle nostre risposte caratteriali

SLIDE11
Prerogative d’ambiente per l’Area Target Identità:
Per l’identità sociale: Ruoli Sociali Efficaci, Ambiente Sicuro, Prevedibile, Stabile > Socioterapia
Per l’identità interna: Significati e Senso ai vissuti Psicoterapia


SLIDE 12
Socioterapia
Organizzazione sociale di ruoli significativi, utili al compito principale: far funzionare la comunità in autonomia
I membri si danno ruoli di responsabilità (empowerment)
Cooperano e decidono democraticamente
Acquisiscono un repertorio di ruoli sociali
Studiano le forze psicologiche che si oppongono al compito principale… e nel processo scoprono se stessi e si sentono cambiare (identità)

Slide13
Funzioni della CT

Terapeutica
aiuta a creare e a risolvere conflitti :opera il cambiamento dei tratti di personalità che disturbano la persona e fanno star male chi gli vive accanto
aiuta a stare meno male

Educativa
insegna abilità sociali
insegna una disciplina personale
insegna ad interagire con gli altri
aiuta a vivere meglio

SLIDE 14
Principi (Rapoport’s “themes”)
Democraticazione: Ogni membro della CT (tutti, pazienti e staff) dovrebbe condividere in maniera uguale l’esercizio del potere decisionale sugli affari della comunità
Permissiveness: Tutti i membri dovrebbero esercitare tolleranza reciproca verso vari comportamenti che possano essere disturbanti o apparire devianti rispetto alle convenzioni sociali standard
Communalismo : Si dovrebbero stabilire relazioni intime e strette e condividere risorse della casa (stanza da pranzo, etc) e mezzi, chiamarsi per nome e comunicare liberamente.
Reality confrontation: Ai pazienti dovrebbe essere data continuamente l’interpretazione del loro comportamento così come osservato dagli altri, per limitare la tendenza a distorcere, negare o sottrarsi alle loro difficoltà nell’andare d’accordo con gli altri.

SLIDE 15
Caratteristiche operative
Community Meetings
Assemblee plenarie
Gruppo emotivo per lo staff
Gruppi di crisi
Elezione rappresentanti dei residenti
Job description ad hoc

SLIDE 16
Cultura di una Comunità Psicoterapeutica
Culture of Enquiry (cultura dell’inchiesta)
chiedersi il perché di ciò che avviene
chiedersi il perché di ciò che NON avviene
riflettere su cosa si fa
riflettere su cosa si sente
Cultura e Comunità Terapeutica: Un intreccio tra psicologia e sociologia che genera ambiente terapeutico
Comunità = Socioterapia + Terapeutica = Psicoterapia

SLIDE 17
Tecnica
Living-Learning
sbagliare per imparare
riflettere sui propri errori
tentare di capire i come e i perché di certi propri comportamenti
confrontarsi con gli altri
Empowerment
passare autorità e potere decisionale al gruppo dei residenti
responsabilizzare i residenti
non operare la distinzione netta tra operatori sempre sani e residenti sempre malati

SLIDE 18
Modello medico e non medico
Modello Medico
mira alla guarigione della malattia
tende a ripristinare lo status quo ante
non si occupa delle parti sane
collaborazione passiva del malato
Modello Non Medico
mira al cambiamento della personalità
offre nuova chance di maturazione
si occupa delle parti sane
collaborazione attiva del malato

SLIDE 19
Visioni della Salute Mentale secondo il Modello Tradizionale e OMS 2007

Modello tradizionale
Assenza di malattia
Scopo Intervento: eliminare/curare la malattia
Prassi: riabilitazione, interventi, esiti = reintegrazione sociale

Modello OMS 2007
Benessere fisico-psichico-sociale
Scopo Intervento: aiutare a migliorare la qualità della vita
Prassi: recovery (recupero/riavvio)

SLIDE 20
Visioni della Salute Mentale secondo il Modello Tradizionale

Target medico della malattia
Si valutano gli esiti in base al grado di reintegrazione sociale
Il modello medico (MM) è interventista e valuta i risultati
Secondo il MM nelle psicosi affettive e schizofreniche si fanno interventi per
prevenire ricadute e deterioramento
soddisfare un ruolo importante per la persona

SLIDE 21
Riabilitazione e Recupero/Riavvio
Per Riabilitazione si intende un intervento che mira a facilitare il successo e la soddisfazione di una persona in un ruolo per lei importante
Per Reintegrazione si intende l’esito dell’intervento da parte dei Servizi Psichiatrici
Recupero/Riavvio si riferisce alla “vocazione umana di diventare più profondamente e pienamente umano” (Deegan, 1996)
L’attenzione su intervento ed esito ha fatto trascurare l’elemento ritenuto più importante per i pazienti: il recupero (recovery) definito come: "il processo profondamente personale di cambiare i propri atteggiamenti, sentimenti, percezioni, credenze, ruoli, e mete nella vita“… "lo sviluppo di significato e scopo nuovi nella propria vita, al di là dell'impatto della malattia mentale" (Farkas, 2007)

SLIDE 22
Recovery ed Empowerment
L’Empowerment, che si accompagna da vicino all'elemento di assunzione di controllo sulla propria vita e, di conseguenza, alla nozione di riappropriazione del ruolo di cittadino: è stato identificato come fattore critico dal Centro per Riabilitazione Psichiatrica all'Università di Boston ed altrove (Ridgeway, 2001)( Anthony, 2002)

SLIDE 23
Modello OMS 2007
Target: Benessere fisico-psichico-sociale
Interventi medici e psicologici + psicoeducativi + sociali:
Aumentare self-respect
Migliorare la qualità di vita
Limitare le carenze di abilità sociali
Ridurre lo Stress
Raggiungere mete personali
Gestire impulsi (suicidari o autolesivi)
Comprendere i vantaggi della terapia medica (Farkas, 2007)

SLIDE 24
OMS 1953: Ritorno al futuro?
“Il singolo e più importante fattore per l’efficacia del trattamento offerto in un reparto psichiatrico, alla Commissione sembra proprio quello intangibile elemento che può essere descritto solo come la sua ‘atmosfera’ e, nel tentativo di descrivere alcune delle influenze che contribuiscono alla creazione di questa atmosfera, bisogna dire subito che più un ospedale psichiatrico imita il tipo d’ospedale generale attuale, meno riesce a creare l’atmosfera di cui ha bisogno.
Troppi ospedali psichiatrici danno l’impressione di essere uno scomodo compromesso tra un ospedale e una prigione. Quando in effetti, il ruolo che devono svolgere è diverso da entrambi ed è quello di una comunità terapeutica”.

SLIDE 25
Ritorno al futuro?
Jean-Etienne Dominique Esquirol (1772-1840):
“Una casa di cura per alienati è uno strumento di guarigione;
nelle mani di un medico abile è l’agente terapeutico più potente contro le malattie mentali”

SLIDE 26
Comunità LUOGO di cura
Malato con bisogni personali
Aiuta il paziente: lo prende in carico, fa al…
Farmaci sempre SI
La CT si adatta alla persona
La CT sceglie il programma per la persona
Va bene se regredisce
Ruolo fisso di paziente: non decide per la CT
La psicoterapia

SLIDE 27
Comunità STRUMENTO di cura
Persona con problemi personali
Aiutare la persona ad aiutarsi da sola: fa con e fa fare a…
Farmaci spesso NO
La persona si adatta alla CT
La persona sceglie il suo programma nella CT
Va bene se NON regredisce
Ruolo variabile di collaboratore attivo: decide per la CT
La socioterapia

SLIDE 28
La Comunità Terapeutica è efficace su 2 Aree Target principali:
Sistema Attaccamento: Psicoterapia
Identità: Socioterapia
Psicoterapia > contenuto e significato della comunicazione per...menti che hanno in mente le emozioni degli altri
Socioterapia > forma dell’organizzazione, dei ruoli e delle regole di comunicazione per menti che hanno in mente i ruoli degli altri

SLIDE 29
Caratteristiche di Ambiente di Comunità Psicoterapeutica
Contiene > Norme > Sicurezza, stabilità, prevedibilità > Processo (Identità Sociale)
Sostiene e Valida > Empatia > Senso alle intenzioni > Contenuto (Identità Privata)
Coinvolge > Coesione > Appartenenza, Identità > Contenuto

SLIDE 30
Ingredienti di un programma terapeutico efficace per Disordini di Personalità
PROCESSO = Socioterapia: focus sull’identità sociale: ruoli e rapporti interpersonali
(Community Meetings) x 2 volte al giorno
CONTENUTO = Psicoterapia: focus sull’identità personale: autostima e relazioni di dipendenza
Gruppi di psicoterapia
DBT (social skills & mindfulnes), EMDR per processare i traumi
Musicoterapia / Arte Terapia; Bioenergetica / Espr corporea; Psicodramma
Gruppi benessere x 1 al giorno

SLIDE 31
Caratteristiche di un ambiente terapeutico
Equilibrio dinamico tra
NORME: prassi, educazione, regole
EMPATIA: psicoterapia, mindfulness, abilità sociali
COESIONE: ruoli realmente utili, contratto

Bibliografia
Tajfel, H. and Turner, J. C. (1986). The social identity theory of inter-group behavior. In S. Worchel and L. W. Austin (eds.), Psychology of Intergroup Relations. Chigago: Nelson-Hall
Danah Boyd, Jeff Potter, Fernanda Viegas (Sociable Media, MIT Media Lab)
Marianne Farkas - World Psychiatry. 2007 June; 6(2): 4–10.
Deegan P. Recovery as a journey of the heart. Psychosoc Rehabil J. 1996;19:91–97.
Ridgway PA. Re-storying psychiatric disability: learning from first person recovery narratives. Psychiatr Rehabil J. 2001;24:335–343. [PubMed]
Anthony, WA. Cohen, MR. Farkas, M., et al. 2nd ed. Boston: Boston University, Center for Psychiatric Rehabilitation; 2002. Psychiatric rehabilitation .

SLIDE 32
AUSPICIO PER NUOVA FORMAZIONE DEGLI OPERATORI DELLA PSICHIATRIA NELLA DISCIPLINA DELLA RIABILITAZIONE PSICHIATRICA ATTRAVERSO L’AMBIENTE.

L’APPROCCIO DELLA SOCIOTERAPIA E’ DESCRITTA NEL LIBRO:
La Comunità Psicoterapeutica: cultura, strumenti, tecnica- Aldo Lombardo II edizione F. Angeli Ed.


Fa seguito alla relazione il dialogo tra i partecipanti:

La Dr.ssa A. M. Meoni chiede di precisare la differenza tra principi generali dal punto di vista sociologico di comunità e comunità gruppoanalitica.
Il Dr. Lombardo spiega che dipende dai soggetti: quelli che hanno malattie mentali come la schizofrenia, hanno più bisogno di psicoeducazione quindi d’insegnamento, quasi di accompagnamento individuale. La capacità di elaborare in astratto è un po’ carente, quindi non si possono fare interventi psicoanalitici, psicodinamici profondi, spiegare significati: è tempo perso. Invece va benissimo partecipare ad un gruppo grande dove si può esprimere il proprio parere, si può votare e ci si sente parte delle norme della comunità. Nella sua esperienza questo approccio fa cambiare le persone, anche lo psicotico.
La Dr.ssa A.M. Meoni chiede se questo sia gruppoanalitico.
Il Dr. Lombardo fa notare che se hai più pazienti con problemi di personalità, diventa gruppoanalitico. In comunità il grande gruppo si tiene mattina e sera; ci sono poi dei piccoli gruppi, di abilità sociali, di alfabetizzazione, di scolarizzazione, ecc. Naturalmente l’ingegnere, l’avvocato o il commercialista con 110 e lode, che ha problemi di personalità e dell’umore, non puoi metterlo con chi non conosce l’italiano o ha bisogno d’imparare a scrivere. Fai dei piccoli gruppi di tipo diverso con loro; li metti insieme e con uno psicoanalista di gruppo, se sono adatti, fai un gruppo di psicoterapia.
Il Prof. R. Pisani chiede al relatore se conduce la comunità terapeutica con approccio gruppoanalitico: quello messo a punto essenzialmente da Foulkes e dai suoi allievi.
Il Dr. A. Lombardo reputa che non si possa non seguirli.
Il Prof. Pisani si riferisce al secondo esperimento di Northfield, in cui praticamente tutto l’ospedale è stato improntato secondo i criteri della comunità terapeutica. Sempre nell’ottica gruppoanalitica, secondo i concetti foulkesiani, propone una distinzione tra la psicoterapia gruppoanalitica dei piccoli gruppi, intermedi e grandi. I gruppi sono analitici se condotti secondo i concetti analitici, cioè basati essenzialmente sulla trasformazione dell’inconscio: la presa di contatto con i problemi inconsci, l’elaborazione e il loro superamento. Questi sono i gruppi analitici. Poi abbiamo i gruppi di attività che, secondo lui, esprimono la comunità terapeutica perché, come ha fatto presente il relatore, ci sono persone in grado di fare un’ analisi e persone che non lo sono affatto. Allora è importante la formazione gruppoanalitica dell’operatore e non tanto la traduzione del significato inconscio di quello che sta accadendo. Nell’ambito di questo gruppo di attività ci sono dei sottogruppi di attività: i gruppi di quelli che fanno il giornale, dei cuochi, di abilità sociale ecc…però il tutto secondo una mente analitica, che non significa necessariamente tradurre il significato. Dalla conoscenza che ha del Dr. Lombardo e della sua formazione psicoanalitica e gruppoanalitica inglese, lo vede condurre i gruppi in questo modo. Ha sempre detto che in Italia quelli che fanno le comunità terapeutiche, le hanno inventate senza formazione, mentre il relatore ci ha lavorato psicoanaliticamente e gruppoanaliticamente, formandosi nelle comunità terapeutiche inglesi.
Il Dr. A. Lombardo sottolinea che per poter guardare a tutta la comunità nel suo insieme serve una chiara definizione dei confini che riguardano tempi e luoghi ai quali si fa riferimento per poter lavorare psicologicamente. Bisogna avere molto chiara in mente l’organizzazione della comunità terapeutica e come questa tende a cambiare: ovvero quali spinte portano ai suoi aggiustamenti. La comunità è come un essere vivente, si adatta e cresce, è autopoietica; crea sempre nuove forme di organizzazione in base alle nuove informazioni che acquisisce. Quando si applica la cultura dell’indagine bisogna chiedersi: cosa motiva il processo di adattamento del momento? Cosa sta accadendo ora? La cultura dell’indagine è chiedersi perché avvengano, o non avvengano, certe cose; riflettere su cosa si fa: è un atteggiamento di studio psicologico continuo. Al riguardo il Dr. Lombardo non parlerebbe di psicoanalisi in comunità, più adatta allo studio dell’inconscio dell’individuo, ma di psicodinamica; ovvero, di studio di spinte inconsce che si cerca di leggere e comprendere. Infatti, quando si esce fuori dal rapporto diadico subentrano altri elementi che contribuiscono alla comprensione dell’importanza dei fenomeni nel grande gruppo della comunità; ad esempio l’importanza delle norme e il rapporto di ognuno con esse.
La Dr.ssa L. Taborra fa riferimento all’ultima slide sulla gruppoanalisi e la riporta all’analisi individuale dove vede in azione le stesse componenti essenziali: norme, contratto ed empatia, senza la quale non esiste rapporto, relazione. Dipende poi da come le forze psichiche interagiscono; forse all’interno di un gruppo c’è un’elaborazione diversa da quella che avviene nel rapporto duale, però alla fine il risultato è lo stesso.
Il Dr.A.Lombardo conviene che il risultato delle terapie analitiche individuali o di gruppo che funzionano è quello del cambiamento del modo di percepirsi e del modo di comportarsi con gli altri. Sottolinea l’importanza della socioterapia per l’identità sociale spiegando che socioterapia significa cooperare per autogestirsi: assumere responsabilità e decidere democraticamente. La meta finale è il cambiamento dei tratti della personalità, quindi dell’identità: se l’analisi fa questo, in maniera meno sofisticata lo fa anche la comunità terapeutica, con la differenza che l’analisi non prende in cura soggetti gravi o tossicodipendenti borderline in preda all’agito, mentre la socioterapia di comunità, grazie all’effetto di ruoli e pressione di gruppo sull’identità, li accetta e li “normizza”.
Diceva Foulkes che un gruppo composto da soggetti nevrotici è più normale di ogni singolo soggetto nevrotico.
La Dr.ssa L. Taborra chiede quanto nelle comunità terapeutiche possa interferire ed essere inficiante la società malata, quella in cui viviamo tutti noi, perché oggi al di là dei disturbi “gravi individuali”, si vive comunque in questa società che influenza sia i cosiddetti normali, sia quelli che non lo sono, i quali, subendo la stessa influenza, tuttavia devono essere curati. Visto che la società sta diventando individualista, uniformata, con tendenza ad aumento del controllo e demonizzazione della trasgressione che, paradossalmente, prima lasciava più libertà, si chiede quanto influisca sulla comunità e se ci sia differenza nelle comunità di oggi rispetto al passato.

Il Dr. Lombardo riferisce di una recente mail di Dennis Briggs, americano che ha partecipato all’esperimento di Northfield il quale ha trascritto un dialogo con Maxwell Jones. In questa mail Briggs si riferisce all’imminente chiusura, nel 2008, dell’Henderson Hospital, prima comunità socio terapeutica del dopoguerra. Briggs osserva quanta differenza ci sia nella modalità con cui i pazienti di allora avrebbero reagito contro l’autorità che imponeva con un diktat la chiusura di quello ospedale. E’ meravigliato che nelle liste blog a parlare non ci siano i pazienti: la voce dei pazienti semplicemente non c’è. Anche Briggs nota come questo atteggiamento di empowerment e coinvolgimento sia cambiato, forse è diventato più passivo. A prescindere da questo, il dr. Lombardo sostiene che nelle comunità che fanno socioterapia le persone cambiano, incluso chi
fa uso di stupefacenti. Questo tipo di persone non ha un concetto di sé: sono all’alienazione completa. Si potrebbero fare delle illazioni, ma lui vuole parlare della propria esperienza. Una persona che ha una patologia grave ha bisogno di rimanere in comunità almeno tre anni, mentre la persona che ha problemi di carattere, ci può stare anche sei mesi, dodici, diciotto mesi, perché spesso i disturbi del carattere si accompagnano anche a disturbi dell’umore e possono beneficiare di cure farmacologiche.
Il Dr. V. Lusetti si complimenta per la sintesi magistrale con cui tratta queste cose partendo dal discorso della plasticità della comunità, come organismo vivente che si adatta in qualche modo alle patologie delle persone che ci vivono. Lui vive nella realtà del servizi italiani nella Regione Lazio, vorrebbe scendere un attimo da questo scenario molto bello che stiamo esplorando, per entrare nella realtà psichiatrica laziale, nella quale il livello qualitativo non è certo sofisticato, e che presenta un problema molto grosso che investe le comunità: la cronicità. La domanda che vuole fare è come recepisce un organismo vivente, come la comunità, questo nodo di problematiche di cronicità e di gravità, che possono o meno coincidere. Come affronta la comunità questo problema che investe sempre più queste strutture? Viviamo in una regione che spende molto in cliniche private e la comunità tende a fare molto spesso da bacino allo smaltimento di questa popolazione di cronici. Lui vede le difficoltà delle comunità, tramite i pazienti che arrivano in SPDC.
Il Dr. A. Lombardo fa notare che la comunità propriamente detta nasce proprio per impedire la cronicità. La comunità come tutte le terapie, non è una panacea: c’è come un margine d’intervento. Ad esempio, per l’autismo, lo schizofrenico non è appropriata, però per la maggior parte dei pazienti psichiatrici gravi o cronici, la pressione del gruppo, l’atmosfera del gruppo che permette un aggancio mediato ad altre persone che hanno avuto lo stesso problema e che stanno meglio, è una risorsa immensa. Pone in relazione l’esordio della malattia mentale con un eccessivo carico di stress. Chiarisce l’importanza di un ambiente stabile, prevedibile e sicuro, in cui esistono occasioni di stress, di angosce, ma contenute soprattutto grazie alla partecipazione e alla condivisione; dove è riconosciuto il ruolo della persona che non è più il malato che non sa come passare il tempo e deve essere comunque trattenuto.
Il Dr.V.Lusetti chiede se esista un limite quantitativo rispetto a quanti pazienti cronicizzati possano entrare in comunità, al di là del quale l’intervento si ritiene inutile.
Il Dr. A.Lombardo chiarisce che il limite massimo regolato dalla legge attuale è 20, ma lui non ha mai lavorato così. Spiega che tutto il sistema modifica i tratti di personalità del malato che si comporta come tale. In ambiente di crescita sfavorevole, un individuo può diventare sadico o nevrotico, e, se biologicamente predisposto, anche psicotico e come il borderline che fa l’agito chiede patologicamente aiuto per essere soccorso. Questi atteggiamenti di ricerca di cura, questo rafforzamento della propria identità di malato, con la socioterapia cambiano. Il paziente diventa persona ostacolata, che mira al recupero (recovery) nel senso di riavvio di un processo di realizzazione personale insita nella sua natura umana. L ’OMS parla di recovery in termini di benessere fisico, psichico, sociale e realizzazione delle proprie inclinazioni personali. Se un cittadino è in carrozzella, può lavorare lo stesso e interessarsi a ciò che gli piace limitatamente a quanto si può muovere: può godere in sostanza delle proprie risorse. Lo stesso può fare il malato psichiatrico fuori dal ruolo passivo, di regredito: di malato al quale si fanno delle cose: non c’è altra scelta che la socioterapia se non si vuol farli essere cittadini di seconda qualità. Ribadisce che proprio a questo mira l’approccio di comunità. Per realizzarlo bisogna creare questa atmosfera secondo una cultura che segua i principi esposti. Ci vuole formazione per gli operatori. Non di una formazione particolarmente sofisticata: bastano uno o due psicologi che abbiano fatto l’analisi e sappiano ragionare a livello gruppale; poi le persone che lavorano all’interno debbono avere il ruolo di educatori; ma che lavorino tutti secondo il principio fondamentale della comunità: “Aiutare tutti ad aiutarsi da soli, con l’aiuto di tutti”. L’operatore così assume sempre più il ruolo di consigliere del gruppo dei pazienti che prendono decisioni attraverso scambi dialettici.
Il Dr. V. Lusetti chiede se ci sia selezione dei pazienti.
Il Dr. A. Lombardo spiega che non si sono potuti permettere il lusso di fare selezione dei pazienti, ma hanno fatto tesoro di questa necessità. Sottolinea l’importanza della collaborazione con le famiglie e con il servizio: è di gran sollievo quando lo psichiatra inviante accetta di ricoverare solo per pochi giorni un utente in crisi per il cambiamento che opera in lui. C’è crisi quando si cambia identità e questo può comportare anche un agito. Ritornare in comunità dopo l’agito, è come fare pace con l’innamorato. Si rafforza il legame.
Il Dr. V. Lusetti evidenzia l’eccezione di questa comunità, perché in base alla regola, una volta che c’è l’agito, c’è la crisi, il paziente esce dalla comunità e non può ritornarci più.
Il Dr. A. Lombardo chiarisce che nella loro comunità lo riprendono anche dopo la seconda volta e terza volta. Però se c’è una crisi bisogna studiarla. Qualcosa non ha funzionato: forse i farmaci? C’è un buco nella rete: forse troppa assistenza ha creato dipendenza da singole persone? C’è stato sabotaggio da parte delle famiglie?, oppure un non detto tra i residenti stessi; ad esempio quando un amico va via lasciando una sensazione di lutto.
Il Dr. W. Lusetti ha l’impressione che a volte le crisi, nella comunità, avvengano perché c’è un livello di aspettativa terapeutica troppo alto; così come avviene dall’altra parte: accettando i pazienti che provengono dalle comunità ci si aspetta facciano un break down.
Il Dr. A. Lombardo reputa più probabile che questo avvenga nell’ambito delle tossicodipendenze, e non dove si parte senza aspettative di guarigione. Propone il motto dell’atteggiamento salvavita nella comunità Gledill: “è tutto un gioco a perdere e vince chi perde di meno”.
La Dr.ssa L. Taborra chiede chiarimenti circa la formazione degli operatori.
Il Dr. Lombardo sottolinea che è fondamentale farla regolarmente.
In base alla sua esperienza, l’operatore deve saper lavorare in gruppo e deve essere come una specie di “residente anziano”, cioè un individuo che è stato abbastanza tempo in comunità da conoscerne le regole; da avere imparato a memoria e sulla sua pelle, norme scritte e anche non scritte.

La Dr.ssa G. Sgattoni reputa che questa sia la stabilità che crea il tessuto culturale; che ricrea la microcomunità in cui noi viviamo e se non c’è, determina la smagliatura di quei coefficienti che regolano la vita umana. Le realtà sociali che mutano possono creare le malattie, ma è anche normale ammalarsi.
Il Dr. Lombardo osserva che se guardiamo al grande gruppo “della società d’Italia” si può essere tentati d’affermare che le norme non ci sono più (senza certezza di sanzione le norme infatti, valgono poco); la coesione non c’è più (pochi lottano per le idee e molti per l’economia); l’empatia, latitante nei telegiornali, si manifesta col ritorno di cattolicesimo e interesse etico.
Il Prof. Pisani evidenzia che la cultura sociale fa parte della cultura del gruppo. Il concetto foulksiano fondamentale è che il nevrotico è l’espressione della nevrosi sociale d’appartenenza. Molto elementarmente, se si prende un soggetto e lo si trasferisce in una comunità un po’ meno nevrotica che, secondo i concetti freudiani, significa spostarlo in una cultura un po’ più genitale, quello, senza fare psicoanalisi nè gruppoanalisi, si giova quasi immediatamente dell’ambiente. Naturalmente l’ambiente meno nevrotico o psicotico va creato dagli operatori, anzi dal conduttore della comunità che ha un ruolo fondamentale. Per questo lui ha detto che la formazione deve essere analitica, senza fare distinzione tra psicanalisi e gruppoanalisi in quanto la gruppoanalisi include la psicoanalisi; mette continuamente in contatto l’inconscio individuale, con quello sociale. Per tale motivo il conduttore della comunità terapeutica deve essere analiticamente formato.
Il Dr. Lombardo si collega al Prof. Pisani descrivendo l’esperienza di alcune strutture caratteriali di primari con i quali ha collaborato che, secondo loro caratteristiche particolari, lo portavano a vivere situazioni lavorative in modo diverso. Ad uno non potevi dire nulla perché era sempre pieno di lavoro; un altro, che si entusiasmava per ogni proposta, ti lusingava ma poi di fatto frustrava ogni iniziativa; c’era l’ossessivo che ti toglieva la libertà, perché quel che facevi non andava mai bene; c’era l’autoritario che cercavi di evitare per il disagio che ti metteva addosso; e poi l’assenteista, che non c’era mai quando ti serviva il suo consiglio; e poi ancora quello che dava ragione a tutti creando guai e disaccordo.
Il Prof. Pisani sottolinea come, dall’interazione di tutti questi soggetti, nasca la cultura del gruppo.
Dichiara il proprio disaccordo sulla distinzione tra ego training in action e self training in action. Per esperienza sa che nel gruppo intermedio, il transfert della situazione individuale e dei piccoli gruppi, pur essendo presente, non è il fattore terapeutico di primo ordine che sono l’ego e il self training in action. L’ego training in action significa che nel posto dove ci sono venti persone e dove si è creato un clima in cui ciascuno può parlare liberamente, può dire tutte le cose oscene che lo riguardano, senza il timore di essere attaccato, punito, riorganizza il suo io, cioè si mette in condizione di dare più spazio alla parte istintuale e ridimensionare le parti super-egoiche. Il self training in action è basato essenzialmente sul mirroring il rispecchiamento, cioè su continue proiezioni, introiezioni, identificazioni proiettive e introiettive; il self training in action è fondamentale per l’acquisizione del senso della propria identità: sono gli altri che alla fine ti rimandano l’immagine di chi sei. Secondo lui non c’è differenza tra identità personale e sociale, perché anche nel piccolo gruppo di 7 persone, agisce il self training in action.
Il Dr. Lombardo osserva che stanno dicendo la stessa cosa, è solo una questione di valenza. Nel gruppo piccolo l’intimità si sviluppa prima, il senso di profondità è maggiore e il fenomeno del transfert emerge in maniera più intensa ed è anche possibile evidenziarlo e interpretarlo più in fretta. Tuttavia, anche nel piccolo gruppo c’è sempre un aspetto dell’identità sociale in azione; allo stesso modo, quando si è in relazione con gli altri è sempre in atto un aspetto dell’immagine di sé, di autostima: non sono cose separate.

La Dr.ssa G.Sgattoni rileva che nel piccolo gruppo, come nelle relazioni duali, c’è una spinta maggiore ad un movimento interno. Non a caso la comunità terapeutica ha una numerosità che rientra in un gruppo medio, per trattare persone con una vulnerabilità dell’io che potrebbe reggere poco.
Il Dr. Lombardo la interrompe per sottolineare l’importanza di attribuire i ruoli perché l’identità si apprende, attraverso i ruoli. Per esempio il concetto di autorità nei borderline è alterato; se però, in quanto nominate rappresentanti dei residenti devono esercitare la loro autorità, capiscono il vantaggio e lo svantaggio e diventano persone responsabili in maniera naturale.
A questo punto il Dr. Lombardo pone lui una domanda, circa quello che avverrà tra 10 anni, quando sarà loro richiesto di mostrare la validità di quello che fanno, per evitare la chiusura o la sospensione dei finanziamenti. Espone due ordini di pensiero in merito ai quali chiede se valga la pena insistere sulla ricerca per dimostrare, attraverso scale psichiatriche, che la gente che esce dalle comunità perde i suoi sintomi di malattia, oppure usare la ricerca per dimostrare che chi esce dalla comunità ha una qualità di vita migliore, associata magari ad una maggiore soddisfazione dei familiari.
La Dr.ssa A. M. Meoni risponde che pretendere criteri di validazione dell’attività sanitaria di una comunità terapeutica riflette la grande ambivalenza, instabilità, assenza di empatia e coesione della organizzazione sociale di cui facciamo parte. Si chiede come si faccia a dare validità alle comunità terapeutiche, la cui pratica comincia negli anni 50, quando ancora non si conosce la validità terapeutica della terapia morale, che risale al 700, e degli psicofarmaci che sono contestuali. Il vero problema è che non c’è validità in psichiatria o in psicologia, perché è una scienza giovane. Forse le acquisizioni neurofisiologiche, neuropsicopatologiche, neuroendocrinologiche, etc. , consentiranno, ben oltre i dieci anni, alcuni elementi guida per la validazione. E’ convinta che l’OMS fra 10 anni s’inventerà qualcosa a cui ci adegueremo, dimostrando così la plasticità, ampliamente affrontata in questa relazione. ]


Note di redazione:
(r) elaborazione testi da registrazione vocale con revisione del relatore.
(t) testo relazione direttamente fornito dal relatore come da schema in diapositive.
Antonella Giordani agior@inwind.it e Anna Maria Meoni agupart@hotmail.com


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