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Seminari
di Neuropsichiatria, Psicoterapia e Gruppo Analisi
2007 - 2008

La messa in scena gruppoanalitica- la messa in scena pirandelliana
Capogruppo analitico e capocomico regista pirandelliano a confronto

Dr.ssa Maria Atonia Ferrante
Coordinatore prof. R.A.Pisani
(t) testo di relazione fornita dal relatore (r) elaborazione testi dialogo a cura Dr.ssa Antonella Giordani



Il Prof.Pisani introduce la Dr.ssa M.A. Ferrante, che è psicologa e gruppoanalista.
Si è formata, insieme a lui, dal Prof. Jaime Ondarza e lavora da molti anni nel campo della gruppoanalisi. I seminari che ha tenuto in passato, sono stati seminari di chiusura dove ha portato il riassunto dei seminari tenuti nel corso dell’anno accademico e nei quali, abitualmente, ha poi sviluppato un tema che si è impegnata ad approfondire in modo particolare. Questa sera presenta un tema bellissimo che ha che fare con i legami tra la gruppoanalisi e l’arte letteraria. Ricorda che Foulkes, quando ha fondato la gruppoanalisi, si è ispirato non solo alla sua preparazione psichiatrica, psicoanalitica, neurologica, sociologica della psicologia della Gestalt , ma sembrerebbe aver tratto le ispirazioni fondamentali dalla musica, nella conduzione delle orchestre e dall’arte del teatro; in particolare Pirandello è stato uno dei suoi ispiratori con “I sei personaggi in cerca d’autore” e “Uno, nessuno, centomila”. Questa sera la Dr.ssa Ferrante correlerà l’arte letteraria e la gruppoanalisi con la relazione dal titolo:“LA MESSA IN SCENA GRUPPOANALITICA-LA MESSA IN SCENA PIRANDELLIANA”(CAPOGRUPPO GRUPPOANALITICO E CAPOCOMICO REGISTA PIRANDELLIANO A CONFRONTO).
La Dr.ssa Ferrante inizia ad esporre il tema.
Sono noti il teatro greco e quello romano. Prima ancora, ci si domanda, si faceva teatro? La risposta è affermativa, quando l’uomo conquistò la posizione eretta ed ebbe le mani libere, si adoperò nel mimare le proprie intenzioni per trasmetterle. Contemporaneamente, sia pure in maniera rudimentale, l’uomo emise i primi suoni intenzionali. Gesto e parola, abbinati, resero possibile la comunicazione. Fortunatamente, le tante opere che l’Homo sapiens ci ha lasciato attestano come egli esprimesse sentimenti quali: la paura, la speranza, l’attesa, il desiderio, tramite raffigurazioni sceniche relative ad eventi della quotidianità, intrise di dati magici, apotropaici, scaramantici che non riusciamo a decodificare pienamente. Tuttavia, alcune di tali rappresentazioni sceniche rinviano, senza ombra di dubbio, a rituali che coinvolgevano la comunità di appartenenza.
Fra i tanti reperti messici a disposizione dalle scoperte archeologiche, ho scelto due bellissimi pannelli, dipinti e graffiti, di due famose grotte italiane, occupate dai Preistorici: quello della “Grotta dei Cervi” (Porto Badisco), vicino Lecce e quello della “Grotta dell’Addaura”, presso Palermo; grotte che gruppi di Neolitici, circa 8000 anni fa, trasformarono in luoghi di culto, equivalenti delle nostre chiese.
Nella prima è messo in scena un processo di metamorfosi probabilmente relativo ad un rituale iniziatico. Dal singolo individuo si giunge, attraverso passaggi resi graficamente, misteriosi per noi, alla gruppalità raffigurata da un groviglio di parti, un “tutto” dove le immagini degli individui, estremamente stilizzati, sono in “co- munione” sportiva. In molti dei pannelli dipinti, a partire soprattutto dal Paleolitico Superiore (circa 10.000 anni fa) appaiono, spesso, personaggi mascherati che indossano strani copricapi. Tali personaggi sono resi con tratti che spersonalizzano la figura umana. Personaggi in atteggiamento di vorticosa danza; come in stato di trance. Si suppone che prima che fossero dipinte o graffite, queste scene fossero vissute realmente e che ci fossero personaggi della comunità quali:lo sciamano, il sacerdote, l’anziano, deputati a riproporle nella finzione scenica.
Nell’antico Egitto le rappresentazioni teatrali erano di carattere sacro dedicate soprattutto al dio Osiride.
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Dunque: LA VITA E’ TEATRO E IL TEATRO E’ VITA


LE FUNZIONI DEL TEATRO

Le funzioni del teatro sono molteplici: divertire, intrattenere, nonché curare, attraverso i fenomeni che si riscontrano in genere in tutti i gruppi umani e più specificamente nella messa in scena teatrale ed in quella psicoterapeutica. Fenomeni relativi alla specularità, al doppio, ovvero all’ombra, all’identificazione, alla proiezione, all’ introiezione, nel gioco dinamico che coinvolge: il luogo e gli oggetti della scena; l’epoca o tempo della scena; la storia o evento rappresentato (il copione);la durata; gli interpreti; l’autore della riduzione teatrale; il regista; gli spettatori. Nel caso delle psicoterapie, individuali o di gruppo, l’elenco è più o meno lo stesso: luogo, oggetti, tempo, programma, regole, durata, pazienti-attori, conduttore regista.


IL TEATRO GRECO

Accenno, molto brevemente al Teatro Greco sottolineando che sia Freud che Foulkes furono interessati ad ogni forma di rappresentazione teatrale, soprattutto alle tragedie greche. E’ superfluo ricordare l’”Edipo re “di Sofocle”, tragedia-chiave della struttura psicoanalitica.
Foulkes predilisse, oltre alle opere teatrali greche, l’opera di Luigi Pirandello “Sei personaggi in cerca d’autore” e “Asilo Notturno” di Massimo Gor ‘kij; “l’amaro,”pseudonimo di Aleksej Maksimovic Peskov. Tutte e due le opere si introducono con una condizione iniziale di caos, di difficile comunicazione; una condizione di estrema sofferenza per tutti i personaggi.
Il teatro greco è essenzialmente teatro tragico.
“Il dialogo della tragedia greca è quasi sempre limitato a due personaggi, anche se un terzo è presente; questo numero di tre non fu mai superato...Anche il coro è un personaggio: talvolta prende parte diretta all’azione...tal’altra funge da spettatore, limitandosi a consigliare e ad ammonire; non di rado, rende possibile la soluzione della tragedia”. ( G.Pascucci, Il Teatro Greco, Sansoni, 1975, pag. XXVIII)
“Assistere ad uno spettacolo tragico greco significava partecipare a un rito religioso.”(G:Pascucci, op. cit., pag. XXIX)
La maschera teatrale, soprattutto quella greca, era maschera espressiva, costruita sul modello dei sentimenti umani. Le maschere erano tante. L’attore che le indossava, una dopo l’altra, comunicava al pubblico quei tanti “Io” o “Sé” che albergano in noi e che tentiamo di rendere palesi agli altri; maschere-specchio, potremmo definirle.
La partecipazione psicologica speculare, con funzione terapeutica, è la prima funzione del teatro greco. “Lo spettatore sente come suoi i successi e le sconfitte del personaggio, piange di lui come di se stesso, e in quel pianto si sfoga e scioglie il terrore” (G. Pascucci, op. cit., pag. XXI)
Le psicoterapie, nella Grecia classica, venivano praticate tramite una messa in scena: quella dell’”incubazione”. Il paziente veniva portato in un luogo sacro e, avvolto spesso in una pelle di animale, evocante l’involucro uterino, veniva messo in un anfratto, a contatto con la nuda terra, affinché gli spiriti sotterranei gli portassero dei sogni da riferire al sacerdote interprete il quale, tramite la decodificazione dei sogni, emetteva la diagnosi e prescriveva la cura.


IL TEATRO ROMANO

Nella Roma imperiale il teatro ebbe enorme successo e lunga vita. Contrariamente a quello greco, il teatro romano è soprattutto teatro comico, divertente e riposante dove gli episodi rappresentati si muovono sul filo dell’intrigo, dell’equivoco, dei sottintesi, molto spesso di carattere sessuale. Era simile ai nostri “musicols”perché danza e musica erano parti essenziali nella scena. Il teatro romano aveva funzione ludica e politica per cui non perseguiva un preciso intento religioso, sebbene fosse preceduto da sacrifici rivolti agli dei, a scopo apotropaico.
Nel teatro romano quando l’intreccio della rappresentazione si incarbugliava prolungando la scena fino al punto da stancare gli spettatori, interveniva il “deus ex machina”(equivalente del coro greco) il quale, realmente, scendeva sul palco, calato da un aggeggio meccanico, per interpretare e chiudere la rappresentazione. E’ possibile, per questa sua funzione, equipararlo al “direttore di scena”, “al regista”, “al conduttore di gruppoanalisi?



IL TEATRO NEL MEDIOEVO

Le rappresentazioni teatrali nel Medioevo si identificano con le sacre rappresentazioni mirate a rendere palesi ad un gran pubblico, non acculturato, le sequenze della Passione e della Resurrezione. Nelle sue ultime fasi, il teatro medievale si fa profano. Si rappresentano opere latine di Plauto e di Terenzio ed opere di tipo idillico. Verso la fine del XV secolo, il teatro entra negli ambienti dotti di corte.
Nel XVI secolo, sebbene perdurino ancora le sacre rappresentazioni, è il teatro comico, con le commedie plautine e terenziane, in lingua originale, o tradotte, e le prime tragedie grecheggianti che si impongono sui palcoscenici.

Nella seconda parte di questa relazione prenderò in esame il fenomeno della “specularità” come si manifesta nelle opere teatrali di Giovan Battista Andreini, nelle opere, non solo teatrali, di Luigi Pirandello e nella Gruppoanalisi . Prima, tuttavia, accennerò molto brevemente alle recenti scoperte scientifiche relative ai cosiddetti “neuroni specchio” per trattare, infine, muovendomi sempre nello spazio della specularità, degli acting, in ed aut, e del transfert in teatro come nelle psicoterapie. La tesi, desunta dalla sia pur breve analisi di questi tre fenomeni, è relativa all’attività del conduttore gruppoanalitico; tesi desunta, per piccola parte dalla mia esperienza, dalle riflessioni di alcuni gruppoanalisti e soprattutto dal confronto fra il capocomico-regista pirandelliano e il conduttore leader di gruppo. Al contrario di quanto si affermava fino a qualche decennio fa: “Il conduttore dietro le quinte”, si afferma attualmente o si dovrebbe affermare “Il conduttore dietro le quinte, ma anche sul proscenio, per interpretare e vivere direttamente le emozioni generate dalla comunicazione gruppale. Dare chiare interpretazioni al gruppo in toto è una buona regola, ma non meno buona è quella di darle al singolo, sia parlando esplicitamente, sia usando la metafora. Le espressioni gestuali, (gli acting riattualizzanti), accettate, quando sono compatibili con lo spazio e con il tempo della seduta, arricchiscono il patrimonio del gruppo alimentando la matrice comunicativa. Sensazioni ed emozioni devono passare attraverso il vaglio della cognizione e della consapevolezza affinché dalle nostre sedute i pazienti non escano domandandosi:”Di che cosa oggi si è parlato”? “Che cosa voleva intendere il terapeuta?”


IL TEATRO DI GIOVAN BATTISTA ANDREINI nel XVII secolo

SPECCHI REALI; SPECCHI METAFORICI: l’Uno e i Tanti
Nel teatro barocco, l’uso di speciali vetri catottrici generava un prestigioso spettacolo di rifrazione con la moltiplicazione di identiche immagini. La molteplicità, generata dalla scissione dell’”Uno” nei “Tanti”, è tipica delle rappresentazioni teatrali.
Giovan Battista Andreini: attore, regista, scrittore prestigioso del Settecento, precursore di Pirandello, si avvale, inserendo una commedia all’interno di un’altra commedia, ( “il teatro nel teatro”), del raddoppiamento speculare nella finzione scenica. Nell’operetta, “Specchio”, Florinda vede riflesso nello specchio, insieme al suo volto, un altro volto molto bello. Credendolo il suo doppio, se ne innamora. Sarà Brunetta, la serva, ad eliminare la mediazione speculare con l’ingresso in scena di Lidia, il volto della quale era apparso insieme a quello di Florinda. L’intreccio si complica perché Lidia, a sua volta, ha un fratello gemello, suo specchio. Le identità si disvelano e si camuffano. Il gioco della gemellarità si propone e si ripropone sottolineato dall’assunto che lo specchio, di materia fragile, riflette la precarietà dell’amore narcisistico. Florinda, allora, paventa il rispecchiamento quale stato mentale che spesso genera sconvolgimento e perdita del Sé.
Lo specchio non può inviarci immagini riflesse identiche a quelle reali (è emblematico il mito di Narciso); la posizione spaziale, nello specchio, è invertita. Ciò dovrebbe indurci, come afferma Pirandello, a riflettere nell’affermare categoricamente che negli altri vediamo sempre riflesse parti di noi stessi. Forse ciò è anche possibile, ma sono da definire i: “quando?”...; i “come?”... e i “perché?”.

I NEURONI SPECCHIO
Negli Anni Novanta del secolo scorso, la teoria dei “neuroni specchio”(Neuroscienza) ha fornito un valido contributo scientifico alle intuizioni circa il rispecchiamento, già trattato in ambito: filosofico, religioso, psicologico, artistico.
Tali neuroni (G.Rizzolatti; C.Sinigaglia, 2006) “mostrano come il riconoscimento degli altri, delle loro azioni e perfino delle loro intenzioni dipenda in prima istanza dal nostro patrimonio motorio. Dagli atti più elementari e naturali, come appunto afferrare del cibo con la mano o con la bocca, a quelli più sofisticati che richiedono particolari abilità, come l’eseguire un passo di danza, una sonata al pianoforte o una “piéce” teatrale, i neuroni specchio consentono al nostro cervello di correlare i movimenti osservati a quelli propri e di riconoscerne così il significato” (pag.3, op. cit.) Essi, neuroni specchio, permettono la comprensione delle azioni altrui. Sembra che anche il linguaggio sia nato dalla funzione di tali neuroni.
Daniel Colemann, (2006) psicologo sociale e Antonio Damasio (1995), neurobiologo americano, affermano che il cervello non è la somma delle sue parti e che il comportamento umano non è tutto scritto nei geni; non tutto è innato, ma è soprattutto l’esperienza sociale e le emozioni che danno la forma al cervello. E’ l’intelligenza sociale che influenza le relazioni con la capacità umana, non specifica e non tecnica, di sapersi organizzare efficacemente nei rapporti interpersonali.

SI ALZA IL SIPARIO (sulla scena teatrale e sulla scena gruppoanalitica)
MONODRAMMA
Nikolaj Nikolaevich Evreinov, attore russo, nel 1923 introdusse il concetto di monodramma (The Theatre Life) quale genere scenico dove i personaggi rappresentano differenti aspetti della mente umana. I discorsi fra gli attori vengono impostati come modelli dei processi cognitivi di una singola persona.
L’opera pirandelliana “Sei personaggi in cerca d’autore” e l’”opera foulkesiana” “gruppoanalisi” rientrano perfettamente in questo genere scenico, anche se la seconda non ha valorizzato l’azione , come il teatro, prediligendo la parola.


SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE

Sulla scena teatrale irrompono sei personaggi, avvolti da una luce azzurrognola che li rende quasi figure di sogno, inconsistenti, posti tra realtà e fantasia, ma che reclamano di diventare reali. Sono idee, ha affermato un critico di Pirandello, e come tali si vogliono realizzare. Sono figure archetipiche, dall’ identità da definire. Sono: il Padre, la Madre, il Figlio, la Figliastra, il Giovinetto, la Bambina, tutti vestiti di nero, esclusa la bambina . Madama Pace, la quale gestisce un bordello, non appare; viene solamente evocata.
Il palcoscenico è quasi al buio, vuoto.
Nella stanza della psicoterapia gruppoanalitica, quasi spoglia, come ha preferito Foulkes, il gruppo, di circa sei-otto pazienti attende. Anche qui si deve cominciare.
Sul palcoscenico teatrale si instaura una situazione caotica, direi psicotica. Sta per essere messa in scena, come prova, l’opera “Il gioco delle parti” Gli attori, e tutta la troupe teatrale, sono pronti per recitare. I sei personaggi, che irrompono sulla scena, inattesi, chiedono di essere rappresentati dagli attori i quali dovrebbero abbandonare il copione di “Il gioco delle parti” dove è maturata una tragedia, per dar vita alla tragedia dei sei, che è ancora da farsi. Scena di rispecchiamento caotico. Il capocomico-regista (che rappresenta anche l’autore: Pirandello) si agita, non capisce, non può perdere tempo perché devono iniziare le prove dell’opera “Il gioco delle parti” e pertanto chiede ai sei personaggi perché sono lì e che cosa vogliono. Il rispecchiamento non funziona; fraintendimenti, incomunicabilità.
Nel gruppo foulkesiano non accade questo, esplicitamente. Il “gruppo invisibile” ( vedi Agazarian,Y.M. “The Invisible Group. An Integrational Theory of Group as a Whole, 12th S.H.Foulkes Annual Lecture, in “goup analysis, vol. 22, Number 41989, December, pp.355-369), è celato sotto le spoglie del “gruppo visibile”. I pazienti sono sconosciuti gli uni agli altri, ma, come i sei personaggi, sono lì per una legittima richiesta, per esaudire un desiderio. I personaggi pirandelliani ed i pazienti vogliono essere riconosciuti, vogliono uscire dalla forma che li immobbilizza ed entrare in una foma nuova, secondo il flusso sempre mutevole del vivere.
In realtà, quanto accade sul palcoscenico pirandelliano, in questa fase, è più adeguatamente confrontabile, a mio avviso, con i gruppi bioniani coinvolti, prima che diventino gruppi di lavoro, negli assunti di base: dipendenza; attacco e fuga; accoppiamento. I pazienti bioniani si riconoscono più facilmente di quelli foulkesiani nella messa in scena dei “sei personaggi” dove la Madre si aggrega alla Figlia (accoppiamento); il Figlio, insultando tutti, vorrebbe fuggire, anche se una forza occulta sembra paralizzargli le gambe (attacco e fuga); i due piccoli, pallidi e muti: il Giovinetto e la Bambina, soccombono come dipendenti totalmente dalla volontà degli adulti (dipendenza). Ogni personaggio incarna una
passione nel gioco complesso ed intricato di proiezione, identificazione, introiezione. Tragedia umana intrisa di tradimenti, inganni, incesto, violenza, pentimenti.
Un quarto assunto di base, relativo alle esperienze traumatiche nei gruppi è stato studiato da Earl Hopper (1965-1985) e da Pierre Turquet (1974-1975). Lo stesso Bion sembra che ne abbia presunto l’esistenza. Tale quarto assunto, che Hopper chiama “Oneness”, “fusione”ovvero “singolarità-unicità” omogeneità, è generato dalla necessità di proteggersi dalle ansietà associate alla nascita e riproposte nei gruppi, soprattutto in quelli allargati. Nell’opera “Sei personaggi in cerca d’autore” tale assunto si esplicita nella richiesta di dipendenza dal capocomico-regista. Secondo Turquet, la “oneness”permette di comprendere l’illusione di fusione ed unicità (essere tutt’uno con Dio). Il leader dei gruppi dove si evidenzia il quarto assunto di base è riconosciuto come carismatico. Al contrario, la co- esione ottimale è l’incrediente essenziale della terapia di gruppo. Dalla co-esione si genera la co- erenza (Pines, 1983.) e ciò sembra essere, sopratutto, il frutto del “lavoro del leader, determinante per il grado di coesione (Hopper, 1997). Vedi anche, a questo riguardo, Battegay, (1987; Behr, 1979; Yalom, 1980). Pirandello vorrebbe portare il suo gruppo verso la co-esione e la successiva co-erenza; impresa che sembra, però, impossibile.
Torniamo sulle due nostre scene per seguire il processo di metamorfosi che sul palcoscenico stenta ad avviarsi. Il capocomico è interessato, subito dopo la scena di meraviglia e di incomprensione, al dramma dei sei personaggi, ma il rispecchiamento con gli attori, i quali devono rappresentarli, non avviene. Il terzo attore: “Ci vuole far improvvisare un dramma; così, su due piedi”? L’attrice giovane: “Ma non ci sto neanch’io”! Un quarto attore: “Vorrei sapere chi sono quei là”. Non c’è riconoscimento. Il Padre chiarisce che non è possibile comunicare e declama, rivolgendosi al capocomico: “ Il dramma per me è tutto qui, signore: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi-veda-si crede “uno”, ma non è vero: è “tanti”, signore, “tanti”secondo tutte le possibilità d’essere che sono in noi: “uno” con questo, “uno” con quello-diversissimi! E con l’illusione, intanto, d’esser sempre “uno per tutti”, e sempre “quest’uno” che ci crediamo, in ogni nostro atto”.
Il concetto del falso rispecchiamento, dell’incomunicabilità, Pirandello lo ribadisce con maggiore incisività nell’opera “Uno, Nessuno e Centomila”. Saranno le ultime opere del grande siciliano a rivelarci che anche in lui si è attualizzata, infine, la metamorfosi, il passaggio, cioé, ad una forma nuova.
“Non mi riconosco nella forma che mi date voi, né voi in quella che vi do io; e la stessa cosa non è uguale per tutti e anche per ciascuno di noi può di continuo cangiare, e di fatto cangia di continuo”. ”Perché quel suo Gengé (così la moglie chiama suo marito, Vitangelo Moscarda) esisteva, mentre io per lei non esistevo affatto, non ero mai esistito. La realtà mia era per lei in quel suo Gengé ch’ella s’era foggiato, che aveva pensieri e sentimenti e gusti che non erano miei...”. (“Uno, nessuno e centomila”)
Malcom Pines si è interessato in particolar modo al fenomeno del rispecchiamento e di quello relativo alla dialettica fra singolo e gruppo anticipando le scoperte scientifiche relative ai neuroni specchio. “La matrice gruppale, dice Pines, il retroterra in cui hanno luogo i processi interpersonali e transpersonali dell’analisi di gruppo, è in essa stessa basata-credo- sui processi di riflessione speculare e sulla risonanza” .(pag. 79) Ed ancora “ Quando finisce una gruppoanalisi? Forse quando non si avrà più bisogno di specchi, dal momento che le parti riflesse del Sé saranno state riunificate in una totalità”. (pag. 98) che, a mio avviso, non omologa tali parti, ma li armonizza.
L’ ottimismo di Malcom Pines collude con il pessimismo di Luigi Pirandello, anche se
il dramma dei “Sei personaggi” viene narrato e concluso, come il dramma dei pazienti in gruppoanalisi, sia pure nel caotico intrecciarsi di acting e fenomeni transferenziali, a volte anche distruttivi.


PARTE IV
Acting e trasfert; Il ruolo del capocomico regista conduttore teatrale e del conduttore, psicoterapeuta, leader di gruppo
Questa ultima parte focalizza i temi degli acting, del trasfert, del controtrasfert ed i ruoli dei due conduttori- attori principali della scena teatrale e della scena gruppoanalitica.
Il termine acting dal tedesco agieren e dall’inglese to act, significa “rappresentare”, “recitare”, “sostenere una parte”. E’un termine soprattutto teatrale.
Attualmente, il fenomeno dell’agire in analisi (acting, out ed in e la coazione a ripetere) non è più considerato evento sgradevole, non augurabile nel percorso del processo terapeutico. Claudio Neri, bioniano, nel suo libro “Gruppo” dice che la psicoanalisi e
la gruppoanalisi hanno valutato e sopravalutato la parola considerandola come unico mezzo teraputico...”L’acting, a suo avviso, è ingiustamente denigrato”. Luciano Cofano, (1981) afferma: “Ci confondono due regole della psicoanalisi, adottate, sia pure in modo meno drastico, anche dalla gruppoanalisi: quella dell’astinenza e quella della”non omissione”. Il paziente molto spesso non ricorda ed è attraverso l’acting ed il trasferimento di esperienze passate nel presente, sulle persone presenti, che cerca di recuperare i ricordi. “Protagonisti della scena relazionale sono proprio quei personaggi drammatici che nel trasfert ripropongono le trame arcaiche dei propri copioni...E se l’analista, o gruppoanalista, riesce a riconoscere, sulla stessa scena, la trama del gioco che in una sorta di recita a soggetto, dà la battuta all’uno e all’altro personaggio che fanno parte del proprio repertorio, allora avrà gli elementi per riuscire a costruire una ipotesi capace di interpretare il senso della vicenda e smascherare l’dentità “reale”dei protagonisti in gioco. Se invece, ignaro del proprio coinvolgimento, il gruppoanalista non potrà recuperare oltre quella di “attore” in scena anche la sua dimensione di “critico teatrale”, allora tutti i contenuti di quel dramma relazionale saranno consumati nell’interpretazione sceneggiata che ciascuno dei partecipanti darà al “personaggio”in cui si è identificato: la rappresentazione sarà solo fine a se stessa, proprio perché al di là del proscenio non c’é alcun osservatore al quale possa essere destinata”. (Cofano, L.,”Transfert e controtransfert come acting”, V Convegno Europeo di Gruppoanalisi, Roma, 1981).
Il dramma dei sei personaggi è un unico, massivo acting. Il capocomico è obbligato a capire la trama del rappresentato, del detto e del non detto.. Dopo un tempo di riflessione, egli, capocomico, diventa elemento attivo della scena; la dirige, l’indirizza ed infine, con il senso di una grande fatica, licenzia tutti, bonariamente indispettito: “Andate tutti al diavolo”!
Il conduttore gruppoanalitico come dovrebbe comportarsi? La maggior parte dei gruppoanalisti ha abbracciato, difendendola strenuamente, la regola dell’astinenza delegando, a volte in maniera totale, il gruppo a rappresentarlo. Egli, il capogruppo: dove sta?. Cosa fa? E’ presente? Oppure, celato dietro le quinte, impassibile, lascia che i pazienti fantastichino su di lui idealizzandolo, odiandolo, accettandolo o rifiutandolo?
Chiediamolo al padre della gruppoanalisi il quale, pur meritevole di aver intuito e messo in atto la tecnica migliore per curare pazienti in gruppo; attento sia all’individuo, sia al gruppo come una totalità che non è la somma delle parti, etc.., non è stato chiaro nel definire il ruolo del conduttore.
Riporto le sue testuali definizioni su tale ruolo.
“E’ importante per il terapeuta che la sua influenza personale sia inevitabilmente forte, malgrado tutte le precauzioni per minimizzarla”. (Foulkes, “La psicoterapia gruppoanalitica”, trad. italiana Astrolabio, Roma, pag. 148)
“La sua funzione è in realtà quella di indirizzare e guidare il gruppo, per cui parleremo di lui a questo livello cosciente come di una “guida” piuttosto che di un leader”. ( Foulkes, “Analisi Terapeutica di gruppo”, trad. Ital. 1978, pag. 64)
“A livello immaturo del gruppo “Che cosa fa il terapeuta? In parole povere egli accetta la posizione di leader”. Op. cit., pag. 68)
«Il mio modo di dirigere i gruppi è estremamente discreto e passa in pratica inosservato”. (op. cit, pag.314)
«Egli si comporta nel gruppo come un adulto fra adulti e lo influenza con il suo stesso comportamento personale, evitando di assumere atteggiamenti paternalistici”. (op. cit.,pag. 64)
«Va pertanto modificata la nostra precedente affermazione secondo cui l’analista di gruppo non è impegnato nella strutturazione e nella integrazione del gruppo”.(Op. cit. )
Enzo Spaltro, nella presentazione del su citato libro di Foulkes, nella traduzione italiana, dice:”Le sue mete e le sue esperienze, (di Foulkes), contraddittorie e frammentarie sono rappresentate in questo libro...La frammentarietà, ed aggiungerei, il contraddittorio ruolo assegnato al conduttore capogruppo, non sono un difetto nell’opera di Foulkes: è lo stato presente delle conoscenze in questo settore”. (Spaltro, op. cit., pag. 8)
Sono trascorsi quarantuno anni dalla prima edizione dell’opera di Foulkes. Non è concepibile che restino invariati, come simulacri, i suoi concetti base.All’affermazione di Foulkes, che il comportamento del terapeuta dipende sempre dalla situazione in cui egli si trova, vorrei aggiungere che qualsiasi prescrizione per l’attività del terapeuta dovrebbe tener conto della personalità di questi. Infine, ogni gruppoanalista conduce il gruppo, a parte la teoria appresa e l’addestramento praticato, secondo le sue ideologie e le sue risorse: emotive, intellettuali e culturali che possono essere palesate al gruppo, senza paura, nell’occasione propizia. Il capogruppo non è la sfinge nel deserto; è un essere umano.
Martin Grotjahn, nel suo articolo “The Hunter and the Trapper as Group Therapists” (in group analysis” XVIII/ 1, april 1985, pp. 6°-62) si chiede se i conduttori gruppoanalitici siano cacciatori o coloro che tendono trappole. L’autore osserva un suo collega, partecipando ad una seduta, e lo vede impassibile, anche se attento. Egli, al contrario, nei suoi gruppi, come afferma, è piuttosto attivo. Si domanda:” Chi di noi due è più adeguato”? Conclude affermando che ci sono molti modi di condurre un gruppo. “Un esperto analista può fare delle cose che non avrebbe fatto all’inizio”, come dire che la pratica permette al conduttore di essere cacciatore o colui che tende le trappole, e, a seconda del caso, uscire dal silenzio protettivo che i giovani conduttori, necessariamente utilizzano per non sbagliare.
Raul Usandivaras, noto gruppoanalista argentino, nel suo libretto “Lider, Detective y Chaman”, così tratteggia la figura del conduttore gruppoanalitico: “Il ruolo del terapeuta è multiplo: va dal polo del ragionamento a quello magico. Inizialmente il ruolo del terapeuta di gruppo era il seguente: evitare il coinvolgimento emozionale con ciò che succede nel gruppo; astenersi rigidamente nell’inquadrare e nell’intervenire se no per qualche interpretazione; interpretare verso il gruppo nella totalità e mai verso l’individuo. Tutto questo all’inizio. L’esperienza ha dimostrato che tutte queste precauzioni sono nocive (pp. 71-72) e, nel migliore dei casi, inoperanti. David Malan (1976) lo dimostrò proprio nella Tavistock dove si usava questa tecnica”.
Come giustamente fa rilevare Morris Nitsun, membro dell’Istituto di Gruppoanalisi di Londra, Foulkes è stato piuttosto ottimista, non solo sulle capacità del conduttore, viste piuttosto nell’ottica del successo che nell’umana possibilità dell’insuccesso, e nel non voler riconoscere la presenza delle forze distruttive che possono agire nel gruppo quantunque possano anche diventare potenziali terapeutici.
Secondo Morris Nitsun, (1991) l’orientamento sociobiologico di Foulkes è impostato su una ottimistica, ma al contempo ingenua fede. Egli ha una visione idealistica dei gruppi con la difficoltà di ammettere le forze distruttive degli stessi. Negli scritti di Foulkes, come sottolinea Morris Nitsun, appare spesso questo concetto: la situazione di gruppo è la più potente modalità di agire che noi conosciamo. Foulkes, ribadisce Nitsun, non ebbe consapevolezza dei fattori antagonistici dei gruppi: “In questa Era mi sembra tanto più importante essere in contatto con il nostro potenziale distruttivo e essere consapevoli per noi, in quanto gruppoanalisti, dei legami che esistono tra la più ampia sfera sociale e il mondo microcosmico dei gruppi terapeutici che conduciamo”. ( op. cit. , pag. 19)

CONCLUSIONE: La Metamorfosi
Pirandello ha avuto più tempo di Foulkes per lavorare sul palcoscenico: quello reale e quello metaforico della sua esistenza. Miscredente e sfiduciato, per l’immutabilità della forma e la negazione della vita, nelle sue ultime opere Pirandello recupera il senso dell’esistenza ed i suoi valori.
“La vita che ti diedi” romanzo dove l’amore materno esplode nel grido accorato della madre che non riconosce più il figlio; “L’amica delle mogli” dove bontà ed amore diventano valori vitali e positivi che val la pena di conquistare e mantenere; “Lazzaro” dove Lucio (doppio dell’autore), comprende che Dio è Amore e dove si realizza il miracolo della giovinetta paralitica la quale, dopo il ritorno del proprio padre alla vita, riacquista la capacità di camminare; “Trovarsi”, con il significato di creare e crearsi.
Il Dio di Pirandello è Dio immanente nella Natura che si propone all’uomo nelle mille sue bellezze. Sono soprattutto la luna ed il mare che Pirandello ama e la vista di cui può godere dalla sua bella casa di Girgenti, il casale dove è nato, chiamato, coincidenza, ”Caos”. “La campagna! Che altra pace? Vi sentite sciogliere. Siete mai stati nella piazzetta dell’Olivella, fuori le mura? All’ antico conventino dei Trinitarii bianchi? Che aria di sogno e d’abbandono, quella piazzetta, e che silenzio strano, quando dalle tegole nere e muschiose di quel convento vecchio, s’affaccia bambino, azzurro azzurro, il riso del mattino!”. (Dalle novelle). Nel famoso romanzo “Il fu Mattia Pascal”, una delle più significative opere del grande Siciliano, dove torna il tema del doppio, dell’ombra, si legge una riflessione sulla solitudine:” Giacché la solitudine mi riusciva ormai insopportabile e non sapevo resistere alla tentazione di accostarmi agli altri...”. Qui, Adriano Meis, il nome nuovo assunto dal supposto suicida Mattia Pascal, ci palesa il bisogno impellente, umano, di comunicare. Nella breve novella “Sogno di Natale”, il protagonista incontra Gesù il quale lo invita ad entrare dentro di lui per l’esperienza unica di sentire ciò che il Nazareno sente nei confronti dell’umanità.
Foulkes è morto prima che molte delle sue geniali intuizioni fossero ampiamente validate. La sua metamorfosi, dalla iniziale fede nella psicoanalisi, si conclude nella scoperta della terapeuticità del gruppo. Passando attraverso la scena teatrale, dei cui significati e valenze si appropriò, Foulkes allestì la sua messa in scena gruppoanalitica, ma purtroppo gli sono mancate le possibilità di ulteriori verifiche.
I due grandi a confronto risultano essere vicini per molti tratti, soprattutto per il comune messaggio inviato tramite la “messa in scena”, spazio dove, infine, sia pure con molta o con scarsa fede, per l’uno e per l’altro, è possibile la comunicabilità. Ce lo fa sperare Goethe.
Nel romanzo “Le affinità Elettive” il grado di comunicabilità è così profondo da degenerare in una forma di fusione amorosa: “Solo la vicinanza immediata poteva acquietarli e li acquietava del tutto: la vicinanza bastava, non occorreva né uno sguardo, né una parola, né un gesto, né un contatto; solo essere insieme”.
Nella scena teatrale, come nella scena gruppoanalitica si confrontano il singolo ed il gruppo. Ma, dopo questa sia pur sommaria e non del tutto esplicativa relazione, è possibile definire la “singolarità”? Qui, credo, che Pirandello e Foulkes siano d’accordo. Come ben dice lo psicologo americano Rom Harré:”(1998) Ho cercato di dimostrare che vi è di fatto la molteplicità del Sé nelle risorse discorsive (talvolta inutilizzate) della gente comune in occasioie ordinarie. (op.cit., pp., 237-238)
Secondo Jerome Bruner (1986):”All’interno di ciascuna persona vi è un cast di personaggi: un esteta, un bambino abbandonato, un pover’uomo, persino uno spettatore, talvolta un uomo del Rinascimento. Le granndi opere teatrali sono scomposizioni di questo cast; lo rendono un dramma esterno. Anche la vita può essere descritta come un copione, costantemente riscritto, che guida un dramma interno dischiuso”. (op. cit., pag., 137)
Pirandello e Foulkes hanno cercato di far parlare ed agire (nel teatro e nella stanza della seduta), nella messa in scena, i tanti Sé che ci costituiscono.

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Fa seguito alla relazione il dialogo tra i partecipanti:

IL Prof. Pisani è personalmente grato alla Dr.ssa Ferrante e si fa interprete di tutti, per le magnifiche sintesi; la ringrazia poi per la relazione sul collegamento tra il teatro e la gruppalità come strumento terapeutico. Si riferisce al materiale grafico che la Dr.ssa Ferrante ha messo a disposizione dei presenti, come dimostrazione della serietà e dell’impegno con cui prepara i lavori. E partita dal teatro antico, per arrivare a Pirandello e da come il teatro, in qualche modo, sia una specie di presentazione ante litteram, di premessa al lavoro gruppale, con lo psicodramma di Moreno, seguito da Foulkes. Il Prof. Pisani la ringrazia ancora sentitamente.
La Dr.ssa L. Taborra reputa che, sia nella gruppoanalisi come nella presentazione teatrale, esista una rappresentazione fortissima degli archetipi, che pone, in relazione all’età degli attori o dei pazienti, al di sopra dei 35-40 anni. In una presentazione teatrale inizia una storia poi accadono una serie di eventi che portano ad una soluzione tragica o di commedia; quindi si nota un’evoluzione del mito nella rappresentazione di una storia teatrale, così come esiste il mito evolutivo in gruppoanalisi.
La Dr.ssa Ferrante evidenzia l’esattezza di tale osservazione come ulteriore elemento di approfondimento di quanto da lei esposto. Rileva come questo aspetto non sia sfuggito alla Dr.ssa Taborra, che è junghiana.
La Dr.ssa Taborra si complimenta per la ricchezza della relazione che le ha suscitato proprio l’immagine dell’archetipo sia nella gruppoanalisi che nella rappresentazione teatrale.
Il Prof. Pisani fa presente che a livello di comunicazione gruppale, gli archetipi sono sempre presenti anche se non necessariamente interpretati o meglio, come preferisce dire, portati a galla. “Portare a galla”, significa portare all’evidenza, agli occhi di tutti, il significato di quello che si sta dicendo e che sta accadendo. E la cosa migliore dell’’interpretazione che si vede, è rappresentata, anche se non verbalizzata. Ha riflettuto a lungo sul ruolo del conduttore e ha messo a fuoco i concetti per il seminario tenuto ad Horus in Danimarca, dove è stato incaricato di scrivere una relazione in merito all’argomento . Di fatto il ruolo del conduttore si può semplificare in due attività. La prima è quella di instaurare e mantenere il dialogo. Cioè instaurare e mantenere la comunicazione tra i membri. Per farlo, specialmente all’inizio, il conduttore si serve della sua autorità. “Lui sa tutto, sa fare tutto, è grandioso, risolve tutti i problemi, cura le malattie”. La fantasia è questa qui e il terapeuta accetta questo ruolo, ma solo per mettere in atto questa prima attività: far cadere la censura e far vivere la libera comunicazione; instaurare cioè un’atmosfera di autenticità che mira allo smascheramento dei meccanismi di difesa, dei trucchi . La seconda attività è che, essendo un analista, instaura e mantiene l’attività analitica in cui è coinvolto tutto il gruppo; anzi, a mano a mano che va avanti, la sua funzione diventa sempre più di quello che tiene le fila e sempre meno di quello che dà le interpretazioni; quello che tiene le fila per far emergere il significato.
Tutte queste cose le ha dette Foulkes, solo che non le ha organizzate in maniera sistematica. Lui ha avuto anche l’idea di lasciare che gli altri se le costruissero da soli perché diceva che non si trattava d’insegnare alle persone a recitare teorie ben apprese, ma di insegnare alle persone a sviluppare le proprie personali teorie. Il Prof. Pisani aggiunge che, tra l’altro, da quando sta invecchiando, è sempre meno ligio alle regole dell’astinenza e con i pazienti mette in atto continui acting aut.
La Dr.ssa Ferrante commenta che è giusto sia così, perché ha maggiore padronanza degli strumenti.
Il Prof.Pisani ha fatto un parallelo tra il conduttore e il capocomico e chiede perché si chiami capocomico.
La Dr.ssa Ferrante dice che è proprio il nome attribuito a questa figura. Pirandello differenzia il direttore di scena dal capocomico regista che dà l’avvio alla scena, osserva i particolari, mentre il direttore si occupa del teatro.
Il Prof. Pisani trova bellissima la fase iniziale dei “sei personaggi…”, dove questi stanno lì ed è come se fossero senza il capocomico: è il caos più completo.
La Dr.ssa Ferrante ha visto la rappresentazione teatrale, in un bellissimo dvd che le hanno prestato, recitato da attori famosi: Rossella Falk, Romolo Valli. Il libro si legge con piacere, ma vederlo sulla scena è affascinante. La drammaticità dei personaggi e il gruppo di rispecchiamento degli attori che sono frivoli. Due parti: la serietà, la drammaticità in particolare della madre e la giocosità degli altri. Secondo lei Pirandello può confrontarsi con Freud, con Foulkes e con tutti gli psicoanalisti. Per lei, che ne aveva una conoscenza scolastica, è stato una scoperta eccezionale: è geniale. Adesso sta leggendo un romanzo che è un capolavoro: l’autore entra proprio all’interno delle persone, le esplora e manifesta una profonda conoscenza dell’essere umano. Nelle sue opere c’è molto di sé: i sei personaggi sono un opera autobiografica. Si dice che la moglie, diventata pazza, fosse stata ricoverata. Loro avevano una figlia, Lietta e la moglie, non si sa se da pazza o prima, lo accusava di averla tentata. Nei sei personaggi, in particolare nella drammaticità del padre, c’è lui. Nel romanzo che sta leggendo, se la prende con le macchine che hanno sostituito l’uomo. Il protagonista è uno che gira la manovella per segnare sul palco le misure, perché ogni attore ha uno spazio segnato. Al suo interlocutore, che gli fa notare come da tutta una vita stia li a girare questa manovella, il protagonista da tutta una spiegazione rispetto alle macchine che prevaricano l’uomo.
La Dr.ssa Meoni riflette su una differenza rispetto alla scena gruppoanalitica e a quella treatrale, dove il capocomico è dietro le quinte quando si presenta al pubblico, invece la scena gruppoanalitica non si presenta mai al pubblico.
La Dr.ssa Ferrante evidenzia che nella scena del gruppo il conduttore è sempre presente; nel teatro il capocomico, presente durante le prove teatrali, non essendo un attore, sta dietro. Però quando si parla dell’allestimento, nella prova che precede la presentazione al pubblico, il capocomico è presente. Fa riferimento al teatro tedesco dei primi del ‘900, dove il regista che ha preparato il canovaccio, entra e lo recita: le forme teatrali sono tante, come è nella gruppoanalisi. Nello psicodramma il conduttore è partecipe. Oggi c’è il teatro nel teatro, anche se nel teatro classico è nascosto, c’è un movimento che mira a rendere il capocomico sempre più partecipe, a liberarlo dai tabù, dalle regole. Lei osserva le regole, ma non è d’accordo sull’ossessività del rispetto del regole, ci vuole elasticità; così è in “Uno, nessuno, centomila”;dobbiamo variare a seconda della situazione: un giorno siamo santi, un giorno delinquenti, generali, bambini.
La Dr.ssa Taborra sottolinea che senza regole, il teatro non potrebbe esistere, anche per il capocomico che c’è, pur non essendo presente sulla scena.
Il Prof. Pisani parla dell’adattamento della regola.
La D.ssa Ferrante, anche in riferimento alla esperienza teatrale da lei condotta recentemente, sottolinea il suo accordo sulla necessità di adattamento delle regole che forse non è emerso chiaramente per come si è espressa e se ne scusa.
La Sig. Pina Meoni, in riferimento alla partecipazione della Dr.ssa Ferrante come attrice, in un opera di Cervantes, chiede perché abbiano portato in scena proprio questo autore.
La Dr.ssa Ferrante reputa divertenti le opere di quest’autore il quale nella comicità, con personaggi umili, porta avanti la denuncia sociale. Per lei, l’esperienza di recitazione, è stata molto gratificante.
La Dr.ssa Taborra riporta un’esperienza personale di quando era insegnante di una materia in cui non si riconosceva: educazione tecnica. Per tale motivo si è inventata il teatro con i ragazzi che ha portato avanti per 22 anni. I primissimi anni, quando ancora non sapeva di queste cose, durante la recitazione e non nel rapporto didattico, si rendeva conto del tipo di legame che ciascun ragazzo aveva con i genitori; poi, soprattutto negli ultimi anni, le apparivano chiaramente le psicodinamiche familiari, pur non avendo mai parlato di Grande Madre o Grande Padre.
Il Dr. S. Zipparri è rimasto compiaciuto della rassegna storica sul teatro e
sul significato che nell’antichità aveva il teatro come rito religioso, quindi questa funzione terapeutica del teatro. Tra l’altro, rispetto all’acting, dice che nell’analisi individuale, Freud, appena abbandonò l’ipnosi, utilizzò quel metodo da lui definito “catartico” che era proprio ritagliato sulla catarsi del teatro greco, tutt’altro che non acting. Ha trovato molto stimolanti le osservazioni e si augura trovino uno sviluppo.
La Dr.ssa Ferrante osserva che attualmente ci sono molti psicologi che fanno teatro e s’inventano le compagnie, così come molti attori si danno alla regia.]


Note di redazione:
(t) testo relazione direttamente fornito dal relatore
(r) registrazione vocale del dialogo nel dibattito a seguire la registrazione vocale degli interventi dei partecipanti rivisto dal relatore.
Antonella Giordani agior@inwind.it e Anna Maria Meoni agupart@hotmail.com

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