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A. M. P.
SEMINARI 2003 - 2004
Maria Antonia Ferrante

Come la disposizione spaziale degli alunni in una classe
possa influenzare la comunicazione tra loro e con l'insegnante


L’idea di interessarmi di un certo tipo di comunicazione che si stabilisce all’interno di alcune classi di studenti, di età compresa fra i dieci ed i quattordici anni, mi è stata offerta dall’aver visitato la mostra, ancora attiva, allestita a Roma nei saloni di piazza Venezia. Il titolo di tale mostra è Persone, ritratti di gruppo. Da Van Dyck a De Chirico. Leggendo alcuni dei saggi presenti nel catalogo si comprende per quale motivo il pittore o il fotografo abbia disposto i suoi personaggi in una specifica struttura spaziale, che si impone allo sguardo dell’osservatore, a meno che questo non appartenga al genere di fruitore di mostre che va al museo o nelle gallerie per “passare un po’ di tempo”.
Nel dipinto come nella fotografia, il gruppo è fissato in un momento, sempre lo stesso, che permette l’accurata analisi delle distanze interposte fra personaggio e personaggio, fra gruppi di personaggi, fra un singolo ed un gruppo, in tutte le varianti che il pittore o il fotografo sfrutta per dirci, attraverso l’immagine, perché Tizio è in primo piano e perché Caio è relegato in fondo alla scena.
Tale analisi non è possibile con i gruppi reali i quali, anche quando costretti da condizioni che ne impongono la quasi totale immobilità: durante una conferenza, durante una cerimonia religiosa, al cinema o al teatro, tendono a mutare la disposizione spaziale per i più disparati motivi.
Per sottolineare l’importanza che il pittore o il fotografo ci comunica mostrandoci come ha usato lo spazio della tela a sua disposizione (per il fotografo lo spazio, a volte è condizionato dal numero di persone da ritrarre, talaltra dal luogo dove tali persone vengono ritratte) vi invito ad osservare la copia (immagine n.1) del dipinto di Sebastiano Ricci Il Papa Paolo III nomina il figlio Pier Luigi duca di Parma e Piacenza (1688). Le due figure di primo piano, il Papa e suo figlio, dominano per la grandezza rispetto a tutte le altre e per la cura con la quale l’artista ha dipinto i loro abiti. Gli altri personaggi hanno una funzione riempitiva dello spazio. Quelli posti sullo sfondo sono occultati dalla figura dominante di Pier Luigi. Il pittore ci comunica che in questo gruppo solo due sono le figure di spicco.
La disciplina, ma molto più adeguato è definirla scienza, che studia l’insieme di osservazioni e teorie sull’uso umano dello spazio è la “prossemica”.
Un antropologo statunitense, Edward Hall, si è dedicato particolarmente a questa scienza, coniando, fra l’altro, il termine “prossemica”. Due sue opere: La dimensione nascosta e Il linguaggio silenzioso sono degli anni Sessanta-Settanta. Edward Hall ha molto viaggiato, soprattutto con l’intento di osservare come i sistemi culturali influenzano l’uso dello spazio e come tale uso influenza la comunicazione fra le persone. Egli ha potuto, inoltre, osservare che anche nell’ambito della prossemica il passato biologico dell’uomo gioca un importante ruolo. Interessanti sono le parti di questi suoi due libri dove egli tratta il tema della territorialità, (che nell’uomo affonda le radici nel passato preistorico) o quello relativo all’“intruso” che sottrae lo spazio legittimo del proprietario o ancora quello dello “straniero” ecc. Hall annette notevole importanza ai sensi, soprattutto a quello della visione, nel gioco delle distanze che gli uomini stabiliscono, vuoi per avvicinarsi, vuoi per allontanarsi.

L’uomo sente lo spazio come gli altri animali. E la sua percezione dello spazio è dinamica perché connessa all’azione-a ciò che si può fare in un determinato spazio-piuttosto che a ciò che si vede attraverso uno sguardo passivo......La più parte del processo costitutivo del senso della distanza si svolge al di fuori della nostra coscienza. Noi sentiamo gli altri come vicini o lontani, ma non sempre possiamo toccare con mano che cosa ci metta in grado di caratterizzarli come tali.

(E.T. Hall, La dimensione nascosta, Milano 1968, pag. 145)


Di certo Hall non è stato il primo a studiare l’effetto che gli spazi esercitano sulla comunicazione umana. Antropologi quali Boas, Malinowski, Benedict ed altri, insieme a sociologi e psicologi, si sono interessati del problema, sebbene non in maniera tanto dettagliata quale si rileva dai testi di Hall. Lo psicologo sociologo Kurt Lewin, già negli anni Quaranta, getta le basi di una geometria della comunicazione che analizza “lo spazio di vita” dell’essere umano; del dilatarsi o del restringersi di tale spazio in virtù dell’età o di altri fattori.
Quanto sopra detto mi hanno resa attenta, da qualche tempo, all’influenza che esercita sulla comunicazione, verbale e non verbale, la disposizione spaziale degli allievi in alcune classi della scuola media inferiore. Tale problema si riscontra, comunque, anche nelle scuole di ordine differente: elementare, materna, ecc.
Quest’anno ho chiesto, nella scuola dove sono stata chiamata per svolgervi l’attività di psicologa, di visitare le classi. Attualmente mi sono recata più volte in due delle tante sezioni che raccolgono più di seicento alunni. Avevo dimenticato, perché troppi anni mi dividono dal tempo in cui ero alunna, che la disposizione spaziale degli scolari offre una notevole gamma di informazioni circa le forze di attrazione e di repulsione che agiscono nei rapporti comunicativi dei ragazzi (secondo quanto è stato trattato da Kurt Lewin nella sua Teoria del Campo).
Nella classe, sezione E (ogni indicazione è alterata), tutti gli alunni sono in due in un banco, solo Ezio, nome fittizio, è solo. Conosco già dallo scorso anno la storia di questo ragazzo ancora immaturo, iperprotetto dai genitori che gli proibiscono di uscire, dopo le ore di scuola, per timore che possa accadergli qualcosa di spiacevole. Ma Ezio ha un grande bisogno di comunicare e cerca di recuperare nell’ambito della classe quanto, in termini di socializzazione, dovrebbe apprendere fuori della famiglia e della stessa scuola. Ezio comunica in maniera sbagliata, attraverso strategie che secondo le sue aspettative dovrebbero sollecitare la pietà, il consenso e l’accettazione. Enfatizza gli eventi della propria famiglia; un semplice problema di salute della madre viene da Ezio comunicato ai colleghi come diagnosi di tumore. Della sorellina di tre anni, affetta da un non grave problema agli arti inferiori, dice che non potrà mai camminare. Sembra, anche, che durante l’ora di ginnastica abbia toccato il sedere di due delle più vivaci ed aggressive alunne della classe. I compagni sanno che ciò che racconta Ezio non corrisponde a verità, in quanto più volte è stato messo allo scoperto, ma non sanno, purtroppo, quale sia il bisogno che lo spinge ad inventare storie mirate ad impietosire. E’ stato messo al bando ed isolato. L’isolamento richiesto per Ezio dai colleghi determina l’autoisolamento. Attualmente la situazione è al massimo livello di esasperazione. Ezio offende tutti; uno contro tutti. Degli alunni della sezione E, esclusi cinque o sei, i più maturi, tutti gli altri ricambiano gli insulti.
Ho consigliato agli insegnanti di cambiare l’assetto dei banchi e di inserire Ezio in un gruppo dove ci siano alcuni degli alunni che lo accettano sia pure con la sua sbagliata modalità di comunicare. Attualmente lo seguo con dei colloqui e seguo anche i genitori per cercare di renderli consapevoli dell’errore che commettono privando il ragazzo della possibilità di incontrare dei coetanei fuori della scuola. Ma l’errore più grave di tali genitori è quello di essere generalmente dalla parte del ragazzo il quale, in famiglia, non subisce mai una frustrazione; per i genitori Ezio è educato, studioso ecc., mentre sono gli insegnanti che non lo capiscono ed i compagni di classe che lo maltrattano. Uno spazio ideale separa il giudizio degli insegnanti e degli alunni della sezione E dal giudizio che i genitori di Ezio hanno del proprio figlio. La possibilità di ridurre tale spazio ideale potrà favorire una comunicazione meno oppositiva, a vantaggio di Ezio.
Nella classe II, sez. H, tre alunni, di sesso maschile, sono da soli nel banco. Mi si dice che Sergio è stato messo solo perché è troppo indisciplinato; che Giovanni, “secchione”, preferisce stare solo perché teme di perdere il ruolo del più bravo della classe se l’eventuale compagno di banco dovesse farlo distrarre o fargli perdere tempo; che Andrea non desidera stare con un compagno e nessuno, comunque, chiede di sedersi accanto a lui.
Nella classe II, sez. G, della scuola succursale, gli alunni sono disposti in due fasce; la fascia che comprende i banchi di prima linea dove siedono gli alunni “bravi” e la fascia dei banchi di fondo dove siede, come mi ha riferito un’alunna sveglia, intelligente, ma insufficiente dal punto di vista scolastico, “la marmaglia” (così un’insegnante, un po’ scherzando, un po' seriamente, chiama gli emarginati, quelli che a suo avviso non studiano). Questa struttura spaziale, con la barriera fisica e psicologica che frammenta la classe in due parti: “bravi” e “non bravi”, non potrà mai agevolare la comunicazione gruppale. Ogni volta che un elemento della “marmaglia” viene chiamato per essere interrogato e purtroppo, come previsto, si blocca o sbaglia, un elemento della prima fascia, quella dei “secchioni” interviene per correggerlo con l’approvazione dell’insegnante. Giulia, la ragazza che mi ha comunicato tutto ciò, affidabile ed onesta perché ammette di non rispondere mai all’interrogazione, conosce il motivo del suo blocco: è terrorizzata dalla possibilità di essere derisa qualora dovesse sbagliare. Mi ha proposto di riferire all’insegnante di lettere se può interrogarla in mia presenza, ma in un’aula dove non devono esserci gli altri alunni. L’insegnante è d’accordo e fra qualche giorno tenteremo la prova.
Quanto detto chiarisce uno dei principi fondamentali della prossemica: distanze spaziali sbagliate generano comunicazione ambigue, sbagliate e controproducenti.
Perché, mi chiedo, ancora in molte scuole italiane si dispongono gli alunni a due a due nei banchi? Non è possibile, nello stesso spazio, disporli in ordine circolare? Forse non è possibile. Oppure una sorta di pigrizia mentale e fisica o il timore di rompere con la tradizione induce a conservare un assetto spaziale del tutto deleterio per la comunicazione?
Nella immagine n.2, copia di una fotografia del 1909 ca., vediamo una scolaresca che è uscita fuori dell’aula, se aula può chiamarsi un vagone ferroviario, per essere fotografata. Il gruppo sembra essere omogeneo; tutti gli alunni, più o meno, sono mal vestiti; eppure, anche qui si distingue una fascia di prima linea e una fascia di fondo da dove affiorano appena alcune teste di scolari. Non sappiamo se i “quasi esclusi” si siano dispiaciuti o meno del risultato fotografico, ma il fotografo, volendo, avrebbe potuto far sì che tutti fossero “visibili”?
Nell’immagine n.3, la disposizione delle alunne favorisce il loro vedersi reciproco e la vista dell’insegnante, posta in uno spazio emergente, ma ad equidistanza da ogni allieva. E’ pensabile che in questa composizione gruppale la comunicazione diventi comprensibile e redditizia.
Concludo con un esempio tratto dall’opera di Hall La dimensione nascosta, opera già citata. Nell’esempio è detto come il cambiamento della disposizione del mobilio in un ospedale portò dalla fuga sociale all’attrazione sociale. Negli anni Sessanta, il dottor Humphry Osmond venne chiamato a dirigere un centro sanitario e scientifico nel Saskatchewan (Canada). La sua attenzione fu subito attratta dal padiglione di gerontoiatria femminile. Il padiglione era nuovo di zecca, pulito, luminoso e dai grandi spazi, ma le pazienti che vi soggiornavano, sempre depresse, non erano disposte ad intrattenersi per chiacchierare. Ogni signora rimaneva muta nel suo angolo. Il dottore, insieme ad un giovane psicologo, decise di cambiare l’assetto dei mobili, ciò che provocò un primo rigetto, sia nel personale, sia nelle pazienti. Ma, alla fine, sia il personale, sia le pazienti capirono che si comunicava con maggiore facilità dopo che alcuni mobili furono aggiunti ed altri disposti in maniera nuova. Questo esempio, come dice Hall, “ha fornito la dimostrazione degli effetti profondi, e misurabili, che la sistemazione dello spazio semideterminato può avere sulla condotta umana” (op.cit., p.140).


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