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A. M. P.
SEMINARI STRAORDINARI 2000

"Il pensiero di P. Bion Talamo e W. R. Bion"
Dedicato a Parthenope Bion Talamo

Prof. Francesco VOLTAGGIO

W. R. Bion e la conoscenza


Premetto che non sono uno psicologo, ma semplicemente uno storico della scienza. Naturalmente, da questo punto di vista, il mio interesse per la psicoanalisi, dai suoi primordi sino allo straordinario sviluppo che ha avuto nel secolo ventesimo, è eminentemente storico.
Personalmente ritengo che non solo la psicoanalisi si è dotata di uno statuto scientifico di tutto rispetto, ma che, esattamente come pensava Bion, le critiche di scarsa scientificità attribuite alla psicoanalisi potrebbero essere rivolte tranquillamente alle teorie scientifiche. Anzi, per essere più precisi, alle teorie delle hard sciences delle “scienze dure” cioè. Tra l’altro debbo dire che, indipendentemente dalla mia conoscenza di Bion che è infinitamente più modesta di quella di qualsiasi persona qui presente, avevo sempre in qualche modo usato il metodo psicoanalitico, certamente come lo può usare un profano che non sia un analista, per studiare lo sviluppo, la storia, il percorso delle teorie scientifiche.
Qui io propongo, nel tempo che ho a disposizione, alcune riflessioni che ho messo a punto leggendo con attenzione il famoso libro postumo di Bion, Cogitations (pensieri) che sarebbero in realtà, nel senso pieno dell’espressione, cogitationes cioè delle “riflessioni” a tutto campo.
Ora, in una delle prime cogitations, e precisamente in quella del 10 gennaio 1959, Bion ricorda come un paziente gli dicesse di non riuscire a trovare un vaso per armonizzare gli oggetti nel suo studio.
Osserva Bion “ questo sarebbe un oggetto simile a quello creato alla “point carriêre”, che deve unire degli elementi che sono già conosciuti da molto tempo, ma figli dispersi e apparentemente estranei gli uni agli altri ed introdurre dell’ordine la dove regnava l’apparenza del disordine.”
Si può quindi dire che comincia proprio da questo passo la lunghissima indagine condotta da Bion sulla conoscenza. Un’indagine motivata dai seguenti obiettivi: prima di tutto contribuire a dotare la psicoanalisi di un metodo scientifico, nella tendenza, che fu già di Freud, a mettere a fondamento dell’analisi un teorema di rappresentazione dei suoi assunti di base, in una parola “una meta-teoria”.
Bion non si nasconde l’obiezione, che può essere rivolta da molti analisti, circa il fatto che la preoccupazione eccessiva per un teorema di rappresentazione degli assunti di base della psicoanalisi può andare a detrimento dell’interesse primario dell’analisi stessa che è quello terapeutico. Però Bion molto acutamente osserva che proprio nel caso dei processi mentali e degli approcci conoscitivi dei pazienti più difficili, in particolare dei borderline e degli psicotici, è fondamentale avere una attrezzatura concettuale abbastanza buona degli aspetti più strettamente teoretici della psicoanalisi.
La ragione di fondo di questa opinione di Bion, credo consista, a mio parere, nella convinzione che comunque la conoscenza è la forma fondamentale con la quale si esprime l’attività mentale e che una malattia mentale, una psicosi, in particolare, è un momento fondamentale di conoscenza. Il fatto che poi si tratti di una conoscenza sbagliata è in qualche modo poco rilevante in assoluto, anzi può essere estremamente importante perché proprio i percorsi complessi, difficili, indecifrabili del processo conoscitivo nel disordine mentale aiutano a comprendere quelli che noi riteniamo essere i processi lineari della conoscenza convenzionalmente intesa, cioè della conoscenza discorsiva, tranquilla, ancorata al rispetto di certe regole formali quali in particolare le cadenze logiche incentrate sul principio d’identità e di contraddizione.
Il secondo obiettivo che Bion si propone in questo libro è dimostrare che le critiche che vengono rivolte alla psicoanalisi possono essere tranquillamente rivolte a molte delle teorie fondamentali delle cosiddette hard sciences quali la fisica, la chimica ed in particolare la cosmologia. Per quanto riguarda quest'ultima, Bion fa una osservazione molto interessante: la teoria eliocentrica era già stata messa a punto in modo assolutamente perspicuo da Aristarco di Samo, ed era seguita in generale dai pitagorici tant' è vero che quando poi Galilei presenta la teoria eliocentrica, si accoda alla tradizione del suo tempo che la definisce “una teoria pittagorica”.
Come mai la teoria eliocentrica non ebbe successo e dovettero passare circa duemila anni perché fosse ripresa? Perché in realtà a fondamento della teoria eliocentrica c’erano fantasie di rappresentazione del mondo che furono scartate in favore di altre fantasie, quelle che dettero poi origine alla teoria geocentrica. In effetti, se noi andiamo a studiare poi i rapporti tra le due teorie, scopriamo che a livello di senso comune e di sapere universalmente condiviso e diffuso, ci fu una sorta di conflitto, di contrapposizione vera e propria tra l’idea del Sole, come centro del movimento, e l’idea della Terra, come centro dell’universo.
Però tra queste due fantasie, paradossalmente, si venne a determinare un punto d’incontro. E non poteva che essere così, perché, come spesso accade nelle fantasie profonde ed inconsce, una fantasia finisce col richiamare la fantasia corrispondente opposta. Mi riferisco in particolare ad un punto, ad un contenuto particolare della teoria geocentrica meglio conosciuta come “teoria tolemaica”.
La teoria geocentrica non è, né facile, né comprensibile, senza una serie di aggiustamenti ad hoc. Uno di questi aggiustamenti ad hoc è la “teoria degli epicicli”. Questa teoria (che poi Thomas Kuhn, nella Struttura delle rivoluzioni scientifiche, scoprirà essere l’anomalia del geocentrismo) introduce l’idea di un movimento costante dell’universo e di un centro che si sposta continuamente dalla Terra.
Quindi già di fatto la teoria tolemaica è una teoria per così dire “anti-tolemaica” perché presenta, appunto, una contraddizione al suo interno. Questa contraddizione al suo interno è lo scontro tra due fantasie contrapposte. Per cui, in qualche modo, non solo le teorie scientifiche presentano singolarità, contraddizioni, fragilità, anomalie (che non sono meno pesanti, meno significative di quelle che si possono riscontrare nelle teorie psicoanalitiche) ma esse, in qualche modo, sono l’esito rarefatto di una fantasticazione che ha luogo essenzialmente nei conflitti di cui si deve continuamente occupare l’analista.
Il terzo obiettivo che si prefiggeva Bion (e che secondo me è stato pienamente raggiunto) è dimostrare che la conoscenza è un processo che scaturisce dal senso comune. Nel parlare di senso comune, Bion si avvale di mediazioni culturali molto sofisticate. Il senso comune di Bion è il common sense, il “comune modo d’intendere”, che porta appunto alle inferences, alle inferenze, alle induzioni proprie della prospettiva di Hume.
Un altro referente illustre che domina fondamentalmente tutta la filosofia della scienza di Bion è un fortissimo platonismo.
Comincio col dire immediatamente che, a proposito del pensiero della cogitation prima richiamata, l’idea del vaso che possa contenere tutte le cose e che possa perciò stesso metterle in ordine, è un’idea che si ritrova in un luogo cruciale del Timeo di Platone. Qui si parla del “ventre umido e caldo” (o ricettacolo della generazione) che poi, nel corso del dialogo stesso, si stempera e diventa un’altra cosa. Diventa cioè la chora, il Raum, lo spazio, la dimensione astratta fisico - matematica in cui si possano inserire tutti gli oggetti possibili ed immaginabili.
Certamente, non basta andare alla ricerca di qualcosa che metta ordine tra le proprie cose. Occorre che vengano, in qualche modo, attraversate e superate due dimensioni che tanto la Klein, quanto Bion, conoscevano perfettamente come la dimensione schizo-paranoide e la dimensione depressiva. In altre parole, senza una particolare forma di frustrazione e di superamento di questa, l’individuo non può arrivare a passare dalla fantasticazione alla creazione dei concetti.
Però questa è una cosa che riguarda piuttosto i ricercatori e i terapeuti di campo e cioè gli analisti propriamente detti. Per un profano, per un “privatus sine imperio” cioè, “sine imperio psichologico”, se si può dire così, com’è il sottoscritto, quello che veramente colpisce è il fatto che la prima cogitation pone l'accento su di una fantasia primaria che si ritrova proprio all’origine del più illustre trattato di cosmologia consegnatoci dal mondo antico, e cioè dal Timeo.
Ma c’è poi un’altra valenza del Timeo e della dimensione platonica del pensiero di Bion che vorrei precisare alla fine del mio intervento. Qui io propongo l’interpretazione, molto rapidamente, di altre cogitations.
A pagina 154 si dice precisamente questo: 1 + 1 = 2.
Ma supponiamo di sessualizzare il segno +.
A questo punto 1 + 1 = 3 non presenterebbe alcuna difficoltà.
Ma non vuol dire che 1 + 1 deve essere uguale a 3.
Per questo sarebbe necessario fare qualcosa di più che non soltanto sessualizzare il segno +.
Bisognerebbe perlomeno trasformarlo in 0 + 0 = 3.
Prego gli ascoltatori di fare attenzione su questa osservazione: 0 + 0 = 3.
Sarebbe probabilmente necessario far sì che il segno + significasse “rapporto sessuale con l’intento di procreare figli in condizioni adeguate tra persone adeguate”.
Indubbiamente, da questo punto di vista, 1 + 1 in aritmetica è uguale a 2, ma un uomo ed una donna possono dare 3 nel senso che possono concepire un figlio.
A questo punto il discorso sembrerebbe quasi una verità triviale, un’ovvietà; in realtà non è così. Qui Bion fa un’operazione di eccezionale finezza epistemologica, perché scopre addirittura la natura dell’algebra astratta. Cerco di spiegarmi meglio.
Non è vero che 1 + 1 è uguale a 2, 1 + 1 è uguale a 2 soltanto a partire da una certa convenzione. Una convenzione incentrata sull’uso di un sofisticato concetto quale è il principio della quantità univoca.
Ma 1 + 1 sono semplicemente due caratteri, due cifre che possono essere sostituite dallo ־” qui inteso, non come numero o come cifra, ma come lettera, come algoritmo per indicare un luogo che può essere riempito da qualsiasi numero.
Quello che conta, in questo caso, non è tanto la relazione tra due numeri identificati in base al principio dell’aritmetica razionale, ma conta l’operazione pura e semplice.
Cosa ci dice questo discorso?
Secondo la mia personale convinzione, ci dice qualche cosa di molto importante.
La matematica è notoriamente considerata la forma più razionale di designazione degli oggetti del mondo. Sembrerebbe che la matematica non abbia nessuna relazione con la fantasia e con l’immaginazione e soprattutto con le pulsioni profonde che sono sottese alla fantasia e alla immaginazione.
In realtà non è così. La matematica rinvia ad una struttura originaria molto più forte che è quella algebrica consistente nel porre in relazione le cose tra di loro.
Nessuno può capire realmente la natura autentica dell’algebra astratta in cui non esistono proprietà notevoli, ma sono tutte proprietà ignote, né operazioni determinate, perché sono tutte operazioni indeterminate.
In effetti dietro quella che è tradizionalmente guardata come la regina delle scienze, non c’è un’altra regina delle scienze cioè un’altra matematica. C’è qualcosa di completamente diverso: la capacità di porre elementi diversi in connessione tra di loro operando una serie di interventi, operazioni e così via, che sono totalmente diverse e che rispondono a pulsioni profonde.
In altre parole, da questo punto di vista l’aritmetica razionale non è nient’altro che il segno convenzionale per indicare una disciplina più profonda: l’algebra. E questa è a sua volta il segno convenzionale per indicare una capacità profonda di connessione degli elementi dispersi tra di loro.
L’altro elemento su cui volevo richiamare l’attenzione è “l’idea della conoscenza come congiunzione tra diversi elementi”, che poi è la ripresa appunto di questa idea dell’algebra, nonché
l’identificazione di Dio, cioè dell’elemento che rende possibile operare le connessioni secondo la grande tradizione filosofica, con quella che Bion chiama la componente sociale dell' equipaggiamento istintuale.
A questo punto posso azzardare una conclusione.
La conoscenza per Bion è in senso lato un fatto eminentemente politico. Cioè il processo conoscitivo è un processo che nasce effettivamente nella dimensione intrapsichica, ma che si evidenzia e che diventa chiaro soltanto a livello interpersonale, cioè quando si viene a costituire il senso comune.
Ma se le cose stanno così allora i miti di fondazione della conoscenza scientifica sono in senso pieno miti politici, cioè miti di passaggio dal privato al pubblico, il chi spiegherebbe il significato profondo che ha il concetto di pubblicazione in Bion.
Ma allora da questo punto di vista si potrebbe dire che un libro straordinario come le Cogitations (un testo indubbiamente molto complesso, molto difficile) in senso proprio è un libro politico, ma politico come sono appunto "politici" i dialoghi di Platone.

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