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Seminari
di Neuropsichiatria, Psicoterapia e Gruppo Analisi
2006 - 2007

Prof. Eduard Klain

Psicologia del Terrorism
o
Coordinatore Prof. Rocco Antonio Pisani
(t+r) testo di relazione fornita dal relatore; registrazione vocale del dialogo a cura della Dr.ssa Antonella Giordani; elaborazione testi a cura Dr.ssa Anna Maria Meoni


Il Prof. R. Pisani introduce il Prof. E. Klain, che molti già conoscono per aver presentato in passato seminari di straordinaria importanza. In particolare Pisani ricorda il seminario che aveva per tema la pulsione di morte e che il Prof. Klain ha tenuto insieme al Prof. Zurak , che ha curato la parte strettamente biologica, mentre il Prof. Klain ha trattato aspetti correlati di carattere psicoanalitico e psicodinamico: una correlazione tra i meccanismi biologici della cosiddetta osmosi recentemente acquisiti con l'intuizione di Freud sulla pulsione di morte. Il Prof. Klain che, oltre ad essere un amico, è stato cattedratico dell'Istituto di Psicologia Clinica della Università di Zagabria. Neuropsichiatra e Gruppoanalista è inoltre Psicoanalista nella Società Croata e nell'Associazione Internazionale di Psicoanalisi. Gruppoanalista di grande impegno, e di alto profilo, e di fama internazionale. Purtroppo molti tra i grandi gruppoanalisti della generazione di Foulkes sono scomparsi e il Prof. Klain è oggi una delle poche persone di pari alto livello professionale e scientifico nell'ambito delle ricerche in Gruppoanalisi. L'idea di un seminario sull'argomento del Terrorismo è stata della dott.ssa A.M. Meoni che era interessata in particolare alla attualità della figura di Bin Laden e delle relative caratteristiche psicologiche macroculturali: il Prof. Klain ha ampliato l'argomento e affronterà il tema di grande attualità del terrorismo, con una relazione dal titolo: "Psicologia del terrorismo".


Il Prof. Klain dà lettura della relazione(t)

Conosciamo il quotidiano terrorismo in Iraq, dove ogni giorno muoiono tra 50 e 100 persone. Abbiamo conosciuto la grande azione terroristica ad opera dei Ceceni al teatro di Mosca, nella quale sono state uccise alcune centinaia di persone. Siamo stati testimoni del terrorismo che ha colpito gli alunni della scuola di Beslan e, nelle nostre immediate vicinanze, possiamo testimoniare il grande genocidio in Bosnia, a Srebrenica, commesso dai serbi contro i bosniaci, condannato anche dal Tribunale Internazionale dell'Aia. Ricordiamo anche l'attacco terroristico croato contro Ahmici in Bosnia Erzegovina, quando sono stati uccisi musulmani innocenti e distrutta la moschea. Anche le formazioni paramilitari serbe hanno commesso azioni di genocidio in Croazia. Quando si tratta di genocidio, come è noto, le vittime sono spesso bambini. Anche gli Iraniani nella guerra contro l'Iraq (1980-1988) mandavano bambini disarmati nei campi minati per farli "pulire". Si trattava del cosiddetti Basai. Sono noti atti di terrorismo indiretti contro bambini guerrieri in Africa, i quali, a loro volta, hanno commesso delle vere e proprie azioni terroristiche. Potremmo continuare cosi, a lungo, citando un esempio dopo l'altro, ma anche quanta detto basta per sollecitare le domande: perché questo succede? quali sono le ragioni del terrorismo? . Terrorismo che sempre di più, almeno a quanto ci sembra, si sta sviluppando e acquista forza in tutto il mondo. Le cause sono numerose e diverse. Ragioni economiche e politiche e sociali e anche religiose, che tutte, però, sono ricollegabili alla psicologia del gruppo e dell'individuo. Possiamo menzionare solo alcune delle ragioni del terrorismo, che si fondano su problemi sociali ed economici che tendono a prevalere perchè più numerose o intense. Al giorno d'oggi esistono enormi differenze tra i ricchi e i poveri di un paese, e tra diversi paesi. Oggi si scrive e si parla molto della globalizzazione che unisce i ricchi lasciando da parte i paesi poveri. Siamo testimoni di grandi proteste agli incontri dei ricchi paesi occidentali. Gli immigrati che vengono numerosi dall'Asia e dall'Africa, e che sono prevalentemente arabi, vanno incontro a molte e varie frustrazioni. Uno dei problemi e la possibilità, o meglio dire l'impossibilita, di integrarsi nella società di destinazione. Altro problema è l'emarginazione di fatto : esempio attuale è la recente rivolta scoppiata nei sobborghi di Parigi, dove gli arabi si sono messi a distruggere la proprietà dei ricchi, perché rimasti poveri e ghettizzati. Il problema dell'integrazione della popolazione islamica, che si è insediata nell'Europa occidentale, è di grande attualità. Si verifica anche che, in alcune nazioni, la popolazione islamica immigrata desidera mantenere integralmente le proprie abitudini e rispettare le consuetudini religiose: oltre l'abbigliamento speciale per le donne molte altre usanze sostanzialmente estranee alla cultura occidentale. E' vero anche che nelle moschee si riuniscono anche i terroristi, fatto che provoca una generalizzazione dell'aggressività contro il mondo islamico. Infine deve essere considerato che in Europa occidentale è in atto una rivoluzione demografica i cui protagonisti sono i giovani insoddisfatti, che appartengono prevalentemente al mondo arabo, sia immigrati sia nati in Europa. Heinsohn, G. (2003) definisce ciò una bomba a orologeria demografica che deve essere presa seriamente in considerazione.
Ho già trattato le cause psicologiche del Terrorismo: "I gruppi umani hanno sempre avuto bisogno di un nemico. Il nemico fungeva sempre da contenitore per le proiezioni aggressive e distruttive. II gruppo nemico è il più adatto a soddisfare il bisogno di un'identificazione proiettiva e di curare le ferite del narcisismo di gruppo. II gruppo percepisce se stesso come "buono" e quello avversario come "cattivo"(Klain, 2004). Partendo dal presupposto che il proprio gruppo è fatto di esseri umani, mentre i membri del gruppo nemico non sono esseri umani, è evidente come scissione e proiezione siano le caratteristiche psicodinamiche di base in tali gruppi in posizione di fusione regressiva. Proprio questi gruppi presentano di frequente una evoluzione operativa in gruppi terroristici. Si potrebbe definire il Terrorismo come la manifestazione estrema dell'ostilità di gruppo. I processi di omogeneizzazione all'interno di grandi gruppi che portano a sviluppi in Terrorismo avvengono, per solito, sulla base di elementi nazionali, etnici, tribali o religiosi. La contemporanea generalizzazione dell'aggressione distruttiva nei confronti di altri gruppi etnici, nazionali, tribali e religiosi produce i risultati operativi. L'esempio più recente, rappresentato dalla guerra tribale in Iraq, già appartiene alle quasi dimenticate guerre tribali nell' Unione Sudafricana, in Ruanda, così come nell'ex Jugoslavia, dove è stata in atto una guerra nazionale e religiosa. Oggi si discute quali gruppi rappresentino il focolaio più pericoloso del terrorismo: quelli omogeneizzati su basi nazionali o quelli divenuti tali su basi religiose. La religione è considerata fenomeno di aggregazione più antico rispetto alla nazionalità, e, come tale, avrebbe una precedenza più arcaica nella genesi del terrorismo. Tuttavia, il ventesimo secolo ha dimostrato come il nazionalismo può divenire a sua volta come una religione politica: ci riferiamo alle azioni terroristiche di Hitler in Germania e quelle di Stalin in Russia. Oggi parlare delle radici religiose del terrorismo richiama Islam: a ciò si riconducono interminabili ed ampi dibattiti che cercano di chiarire se il Corano permetta o meno il suicidio. E' noto che il Corano esalta chi muore combattendo per Allah. Citiamo: "E noto che le organizzazioni terroristiche islamiche combattono la guerra santa, lo Jihad, contro gli infedeli, prima all'interno della propria comunità e in seguito anche contro gli infedeli in altri paesi. E noto che nel mondo islamico al posto dello stato si ha spesso lo stato teocratico e le leggi teocratiche islamiche Sharia" (Bohleber, 2003). Va però rilevato che Islam non è solo una religione: è piuttosto una guida pratica per la vita quotidiana. L'Islam inoltre non è la sola religione alle radici del Terrorismo. II Cristianesimo in molte occasioni ha dimostrato di stimolare atti terroristici: le crociate, o, nel passato più recente a Srebrenica, il genocidio, già menzionato, è stato perpetrato dai Cristiani contro i Musulmani,come quello,sempre ad opera di Cristiani contro i Musulmani ad Ahmici e in altre località delta Bosnia Erzegovina. T. Jefferson (cito secondo J. Anderson Thomson, 2003), parlando del dogma religioso afferma che "tutta quanta l'umanità, dalla creazione del mondo fino ad oggi, combatte, litiga, si brucia e tortura a vicenda, per fini astratti ad essa incomprensibili, che sono assolutamente al di là di ciò che lo spirito umano può concepire." Anderson Thompson riferisce che "la religione serve come strumento di adattamento culturale che facilita l'erompere del terrorismo e della guerra. II credere nella vita d'oltretomba e nella ricompensa per la morte nella guerra santa aiuta a diminuire la paura della morte." Vorrei quindi passare a citare un esempio, dalla guerra in Bosnia, di come l'isolamento, l'emarginazione e il maltrattamento di un gruppo, in tempo successivo porta a Terrorismo. Quando i Serbi hanno aggredito la Bosnia Erzegovina sono arrivati alcuni combattenti dai paesi arabi, i cosiddetti mudjahedin, schierati dalla parte bosniaca contro i Serbi. Alcuni di loro sono rimasti in Bosnia, hanno messo su famiglia, hanno trovato un lavoro e hanno bambini già abbastanza grandi. Le autorità attuali hanno cominciato a perseguitarli. Uno di loro, Abu Hamza, ha dichiarato alla stampa: "Faccio sapere a tutti quelli che stanno compiendo un'ingiustizia nei nostri confronti: non fate diventare i nostri bambini i vostri futuri terroristi come è successo a Londra e a Madrid a causa delle ingiustizie subite dai bambini degli immigrati". (Citato secondo il quotidiano "Jutarnji list", 2006). Dal punto di vista psicoanalitico e analitico di gruppo, quando i membri si organizzano in modo regressivo formano un gruppo che sviluppa un sostituto illusionistico dell'oggetto perso, vale a dire della madre della prima infanzia. Se questo gruppo conquista il potere e accetta fantasie di propria superiorità, l'aderenza alla realtà dei membri del gruppo si annulla: la fusione col sentimento di appartenenza nazionale o di gruppo stimola il Sè. Alla domanda "chi sono?" si sostituisce la domanda "a chi appartengo?" Per queste persone il mondo è caratterizzato da una grande unità simbiotica e da altra parte la scissione immediatamente comporta la visione di un mondo di rivalità, competizione e pluralità. L'autore citato sostiene che le persone coinvolte in questo tipo di problemi ritengono che l'ideologia del gruppo definisce ciò che per loro è bene o male. Le norme del gruppo sostituiscono cosi il superego individuale,che si annulla.
E' però vero che esistono anche ragioni individuali nel Terrorismo,che è tema proprio alla psicologia del Terrorista. E' noto che ognuno di noi individualmente ha bisogno sia di amici sia di nemici. Freud afferma: "un amico intimo e un nemico odiato sono sempre stati una necessità indispensabile della mia vita emotiva." Vamik Volkan (2003) afferma: "Tutti abbiamo bisogno di nemici e di alleati." Questo aspetto individuale può spiegare il nostro atteggiamento e la nostra convinzione di avere sempre ragione e di voler appartenere sempre al gruppo superiore, mentre gli altri sono inferiori. A questo punto vorrei rilevare che, anche se la realizzazione di atti di terrorismo avviene individualmente, o in piccoli gruppi, le cause e la genesi, di regola, hanno carattere collettivo. Vorrei terminare questo contributo sulle cause del terrorismo con una citazione di Melanie Klein presa da E. Hopper (2002). M. Klein sostiene che le società traumatizzate, che non sono state in grado di dare espressione ai propri sentimenti di perdita, abbandono e lesione, sono condannate a ripetere queste esperienze. A sua volta Hopper continua: "Come ho già menzionato in altra sede, è come se queste società seguissero la regola d'oro della psicoterapia forensica di "far subire agli altri quello che loro hanno dovuto subire". Questo modo di concepire le conseguenze del Terrorismo ci aiuta a capire le sue cause e il perché, sia le une sia le altre, si ripetono in diverse generazioni e in differenti società e religioni del mondo. Questo si riferisce ugualmente alla società e alle sue organizzazioni.

LA DEFINIZIONE DEL TERRORISMO
Ho avuto difficoltà a decidere quale definizione adottare. Ogni definizione parte dal proprio punto di vista, il che crea notevoli differenze. Vorrei iniziare a definire il Terrorismo ponendomi la stessa domanda che si sono poste le Nazioni Unite: Il terrorismo è violenza intenzionale e calcolata, che si può giustificare in rapporto a sistemi di grande ingiustizia (Vedantam, 2003).
Questo può essere riferito a numerosi movimenti di liberazione, che dopo un lungo combattimento, spesso di carattere terroristico, sono riusciti a realizzare i propri diritti. In casi simili gli autori parlano di terrorismo dal basso, dove un piccolo gruppo, volendo raggiungere certi scopi giusti, ricorre al terrorismo. Fino a poco tempo fa si pensava che i piccoli gruppi a causa della loro debolezza e dipendenza finanziaria non potessero realizzare atti terroristici di grandi dimensioni. Con la comparsa delle armi nucleari, biologiche e chimiche queste tesi sono messe in discussione.
Il Terrorismo dall'alto, coincide il più spesso con il Terrorismo di Stato, che abbiamo potuto vedere in Russia sotto Stalin, in Germania sotto Hitler, in Cina sotto Mao Ce Tung, in Cambogia sotto Pol Pot ecc. Una simile situazione si è verificata negli stati sudamericani, Argentina e Cile, con le giunte militari. Oggi, in ogni caso, sono più frequenti gli attacchi terroristici dal basso, che potremmo definire con la seguente citazione di G.S. Medina (2002): "Ogni attacco violento che minaccia la vita e il benessere degli esseri umani in un modo imprevisto, e ha come bersaglio la vittima indifesa, viene considerato un atto terroristico, a prescindere dalla sua provenienza." Un'altra definizione contemporanea del terrorismo è offerta dalla Grande Enciclopedia Danese. Secondo questa fonte "il terrorismo è violenza spesso diretta contro innocenti ed esercitata da individui, gruppi o reti allo scopo di imporre con la forza cambiamenti politici o di attirare l'attenzione sui propri messaggi politici o religiosi" (Klain, E. 2004). Forse è opportuno menzionare che il termine "terrore" risale alla rivoluzione francese quando Robespierre parlava di " grande terreur", per finire in seguito lui stesso sulla ghigliottina, accusato di Terrorismo.

LA STORIA DEL TERRORISMO
In questa parte del mio lavoro mi sono servito di un articolo di Tena Erceg, pubblicato sul settimanale "Feral tribune" del 2 agosto 2003. La storia del Terrorismo si potrebbe scrivere attraverso la sorte dei terroristi suicidi. L'autrice afferma che la storia degli attacchi suicidi inizia nel periodo antico, quando, ad esempio, i membri della setta ebraica dei Zeloti impiegavano i suicidi nella loro lotta contro i rappresentanti dell'odiato potere romano in Giudea. Nel secolo XI gli Asaz persiani espugnavano le fortezze grazie agli attacchi suicidi. Sono famosi gli anarchici russi del 19 secolo e della Seconda Guerra Mondiale sono noti i kamikaze giapponesi. In Medio Oriente un attacco suicida di grandi proporzioni risale al 1981, quando terroristi iraniani hanno attaccato l'ambasciata Irachena a Beirut, uccidendo 27 persone. E'interessante menzionare che in Palestina questo modo di combattere è apparso relativamente tardi, nel 1993, ma da allora è dilagato, causando numerose vittime israeliane.

GLI SCOPI DEL TERRORISMO
L'attacco terroristico si pone come obiettivo concreto, scopo principale e strategico, di seminare il panico tra la gente e provocare una paura permanente, perchè la gente non sa dove e quando l'atto terroristico potrà ripetersi. Altra ragione, senz'altro importante, è vendicarsi di un'ingiustizia subita, che ha provocato dolore, distruzione e morte, nei membri del gruppo che adesso pratica il terrore. Scopo paradossalmente meno rilevante è uccidere o ferire un certo numero di persone. Inoltre è importante provocare una reazione di vendetta. Se la vendetta non si realizza, il prossimo attacco si farà più brutale e intenso. La vendetta e le reazioni contro terroristiche, dell'altro gruppo o dello Stato, creano le condizioni per il comparire di nuovi terroristi e così il circolo si chiude e si perpetua. Melanine Phillips (2004) si dà la seguente spiegazione politica: lo scopo principale del terrorismo è demoralizzare le vittime, provocando contemporaneamente in loro una reazione di rivalsa talmente violenta da indurre l'opinione pubblica a percepire e confermare i terroristi come vittime. Proprio questo è successo con Israele: l'opinione pubblica in Inghilterra e in Europa appoggia fermamente i palestinesi. Gli Israeliani sono percepiti come tiranni razzisti ed è solo una questione di tempo e questa opinione sarà accolta anche in America, dove è già ben radicata nell'ambiente universitario.
Quando un atto terroristico è reale e quando è utopistico? I movimenti di liberazione che ricono al Terrorismo spesso riescono a realizzare i loro scopi e conquistano il potere nelle colonie in paesi a lungo oggetto di dominazione. Spesso gli scopi del Terrorismo sono, al contrario, utopistici. Questo riguarda particolarmente quegli scopi che si propongono di distruggere stati e popoli interi, come, per esempio, volevano fare Hitler e Stalin. La maggiore azione terroristica nel mondo attuale ha come scopo islamizzare il mondo intero tramite la Guerra Santa, che si serve abbondantemente del Terrorismo. La Jiahad, che dovrebbe permettere ai musulmani di diventare padroni di tutto il mondo, è una grande utopia perché loro vorrebbero instaurare lo stato medievale islamico in tutto il mondo o nella maggior parte di esso. Fortunatamente si tratta di una fantasia utopistica.
Quale è l'impatto dei media sulla realizzazione degli scopi del terrorismo? I media più potenti sono quelli di larga diffusione perchè in qualche modo promuovono il Terrorismo. Rappresentano spesso i terroristi come eroi che combattono una giusta causa. Penso che le trasmissioni dell'emittente televisiva Al Jazeera del Qatar siano perciò molto dannose e incentivano il terrorismo. L'importanza dell'impatto dei Media è illustrato dal seguente esempio riportato da Vendatam: nel 2002 negli USA sono stati arrestati tre medici specializzanti di provenienza araba perché una donna aveva sospettato, in base alla loro conversazione, che preparassero un atto terroristico. Ha informato la polizia provocando una situazione sgradevole per le persone in questione.
Ci viene da chiederci perché questo tipo di "azione" dei media abbia successo. Penso che sia una cosa assai logica poiché essi fanno vibrare la corda dell'aggressione distruttiva e risvegliano gli istinti più violenti, che in seguito vengono proiettati sul gruppo avversario.

LE CONSEGUENZE DEL TERRORISMO
Alcune conseguenze le abbiamo già menzionate parlando degli scopi del terrorismo: gli scopi realizzati comportano infatti determinate conseguenze. La prima conseguenza di un attacco terroristico è la vulnerabilità della persona colpita, dato che gli stimoli terroristici esterni provocano un trauma che porta a una reazione aggressiva e a possibili abusi nel comportamento. Shengold (citato secondo Akhtar, 2003) parla di "assassinio dell'anima" che si verifica in queste persone e che può avere come conseguenza l'abuso dei bambini, il vuoto spirituale e l'aggressione distruttiva. Questi comportamenti sono stati notati nei bambini dei nostri pazienti affetti da disturbo post-traumatico da stress, particolarmente di quelli che sono sopravvissuti alle torture nei campi di concentramento serbi. I bambini dei genitori colpiti dal terrorismo rivelano un comportamento aggressivo e sintomi di ansietà e di depressione. Altre ricerche (Golomb A. 2003) dimostrano il verificarsi di cambiamenti nel cervello delle persone traumatizzate, bambini inclusi. I traumi di massa, causati dal terrorismo contro grandi gruppi, popoli interi o determinate regioni, provocano una forte ansietà e aggressione sociale (Volkan, 2003). E' possibile che si verifichi l'annichilamento del self in tutto il gruppo e, naturalmente, la regressione sociale accompagnata da elementi del magico. Simili gruppi cominciano a credere in una soluzione magica del loro problema e della loro sofferenza. In tali situazioni si manifesta la degenerazione biosociale e la scissione all'interno dei grandi gruppi traumatizzati, come, per esempio, è successo con i turchi di Cipro, chiusi in enclavi dai greci, oppure come conseguenza del terrore serbo contro gli albanesi. Un sintomo di rigenerazione biosociale in tali popolazioni traumatizzate è la crescita radicale del numero di nati, il che rende possibile il rinnovamento demografico. II caso degli albanesi del Kosovo è uno degli esempi più evidenti. Bisogna far notare che il trasmettersi delle conseguenze del terrorismo alla prossima generazione è molto traumatico e pericoloso. "Così, per esempio, la rabbia, indotta dalla vergogna, che è una forte energia dinamica, si trasmette transgenerazionalmente alle prossime generazioni, il che implica anche l'esigenza di vendetta". (S. Varvin, 2003; V. Volkan, 1997, 2001, 1999; E. Klain, 2004). Dopo l'atto terroristico contro un grande gruppo, i suoi membri trasmettono le proprie immagini traumatizzate ai figli, creando un effetto cumulativo che influenza il contenuto della identità del gruppo, dato che tutti hanno esperienze traumatiche simili. Nonostante il fatto che ognuno di questi bambini della seconda generazione abbia una personalità individuale, tutti condividono rapporti simili con la rappresentazione mentale del trauma e bisogni inconsci simili di affrontare tali rappresentazioni. Questo mantiene molto vivi i ricordi dei traumi del genitori. Piangono le loro perdite per volgere l'umiliazione in vendetta. Se la generazione successiva non riesce a realizzare questi impegni, e di solito non ci riesce, questi impegni di vendetta vengono trasmessi alla terza generazione e così via. Potremmo concludere che la conseguenza più grave di un atto terroristico sia la trasmissione del trauma e delle emozioni che lo accompagnano alle generazioni successive.

LA PSICOLOGIA DEL TERRORISTA
La definizione di Hoffman (secondo Vedantam, 2003) è: "Molti terroristi sono persone assai concentrate e razionali, ragione per la quale il terrorismo rappresenta una scelta assolutamente ragionevole, non sono fanatici dallo sguardo selvaggio o dei killer pazzi, come si è soliti immaginare." Nehajev, anarchico russo del 19 secolo ha descritto il rivoluzionario (terrorista) "come una persona priva di interessi propri, di sentimenti e legami emotivi con altre persone, senza proprietà e addirittura senza nome. Il rivoluzionario così descritto è una persona che ha reciso il legame con il mondo, con le convenzioni sociali e con le norme etiche. Conosce solo una scienza : quella della distruzione. Secondo me, i terroristi moderni presentano entrambe le caratteristiche descritte nelle due definizioni. Dal punto di vista psicodinamico, il terrorista è predisposto ad odiare, a vendicarsi e a distruggere percependo, in modo paranoico, il nemico come un essere malvagio, che deve essere sacrificato per il bene degli altri. Inconsciamente i terroristi usano l'organizzazione delle fantasie psicopatologiche per esercitare un'influenza sull'impotenza e sulla vulnerabilità degli altri, dando mostra di un'onnipotenza esecutrice dell'invidia. Medina (2002) conferma: "il narcisismo maligno agisce nella configurazione psicologica di queste personalità e stimola alla distruzione di oggetti simbolici che sono contemporaneamente idealizzati e fortemente odiati: madre, padre, pene, servo. II terrorista si avvale di idealizzazioni religiose, etniche, economiche, e altre, per giustificare questa distruzione. Il terrorista è una persona pronta a sacrificare la propria vita in nome dell'ego ideale, cioé del superego, che è legato alla rimozione, all'egoismo e alla presupposta sublimazione magica onnipotente. II ruolo protettivo dell'idealizzazione e dell'egoismo maligno è intimamente legato agli istinti distruttivi, di morte. L'idealizzazione procede a pari passo con la scissione degli istinti e la dissociazione degli oggetti dell'ego. In questo modo la rappresentazione istintiva si può dividere in due parti, da una parte c'e la rimozione, mentre dall'altra essa si collega agli oggetti idealizzati. Oppure si verifica una svolta verso l'idealizzazione che produce interazioni strette con il Superego e con l'Ego ideale. Interpretando questa dinamica dal punto di vista kleiniano, i meccanismi di idealizzazione costituiscono la parte prevalente della posizione schizo-paranoide, insieme con la dissociazione, il controllo magico onnipotente, il trionfo e l'identificazione proiettiva. Brainsky, S. (2002) rileva l'egoismo esclusivo che è presente nel terrorista e dice "che corrisponde all'egoismo di un fanatico fondamentalista, che non può accettare la benché minima deviazione da ciò in cui crede, perché anche la più piccola crepa potrebbe distruggere tutta la sua fragilissima struttura". Mi sembra il caso di citare Nancy Chodorow (2003) che presenta le caratteristiche del terrorismo nel seguente modo: scissione schizo-paranoide e identificazione proiettiva narcisismo e umiliazione. Nella posizione schizo-paranoide odio e aggressività, dunque tutto ciò che è negativo, si trovano negli altri o nell'oggetto, mentre il soggetto trattiene solo tutto ciò che è positivo. Questo conduce all'ansia per il compimento della vendetta persecutoria e ad ulteriori scissioni. II self si sente minacciato della frammentazione e della disintegrazione, dato che la scissione si approfondisce. D'altra parte, le fantasie e le azioni violente suggeriscono che la soluzione delle paure persecutorie e paranoiche sia distruggere qualsiasi persona o cosa in cui siano stai proiettati gli oggetti maligni. La violenza basata sulla scissione schizoparanoide proietta tutto ciò che è negativo nell'oggetto, provocando ansia persecutoria, mentre il Self è centro di tutto ciò che è positivo, ma allo stesso tempo si sente minacciato. L'aggressione diventa una reazione alle minacce dirette contro il self psicologico. Per semplificare queste analisi psicodinamiche dell'autrice, possiamo dire che la dimensione più importante per il terrorista è la vergogna e l'offesa (umiliazione) narcisista, nel senso di una dinamica personale e di gruppo. Lui vive questa umiliazione sia personalmente sia come membro del gruppo. Vendicandosi, lui vendica se stesso e il gruppo, per ricostituire l'orgoglio proprio e quello del gruppo. Questo è evidente neIla situazione palestinese. II dinamitardo suicida di solito viene da una famiglia in cui qualcuno è già stato ucciso o imprigionato, che è povera, esposta a continue azioni militari e perquisizioni, umiliata e violata ai check point.

IL DINAMITARDO SUICIDA
Vorrei dedicare qualche parola alla forma più frequente del terrorismo moderno, cioè ai dinamitardi suicidi. Sfortunatamente, nella maggioranza dei casi, si tratta di giovani e di Palestinesi. Vengono reclutati in famiglie palestinesi povere e traumatizzate, come già abbiamo menzionato. Vengono addestrati in campi speciali dove sono completamente isolati dal mondo esterno, senza nessun contatto con i media o con la famiglia, e dal punto di vista religioso ed ideologico vengono indottrinati a favore dell'Islam e a favore dell'odio contro gli Ebrei. E' loro promesso dopo la morte da martiri il piacere eterno in paradiso, là dove 70 vergini cercano di compiacere ogni sciahid (martire eroe). II Corano, come le altre religioni, vieta il suicidio, ma qui non si tratta di suicidio ma di una morte da martire per l'Islam, azione con la quale si può recare grande danno al nemico infedele. Osama Masini ( S. Erlich, 2003), dottorando di psicologia in Gaza ha detto: "Dal punto di vista psicologico, bisogna distinguere una persona che si suicida a causa della sofferenza mentale da uno sciahid che è felice, che ama la vita, possiede una forza interiore e per cui è assai importante la purificazione del self." "Dal suo punto di vista, il dinamitardo suicida fa quello che Winnicott ha descritto una cinquantina di anni fa. Essendo impossibile realizzare le condizioni necessarie per un'esistenza autentica, il suicidio presenta la distruzione del self totale, evitando di annichilare il self vero e proprio. Una morte dignitosa in tal caso è migliore di una vita nella vergogna. In altre parole, il dinamitardo suicida ritrova il self e definisce i suoi limiti immergendosi e fondendosi nell'ideologia o nell'idea. In quel momento odio, rabbia e distruttività non contano. Quello che conta è raggiungere il self puro (vero self) a differenza del self impuro del nemico. Distruggendo il self impuro del nemico, si purifica il proprio self. E' la già menzionata purificazione del self." (Erlich, S. 2003) Lo scrittore sloveno Vladimir Bartol (2006) ha fornito un'ottima descrizione dei killer-suicidi nel suo romanzo "Alamut" che parla della fortezza Alamut del 12 secolo, all'interno della quale Ibn Sabah, capo dei terroristi di quel tempo, faceva addestrare giovani fedaijin. Si trattava di un'unità combattiva elitaria, isolata in quella fortezza da tutti tranne dai loro maestri che insegnavano ideologia ismaelita (dissidente all'interno dell'lslam), promettendo loro il paradiso dopo che avrebbero perso la vita, cioè dopo la morte. Contemporaneamente, in una parte della fortezza aveva raccolto un gruppo di giovani donne istruite a fingere il paradiso e a soddisfare, nel momento opportuno, tutti i desideri dei fedaijin, come se fossero le uri del paradiso musulmano. Alla fine dell'addestramento i fedaijin venivano consacrati. Ibn Sabah dice al suo aiutante: "Adesso va a consacrare gli allievi, vi è il testo del giuramento che ho composto. Parlerai loro della cerimonia di questa notte, parlerai dell' eroismo dei martiri, parlerai in modo appassionato, pieno di entusiasmo, eccitando le loro anime giovani, ispirandole al fanatismo e all'audacia. Allo stesso modo li minaccerai con punizioni ed esecuzioni spaventose se non saranno disposti all'ubbidienza assoluta. Per tanti anni ho sognato di addestrare simili allievi secondo la mia idea di modificare la loro natura, adattandola ai miei scopi, per poter costruirvi la forza della mia istituzione. Finalmente, finalmente, vi sono riuscito," Questo significa che l'indottrinamento era concluso e che da loro ci si poteva aspettare l'esecuzione di ogni compito. In un'altra occasione,
lbn Sabah dice ai suoi collaboratori: "Ricordate che Maometto ha promesso agli .occhi caduti lottando per l'Islam con la spada in mano, le delizie del paradiso nell'aldilà. Ha promesso passeggiate attraverso i prati e i campi, soste accanto a sorgenti limpide, in mezzo ai fiori, che li avrebbero inondati del loro aroma inebriante. Avrebbero goduto delle pietanze deliziose e frutta scelta, serviti da ragazze dai grandi occhi scuri e dalle membra bellissime in padiglioni di vetro. Nonostante i servizi che avrebbero loro prestato, gli occhi di queste ragazze avrebbero mantenuto il pudore e la verginità eterni. Avrebbero servito loro del vino in recipienti d'oro e il vino non avrebbe dato loro alla testa. I giorni dell'eternità sarebbero passati nell'abbondanza e nel piacere eterno." Ibn Sabah aveva realizzato la sua idea più importante, quella di convincere alcuni fedaijin di essere stati in paradiso. In questo modo, attraverso i loro racconti, avrebbe potuto indurre gli altri a credere alle sue promesse. Ne ha storditi tre con la droga, li ha fatti trasportare nei giardini con le. ragazze, dove hanno trascorso con loro tutta la notte pensando di essere davvero in paradiso. Li ha drogati di nuovo e dopo che si sono svegliati hanno raccontato a tutti dei piaceri paradisiaci di cui hanno goduto. Per la formazione di terroristi-dinamitardi è molto importante la personalità carismatica del capo, sulla quale si possono proiettare molte cose. E' ancor meglio se il capo non è accessibile, perché cosi possono fantasticarne di più. Sono significative le seguenti frasi di lbn Sabah. Quando il suo collaboratore lo ha invitato ad assistere alla consacrazione dei fedaijin, ha risposto: "Non vengo. So quello che faccio. Se vuoi usare la gente come se fossero uno strumento è meglio non conoscere le loro preoccupazioni. Quando si prendono grandi decisioni, è importante essere liberi e indipendenti dal proprio cuore." Dopo 1'11 settembre siamo alla presenza di un nuovo tipo di terroristi fondamentalisti-suicidi islamici. La prima considerazione è che i terroristi dell'attacco a New York non erano palestinesi umiliati. La maggioranza proveniva dall'Egitto o dall'Arabia Saudita. Erano più anziani dei dinamitardi suicidi, bene istruiti e provenienti da famiglie benestanti. Molti erano sposati e avevano bambini. Penso tuttavia che i meccanismi che presiedono alla creazione di un tipico fondamentalista dinamitardo suicida islamico possano riferirsi anche a questo gruppo di terroristi. Nonostante non abbiamo molti dati sulla loro vita, possiamo definire con esattezza la psicologia e la motivazione dei sequestratori degli aerei dell' 11 settembre. Alcuni di loro non conoscevano fino all'ultimo momento lo scopo della loro missione fatale. Credo che anche loro abbiano subito un trauma psicologico che ha lasciato conseguenze sulla loro identità. La loro soggezione assoluta al capo Osama Bin Laden è uno degli aspetti del cemento che ha riempito le scissioni dentro di loro. Bin Laden è il portavoce della loro identità, del grande gruppo e della vera religione musulmana. Estratti di 4 pagine dai documenti che alcuni di loro si sono lasciati dietro, gettano luce almeno su una parte dell'addestramento di Al Qaida. Oltre al consiglio di mantenere segreta la loro identità, il documento contiene parti del Corano che permettono il suicidio come un modo per uccidere i nemici in nome di Dio. Leggendo tra le righe è chiaro che in tal modo viene elaborato un rituale in cui le parole di Dio coesistono con le istruzioni pratiche per l'assassinio di massa. In questi documenti si possono, per esempio, trovare le istruzioni di allacciarsi le scarpe, lavarsi, controllare se le armi sono pronte. Quelle relative alla pulizia e alla rimozione della polvere e del fango mirano ad assicurare il comportamento da buoni musulmani, che devono essere puliti quando si avvicinano a Dio. Come se queste istruzioni volessero instaurare un equilibrio con quelle relative alla sporca faccenda di suicidarsi, uccidendo i passeggeri e l'equipaggio dell'aereo, come pure la gente negli edifici che erano la meta dell'attacco. Questi documenti contengono tutto, passo per passo, dallo svegliarsi la mattina al sequestro dell'aereo, fino a sfracellarlo contro l'edificio, e tutte queste istruzioni sono ritualizzate, nonché semplici dal punto di vista psicologico. Le istruzioni trovate nei bagagli di Muhamed Atta rivelano e rendono visibile il suo mondo interiore scisso. Da una parte, è un atto di assassinio di massa, la morte esplosiva del suicida in un grande pallone acceso. Dall'altra, la fantasia di entrare, subito dopo, in uno stato tranquillo, narcisistico ed armonico in cui vengono appagati i desideri per i quali ci si preparava pregando Dio, uno stato in cui si entra con il cuore purificato da tutti i sentimenti negativi. L'autore di quelle pagine scrive: "il cielo sorride, mio giovane figlio, per voi e voi entrate in cielo." Questo legame tra 1'ideale narcisistico, la violenza terrorista e l'assassinio di massa richiede infatti una nuova riflessione psicoanalitica sul rapporto tra religione, purezza e violenza.
ESISTE UNA PROSPETTIVA DI ELIMINARE IL TERRORISMO Nel rapporto verso i terroristi :"è necessario non solo il rispetto dell'altra persona, ma anche la comprensione dell'ansietà e dell'amore di uno straniero, cioè la comprensione dell'investimento libidico in persone radicalmente diverse" (Widlocher, P. 2003, Volkan, V. 2003). "I terroristi non sono inumani, sono esseri umani coinvolti in atti inumani." I loro motivi sono difficili da comprendere, essendo, come abbiamo sottolineato prima, numerosi e diversi. Parlando dei rapporti israeliano - palestinesi, S. Akhtar (2003) mette in rilievo la necessità di empatia tra le parti ostili. Ogni parte deve imparare qualcosa sull'altra. Conoscere l'altra parte disintossica la persona. Così per esempio, si arriva alla conclusione che tutti gli arabi non sono terroristi e che tutti i terroristi non sono arabi. L'atto terroristico può suscitare nel membro del gruppo aggredito un'aggressione distruttiva, cioè l'istinto di morte, portandolo a identificarsi con terrorista e terrorismo. Forse il terrorista israeliano che ha ucciso il premier Izak Rabin si era identificato con i terroristi palestinesi. Le difese contro il terrorismo Abigail Golomb (2003): "All'inizio dell'intifada del 2000 la gente era motto colpita da ogni atto terroristico. Con il passare del tempo vi si è abituata. L'impossibilita di aiutare se stessi ha portato alla negazione. Si cerca di evitare i luoghi più esposti come mercati, autobus e fermate dell'autobus e altri posti affollati (discoteche, ristoranti ect.)." La vita in chiuse zone residenziali, protegge almeno in parte dal terrorismo. Ci chiediamo come questo vivere praticamente incarcerati influenzi la psiche delle persone. Le prospettive di eliminare il terrorismo purtroppo sono deboli. Conoscendo la psicologia di gruppo e quella individuale, sappiamo che l'aggressività distruttiva è un fattore essenziale del funzionamento sia dell'individuo sia del gruppo, piccolo o grande. Prendiamo qualche esempio di grandi gruppi. Spesso, insoddisfatti di una data situazione, aspirano a vendicarsi e ci riescono. La Germania, scontenta del Trattato di Versailles dopo la Prima Guerra Mondiale, in certo senso evolve verso Hitler e Olocausto. La Serbia sconfitta dai Turchi più di 400 anni fa perse il Kosovo: gli Albanesi (musulmani) per lungo tempo vittime del terrorismo corrono il rischio di perdere il Kosovo, cosa che potrebbe riaaccendere un nuovo focolaio del terrorismo in senso inverso. Gli USA puniscono Iraq e Afganistan per l'11 settembre. Israele vuole vendicarsi dell'eterno antisemitismo e così via. Vorrei concludere con due citazioni che ci aiutano a capire le possibili prospettive. Hanna Segal (2002) scrive; "Non possiamo cancellare tutti i diavoli e il terrore senza distruggere noi stessi, perché sono parte di noi. Le crociate contro il terrorismo, al fine di conquistare la libertà e la democrazia, sono altrettanto pericolose e illusorie come le altre credenze fondamentaliste, di poter raggiungere il paradiso distruggendo il diavolo che vediamo negli altri." Erlich S. (2003) concludendo un suo articolo sul terrorismo dichiara di essere pessimista, dato che la propria purezza richiede la distruzione del nemico impuro. Per questa ragione terrorismo e aggressività distruttiva non avranno mai fine. Possiamo concludere che le nostre prospettive di eliminare il terrorismo non sono incoraggianti.

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Fa seguito alla relazione il dialogo tra i partecipanti:

Il Prof. R.Pisani, dopo essersi complimentato con il Prof. E. Klain, per la splendida relazione che ha passato in rassegna gli aspetti di realtà del terrorismo, quelli geografici, storici, economici e così via, per venire a quelli più strettamente psicoanalitici e gruppoanalitici, apre il dialogo sul testo presentato.
Il Dr. G. Calderaro trova interessante il riferimento alla storia familiare. Vorrebbe un chiarimento su questo aspetto di ripetizione tra generazioni.
Il Prof. Klain evidenzia la problematicità dell'aspetto transgenerazionale. Lo studio delle vittime dell'olocausto ha evidenziato che le persone, che erano nei campi di concentramento, quando sono state liberate, non parlavano ai figli di quello che era successo. Quando non si parla emergono fantasie distruttive e, in Israele, la seconda e terza generazione di ebrei ne ha subito le conseguenze. C 'è un importante libro su questo argomento di una psicoanalista israeliana, che ha avuto in terapia psicanalitica sei pazienti della seconda e terza generazione. Questo è stato trattato anche da uno psicoanalista americano, di origine turca, che lavora da venti anni in un ambito che si può definire "psicopolitico", nel senso che esamina e studia i grandi gruppi a partire da quello che è storicamente avvenuto. Lui dice che il tempo passato riveste importanza solo razionalmente, mentre emozionalmente avviene un collasso del tempo. Di ciò abbiamo avuto conferma dopo la seconda guerra mondiale in bambini traumatizzati dai padri e, ancora, oggi osserviamo bambini traumatizzati durante la guerra nella ex Iugoslavia. I bambini, traumatizzati dai loro padri, reagiscono in maniera aggressiva e distruttiva: si battono e si uccidono per trasmissione da una generazione all'altra. Sottolinea l'importanza della domanda sulla trasmissione transgerazionale. Infatti si deve tenere presente che i traumi subiti da una generazione ricadono e influenzano il comportamento delle generazioni successive.
Il Dr. D.Surianello si complimenta per la ricchezza della relazione che ha trattato le condizioni storiche e quelle attuali del terrorismo. Sottolinea la differenza tra le persone costrette ad arruolarsi e le persone che vanno volontariamente in guerra. Reputa presente nell'inconscio di questi soggetti volontari un atteggiamento aggressivo e distruttivo verso se stessi, ma anche verso gli altri.
Il Prof. Klain precisa che l'esperienza della guerra in Bosnia sembra confermare che molti volontari erano psicopatici, così come probabilmente lo erano quelli che, durante la seconda guerra mondiale, andavano a bombardare i bunker tedeschi. Diventano poi eroi in rapporto alle loro azioni di guerra e non sono sempre oggetto di biasimo. Coloro che sono liberati, infatti non possono dire che i liberatori siano psicopatici, perché la loro voglia di fare qualcosa di distruttivo ha avuto un buon risultato. Ricorda però che, in tutte le guerre, carcerati e criminali vengono rilasciati perché più adatti a fare la guerra. I mudjahedin pakistani sono venuti a combattere in una terra lontana che non aveva cultura, con il risultato che adesso la gente in Bosnia ha una cultura islamica e una fede in Allah. Erano persone semplici e non indottrinate: ora molte donne hanno il volto coperto e, in Bosnia, tutto questo sembra strano, non è abituale, ma come ha detto a ragione il mudjahedin Abu Hamza, se volessero espellerli i loro figli saranno terroristi.
La Dr.ssa G. Sgattoni riflette sul descritto effetto di amplificazione e cioè sul fatto osservato che chi è stato traumatizzato può traumatizzare proprio non parlando. La domanda è se non si parla perché non c'è chi ascolta, oppure è un problema del comunicare da parte del soggetto anche se c'è chi può ascoltare. La domanda è stimolata dalla sua partecipazione ad un convegno sul disturbo post traumatico, nel quale era emerso che non c'erano risultati con trattamenti farmacologici, mentre invece risultati erano apprezzabili dall'attività di ascolto, indipendente dal tipo di ascolto, cioè se fosse o meno un ascolto come trattamento specifico.
Il Prof. Klain spiega di aver lavorato per otto anni con un gruppo di killers, criminali di guerra, ed è stato terribile. Questi volontari di guerra erano stati sottoposti a terapie farmacologiche, psicoterapiche individuali, gruppali; tre, quattro terapie nello stesso tempo. Gli effetti sul sintomo o i risultati terapeutici erano nulli: però si riusciva a farli parlare di quanto accaduto.
La Dr. ssa G. Sgattoni, sull'aspetto generazionale, chiede se possa esserci un evento traumatico che si è reiterato in un tipo di struttura generazionale e familiare.
Il relatore Prof. E.Klain, risponde che, in proposito, non ci sono evidenze. Non si sa come affrontare questi studi, anche perché c'è un aspetto finanziario non trascurabile sulla questione dei risarcimenti.
Il Dr. G.Gagliardi ha la sensazione, ricavata dai sondaggi sui marines, reduci da situazioni devastanti, che la realtà psicopatologica supera classificazione diagnostica di disturbo post-traumatico. Si parla di persone devastate dalle droghe, dall'alcool; refrattarie a qualsiasi tipo d'intervento, che risulta inefficace. Altra osservazione che propone è quella relativa ai processi di adattamento. Pensa che noi abbiamo vissuto con raccapriccio le vicende dell' 11 settembre, ma si chiede come possano adattarsi le persone che l'hanno vissuto direttamente e sono state toccate in profondità. Si riferisce alla conclusione pessimistica della relazione presentata e si chiede quale sia la possibilità di adattamento di queste persone più o meno direttamente coinvolte.
Il Prof. Klain racconta la storia vera di una donna che a Gerusalemme una mattina va in un negozio per comprare della merce, che non è disponibile al momento. Mentre è in un negozio vicino, per altre commissioni, in quello da lei prima visitato scoppia una bomba. Lei ascolta la radio e sa dell'accaduto. Dopo pranzo telefona a questo negozio per sapere se è arrivata la merce che le occorre. La risposta è affermativa, allora chiede se può andare e il negoziante le dice di sì. Lei va e fa il suo acquisto anche se tutto intorno è in rovina. Questo non è un racconto di letteratura, ma un episodio vero. Quando l'anno scorso è stato in Israele, ha parlato con la gente e con i colleghi: gli hanno detto che mandano i bambini a scuola e non sanno se rientreranno; gli hanno consigliato di prendere il taxi e non l'autobus. Ma vivono. Questi episodi descrivono soluzioni che rispecchiano come la natura umana sia fortemente adattiva.
La Dr.ssa. L. Di Gennaro chiede un chiarimento, nello specifico dei criminali di guerra, sugli interventi terapeutici. Si domanda se i risultati terapeutici nulli siano in connessione al fatto che facevano finta di non voler guarire, oppure, perché era troppo gravoso per loro ripercorrere quanto vissuto. Chiede poi se c'era resistenza ad assumere farmaci.
Il Prof. Klain chiarisce che, anche se lui li ha chiamati killers, erano oggettivamente soldati che uccidevano: prima della guerra non erano assassini, ma spesso eroi di guerra. Sono persone distrutte dentro, che hanno tentato il suicidio. I farmaci sono per lo più una terapia sintomatica. Afferma che dopo due tre anni di terapia era soddisfatto, anche se solo diventavano soggetti meno distruttivi nei rapporti familiari, soprattutto con i bambini.
La Dr.ssa A.M. Meoni comprende bene che il problema fondamentale sono situazioni di completa alexitimia, che esaltano gli aspetti nocivi. A proposito di depressione si è ricordata di un episodio banale, ma significativo che è collegabile al collasso del tempo. Quando è andata in Germania per un congresso di gruppoanalisi, si è trovata in una situazione curiosa: stava bene, non aveva problemi, era in un albergo meraviglioso, però si sentiva depressa. Ha riportato il suo stato d'animo nel piccolo gruppo e il conduttore le ha chiesto se si fosse guardata allo specchio: questo perché sembrava una donna turca. L'interpretazione era che, camminando per strada, fosse oggetto di sguardi malevoli che la rendevano depressa, senza capirne la motivazione. Ha allora deciso di recarsi nel quartiere musulmano per vedere cosa potesse accadere e ha toccato con mano la differente accoglienza. Collega questo episodio al collasso del tempo: lei non aveva alcun segno o comportamento, religioso o di altro tipo, ma solo un colore olivastro della pelle che la faceva codificare immediatamente come vittima. Ipotizza che il permanere dello stato depressivo avrebbe potuto portarla a diventare aggressiva e a candidarsi al terrorismo. Chiede se la prospettiva sia lavorare su questi primi momenti di depressione. A lei il conduttore e il piccolo gruppo hanno dato una spiegazione che le ha permesso di farsene una ragione per cui pensa che, se qualcuno ti mette su una buona strada, il collasso del tempo possa essere compreso. In quanto a Bin Laden e ai Talebani , si dice colpita dalla loro bellezza, dal portamento fiero, aspetti dai quali non si può evincere una psicopatia. Forse c'è anche un problema di caste, ma per lo più sembrano avere problemi di sussistenza, eppure quando vanno a fare i kamikaze, mantengono il portamento, il sorriso e uno sguardo che non le appare paranoico-evitante, ma che le sembra molto affettivo. Questo la sconcerta.
Il Prof. Klain risponde che chi è in questa religione, è dentro la religione: è un fondamentalista. Prima sapevamo che erano poveri e mortificati, ma, dopo l'11 settembre, siamo rimasi sorpresi nel constatare essenzialmente un fondamentalismo religioso, anche se non conosciamo la vita che conducevano prima e i traumi subiti quando erano più giovani. L'11 settembre è un problema per tutti gli studiosi che si occupano di terrorismo, così come è stata una sorpresa trovarsi di fronte alle donne suicide. La prima donna che si è suicidata era un'avvocatessa palestinese che così ha vendicato la morte del marito.
La Dr.ssa A.M.Meoni intravede due ragioni. La prima è post-traumatica; l'altra potrebbe essere molto semplicemente un anelito di misticismo, come peraltro ci sono molti fenomeni abbastanza travolgenti di Sette che orientano al suicidio. Considera che pure San Francesco sia stato una sorta di fondamentalista e che, nel suo nome, sono stati fatti tanti sacrifici che delineano un fondamentalismo cattolico.
Il Prof. Klain spiega che nessuno sa che cosa può diventare una persona. Questo vale per Bin Laden e per Karamic, criminale di guerra che è stato suo allievo ed era in formazione gruppoanalitica proprio con lui. Dell'infanzia di Bin Laden si sa solo che la madre era una schiava. Il padre aveva tante mogli e tante amanti anche tra le schiave, cioè appartenenti ad un rango più basso. All'università non era uno studente brillante; poi si è collegato ai musulmani fondamentalisti. Ha lottato contro i russi e ha vinto in Afghanistan. Interessante è il processo di preparazione dei giovani musulmani. Sono di solito bambini traumatizzati dai padri, che vengono condotti al campo con i loro maestri interrompendo i contatti con la famiglia e col mondo esterno e con l'informazione dei media.
La Dr.ssa A.M.Meoni chiede se coloro che si suicidano possano essere considerati mistici che credono.
Il Prof. Klain risponde che sono ben pagati. Le famiglie di questi che si fanno saltare con le bombe prendono un vitalizio. Ma questi poveri bambini vivono anni di educazione contro tutti: ebrei, americani... e credono che, dopo l'atto suicidario, andranno in paradiso con 70 vergini. Hanno trovato questi ragazzi con del metallo sul pene per poter essere attivi con le vergini.
Il Prof. Pisani continua a complimentarsi per la relazione e , fermo restando l'importanza sugli aspetti di realtà sociali, economici, politici e di religione, crede si debba fare mente locale sugli aspetti analitici individuali e di gruppo. Ricorda di aver presentato il Prof. Klain nel precedente seminario sulla pulsione di morte e gli è venuto in mente il disagio della civiltà e il perché della guerra. Si dice che la pulsione di morte da qualche parte debba venire fuori. La distruttività, la morte è il fine ultimo di scontro con la libido. Si può riflettere che, dal punto di vista della realtà, le guerre mondiali in senso stretto, non si possano più fare perché c'è l'incubo della bomba atomica, allora da qualche parte deve uscire la pulsione di morte. Può uscire sotto forma di suicidio in senso stretto, ad esempio i ragazzi dell'occidente che s'intossicano con le droghe; di suicidi veri e propri come quelli dei popoli più evoluti specie la Svezia, la Norvegia, ma anche con il Kamikaze. Ripensa al pensiero e all'elaborazione di M. Klein, sia a livello individuale che gruppale. La proiezione della distruttività all'esterno, sia individuale che di gruppo, ha a che fare con la posizione depressiva e schizoparanoidea. A suo avviso non fa molta differenza, poiché l'individuo è espressione del gruppo e a sua volta lo influenza. Gli è sembrato poi molto interessante l'aspetto analitico trattato dal relatore con il concetto del Sé puro: attraverso il suicidio si ha come una realizzazione del vero Sé di Winnicott. È il raggiungimento del vero Sé contrapposto al Sé impuro che è quello esterno. E' un concetto molto profondo in cui emerge una fantasia di questo tipo, coperta da meccanismi di difesa quali l'idealizzazione, collegabile al paradiso di Maometto e alla storia delle settanta vergini.
Il Prof. Klain risponde che Freud rispetto al suicidio, diceva che quando il Super-Io mortifica l'Io avviene il suicidio, anche se non si vuole, perchè la pulsione di morte si proietta.
Il Prof. Pisani osserva che si tratta soprattutto d'identificazione proiettiva. Invita a pensare al gioco tra ebrei e palestinesi, di far agire l'aggressività gli uni contro gli altri, per scaricare reciprocamente tutte le colpe.
La Dr.ssa A.M. Meoni parla di difficoltà a livello individuale e sociale nel tollerare e superare la posizione depressiva.
Il Dr. S. Zipparri, dopo aver espresso il suo apprezzamento per la relazione che ha mantenuto un piano di grande realismo fino all'indicazione che si tratta di un problema di non facile risoluzione e per la competenza maturata con l'esperienza professionale, pone una domanda sul problema della cassa di risonanza che alcune immagini finiscono per dare agli atti di terrorismo. Il problema si è posto sin dagli anni 70 fino alle torri gemelle. Chiede che effetto possano generare.
Il Prof. Klain risponde che la radio, la televisione non sono in competizione, ma sono vicini alla nostra distruttività. Il loro scopo è mobilitare il pubblico. Per loro non ci sono sentimenti:vogliono far emergere i nostri istinti più esplosivi. Sottolinea che per la gente ci sono due aspetti interessanti. Il primo riguarda la distruttività. Le persone vogliono sapere se sono avvenute uccisioni, vedere se è stata tagliata la testa, perché questi atti sono in correlazione con la nostra distruttività, la svegliano. L'altro aspetto è l'identificazione. Le persone guardano in tv re, attori ricchi e si identificano. La televisione ha comunque il suo merito: la gente di nazioni lontane ad esempio la Cina, vengono in Europa, mentre prima dell'arrivo della televisione non sapevano cosa fosse e come si vivesse in Europa.

Note di redazione:
(t+d) registrazione vocale degli interventi dei partecipanti e traduzione del testo di relazione rivisti dalla Dr.ssa Anna Maria Meoni.
Antonella Giordani agior@inwind.it e Anna Maria Meoni agupart@hotmail.com


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