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Seminari
di Neuropsichiatria, Psicoterapia e Gruppo Analisi
2006 - 2007

Difetti di Comunicazione nel mondo medico-sanitario

Ernesta Cerignoli e Fernanda Cerignoli
Coordinatore Prof.Rocco Antonio Pisani
(t+r+d) a cura Dr.ssa Antonella Giordani



Il Prof. Pisani presenta le relatrici.

Ernesta Cerignoli è fisioterapista presso il Policlinico Umberto I-La Sapienza e lavora in clinica neurologica. Lo segue da molti anni e di fatto è sua allieva. E’ una persona estremamente seria e appassionata non solo del suo lavoro specifico, ma anche degli aspetti psicologici nella relazione con i pazienti nell’ambito della struttura sanitaria.

Fernanda Cerignoli, che conosce meno, da un anno è sua allieva e segue con interesse l’approccio psicodinamico ai pazienti. E’ infermiera strumentista in sala operatoria. Si è sempre chiesto quanto possa essere importante la psicologia dei pazienti chirurgici e il rapporto empatico con loro; l’empatia silenziosa pre e post-operatoria.

Ribadisce che Ernesta e Fernanda sono persone molto serie e appassionate e lui si onora della loro amicizia e stima.

Il tema che affronteranno, che gli è venuto in mente un anno fa e per il quale le ha coinvolte è:

"DIFETTI DI COMUNICAZIONE NEL MONDO MEDICO-SANITARIO"

La prima parte del seminario viene presentata da Fernanda Cerignoli e la seconda parte della relazione verrà presentata da Ernesta Cerignoli.

Inizia Fernanda Cerignoli che, dopo aver ringraziato il prof. Pisani per averle coinvolte, rendendole parte attiva dei seminari, si presenta: è ’ infermiera strumentista dal 1990; ha frequentato diverse realtà in ambito chirurgico sia per quanto riguarda grandi realtà: ospedali pubblici, sia piccole realtà: ambienti delle cliniche private. Non si è occupata direttamente dell’assistenza del paziente se non specificatamente per l’approccio chirurgico, poi ha avuto esperienze con equipe multidisciplinari. L’equipe chirurgiche sono composte da varie figure professionali: anestesisti, chirurghi di tutte le specie perchè operano in tutti i campi, tecnici di radiologia, tecnici professionisti, personale di supporto, infermiera di sala. Questo le ha permesso di osservare da vicino le relazioni che si instaurano tra le persone e tra i professionisti; ha potuto constatare che molto spesso i conflitti, a volte non esistenti tra due persone, intervengono nel momento in cui queste persone assumono un ruolo. Questo l’ha spinta nel tempo ad approfondire e cercare di comprendere come poter intervenire per sanare le problematiche di cui si parlerà questa sera. Per questo ha frequentato il master di coordinamenti infermieristico: per acquisire strumenti e conoscenze e sta frequentando tuttora il corso in scienze infermieristiche, allo stesso scopo.

Presenta la sua relazione con il supporto di diapositive.







Prima Parte

Processi relazionali e Istituzioni sanitarie*

Fernanda Cerignoli (*La relazione di F.Cerignoli è tratta da un suo articolo pubblicato sulla Collana diretta dal Pro fessor Rosario Di Sauro " Psicologia e contesti Sanitari", Aracne 2008 dal titolo " Processi relazionali in sanità")


6.1 Premessa

Le attività d’informazione e di comunicazione sono, in particolare finalizzate a: a) illustrare e favorire la conoscenza delle disposizioni normative, per facilitarne l’applicazione; b) illustrare le attività delle istituzioni e il loro funzionamento; c) favorire l’accesso ai servizi pubblici promuovendone la conoscenza; d) promuovere conoscenze allargate e approfondite sui temi di rilevante interesse pubblico e sociale.

Il Patto infermiere/cittadino recita: “ Io infermiere mi impegno nei tuoi confronti a :Presentarmi al nostro primo incontro, spiegarti chi sono e cosa posso fare per te. Sapere…..Riconoscere….Darti risposte….Fornirti informazioni….Garantirti….Favorirti…..Rispettare….Aiutarti…..Individuare…..Insegnarti….Rispettarti….Ascoltarti…..Starti vicino…Promuovere….Segnalare…

L’infermiere è tenuto ad osservare leggi, decreti, codici e patti, ma spesso non è messo in condizioni favorevoli per tenere fede ai suoi impegni.

Come si possono gestire le molte cause che, in contesti sanitari, provocano cattiva comunicazione? Quali sono gli strumenti e le tecniche per rendere ottimale la comunicazione tra medici e pazienti, tra medici e colleghi, tra medici e infermieri, tra medici e parenti di pazienti e viceversa? Gli studi sperimentali riguardanti la qualità delle prestazioni in ambito sanitario sono molti, non solo per l’aspetto diagnostico/terapeutico, ma anche per quanto riguarda l’attenzione all’aspetto relazionale tra il malato/paziente/cliente e il personale sanitario.

Porre l’attenzione sulla qualità delle caratteristiche dello scambio di informazioni, risulta essere un elemento essenziale, per erogare l’assistenza che possa soddisfare appieno l’utente.

Non è possibile pensare che i dati che gli operatori si scambiano tra di loro tarati da incomprensioni e fraintendimenti possano giungere al paziente/cliente chiari ed esaustivi.

Nello specifico della comunicazione tra operatori sanitari, c’è sembrato opportuno mirare al concetto di qualità, intesa come scambio di dati efficaci ed esplicativi, così da avere un punto di partenza per lo sviluppo e il miglioramento dell’assistenza.

In ambito sanitario la comunicazione riveste una notevole importanza, specie se si considera che molto spesso risulta, nelle singole realtà, essere un elemento trascurato, non solo da parte di singoli operatori, ma anche dalla componente organizzativa. Ciò non dovrebbe accadere, soprattutto se si tiene conto del fatto che in questi ultimi anni, è emersa una sempre maggiore ricerca di qualità delle prestazioni erogate al cittadino, quale cliente della struttura sanitaria.

L’aspetto qui trattato spesso viene lasciato in secondo ordine, in quanto si pensa che non vada ad influire sulla qualità globale dell’assistenza; anche se studi recenti dimostrano che i flussi informativi, il clima di collaborazione e di comunicazione efficaci, influiscano positivamente sull’erogazione finale dell’assistenza e sulla qualità percepita dai cittadini.


6.2 Caratteristiche della comunicazione

La prima peculiarità della comunicazione è: “ Non si può non comunicare”, la comunicazione ha una funzione sociale ed è imprescindibile nella relazioni umane. Presuppone un insieme di regole e codici condivisi, è caratterizzata da un aspetto verbale rappresentato dalla parola, cui è associato il contenuto, ed uno non verbale, che spesso contiene il reale messaggio, la relazione. Gli scambi nella comunicazione possono essere simmetrici (sullo stesso piano) oppure asimmetrici (un soggetto tende a dimostrare di essere al di sopra dell’altro).

La comunicazione simmetrica porta ad un rafforzamento della relazione, quella asimmetrica alla rigidità .

La comunicazione "malata" è caratterizzata da una costante lotta per definire la relazione, mentre l’aspetto di contenuto passa in secondo piano.

In genere, alla base dei conflitti tra le persone c’è la convinzione che esista soltanto una realtà e che ogni opinione diversa dalla nostra dipenda dall’irrazionalità dell’altro.

La comunicazione è argomento complesso da definire, con valori associati molto importanti quando (in ambito sanitario) investe gli esseri umani (pazienti) che si trovano spesso in condizione di ansia, timore, disorientamento. Il paziente si trova al centro del processo comunicativo, rendendo necessario che gli operatori del settore medico/sanitario acquisiscano strumenti e metodi per attuare una buona comunicazione tra di loro e nei confronti dell’utente stesso.

Solitamente si spendono energie ed investimenti in attività misurabili ai fini produttivi, mentre ciò non accade per l’argomento trattato. Interessi finalizzati all’analisi di questa problematica sono limitati o assenti.

Agli occhi degli operatori sul campo, alcuni problemi organizzativi risultano di difficile soluzione per cause inspiegabili.

Questo comporta una disaffezione di tali operatori verso la struttura sanitaria e verso il lavoro stesso. In questo contesto l’operatore non inserito nei quadri dirigenti, non avendo cognizione dei criteri che guidano le scelte delle priorità, non comprende il motivo del disinteresse dei superiori e si sente scarsamente considerato.

Chi si occupa di gestione delle risorse umane, non può non considerare l’importanza di quest’aspetto, non può non tener sempre presente che le persone non sono un insieme indifferenziato d’individui.

Le persone in ambito di lavoro assumono connotazioni differenti: sono “clienti” (con possibilità di scelta), “risorse” (con un valore di scambio), “giocatori di squadra” (con ruoli specialistici) e membri di una famiglia (con valori etici radicati) o membri intercambiabili (di un gruppo di lavoro).

Ogni persona, professionista e non, ha le proprie variabili esigenze, motivazioni e capacità; questa diversità può rappresentare una criticità per chi coordina, gestisce e pianifica le attività svolte dalle persone, ma può allo steso tempo essere una ricchezza se accolta come una sfida alla progettualità e gestita in modo consapevole e positivo.

È difficile sopravvalutare l’importanza della comunicazione per le aziende di questo inizio secolo. Basta guardare la giornata di lavoro di un manager per accorgersi che essa è quasi interamente occupata da occasioni di comunicazione: riunioni, teleconferenze, posta elettronica, workshop, convention.

La comunicazione non è più solo un mezzo per lavorare, ma coincide in maniera significativa con il lavoro stesso. Anche scendendo la gerarchia aziendale la situazione non muta molto. È significativo che gli operai contemporanei siano gli operatori dei call center, cioè lavoratori pagati per comunicare.

Chi opera in una qualsiasi delle grandi aziende mondiali vive immerso in un flusso costante di comunicazione: 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana, riceve messaggi continui.

Vi è una connessione profonda tra la comunicazione interna e il vissuto del lavoro in tutte le sue forme (clima, appartenenza, attitudine al cambiamento).

È sorprendente come, nell’attuale era della comunicazione, vi siano ancora aziende improntate alla cultura della estrema riservatezza verso i propri dipendenti, dove il vertice non comunica e, a cascata, non comunicano i dirigenti e chiunque abbia responsabilità verso dei collaboratori.

Dunque, si può affermare che vi è un “livello zero” per le aziende che vogliano fare la differenza: avere una buona comunicazione interna. Cioè una comunicazione che fornisca a chiunque lavori per l’azienda gli elementi essenziali continuamente aggiornati su temi quali: organizzazione, strategia, mercati, cultura e valori, modalità di carriera e sistema premiante.

Una minima comunicazione interna corporate è ora anche prescritta alle aziende al di sopra di una certa dimensione dalla Direttiva europea n. 2002/14/CE , con la quale si istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori. Al di là dei contenuti normativi di tale direttiva (prudenti e generici per non mettere ulteriori vincoli all’attività delle imprese),va rilevato che la comunicazione è in essa giustamente concepita come un presupposto per attivare una reazione condivisa alla pressione competitiva.


6.3 La comunicazione sanitaria

La comunicazione sanitaria si sta sviluppando negli ultimi anni, parallelamente ad altre discipline quali la psicologia della salute, la sociologia medica, la comunicazione biomedica, la medicina comportamentistica, ecc.

Si riferisce ad ambiti in cui si trattano argomenti riguardanti la salute, ambiti specifici, delicati, in cui le relazioni avvengono tra soggetti diversi per ruolo, cultura, conoscenze e ceto sociale. La relazione tra operatore sanitario e paziente è sempre molto complessa e strutturata sicuramente dalla patologia, più o meno grave del paziente.

Questo induce il cittadino ad “esigere” dagli operatori prestazioni di elevata qualità; questi a loro volta sono caricati di ansie e tensioni legate alle numerose problematiche soggettive e professionali /organizzative.

Gli attori che partecipano ed influiscono in modo determinante nelle relazioni, sono sostanzialmente tre:

1) i soggetti coinvolti;

2) il contesto;

3) le transazioni.

Questi, a seconda di come si interfacciano, possono dar luogo a buoni o pessimi rapporti.


6.4 Soggetti coinvolti

Sono rappresentati da tutti quelli che partecipano al processo di assistenza, diagnosi e cura. Medici, infermieri, fisioterapisti, psicologi, assistenti sociali, tecnici dei vari servizi ecc., ognuno stabilisce con l’altro una relazione.

I pazienti ed i loro familiari a loro volta avranno relazioni con il personale e la struttura. Dovranno adattarsi a situazione diverse, lontane dalle abitudini e dalla quotidianità, dovranno affidarsi ad altri senza avere la possibilità di scegliere l’ope-ratore più conforme alle proprie esigenze.


6.5 Il contesto

É rappresentato dal luogo di cura, l’ospedale, ambulatorio, reparto di degenza, normalmente luoghi molto rumorosi, saturi di andirivieni di pubblico e personale sanitario, luci al neon, indicazione non sempre chiare dei percorsi; in sintesi, luoghi che sicuramente ostacolano i processi comunicativi anziché favorirli. Anche gli spazi strutturali assumono una certa importanza: spesso gli scambi di informazioni cliniche/terapeutiche tra gli operatori della salute avvengono nei corridoi dei reparti di degenza , in luoghi non dedicati, al letto del paziente o in ambienti disturbati e piccoli spazi che non permettono la necessaria concentrazione e il mantenimento della privacy.


6.6 Transazioni

Rappresentano scambi bidirezionali tra gli esseri umani, non necessariamente solo verbali, ma possono anche essere non verbali. Al centro del modello di comunicazione sanitaria si trovano le transazioni sulla salute, sono rappresentate da una spirale senza fine, per sottolineare l’aspetto dinamico e interattivo caratterizzato dalle transazioni. Intorno alla spirale sono rappresentate le variabili che influenzano i soggetti coinvolti e i loro messaggi (v. Schema 1).

La transazione è uno scambio tra due persone, uno scambio di uno stimolo e una risposta tra specifiche parti della struttura della personalità (dette stati dell’Io).

Lo studio degli stati dell’Io è dato dall’analisi strutturale; ogni individuo è composto da tre stati dell’Io: parentale, adulto, infantile. Ogni volta che entriamo in relazione con qualcuno attiviamo uno o più stati dell’Io. La stessa cosa accade al nostro interlocutore. Questo determina la natura della relazione.

L’analisi transazionale studia i modi in cui gli stati dell’io di due o più persone possono interagire tra di loro dando luogo a molte transazioni.

Identificare, analizzare e cambiare le transazioni può essere un sistema per apportare dei cambiamenti nei processi comunicativi e conseguentemente nei rapporti interpersonali.

Schema 1: Un modello di comunicazione sanitaria (V.M.Borella La comunicazione medico/ sanitaria p.14)


6.7 Elementi essenziali nella comunicazione


  1. L’empatia: Capacità di mettersi al posto dell’altro, di vedere il mondo come lo vede l’altro, nei suoi significati più intimi e personali; sentire insieme all’altro, continuando a mantenere la propria identità. Possiamo sicuramente affermare che (sentire dentro) risulta essere nel campo sanitario un elemento necessario ed imprescindibile per il raggiungimento di una soddisfacente comunicazione. É necessario che l’atteggiamento empatico sia presente nell’operatore; questo aiuta la relazione. Entrare nel mondo percettivo dell’altro include il comunicare le nostre sensazioni.

Significa anche verificare con l’altro l’accuratezza del nostro sentire ed essere guidati dalle risposte che si ricevono. Essere con un’altra persona in questo modo significa lasciare da parte i nostri valori e giudizi per entrare nel mondo dell’altro senza veli.


  1. La fiducia: altro elemento fondamentale nell’ambito medico sanitario. Se la fiducia sussiste, le relazioni saranno il più possibile aperte, prive di pregiudizi, i conflitti saranno ridotti al minimo e facilmente risolvibili.

  1. L’apertura: condividere con altri informazioni su sè stessi, sembra provocare nell’interlocutore uno stato di benessere. In questo caso, alla relazione si assoceranno risposte positive (piuttosto che generatrici di conflitti).

  2. Conferma e riconoscimento: (v. schema 2 ) hanno notevole importanza perché riconoscono all’altro lo status di essere umano meritevole di cure ed attenzioni.


Renè Spitz ha rilevato da una ricerca che i neonati, privati di stimolazioni fisiche (da cui il termine carezze), tendano ad un declino fisico che li rende più vulnerabili alla malattia e anche alla morte.

Eric Berne, medico e psicoanalista, padre dell’analisi transazionale, ha rafforzato tale concetto scrivendo:

Si può sostenere che la mancanza di stimoli emotivi e sensoriali metta in moto una catena biologica che, attraverso uno stadio di apatia, giunge fino a stati degenerativi e alla morte. In questo senso si può dire che la ‘fame di stimoli’ ha la stessa importanza della ‘fame di cibo’.

L’uomo ha necessità di appagare questa esigenza fin dalla nascita; soddisfarla o meno formerà per sempre la base della fiducia in sè stesso; di conseguenza si ripercuoterà nei rapporti con gli altri e nella professione svolta dall’individuo.

Schema 2 : Processo circolare di comunicazione di disconferma, mostra l’effetto negativo che ha sulla comunicazione tra professionista e cliente. (V.M.Borella La comunicazione medico/ sanitaria p.35)


6.8 Conclusioni

Negli ultimi anni il mondo sanitario è stato protagonista di molti cambiamenti e di profonde trasformazioni, di tipo culturale ed economico. Lo sviluppo della tecnologia, delle professioni sanitarie diverse da quella medica, l’invecchiamento della popolazione hanno fatto si che il rapporto tra domanda ed offerta di salute subisse delle profonde trasformazioni, trovando gli operatori della salute impreparati e smarriti.

Il paziente culturalmente evoluto grazie ad Internet, esige un’offerta di salute qualitativamente elevata, e spesso si ritiene padrone della materia di pertinenza del professionista, creando in quest’ultimo un senso di frustrazione che pesa negativamente sulla relazione. Il problema della comunicazione è complesso, caratterizzato da molteplici aspetti, le transazioni, l’empatia, la fiducia, l’apertura, la conferma, il riconoscimento si intrecciano diversamente dando origine a relazioni umane/professionali significative tanto profonde quanto problematiche.

Nei contesti legati alla salute spesso la problamatica non è considerata, nè dagli operatori, tantomeno dalle figure dirigenziali. Le condizioni di lavoro ed il clima in cui spesso sono costretti a lavorare medici ed infermieri, influiscono negativamente sui meccanismi relazionali, generando conflitti e conseguenti demotivazioni professionali sugli operatori nonché deteriorando il servizio reso ai cittadini.

Per la soluzione della problematica, d'importanza fondamentale, a nostro avviso è indispensabile rivedere i rapporti tra tutte le figure coinvolte e cioè:

  1. Educando il paziente ad un nuovo approccio con i professionisti della salute.

  2. Rendendo dotto l’infermiere delle nuove tematiche mediante la formazione continua, e fornirgli strumenti di lavoro idonei.

  3. Formando il medico in merito ad argomenti inerenti le attuali problematiche.

  4. Definendo nuovi protocolli che considerino il problema e creino le condizioni per risolverlo.

Tutto ciò affinché si ristabilisca, tra gli altri, un equilibrio, oggi vacillante.


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Segue la relazione di Ernesta Cerignoli di cui dà lettura e inizia con una citazione*:

Nella misura in cui le esistenze appaiono perfette e compiute, rimangono separate chiuse su se stesse. Si aprono soltanto attraverso la ferita, che è in loro, del non compimento dell’essere ma attraverso quel che si può chiamare non compimento, nudità animale, ferita, essere innumerevoli e separati gli uni dagli altri comunicano e nella comunicazione dall’uno all’altro prendono vita perdendosi”.

Georges Bataille, L’amitiè

*Tratto dal libro “La comunicazione ” di Ernestina Greco, psicologa del lavoro e dell’organizzazione

Non abbiamo voluto e forse non abbiamo potuto sottrarci all’invito del Prof. Pisani, che voleva anche noi, fisioterapista ed infermiera, all’interno di questo gruppo, come parte attiva sia nella discussione che nel contributo, rappresentando figure professionale non mediche, previste dai moderni protocolli di diagnosi, cura, assistenza e riabilitazione, all’interno d’ equipe sanitarie per la presa in carico dei pazienti, sia negli ospedali che nei centri di riabilitazione.

Comunque, dover conferire in questo seminario, è stata per noi anche un’occasione, per fare il punto della situazione, sull’esperienza professionale personale all’interno di grandi nosocomi ubicati a Roma, prototipo di metropoli del centro Italia, con tutte le problematiche ( vedi densità popolazione per metro quadro, etc.) che questo comporta.

Comunicare deriva dal latino, “Cum agere”, mettere in comune un’idea, un obiettivo, un modo di fare le cose.

Ed inoltre l’argomento della comunicazione ben si ricollega e questo seminario potrebbe esserne, la continuazione logica o almeno un’elaborazione del Simposio tenuto all’Accademia Lancisiana il 23 gennaio di questo anno con introduzione del Prof. Pisani, dal Dott. Lombardo e dal dott. Lusetti su “ L’approccio di comunità terapeutica applicato all’organizzazione dell’ospedale moderno”.

Conferenza ricca di stimoli e di provocazioni; ebbene tali provocazioni sono state in parte, ma ahimè, soltanto in piccolo da noi raccolte. ( non siamo manager , né organizzatori, forse Fernanda lo diventerà…..)

All’interno di validati e recenti progetti sanitari, la presa in carico dei pazienti, è ormai prevista da parte di un team di professionisti i quali ognuno per le proprie competenze, in regime di autonomia, rispetto e collaborazione si occupa della diagnosi cura, assistenza e riabilitazione del paziente, il quale non è più passivo, ma diventa parte attiva, pienamente responsabile e artefice della propria salute. Tale presupposto è stato chiaramente sottolineato dal Dott. Lombardo all’Accademia Lancisiana: “ A differenza dei sistemi tradizionale con malati passivi, nell’approccio di comunità terapeutica, il paziente si responsabilizza; ovvero condivide con suoi pari ruoli attivi diversificati, partecipando attivamente alla sua cura.”

Tale assunto, deriva da una concezione umanistica contrapposta a quella tradizionale ad alta tecnologia sempre più lontana dalla visione olistica dell’uomo.

Interessante è stato conoscere il progetto del 2001 voluto da Veronesi, le cui linee-guida teorico-pratiche sono state tracciate dall’architetto Renzo Piano ( ho trovato il testo integrale del progetto su internet) anche strutturalmente, tale ospedale e lo sottolineo ideale, è concepito secondo l’approccio democratico e partecipativo della comunità terapeutica. Una retroguardia nella quale il paziente vive e condivide con altri suoi pari la posizione di combattente contro il proprio e l’altrui malessere.

In questo modo limita la spinta alla regressione, all’isolamento e a soffrire in silenzio, dall’altro, nei gruppi di auto aiuto, stimola la saggia prassi del “ similia curantur” in collaborazione con altri pazienti e con il personale tecnico dello staff.

Proprio questo coinvolgimento attivo di combattente, è l’aspetto peculiare dell’approccio di comunità terapeutica posto al servizio dei fini terapeutici.

Secondo una vasta panoramica bibliografica, che abbraccia il periodo dal 1950 ad oggi in Italia e negli Stati Uniti, per l’ictus e per la sclerosi multipla ( che possono essere prese a prototipo di percorso riabilitativo per disabilità di natura neurologica), la modalità interdisciplinare, in cui le prestazioni sono erogate dalle diverse professionalità che costituiscono un team, con modalità che consentono regolari comunicazioni, condivisioni di valori, obiettivi e linguaggio, è associato ad un migliore out-come funzionale per la persona disabile.

Il team è costituito: dal neurologo, fisiatra, psicologo, infermiere, fisioterapista, logopedista, assistente sociale, terapista occupazionale, questi professionisti insieme al cardiologo, l’urologo, l’oculista, l’andrologo, interagiscono tra loro all’interno di un programma, definito dal team al fine di garantire il percorso diagnostico- terapeutico e riabilitativo più appropriato per ogni singolo paziente.

Gli strumenti di comunicazione, valutazione e verifica saranno:


  • la cartella clinica, infermieristica e riabilitativa

  • le comunicazioni formali ed informali, scritte o verbali

  • le scale di valutazione dei vari livelli


Tutte le informazioni contenute nelle cartelle cliniche, infermieristiche e riabilitative sono debitamente portate a conoscenza di tutti i membri del team, con modalità di comunicazione formale ( riunione di progetto e di programma) ed informale ed adeguatamente comunicate al paziente e ai familiari durante tutte le fasi del percorso.

Nel progetto neuroriabilitativo “ Il trattamento multintegrato della sclerosi multipla” di Patti – Serraroli- Reggi del 1998, si pone il problema di chi coordina il team affermando che pur essendo previste figure più “ centrali” ( neurologo), rispetto ad altre, è generalmente lo stesso paziente, con le sue specifiche esigenze, in quel particolare momento a “ decidere” quale dovrà essere la priorità e quanto potrà essere posto in secondo piano. Il team deve selezionare, priorizzare, focalizzare, rivalutando continuamente il paziente nel tempo, riprogrammando l’intervento riabilitativo alla luce delle nuove esigenze emerse.

Il paziente pertanto diviene, anche in questa ottica parte attiva, centrale e determinante di tutto il programma.

Per arrivare a questo auspicabile livello si rende però necessaria una corretta informazione ed educazione del paziente e dei suoi familiari ( un’altra volta comunicazione), sulla natura della patologia, sulla sua probabile evoluzione e prognosi, sulle possibilità terapeutiche, farmacologiche, riabilitative e sui risultati possibili in risposta alla terapia.

Tanto determinerà una maggiore comprensione circa la natura e le modalità dell’approccio terapeutico, aumentando sensibilmente la compliance del paziente, con positive ripercussioni sull’esito del programma stesso.

Si parla poi di counseling e si danno indicazioni circa le modalità delle comunicazioni e del contenimento di ansie, paure, dubbi del paziente e dei familiari.

Trovo interessante che al centro del gruppo non ci sia una figura centrale rigida e fissa e non posso fare a meno di notare la similitudine con il conduttore di un gruppo di psicoterapia che pur essendo inizialmente al centro, piano piano, si ritira nel punto in ombra, permettendo che il gruppo stesso, tramite i singoli componenti, a turno, diventi coordinatore, favorendo progressivamente l’autonomia, lo sviluppo, l’individuazione dei singoli.

A questo punto viene la parte difficile, sofferta, ma forse più interessante ed è quella della realtà, del vissuto, del trasferimento di protocolli ideali nella pratica quotidiana, nella realtà della vita.

La mia attività professionale si svolge attualmente all’intero di un’Azienda Ospedaliera con turni bimensili tra una terapia intensiva afferente al DEA di primo livello ( Dipartimento di Emergenza Assistenziale) dedicato ai pazienti colpiti da ictus ischemico o emorragico in fase acuta e nei reparti di degenza per pazienti neurologici di vario tipo, con un minor numero di ore in ambulatorio, per consulenza e trattamento di altre patologie.

Soprattutto nei reparti di degenza si lavora a stretto contatto con altre figure professionali, le stesse citate descrivendo la composizione dei team. Ciò che le linee guida propongono, solo in parte trova terreno attuativo ed è affidato, purtroppo, esclusivamente alla buona volontà di qualche temerario capo reparto o singolo professionista sensibilizzato da tali progetti innovativi e studi validati, che, senza adeguato training, tenta di trasporre timidamente nei reparti, ciò che da lui è stato appreso, incontrando spesso ostacoli insormontabili che possono essere sia materiali ( mancanza di mezzi, di spazio, di tempo, di personale dedicato all’assistenza), sia psicologici ( mancata conoscenza dei propri meccanismi di difesa e difficoltà psicologiche- relazionali di vario tipo, burnout e stesse debolezze può trovare negli altri soggetti della relazione, colleghi e figure che costituiscono il team).

In questo modo come ben diceva Lombardo “ per utilizzare un luogo di cura come strumento terapeutico flessibile ed efficace ci vuole personale ben formato. Un sistema complesso non si organizza senza formazione, senza nozioni basilari sul suo funzionamento, sui suoi strumenti, su concetti di base come feed-back, confini, primary task, autorità, leardership, management.

La formazione nel campo, così come avviene in ogni azienda di successo che valorizza le risorse umane, si può praticare con lo strumento dei workshops residenziali ai quali partecipa il personale che condivide mansioni complementari.

Una formazione del personale non può prescindere dall’esperienza del lavoro di gruppo.

Anche se l’applicazione più specifica è il settore psichiatrico, l’approccio di C.T. può offrire due tipi di vantaggi sia sul piano tecnico, che sul piano umano, non dimentichiamo i benefici dei gruppi emotivi per lo staff che in comunità sono un antidoto efficace contro il burnout da fatica psicologica e stress lavorativo. All’interno del gruppo c’è confronto con la realtà e partecipazione condivisa ai problemi reali della vita quotidiana, in questo spazio il problema di una persona è il problema di tutti. Attraverso il dialogo si fa esercizio di compromesso tra bisogni individuali e bisogni dell’ambiente. Si prendono decisioni e nel processo di adattamento alla realtà tutti i suoi membri, operatori sanitari e pazienti crescono.

Per questo colgo l’occasione, poiché questi seminari sono appunto comunicazione che prevede un feed-back tra fonte e ricevente comunicazione- risposta- comunicazione- dopo elaborazione –risposta. che è comunicazione e richiede ulteriore risposta, [ anche il sistema nervoso funziona così: dalla periferia arriva un’ afferenza ( informazione), che viene recepita dai centri superiori da cui partirà un’efferenza ( risposta), a cui seguirà un’afferenza, etc. e ci sarà una continua rimodulazione, plastica, fortemente adattabile che è poi la risposta di un organismo vivente alle mutevoli richieste ed esigenze dell’ambiente esterno ed interno].

Al livello di comunicazione per feed-back si intende appunto l’informazione di ritorno, che restituendo i risultati alla fonte può modificare l’emissione successiva in quanto, può confermare o disconfermare la ricezione o la comprensione dell’informazione, nonché la condivisione degli argomenti proposti.

Ho ritrovato nella mia libreria un testo acquistato e letto qualche anno fa e poi apparentemente dimenticato : “ La psicoterapia gruppoanalitica di Foulkes, metodi e principi “, con curiosità ho aperto le prime pagine, scoprendo che Foulkes ( ma comunque l’imput lo aveva dato il Prof.Pisani nella introduzione all’Accademia Lancisiana ), già nel 1940 diceva “Come si vedrà, i principi sviluppati e mantenuti nella loro forma pura nei tipi standard, del gruppo terapeutico gruppo analitico, possono applicarsi a tutte le forme di gruppi umani anche se non sono principalmente terapeutici (nel senso psicoterapico), ma si avvicinano maggiormente a un processo di vita-apprendimento e di soluzione globale dei problemi.

Parlando dell’esperimento, il primo di comunità terapeutica all’interno di un ospedale (Northfield) : “cambiamenti concernenti sintomi ,comportamenti e atteggiamenti, talvolta piuttosto notevoli, vennero pertanto sottoposti alla migliore delle prove, la prova della vita. Medici, personale infermieristico e pazienti divennero consapevoli, nel vivere la realtà dell’esistenza e delle modalità della loro interdipendenza nelle loro reazioni ad un comune contesto di problemi”.

Riguardo ai conflitti-reazione tra i componenti del gruppo o tra le varie “corporazioni” (medici, infermieri, fisioterapisti etc.) a volte si costituiscono coalizioni in sottogruppi che vedono gli altri professionisti come nemici (infermieri contro fisioterapisti e/o medici e viceversa ) , per cui un gruppo vede l’altro come nemico incompetente, pericoloso, antipatico; proiettando la propria aggressività/negatività sull’altro sottogruppo.

Riferendoci al seminario di aprile 2007, “ Psicologia del terrorismo “ tenuto in questa sede da E. Klain: “ I gruppi umani hanno sempre avuto bisogno di un nemico. Il nemico fungeva sempre da contenitore per le proiezioni aggressive e distruttive . Il gruppo nemico è il più adatto a soddisfare il bisogno di un’identificazione proiettiva e di cercare le ferite del narcisismo di gruppo. Il gruppo percepisce se stesso come buono e quello avversario come cattivo. Il proprio gruppo è umano, mentre i membri del gruppo nemico non lo sono, il che indica la scissione e la proiezione come caratteristiche di base di questi gruppi, che si trovano nello stato di fusione regressiva. Potremo definire il terrorismo come la manifestazione estrema dell’ostilità di gruppo.”

Oltre all’ostilità tra sottogruppi esistono tra colleghi, alcune volte valenze negative distruttive (la parte oscura dell’uomo che tutti ben conosciamo) quali: competizione, aggressività, invidia, gelosia. All’interno di un gruppo di lavoro con un’ impostazione psicoterapica, tali valenze oscure potrebbero essere sottratte all’ombra dalla luce della coscienza , elaborate e disattivate. Diceva Foulkes, parlando dei piccoli gruppi: “ il principio è quello della libera discussione in cui tutti dovrebbero essere schietti,partecipare attivamente e affrontare gli attriti superflui e le emozioni negative. In questo processo entrano alcune caratteristiche della psicoterapia ed i partecipanti potranno superare i propri conflitti ,acquisire maggiore libertà e maturare psichicamente.”

Ed ancora:”Per fortuna non si possono separare i gruppi e gli individui che li costituiscono, salvo che con l’astrazione artificiale, e man mano che migliora il gruppo anche gli individui ne traggono beneficio.”

“Il leader deve seguire il gruppo, guidarlo verso la sua meta legittima e aiutarlo a far fronte agli elementi distruttivi e autodistruttivi, rendendo necessariamente questi ultimi non necessari.”

Ed infine la profezia: “ Verrà giorno in cui intere comunità e nazioni tratteranno le loro questioni in questo modo.”

Allora chiedo al Professor Pisani e al Dottor Lombardo di favorire e promuovere, indicando propri collaboratori e personale ben formato come conduttore di gruppi ad organizzare corsi ECM o work shop all’interno delle aziende ospedaliere, possiamo dare il nostro contributo.

Il Prof. Pisani qualche anno fa promosse un corso ECM con un’impostazione di questo tipo, volevo chiederle cosa ne pensa di quella esperienza e delle difficoltà incontrate.

Mi perdoni se lo dico davanti a tutti, ma fino a qualche anno fa, mi hanno raccontato che lei, insieme ai capo sala di neurologia, infermieri e ausiliari organizzava “ discussioni di gruppo” intorno a un tavolo imbandito e buone bottiglie di vino”.

Bibliografia

Lombardo- Lusetti , “ l’ esperienza delle comunità terapeutiche applicata all’ organizzazione dell’ ospedale moderno” Simposio dell’ Accademia Lancisiana del 23 gennaio 2007.

Aldo lombardo , “ La comunità psicoterapeutica “ – Franco Angeli , Milano.

Ernestina Greco, “ La comunicazione “Istituto italiano di medicina sociale.

Cerignoli Fernanda, “ Difetti di comunicazione nel mondo medico- sanitario” Laurea magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche, Anno Accademico 2005-2006. Ricerca bibliografica per il corso di metodologia della ricerca : “ La comunicazione all’ interno dei team multiprofessionali e nella scala gerarchica nelle strutture sanitarie

Eduard Klain , “ La psicologia del terrorismo “ Seminario prof. Rocco Pisani18 aprile 2007.

www. Forumpa. It/ forumpa 2001/convegni /7 / 7.2/ maurizio_mauri/ maurizio_mauri_72.pdf

Patti, Serraroli, Reggio “ Il trattamento multintegrato della sclerosi multipla “ Cuzzolin.

Freddi “ Le malattie demielinizzanti del sistema nervoso centrale “ – Atti del Congresso internazionale – Gubbio, 8-11 Aprile 2002.

Stecchi, “ 2° Corso intensivo residenziale sulla Neuroriabilitazione del pz affetto da Sclerosi Multipla “ – Bologna, 22-26 Ottobre 2001.

Stecchi, Gollini Buini, Salvi , “ Sclerosi Multipla Update diagnostico-terapeutico , verso un approccio multidisciplinare “ Editrice compositori.

S. H. Foulkes , “ La psicoterapia gruppo analitica , metodi e principi “ Casa editrice astrolabio.]

Fa seguito alla relazione il dialogo tra i partecipanti:

Il Prof. R. Pisani commenta che personalmente non sarebbe stato così bravo a condurre un seminario come hanno fatto Fernanda ed Ernesta Cerignoli, a partire dagli aspetti tecnici organizzativi per finire ad una serie di riflessioni relative all’organizzazione delle strutture ospedaliere nell’ottica dei concetti gruppoanalitici.

E’ veramente grato per la dimostrazione che qualcosa con i seminari è riuscito a trasmettere.

Risponde alla domanda su quali considerazioni abbia tratto dall’esperienza ECM: alcune considerazione sono positive a partire dalla presenza delle relatrici a questi seminari che depone per qualcosa di positivo che ha seminato durante i seminari ECM; molti altri sono intervenuti solo per prendersi i punteggi partecipando a seminari gratuiti, suscitando in lui una profonda disistima. C’è chi è venuto ai seminari ECM poi è rimasto in questa organizzazione rendendo possibile la comunicazione autentica, più competente possibile e quello scambio che ci fa maturare non solo dal punto di vista professionale, ma anche dal punto di vista umano, come le relatrici hanno evidenziato col loro lavoro. Si dichiara molto felice di aver avuta l’idea di renderle partecipanti attive ai seminari e apprezza l’accuratezza del lavoro anche nella ricerca di materiali inerenti al tema. Fa presente che ormai è fuori, per motivi d’età, ma che può essere considerato un collaboratore disponibile a loro eventuali iniziative in ambito ospedaliero. Sottolinea però che sta a loro che sono interne alla struttura ospedaliera ed hanno questa formazione; è sicuro che c’è altra gente che può avere un’apertura. Molti vengono solo per i punteggi, così come lavorano solo per lo stipendio a fine mese ed è assolutamente svalutativo: è lo stato che definiremmo pre-genitale, orale; vuol dire che vogliono mangiare tutto; spesso sono presenti aspetti distruttivi di invidia, avidità, ingordigia, rivalità, gelosia distruttiva.

Il Dr V. Lusetti chiede un chiarimento rispetto all’equipe chirurgica che a quanto detto deve nutrire fiducia reciproca e che reputa diversa dall’equipe psichiatrica.

F. Cerignoli spiega che l’equipe chirurgica è formata da diversi soggetti con funzioni diverse e specifiche, ma correlate tanto che l’errore di uno ricade prima di tutto sul paziente, ma coinvolge anche l’altro professionista; quindi la fiducia è fondamentale e spesso non c’è e questo fa vivere tensioni create dalla mancanza di fiducia.

Il Dr. Lusetti chiede da dove derivi la fiducia. In ambito psichiatrico esiste la tecnica, ma anche le caratteristiche di personalità che a volte non sono contenibili neanche col training della formazione; ci sono persone che, quando si opera in gruppo col paziente, agiscono secondo una loro istintualità che spesso è fonte di inquietudine, perchè se si sbaglia, può avere conseguenze.

F. Cerignoli pensa che il ragionamento sia lo stesso.

Non c’è un indirizzo comune, forse neanche un obiettivo comune da parte delle varie figure; da parte dell’organizzazione sanitaria non si cammina nella stessa direzione, non c’è una formazione comune: ognuno lavora per sè.

Il Dr. Lusetti osserva che per un chirurgo l’abilità manuale è fondamentale e nell’equipe si conosce; si sa chi è più o meno bravo; così nell’equipe psichiatrica si sa chi interviene talvolta a sproposito e l’equipe si calibra su questa debolezza, impara a sdrammatizzare.

F. Cerignoli fa presente che nell’equipe psichiatrica non c’è la stessa rotazione di persone che c’è in un equipe chirurgica; qui non c’è il gruppo che lavora e cresce insieme, che si accomoda sulle debolezze dell’altro; c’è la rotazione continua di persone perchè l’ospedale è strutturato in un certo modo e un medico fa le guardie al pronto soccorso, in ambulatorio, in sala operatoria, nel reparto eccetera.. quindi in un mese una figura sta una volta in sala operatoria e casualmente capita con un chirurgo: questo non permette di crescere insieme e di aggiustarsi sulle debolezze dell’altro ed è una causa di sfiducia e di diffidenza.

Il Dr. D.Surianello, ascoltando le relatrici, ha rivissuto il periodo in cui ha lavoratocome infermiere in sala operatoria, dove quaranta anni fa la fiducia mancava ancora di più che oggi e non c’era comunicazione tra le varie figure professionali. Ha lavorato per quasi otto mesi in sala operatoria. È stato un periodo bello, ma alla fine ha capito che non era il posto adatto a lui. È ritornato a neurologia, a fare il caposala in psichiatria; poi si è avviato al corso di medicina ed è approdato in psichiatria. Allora non si comunicava, chiede se oggi si comunica tra chirurgo, anestesista, rianimatore, infermiere.

F. Cerignoli evidenzia che la relazione che hanno presentato, sottolinea proprio questo aspetto. Reputa che nelle equipe chirurgiche si parli tanto, ma le comunicazioni non siano efficienti. I problemi che vive nel suo lavoro le fanno pensare che non si comunichi nel modo giusto.

Il Dr. Surianello è del parere che in sala operatoria, a partire dal portantino, l’assistente, il chirurgo, l’anestetista dovrebbero prendere visione del paziente, prima che entri in sala operatoria, in modo che il paziente possa conoscere l’equipe che si prenderà l’incarico dell’intervento; gli sembra che questo non esista.

E. Cerignoli fa presente che esistono protocolli ideali, validati e riconosciuti perchè internazionali e poi la difficoltà a trasporli nella pratica quotidiana. Qualche segno comincia a comparire, ma non c’è unità; qualcosa che accomuni. Fa presente che non è tutto negativo. Nel loro lavoro, le persone più sensibilizzate hanno questo compito. La loro relazione è una denuncia, ma anche un’attivazione: e raccoglie dei semi che sono stati lanciati in questo contesto seminariale. Hanno raccolto dei semi che sono stati gettati, comprendendo dei discorsi che erano già stati introdotti. Si richiama a Foulkes che già nel 1940 aveva sollevato il problema. E ’ interdetta e si è chiesta come mai in tutti questi anni nulla è giunto a compimento a dimostrazione della lentezza del genere umano. Con il loro lavoro spera di dare un contributo nei limiti delle capacità e possibilità.

Il Prof. Pisani invita le relatrici a prendere consapevolezza delle loro capacità, di cui questa sera hanno dato ampia prova e, alla luce di questa consapevolezza, acquistare sicurezza. Osserva che abitualmente viviamo nell’illusione che gli altri siano più bravi, capaci, sani, giusti e poi ci troviamo di fronte a delusioni spaventose. Prendere consapevolezza delle proprie capacità è importante perchè ci sono persone che non vedono l’ora che qualcuno più illuminato possa dare una guida e aiutarli ad uscire da questo vortice caratterizzato da avidità, ingordigia, invidia, distruttività e così via. La modestia è una grandissima cosa, ma non bisogna soccombere per modestia. Sottolinea ancora come siano dotate di grandissime capacità che vanno mostrate e messe in atto.

A. Caterino che lavora in ospedale, consiglia un libro che ha letto più di 20 anni fa, “Guarire è un pò morire” di Ugo Mazzuoli. Il libro presenta la storia di un ospedale dal punto di vista di un primario e affronta proprio queste dinamiche. E’ un testo scritto nel ‘78 che dà una descrizione lucida dei meccanismi che si instaurano all’interno dell’ospedale fra le varie figure: il punto di vista dei medici, del personale sanitario, dei parenti.

Il Prof.Pisani non l’ha letto ma è come se l’avesse letto. In tanti anni di attività terapeutica ha affrontato non cambiamenti catastrofici, ma sostanziali.

Il Dr. G. Calderaro, ascoltando la relazione di F. Cerignoli, pensava fosse laureata in scienze della comunicazione perchè il problema è un intervento a livello psicoterapeutico di gruppo eccetera ed impadronirsi di un tecnicismo attraverso il quale risolvere i problemi a livello ospedaliero. Riferisce che all’isola Tiberina il Prof. Pertini aveva cominciato a fare qualcosa per cercare di migliorare il rapporto tra il malato e gli operatori: non sa se andata avanti. Pensa che in chirurgia ci sono urgenze e emergenze: fare un meting, come facevano gli americani prima di un bombardamento, di un’azione bellica, mettersi d’accordo, potrebbe essere un’occasione non solo per studiare il caso, ma anche per creare possibilità comunicative. Ricorda che al Gemelli c’è stato un momento in cui si scioperava e dovevano operare una sua paziente: lo chiamarono per chiedere il suo aiuto perchè non c’era nessun infermiere che mettesse la spina per l’aspiratore. Fa i complimenti e concorda con quanto detto dal prof. Pisani che va tesaurizzato, nel senso che avendo trasmesso questo sapere, questa esperienza vissuta anche a livello emotivo, è necessario porsi rispetto ai colleghi con più ottimismo perchè se andiamo col pessimismo che le cose non si risolveranno mai, anche se la conclusione è stata un giorno si risolverà tutto.

E. Cerignoli chiarisce che ha riferito quanto detto da Foulkes nel 1940.

Il Dr. Calderaro riflette che sono trascorsi molti anni e che comunque riportare quello che ha detto Foulkes è rinviare al futuro. Ripete la sua impressione di essersi trovato di fronte ad un’esposizione tecnica di una laureata in scienze della comunicazione. Lui, che ha una nipote laureata di recente in scienze della comunicazione, con una tesi sullo sport, pensa che nell’ambito delle università, dove si studiano questi problemi, la loro relazione potrebbe suscitare interesse.

Il Prof.Pisani osserva che persino nelle società psicoanalitiche, Foulkes, che è uno psicoanalista eccellente e qualificato, è ignorato. E’ visto con il fumo negli occhi perchè ha capovolto l’orizzonte; ha fatto una rivoluzione copernicana: dall’intrapsichico è passato all’ interpersonale e transpersonale e ha detto che l’intrapsichico è il riflesso diretto del contesto e non il contrario. Commenta che non ne parla nessuno.

Maurizio Giorgio (studente) dice che nell’esame di psicologia hanno presentato Foulkes e l’analisi mediante il gruppo. Si riferisce a quanto detto dalla relatrice che il medico debba vedere il paziente come persona, non come patologia; pensa sia una difesa necessaria in quanto è più facile intervenire su una patologia che non sulla persona.

F. Cerignoli afferma di non esserne convinta.

Il Dr.M. Cecinelli osserva che i gruppi degli ospedali sono statici non evolutivi anche perchè il primario-barone non vuole rinunciare alla sua presunta superiorità

Il Prof. Pisani osserva che la spiga vuota sta dritta, quella piena è piegata: dipende dal grado di avidità narcisistica.

Il Dr. Cecinelli pensa che in chirurgia l’avidità sia molto diffusa

La Dr.ssa A.M. Meoni ha apprezzato l’ accuratezza con la quale è stata preparata la relazione e, dopo tanti complimenti, pensa di poter fare qualche critica e dare qualche risposta agli interrogativi posti, sulla scorta della sua esperienza di 35 anni nella organizzazione. Ha lavorato per la pubblica amministrazione: negli ospedali, manicomi, centri di salute mentale, comunità terapeutiche, centri territoriali di psichiatria e per ultimo nella organizzazione di corsi ECM. Voleva sottolineare tre elementi che le sembrano fondamentali per capire. Il primo elemento è che il problema delle persone non è solo delle persone, ma è nel sistema nella quale sono collocate; è la macrostruttura che si rispecchia nelle persone. Questo per integrare quanto detto dal dr.Lusetti. Non sono solo problemi di psicopatologia caratteriale, individuale; possono sembrarlo, ma quello che prevale è un rispecchiamento delle disfunzionalità di sistema che vanno ricercate attraverso una lettura storica. Abbiamo attraversato il 900, secolo pericolosissimo perchè altamente mortifero: pieno di guerre; la caduta degli imperi; c’è stata la morte di Dio, in senso filosofico; oggi c’è il terrorismo; c’è stato l’aids e c’è stata anche maggiore informazione. Tutte queste cose c’erano in giro per il mondo, nel corso del tempo, però non se ne sapeva nulla. Oggi se muoiono mille persone di aids, subito lo sanno tutti tramite la tv. Il problema non è che lo sanno tutti, ma che tutti poi ci dicono qualcosa sopra e questo crea situazioni altamente confusive che fanno apparire i singoli brutti, cattivi, menefreghisti. Allora non è che non si ha fiducia nell’altro, non si ha la possibilità di avere fiducia nell’altro. E’ un secolo altamente concettuale di cui Foulkes non è la risposta, ma è uno dei pochi pensieri creativi. Foulkes e i suoi colleghi si trovavano ad affrontare un grande problema che era quello dei reduci della prima guerra mondiale: hanno inventato in modo creativo: strategie che fondamentalmente cercavano le risorse per capire chi è l’altro.

La terza cosa è relativa alla formalizzazione dei corsi ECM: ECM vuole dire che ognuno ha il dovere di formarsi come dice qualcun altro; se ci sono quelli che vanno a cercare punteggi gratis, è più che comprensibile. Lei si è formata, crede con buoni risultati, dove voleva, facendo delle scelte, sbagliando e imparando dagli errori. Gli ECM sono la stessa cosa delle Linee Guida. E’ qualche cosa che può avere una valenza positiva nella cultura anglosassone dove se ti dicono qualcosa, è vera, ma in Italia nei corsi ECM non trovi qualcuno che ti dica quello che è vero. Rispetto alle Linee Guida i giovani medici le pensano come una direttiva utile per evitare problemi giudiziari. Questa la definisce una tragedia culturale; lei ha protestato al ministero ma le hanno detto che vengono utilizzate in tutta Europa e bisognava andare avanti con lo stesso passo.

F. Cerignoli rispetto alle Linee Guida, stando nell’ambito universitario, ha rilevato che si sta tornando indietro. Tre anni fa, quando ha frequentato il master per il coordinamento, le linee guida erano imprescindibili; dopo due anni si da ancora importanza alle Linee Guida, ma alla luce del caso particolare. In merito agli ECM, pensa esista la coscienza del professionista per cui, stante il monte-ore prefissato, si possono scegliere i corsi più interessanti in relazione al senso, al peso e al valore di una professione come la sua, che ha a che fare con la salute delle persone. Osserva che dietro alla burocrazia c’è sempre qualcosa di buono. Per quanto riguarda i fisioterapisti hanno sempre fatto i corsi di aggiornamento, essendo un lavoro pratico che richiede molta manualità. La scuola dà delle basi teoriche sulla fisiologia, sull’anatomia, sulle patologie, ma in relazione ad un lavoro altamente pratico e ad un campo cosi vasto, escono dalle scuole manualmente ignoranti tanto che lei ha sempre fatto corsi. Reputa perciò che dietro alla burocratizzazione, ci sia il presupposto dell’aggiornamento che è valido. Attualmente sta frequentando una scuola della durata di sei anni, che in Italia non è riconosciuta; sono riusciti comunque a riconoscere gli accreditamenti ECM; così soddisfa l’aspetto burocratico-legislativo, continuando l’aggiornamento che ha scelto per cercare di approfondire le cose che la interessano e che le piacciono.

La Dr.ssa Meoni chiarisce ciò che voleva dire nel suo intervento sugli ECM. Si riferisce alla condizione conflittuale in cui si è costretti a stare in una situazione di contraddizione rispetto all’istituzione e che questo è diverso da quello che dovrebbe essere ed è spiegabile attraverso una lettura storica, sotto il profilo culturale, del momento in cui siamo. Questo non succedeva nell’800 dove nessuno aveva il problema d’integrare l’istituzione con i propri bisogni; o si aveva una concezione concettuale rivoluzionaria o si seguivano gli orientamenti definiti.

E. Cerignoli evidenzia che l’argomento è talmente complesso e vasto che loro hanno potuto analizzare solo alcuni aspetti delle difficoltà che incontrano i singoli caporeparto che cercano timidamente d’intervenire sull’organizzazione, ma il problema organizzativo, da loro non affrontato, è a monte e riguarda quei primari che hanno grosse responsabilità e non se ne fanno carico.

Il Dr.Cecinelli valuta che i gruppi chirurgici soprattutto negli ospedali pubblici sono statici. Il primario luminare non ha alcuna voglia di insegnare niente a nessuno.

E. Cerignoli lo invita a non generalizzare.

Il Dr. Cecinelli non vuole generalizzare, ma fa riferimento alla propria esperienza di ginecologo alla Sapienza. Ha deplorato il primario che voleva essere divinizzato e che non condivideva gli interventi : quasi fossero di “fisica nucleare”,: per il conflitto con il Primario è stato cacciato. Poi è stato preso in altri ospedali dove lo facevano assistere da 50 centimetri, ad operazioni importanti come l’isteroctomia: questo perché l’intervento era alla portata di tutti. Deduce che o c’è la voglia d’insegnare o non c’è; in questo caso è perché ai primari fa comodo che le cose restino così.

Il Prof. Pisani si richiama al vortice dell’ ingordigia, dell’ avidità, dell’ invidia, della gelosia.

Il Dr. S. Zipparri, anche se dispiaciuto per aver perso parte della relazione, si complimenta in particolare per la parte del trasferimento del seminario di Klain sui gruppi, sulle proiezioni, su quello che la relatrice ha elaborato nel seminario, calato nel contesto professionale. Gli è sembrato una rilettura corretta di quello che è il problema centrale della comunicazione nella sanità, cioè la chiusura corporativa all’interno dei propri gruppi professionali, per cui ogni gruppo tende ad escludere le competenze dell’altro. Questo, come hanno segnalato, dipende anche da occasioni di formazione che sono discontinue in quanto ogni gruppo si forma secondo canali personali: si genera una sorta di “Torre di Babele” e ogni categoria professionale parla un linguaggio che non viene compreso. Evidenzia che questo intervento mira a sottolineare la giustezza di quanto esposto. Chiede se la relatrice lavori in psichiatria.

E. Cerignoli spiega di lavorare in neurologia in un reparto di terapia intensiva per pazienti colpiti prevalentemente da ictus. E’ in contatto con neurologi, infermieri, ma non c’è accordo dalle cose più banali a quelle più gravi. Già sulla prevenzione delle piaghe da decubito, in merito al posizionamento del paziente: lei lo posiziona in un certo modo, ma l’infermiere, quando arriva, non capisce quello che ha fatto. Sottolinea che in infermieristica la piaga da decubito è la cosa più catalogata , studiata, verificata. Aggiunge che questo accade perchè non c’è un corso che metta d’accordo gli interventi sui pazienti per ovviare agli scontri tra personale che lavora male, con una ricaduta negativa proprio sul paziente.

Il Dr. Zipparri si dichiara molto d’accordo con questa interpretazione delle difficoltà nella comunicazione legate ai percorsi professionali. Si complimenta con il padrone di casa, Prof. Pisani, perchè l’occasione di incontri multidiciplinari come questi sono proprio il rimedio per cercare di ristrutturare questi percorsi frammentati. Già conosceva Ernesta e Fernanda Cerignoli, ma è lieto di averle conosciute in questa veste proprio, perché è convinto che ogni figura professionale abbia la propria specificità, il proprio bagaglio imprescindibile, ed è utile che ad un certo punto cominciamo a conoscerlo profondamente e reputa fondamentali questi incontri interprofessionali tra varie figure.

Il Dr. A. Lombardo le ringrazia per averlo anche citato nella loro relazione.

E. Cerignoli spiega che nell’incontro all’Accademia Lancisiana, il suo intervento le ha stimolate, così come quello del Dr. Lusetti che però non hanno nominato.

Il Dr.Lombardo chiede se in ospedale esistano protocolli che prevedono l’utilizzazione e il miglioramento delle risorse umane; vuole sapere se le risorse umane vengono considerate in quanto tali. Si chiede se i coordinatori facciano le riunioni; se migliorino loro stessi; se utilizzino l’approccio umanizzante. Esiste una scuola? Dove si formano?

F. Cerignoli, informa che esistono scuole di management, lei stessa ha frequentato il corso di management e sviluppo delle risorse umane. Considera che di parole se ne dicano tante sul miglioramento e importanza dell’intelligenza della risorsa umana, poi però nella realtà...

Il Dr. Lombardo considera come positivi l’esistenza di un istinto all’attaccamento e di un istinto all’altruismo; poi ci sono delle cose che generano dell’ansia persecutoria quando si esegue il compito che ha a che vedere con la sofferenza degli altri; pensa che per difendere il cuore, non serve il protocollo perché il protocollo non ha cuore. Si chiede se far conoscere questo lavoro non possa essere l’occasione per strutturare dei momenti d’incontri, anche con pasticcini e vino, non ha importanza il mezzo, purché ci siano momenti di coesione dove possa essere veicolato il cuore, perché l’infermiere che fa il proprio lavoro contrario a quello dell’altro, non lo fa per dispetto, ma perché non sa e non comunica con i coordinatori. Secondo lui dipende dalla mente frammentata dei coordinatori che pensano in maniera frammentata e di macchina efficiente, sui soggetti che sono le persone. Sottolinea che per uscirne bisognerebbe coinvolgere e far capire ai coordinatori che prima di tutto c’è il cuore delle persone, sia di quelli che lavorano, sia di quelli che subiscono, sia il loro cuore. Riporta l’esperienza della comunità terapeutica dove si guariscono negli incontri e nelle assemblee comuni, perché altrimenti diventano pazzi, perchè si identificano con il paziente disturbato. Personalmente lui stesso pensa che ha assunto atteggiamenti sempre più borderline, da quando lavora con i pazienti borderline.


Il Prof. Pisani informa che il suo gruppo di eccellenza è il gruppo dei “galeotti”, cioè degli ex infermieri e portantini che lavoravano con lui nell’accettazione psichiatrica e che gli hanno insegnato le basi, ad esempio come si fa una “puntura”. Ogni due mesi li convoca attorno al tavolo e non può mancare.]


Note di redazione:

(r) elaborazione testo da registrazione vocale con revisione della relatrice F.Cerignoli
(t) testo relazione direttamente fornito dalla relatrice E.Cerignoli
(d) testi di dialogo da registrazione vocale a cura di Dr.ssa A.Giordani


Antonella Giordani agior@inwind.it e Anna Maria Meoni agupart@hotmail.com


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