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A. M. P.
SEMINARI 2002 - 2003
Tipi di apprendimento e di memoria

Prof. Aldo Rossi

1. Introduzione

L'apprendimento è il processo grazie al quale si acquistano nuove informazioni relative al mondo che ci circonda, mentre la memoria è il processo che garantisce l'archiviazione di quelle informazioni. La memoria è il codice segreto che tiene insieme gli infiniti frammenti delle esperienze di vita e dei ricordi che hanno partecipato alla costituzione della nostra identità personale (Rose 1994; Cestari e Brambilla 2001; Laroche 2002; Ghirardi e Casadio 2002). Nella fase di registrazione degli eventi, le componenti di una forma vengono associate in un ricordo se esse vengono percepite in modo più o meno simultaneo: i lineamenti del volto di un amico, ad esempio, vengono memorizzati in associazione e non singolarmente. Certe forme possono evocare altre forme (Alkon 1989), quindi percepire significa classificare i vari oggetti e questo avviene mediante l'attivazione di reti associative che rappresentano tali oggetti nella memoria. A questo proposito, si ritiene che ogni nuova associazione aggiunga connessioni a una rete preesistente. Qualunque cellula, o gruppo di cellule, può far parte di molte reti e, pertanto, di molti tipi di memoria. Le persone affette da alcune gravi neuropatologie posso sperimentare una perdita inesorabile dell'accesso dei propri ricordi personali e del senso della propria identità o senso del sé, che è il contrassegno di una mente cosciente (Rose 1994; Damasio 2000; Cestari e Brambilla 2001).
La memoria non è una entità unica ma è frazionabile in memoria a breve termine e in memoria a breve termine: quest'ultima è composta da due sistemi di base, la memoria esplicita e la memoria implicita. Negli invertebrati esiste solo la memoria implicita o non dichiarativa (memoria procedurale sec. Garzia [2002]: l'Autore ritiene che "negli animali", questo tipo di memoria immagazzinerebbe abilità motorie e abitudini]). Per molti anni è prevalsa la convinzione che la memoria dell'uomo sia una singola entità riconducibile ad un'unica struttura o regione del cervello. Progressivamente i neurobiologi si sono resi conto che la memoria dell'uomo è costituita da molteplici componenti imperniate su una rete diffusa di neuroni (Goldman-Rakic 1992). I Mammiferi più evoluti e in particolare l'uomo, sono caratterizzati dalla memoria esplicita o dichiarativa, il solo sistema mnemonico accessibile alla coscienza e hanno conservato notevoli capacità di memoria implicita (Squire e Kandel 2002a).

2. La memoria a breve termine e la memoria a lungo termine

Nei processi di memorizzazione si possono distinguere almeno quattro fasi, indicate con i termini encoding (codifica), consolidation (consolidamento), storage (immagazzinamento) e retrieval (recupero). Il termine "codifica" si riferisce al processo iniziale di riconoscimento ed elaborazione dell'informazione appena appresa. Il termine "consolidamento" corrisponde al processo di trasformazione della memoria appresa in forma stabile. Il termine "immagazzinamento" riguarda i meccanismi, poco noti di mantenimento dell'informazione appresa. Infine il termine "recupero" è fondamentale per richiamare allo stato di coscienza l'informazione immagazzinata (Cestari e Brambilla 2001).
James (1890) per primo ha proposto l'esistenza nell'uomo di una memoria primaria e di una memoria secondaria. Solo dopo la metà degli anni cinquanta, numerose ricerche di neuropsicologia hanno fornito un supporto sperimentale all'intuizione di James, cioè che la memoria umana non è un processo unitario, ma può essere distinto in due fondamentali componenti: la memoria primaria o a breve termine e la memoria secondaria o a lungo termine.
Le due memorie differiscono per le modalità secondo le quali è in esse rappresentata l'informazione. La memoria a breve termine privilegia le caratteristiche fisiche dello stimolo mentre la memoria a lungo termine privilegia il significato dello stimolo e tiene in scarsa considerazione le sue caratteristiche fisiche (ad es.: le parole manto, santo e vanto sono confondibili nella memoria a breve termine in quanto simili fonologicamente, ma non nella memoria a lungo termine, perché diverse quanto a significato - Vallar 1983).
La memoria la lungo termine si basa su due sistemi distinti: la memoria esplicita e la memoria implicita. Tulving (1972) ha distinto la memoria esplicita in memoria semantica - vale a dire la memoria dei fatti o delle conoscenze generali - e in memoria episodica, o memoria degli avvenimenti, cioè una memoria che contiene elementi del passato individuale (o autobibliografica) e quelli prospettici delle azioni future. La memoria implicita riguarda invece le capacità motorie, verbali o cognitive: quando si acquisisce un'esperienza e la si ripete ulteriormente, la memoria implicita facilita la prestazione senza che sia necessario fare appello ad un ricordo cosciente (Laroche 2002).

2.1. La memoria a breve termine
La memoria a breve termine è associata alle prime fasi dell'apprendimento: nell'uomo permette di ricordare, per periodi di tempo brevi, quantità limitate di informazioni. Il difetto più marcato che si manifesta in pazienti con "memoria a breve termine uditiva-verbale" compromessa, consiste nell'incapacità di ripetere sequenze di stimoli verbali subito dopo la loro presentazione. Mentre un soggetto normale riesce a ripetere senza problemi una serie costituita da cinque o più numeri (oppure lettere o parole), questi pazienti sono già in difficoltà nel ripetere una serie di due o tre numeri. La memoria a breve termine di questi pazienti è migliore se l'informazione viene presentata tramite immagini (modalità visiva) e ciò suggerisce che esistano "magazzini a breve termine" separati, rispettivamente per informazioni visive e uditive. I pazienti con carenze funzionali della memoria a breve termine uditiva verbale presentano difetti di comprensione molto sottili e particolari: infatti è normale la loro capacità di comprendere parole isolate e frasi semplici, mentre questa capacità si deteriora nell'interpretare frasi di maggior complessità, il cui significato è legato all'ordine degli elementi verbali (ad es.: "L'uomo che il bambino colpì portava una scatola" può divenire per questo tipo di paziente "L'uomo colpì il bambino che portava una scatola [invece di "Il bambino colpì l'uomo che portava una scatola"]). Anche l'individuo sano, ha difficoltà di comprendere una frase lunga e complessa, a mano a mano che la percepisce. Si ritiene che la frase venga temporaneamente mantenuta in una memoria operativa, che espleta le procedure necessarie alla sua comprensione. Si pensa quindi che questo processo di analisi sia invece compromesso nei pazienti con deficitaria memoria a breve termine uditiva-verbale (Vallar 1983).
Il contenuto della memoria a breve termine può avere due destini: essere dimenticato subito o avviato alla più durevole memoria a lungo termine se lo stimolo è ripetuto più volte o prolungato nel tempo. La memoria a lungo termine assicura il ricordo di quantità maggiori d'informazione per periodi di tempo molto lunghi, senza limiti ben definiti (anni o addirittura tutta la vita). La formazione delle memorie a lungo termine richiede cambiamenti stabili nell'efficacia della trasmissione sinaptica e molto probabilmente anche del numero di sinapsi [vedi in Appendice: Nota 1.] che si stabiliscono fra neuroni di vari centri del cervello. La formazione di memorie a lungo termine richiede la sintesi di nuove proteine a livello dei neuroni implicati nei specifici processi mnestici (Tsien 2000; Laroche 2002)..
Nell'ambito di questo tipo di memoria, si parla di "memoria di lavoro", una funzione che permette di mantenere temporaneamente attiva una rappresentazione (ad es.: un numero telefonico) e manipolarla perché possa essere subito utilizzata. Allo stato attuale si ritiene che la memoria a breve termine sia dovuta a cambiamenti transitori dell'attività sinaptica dei neuroni cerebrali, indotti dallo stimolo sensoriale (tattile, olfattivo, gustativo, visivo, acustico).

2.1.1. La memoria di lavoro
La memoria a breve termine è più uno "spazio di lavoro" che un ponte per la memoria a lungo termine (Laroche 2002). Nell'uomo la memoria di lavoro è considerata fondamentale per l'apprendimento, la comprensione linguistica e il ragionamento. Gli anni Sessanta e Settanta sono stati contrassegnati da una grande contrapposizione scientifica mirata ad appurare se la memoria a breve termine, ora chiamata memoria di lavoro, sia dipendente da un sistema diverso da quello della memoria a lungo termine. La memoria di lavoro è complementare alla "memoria associativa" (una forma di memoria che acquisisce fatti e cifre e li archivia nella memoria a lungo termine) in quanto provvede all'attivazione a breve termine e all'archiviazione di informazioni simboliche, oltre a manipolare queste informazioni.
Una attività che impegna questo tipo di memoria è, ad esempio, l'operazione di riporto nei calcoli aritmetici eseguiti mentalmente, che richiede di immagazzinare temporaneamente una serie di numeri e di ricordare il risultato di un'addizione mentre si calcola la successiva. Attività più complesse sono decidere una mossa a scacchi o costruire una frase. In definitiva, la combinazione di consapevolezza istante per istante dei fatti e di recupero immediato di informazioni archiviate, costituisce la memoria di lavoro (Goldman-Rakic 1992).

Le conoscenze sulle specifiche carenze di memoria dipendenti da danni selettivi agli emisferi cerebrali, indicano che nell'uomo il funzionamento della memoria di lavoro avviene nei lobi prefrontali. Le scimmie (rhesus) sono stati i primati più impiegati nelle ricerche sulla natura della memoria di lavoro e la ricerca é stata compiuta con il "test di risposta ritardata". Nel test la scimmia viene sottoposta ad un breve stimolo visivo (ad es.: vede due contenitori e una pallina di cibo nel contenitore di destra ) che poi viene nascosto (una tenda posta davanti alla gabbia impedisce la vista della scimmia: lo sperimentatore copre ambedue contenitori con un cartoncino nero di uguale forma e grandezza). Dopo un ritardo di alcuni secondi, la scimmia sente un segnale sonoro (emesso dopo che la tenda di interposizione è stata tolta), e subito dopo, l'animale deve indicare la posizione nella quale é apparso lo stimolo. Se la sua risposta é corretta, la scimmia è autorizzata ad afferrare la ricompensa (la pallina di cibo). La risposta esatta è quindi legata al ricordo di ciò che l'animale ha visto prima del ritardo ed è dipendente dalla memorizzazione a breve termine di informazioni di tipo visivo e spaziale (Goldman-Rakic 1992).
Tecniche sempre più raffinate di neurofisiologia, hanno consentito la rilevazione dell'attività elettrica di singoli neuroni nella corteccia cerebrale, mentre gli animali eseguono compiti che dipendono da specifiche abilità di risposta agli stimoli. Alcuni ricercatori[1] hanno infilato finissimi elettrodi nella corteccia prefrontale di scimmie addestrate a seguire semplici azioni di risposta ritardata e hanno dimostrato che i neuroni della corteccia prefrontale presentano un'ampia gamma di risposte. Alcuni neuroni mostrano un incremento dell'attività elettrica durante la presentazione delle informazioni, mentre altri si attivano nel periodo di ritardo quando l'animale è impegnato a ricordare l'informazione. Una terza classe di neuroni reagisce più intensamente quando la scimmia dà inizio alla risposta memoria. In sintesi, queste esperienze di neurofisiologia avvalorano la tesi che l'attività della memoria di lavoro viene modulata da differenti classi di neuroni della corteccia prefrontale.
I livelli di risoluzione positiva dei test sono dipendenti dal grado di maturità della corteccia prefrontale. Nelle scimmie rhesus questo differenziamento neuronale avviene all'età di due-quattro mesi circa, periodo entro il quale le giovani scimmie acquistano la capacità di eseguire i compiti dei test di risposta ritardata. Nei bambini, la maturità della corteccia prefrontale avviene invece dopo gli otto mesi di età. Da studi condotti sui bambini di otto mesi è risultato che le loro prestazioni durante il test di risposta ritardata sono comparabili a quelle delle scimmie adulte private dei lobi prefrontali. I bambini molto piccoli e le scimmie con danni alla corteccia prefrontale non modificano la risposta tenendo conto delle nuove informazioni che sono state loro presentate durante il test di risposta ritardata e tendono invece a ripetere quella risposta che è stata rafforzata con precedenti esercizi di addestramento (per esempio il bambino di otto mesi o meno, addestrato a scegliere la scatola a destra, che contiene un giocattolo, continua a scegliere questa scatola anche dopo aver visto che il giocattolo è stato trasferito in quella di sinistra).
Lo studio delle cause della schizofrenia ha aiutato ad interpretare l'attività della memoria di lavoro dipendente dal funzionamento della corteccia prefrontale. I pazienti hanno un flusso ematico inferiore alla norma nella corteccia prefrontale e ciò sembrerebbe indicare uno scarso livello di attività di questa regione della corteccia cerebrale. Inoltre le anomalie mentali associate a questa grave neuropatologia assomigliano molto a quelle causate da un danno fisico alla corteccia prefrontale: disordini e difficoltà a coordinare il pensiero, abulia, scarsità di contatti interpersonali e carenze di reazioni affettive (vedi: Häfner 1995). I pazienti schizofrenici, così come gli uomini e le scimmie che hanno subìto danni ai lobi frontali, conservano la normale capacità di compiere procedimenti abitudinari; ma quando tentano di eseguire compiti attinenti a informazioni simboliche o verbali, manifestano un comportamento frammentato e disorganizzato.
Gli schizofrenici tendono a ripetere una risposta già data anche quando è evidente che non è più quella esatta; inoltre hanno gravi difficoltà nell'eseguire sia compiti di riposta ritardata spaziale sia un gran numero di prove di astrazione, pianificazione e risoluzione di problemi. Inoltre i pazienti hanno spesso la difficoltà di spostare lo sguardo per seguire la traiettoria di oggetti in movimento e ciò fa ritenere che questa patologia comporti anche il cattivo funzionamento di centri (centri di previsione di una traiettoria) localizzati nella regione posteriore della corteccia prefrontale. Anche le scimmie (rhesus) con lesioni nelle aree posteriori della corteccia prefrontale mostrano le stesse carenze funzionali.

Sulla base dell'insieme di questi studi clinici e sperimentali, Goldman-Rakic (1992) ritiene che le vie nervose della corteccia prefrontale controllino la memoria di lavoro e più in generale l'attività della mente razionale. Questa conclusione tiene conto del fatto che queste vie controllano il comportamento dell'individuo attraverso il continuo aggiornamento dei modelli interiori della realtà ambientale dipendenti, istante per istante, dalle informazioni in arrivo. Se viene meno questo controllo, il cervello rappresenta la realtà come una serie di eventi separati anziché come una sequenza continua. Questo è quello che accade nel paziente schizofrenico, perché quest'ultimo ha un comportamento eccessivamente dominato dagli stimoli immediati anziché da un appropriato equilibrio fra le informazioni in arrivo e quelle archiviate e trascorse.

2.2. La memoria a lungo termine
Sulla base di studi di psicologia cognitiva Tulving e Coll.[2] hanno proposto di suddividere la memoria a lungo termine in due grandi classi: la memoria esplicita o dichiarativa (cosciente) e la memoria implicita o non dichiarativa.
Nell'ambito della memoria esplicita, Tulving (1972) ha introdotto la distinzione fra memoria episodica (m. degli eventi personali) e memoria semantica (m. dei significati o dell'espressione verbale dei ricordi - Schacter 2001) che sono forme mnemoniche esprimibili allo stato di coscienza (Cestari e Brambilla 2001).
La memoria implicita è rappresentata dalla grande ed eterogenea categoria delle memorie che non vengono direttamente chiamate alla coscienza. Queste memorie si esprimono normalmente tramite l'esecuzione di determinati comportamenti che, una volta acquisiti, vengono realizzati in modo automatico. L'esempio di memoria implicita più noto è quello associato al cosiddetto condizionamento classico (o pavloviano). In questa forma di apprendimento emotivo, il soggetto impara ad associare uno stimolo neutro (detto stimolo condizionato [per es.: un suono]) con uno stimolo positivo o negativo (stimolo incondizionato [per es.: cibo o uno shock elettrico]). Dopo pochi cicli di addestramento, l'animale è in grado di produrre una "risposta condizionata". Il condizionamento a stimoli negativi derivanti dagli eventi della vita quotidiana, è una riposta adattativa di antica origine evolutiva anche dell'uomo, molto utile per la conservazione della specie in quanto consente di evitare di ripetere esperienze risultate spiacevoli.
Gli studi basati sul comportamento di pazienti cerebrolesi hanno messo in evidenza che le lesioni ai lobi temporali provocano gravi menomazioni a forme di apprendimento e di memoria che richiedono una registrazione cosciente da parte dell'individuo. Questi tipi di apprendimento cosciente sono stati definiti espliciti o dichiarativi (Cohen e Schacter)[3]. Negli stessi pazienti restano invece intatte forme di apprendimento che non richiedono la partecipazione cosciente dell'individuo e che sono state definite implicite o non dichiarative. Mentre l'apprendimento esplicito è rapido e può verificarsi anche dopo una sola seduta di addestramento, l'apprendimento implicito è lento e si basa sull'accumulo per ripetizione di una serie di molti tentativi e utilizza sistemi di memoria che non si basano sulla conoscenza generale dell'individuo. Nell'uomo l'apprendimento esplicito richiede le strutture dei lobi temporali per fissare la memoria dell'evento appreso, mentre l'apprendimento implicito fa riferimento ad altri circuiti neuronali impegnati nel compito specifico di apprendimento.

2.2.1. La memoria esplicita
La memoria esplicita o dichiarativa si basa sull'attività della mente a livello cosciente e su processi cognitivi di valutazione comparativa e ha caratteristiche diverse. Negli anni settanta, lo psicologo canadese Endel Tulving ha proposto di suddividere la memoria esplicita in memoria semantica e memoria episodica (Rose 1994). Vallar (1990) ritiene, rispettivamente, discutibile la distinzione fra queste due componenti e accettabile la loro interdipendenza (Loeb e Poggio 1998)

2.2.1.1. La memoria di semantica
La memoria semantica si riferisce al patrimonio di conoscenze personali e include il significato delle parole, le regole del calcolo, quelle grammaticali e sintattiche. Le informazioni della memoria semantica sono indipendenti dal contesto temporale e spaziale: ad esempio una tazza è riconosciuta come una tazza, indipendentemente da forma, dimensioni e decorazioni che posso rendere lo stesso oggetto apparentemente molto diverso dei vari esemplari (generalizzazione delle informazioni). Quindi la memoria semantica fa riferimento alle conoscenze possedute e, come indica il termine che la definisce, il significato è l'aspetto cruciale. I pazienti che soffrono disturbi della memoria semantica hanno differenti capacità di ricordare nomi propri e nomi comuni, nomi che indicano categorie astratte o concrete, oggetti, cibi, organismi viventi. Loeb e Poggio (1998) riportano alcuni esempi riferiti da Warrington e McCarthy (1992): alla parola "cammello" la risposta di un paziente è "una specie di uccello"; alla parola "elicottero": "è un particolare modo di volare" e alla parola "stella la risposta di un altro paziente, che ha dimenticato parole concrete, è "una piccola creatura", e alla parola "vantaggio" è "il guadagno che si può fare".

2.2.1.2. La memoria episodica
La memoria episodica può essere distinta in a) autobibliografica per ricordi personali e b) prospettica o memoria delle azioni da intraprendere. Il ricordo episodico possiede differenze incerte, in rapporto al canale sensitivo utilizzato (uditivo o visivo). Tuttavia, i pazienti con lobotomia temporale sinistra, dimostrano disturbi mnestici per materiale verbale, mentre i pazienti con lobotomia temporale destra, hanno disturbi per materiale non verbale (Milner 1968).
Dopo lesioni ischemiche che incidono sulla memoria autobibliografica (a), i pazienti possono manifestare l'incapacità a ricordare informazioni che si riferiscono ad eventi accaduti in tempi precedenti la malattia : una donna affetta da una marcata sofferenza bilaterale della sostanza bianca dei lobi temporali e parieto-occipitali, aveva compromessa la memoria episodica: non ricordava la data delle nozze, gli eventi famigliari che avevano preceduto il matrimonio, la data della sua assunzione al lavoro, l'anno in cui aveva ottenuto il diploma. Le turbe mnestiche gravi che incidono sulla memoria prospettica (b) e che si manifestano dopo un evento morboso (amnesia anterograda), riguardano la capacità di acquisizione di nuove informazioni, è notevolmente alterata o impossibile. È questo il tipico disturbo del traumatizzato cranico che non ricorda assolutamente nulla degli avvenimenti che si sono verificati dopo l'incidente (Loeb e Poggio 1998).

2.2.1.2.1. Amnesia globale anterograda
Negli anni cinquanta, quando era ancora ignoto il ruolo determinante dell'ippocampo e dell'amigdala nella memoria, i neurochirurghi asportavano parte del lobo temporale di pazienti affetti da gravi crisi epilettiche (Mishkin e Appenzeller 1987; Goldman-Rakic 1995). L'intervento danneggiava l'amigdala e gran parte dell'ippocampo e i soggetti operati manifestavano un'amnesia postoperatoria molto marcata. Due caratteristiche della perdita di memoria erano degne di nota. Per prima cosa, l'amnesia era di tipo globale e in secondo luogo era di tipo anterogrado: i pazienti conservavano i ricordi accumulati qualche tempo prima dell'operazione, ma non potevano ricordare nulla di nuovo (Rose 1994). Pazienti bilateralmente cerebrolesi a livello dell'ippocampo erano incapaci di memorizzare i "fatti recenti" (memoria esplicita) ma, allo stesso tempo, potevano essere condizionati emotivamente (memoria implicita). Diversamente i pazienti con lesioni cerebrali bilaterali e selettive a livello dell'amigdala, mostravano una normale memoria dichiarativa, ma non rispondevano a stimoli condizionanti (sia di tipo visivo che uditivo). In una serie di esperimenti eseguiti sulla scimmia (macaco) è risultato che è impossibile riprodurre una perdita di memoria globale rimuovendo bilateralmente (in entrambi gli emisferi) solo l'ippocampo. Ciò lasciava sospettare che altri centri nervosi encefalici fossero implicati in questa funzione. Mishkin e Appenzeller (1987) hanno osservato infatti che anche l'amigdala ha un ruolo importante nella memorizzazione. Le scimmie cui era stata rimossa bilateralmente soltanto l'amigdala, apprendevano lentamente l'esercizio di associazione fra stimolo e premio, ma erano ancora capaci a farlo. A seguito della rimozione bilaterale e combinata di amigdala e ippocampo, le scimmie presentavano un'amnesia anterograda globale che cancellava del tutto la loro capacità di compiere gli esercizi di associazione fra stimolo e premio Questi dati sperimentali dimostrano inequivocabilmente che l'amigdala e l'ippocampo intervengono su sistemi di memoria esplicita ed implicita, in modo sostanzialmente indipendente (Vallar 1983; Cestari e Brambilla 2001).

2.2.1.3. La memoria di riconoscimento
La memoria di riconoscimento è una importante facoltà della mente che consente di individuare un oggetto - visto o toccato - anche uno sola volta, e a localizzarlo fra altri oggetti o punti di riferimento. La fruizione di questo tipo di memoria è dipendente dall'attività integrata di due circuiti nervosi che connettono strutture del sistema limbico, del diencefalo e della corteccia prefrontale.
In alcuni pazienti è stata riscontrato che l'amnesia globale è dipendente da alterazioni del diencefalo. Il fatto che i nuclei talamici siano coinvolti nel processo di memorizzazione è confermato sia da osservazioni cliniche che da riscontri anatomici. È stato descritto il caso di un uomo che, all'età di 21 anni, ha subìto la lesione dell'area del talamo (causata da un sottile fioretto penetrato accidentalmente - attraverso la narice - nella parte sinistra del cervello). Il paziente ricordava bene i fatti fin quasi al tempo dell'incidente, mentre ricordava solo irregolarmente i fatti dei trent'anni successivi (Rose 1994). Allo stato attuale è noto che l'amnesia globale dei pazienti affetti dalla sindrome di Korsakoff, dipende dalla degenerazione di parti del diencefalo (nuclei mediami del talamo e corpi mammillari); l'amnesia globale si manifesta anche nei pazienti con danni diencefalici da ictus (Zivin e Choi 1991), in alcuni alcolizzati cronici (Schacter 2001) e a causa di infezioni e di tumori.
Per mettere alla prova l'ipotesi che il diencefalo interagisca con le strutture limbiche in una sorta di circuito della memoria, Mishkin e Appenzeller (1987), hanno distrutto nel macaco, le regioni del diencefalo nelle quali afferiscono le vie provenienti dall'ippocampo e dall'amigdala. I danni arrecati sperimentalmente alle aree di proiezione diencefalica di entrambe le strutture (nell'uomo: l'amigdala proietta fibre nel nucleo talamico dorsomediale che a sua volta proietta fibre nella corteccia prefrontale [Truex e Carpenter 1969; Nieuwenhuys et al. 1998], mentre l'ippocampo proietta vie dirette e indirette tramite il corpo mammillare, al nucleo talamico anteriore che a sua volta proietta fibre alla corteccia del giro cingolato [Mazzi e Fasolo 1977; Truex e Carpenter 1969; Butler e Hodos 1996]), disturbano molto la capacità delle scimmie a riconoscere gli oggetti (memoria di riconoscimento), mentre i danni arrecati sperimentalmente ad una sola di queste aree diencefaliche, hanno uno scarso effetto su questo tipo di memoria. Bachevalier e Parkinson[4] hanno prodotto lo stesso deficit di memoria, interrompendo le connessioni fra il diencefalo e le strutture limbiche. Il nuclei talamici comunicanti con le strutture limbiche inviano fibre alla corteccia prefrontale ventromediale: l'interruzione chirurgica di questa via di connessione, determina nella scimmia una notevole perdita della memoria di riconoscimento. Le ricerche sperimentali dimostrano quindi l'esistenza di due distinti circuiti della memoria, ognuno dei quali è sufficiente per la memoria di riconoscimento. La stazione finale del sistema visivo (corteccia striata) é collegata a due circuiti paralleli che comprendono una delle due strutture limbiche del lobo temporale (l'ippocampo o l'amigdala), i nuclei del talamo e la corteccia prefrontale ventromediale.
Sulla base dei risultati delle precedenti ricerche, Mishkin e Appenzeller (1987), hanno dedotto che il sistema colinergico, situato nella regione proencefalica inferiore, é implicato nella memoria di riconoscimento. Questo sistema è rappresentato da un insieme di neuroni che fornisce alla corteccia e al sistema limbico il principale apporto di acetilcolina. Una lesione sperimentale della regione proencefalica inferiore danneggia temporaneamente la memoria di riconoscimento delle scimmie. Livelli inferiori al normale di acetilcolina si registrano nei pazienti affetti dal morbo di Alzheimer (Holloway 1999), neuropatologia che ha tra i sintomi più caratteristici quello della perdita della memoria (Sobri et al. 2001): in alcune regioni cerebrali, fra cui l'ippocampo e la corteccia entorinale, i neuroni vengono distrutti, e alla fine molte circonvoluzioni del cervello scompaiono (Sobri et all. 2001; St George-Hyslop 2001). Allo stato attuale vi sono prove che questo neurotrasmettitore svolga un ruolo determinante nella memorizzazione: le scimmie trattate con fisostigmina, una sostanza che potenzia l'azione dell'acetilcolina, migliorano le loro prestazioni mnemoniche. Quest'ultime risultano disturbate quando alle scimmie è stata somministrata la scopolamina, una sostanza che blocca l'acetilcolina (Mishkin e Appenzeller 1987).

L'ippocampo e l'amigdala inviano un gran numero di proiezioni nella regione proencefalica inferiore, che, a sua volta, rimanda fibre colinergiche (cioè che trasportano acetilcolina) non solo alle strutture del sistema limbico ma anche alla corteccia. Questi dati neuroanatomici lasciano ritenere che nella regione proencefalica inferiore sia presente un circuito che contribuisca alla formazione dei ricordi. In una rappresentazione verosimile avanzata da Mishkin e Appenzeller nel 1987, di come si formino ricordi, si propone che l'attivazione dei circuiti mnestici sottocorticali da parte di uno stimolo sensoriale, provochi la liberazione di acetilcolina dalla regione proencefalica inferiore verso l'area sensoriale. Il ruolo dell'acetilcolina (e forse anche altri neurotrasmettitori) sarebbe quello di 1) dare inizio ad una serie di eventi cellulari che modificano le sinapsi dei neuroni, 2) di rafforzare le connessioni nervose e 3) di trasformare la percezione sensoriale in una traccia mnestica stabile.

Mishkin ha iniettato nella scimmia (macaco) una molecola marcata analoga al glucosio e ha constatato che i processi visivi dell'animale sottoposto ai test, coinvolgevano sia la corteccia parietale posteriore che la corteccia temporale inferiore. Danneggiando chirurgicamente soltanto quest'ultima, la scimmia diventava incapace di fare una scelta tra un oggetto costantemente associato con un premio (cibo) e altri oggetti non associati ad alcun tipo di ricompensa. Successivamente Mishkin ha studiato (nel macaco) le conseguenze della distruzione chirurgica mirata dell'amigdala e dell'ippocampo, che presentano estese connessioni con la corteccia temporale inferiore (Mishkin e Appenzeller 1987) .
Nel quadro di questi esperimenti Mishkin e Appenzeller (1987) hanno utilizzato il test di discriminazione ritardata non familiare fra due oggetti. Alla scimmia (macaco) veniva presentato un oggetto (A), sotto il quale l'animale trovava un premio. Dopo questo primo addestramento, all'animale sono stati presentati due oggetti, uno dei quali era l'oggetto A (definito l'oggetto familiare) mentre l'altro (B) era un nuovo oggetto (definito non familiare) e sotto il quale era stato spostato il premio. La scimmia apprendeva rapidamente che per accedere al premio doveva ora escludere l'oggetto familiare (A) a favore di quello non familiare (B). La scimmie normali, sottoposte più volte ad una serie di oggetti da ricordare, ottenevano quasi sempre punteggi elevati. Il test di discriminazione ritardata non familiare fra due oggetti si è dimostrato quindi un buon metodo per quantificare in modo specifico la memoria di riconoscimento non solo delle scimmie ma anche dei pazienti affetti da particolari neuropatologie.
Dopo la rimozione bilaterale dell'ippocampo e dell'amigdala, le scimmie (con indenne corteccia temporale) sono state sottoposte ai test di "discriminazione ritardata non familiare fra due oggetti". Quando l'intervallo (ritardo) tra la presentazione iniziale (dell'oggetto A con il premio) e la scelta (fra A senza premio e B con il premio) era breve, l'animale operato riusciva a eseguire l'esercizio, e ciò dimostrava che, malgrado l'asportazione di questi centri nervosi, non si erano provocati difetti nella percezione visiva. Quando invece l'intervallo era lungo (uno o due minuti), la capacità della scimmia decadeva al livello della scelta puramente causale. Come già sopraddetto, nella scimmia la rimozione bilaterale e combinata di amigdala e ippocampo determina un'amnesia anterograda globale che cancella del tutto la capacità dell'animale operato di compiere gli esercizi di associazione fra stimolo e premio. La rimozione di una delle due strutture ha di per sé un effetto trascurabile sulla capacità di riconoscimento, probabilmente una struttura può sostituirsi all'altra. Infatti altri dati sperimentali hanno dimostrano inequivocabilmente che l'amigdala e l'ippocampo intervengono su sistemi di memoria che possono funzionare in modo sostanzialmente indipendente (Vallar 1983; Mishkin e Appenzeller 1987; Cestari e Brambilla 2001).

L'amnesia risultante dalla lesione combinata di amigdala ed ippocampo non è limitata alla memoria dipendente dagli stimoli visivi. Infatti Murray[5] ha osservato un peggioramento della capacità di riconoscere oggetti mediante il tatto, in scimmie con l'amigdala e l'ippocampo bilateralmente asportati. Sulla base di osservazioni cliniche ed anatomopatologiche, si ritiene invece che questo tipo di amnesia globale, sia dipendente da lesioni limitate all'ippocampo (ipotesi tuttavia che richiede ulteriori verifiche sul ruolo dell'amigdala nella memoria tattile dell'uomo). Murray e Mishkin[6] per verificare il ruolo dell'amigdala nei meccanismi di richiamo mnemonico incrociato di esperienze sensitive differenti, come quelle della vista e del tatto (che sono immagazzinate in distinte aree corticali), hanno addestrato le scimmie ad acquisire la completa familiarità con le qualità visive e tattili di 40 differenti oggetti. Ad ogni prova la scimmia doveva prima esaminare, mediante il tatto, l'oggetto all'oscurità e successivamente confrontare l'oggetto stesso con un altro alla luce. Per riconoscere l'oggetto che aveva toccato pochi secondi prima, l'animale doveva associare sia i ricordi visivi che quelli tattili. Le scimmie alle quali era stato rimosso l'ippocampo, hanno eseguito bene la prova, con
una precisione limite del 90 per cento. Le scimmie alle quali era stata rimossa l'amigdala, hanno mostrato invece prestazioni di poco superiori al livello di scelta casuale. Nella scimmia dunque l'amigdala ha un significativo ruolo nell'associazione di differenti tipi di memoria sensitiva e fra questi la memoria visiva e la memoria tattile.

2.2.1.4. La memoria spaziale
La memoria spaziale, molto studiata nei mammiferi da laboratorio, è un esempio di memoria esplicita. Negli anni ottanta l'attenzione degli psicologi si è concentrata sul ruolo centrale dell'ippocampo nell'apprendimento di compiti spaziali (Mishkin e Appenzeller 1987; Rose 1994). L'animale che si sposta in un ambiente costruisce una mappa cognitiva che gli permette di rappresentare simultaneamente le relazioni spaziali tra i diversi punti. Questa mappa, che si forma grazie all'integrazione delle informazioni sensitive acquisite nel corso degli spostamenti, costituisce un quadro di riferimento nel quale sono localizzati gli oggetti, il soggetto stesso e ogni sito, occupato o meno. Quando un topo, attraversa una particolare sede del proprio ambiente, nell'ippocampo si attivano molti neuroni di luogo. Alcuni neuroni sono attivati da piccoli campi spaziali e codificano siti estremamente precisi, mentre altri sono attivati da zone più ampie dell'ambiente. Le ricerche in merito, hanno dimostrato che le scariche dei neuroni di luogo dipendono da una ordinata combinazione spaziale di informazioni esterne (come le caratteristiche di una stanza e degli oggetti che vi si trovano). L'insieme dei neuroni di luogo impegnati nell'analisi, particolare e generale, delle caratteristiche dell'ambiente formerebbero una rete che sarebbe in grado di rappresentare (nella "mente" dell'animale) questa struttura spaziale. La propagazione dell'attività in questa rete (tramite molteplici connessioni fra neuroni), farebbe «sfilare» la rappresentazione dello spazio nel corso degli spostamenti: la rappresentazione neuronale dello spazio, può essere attivata da ciò che l'animale sa e da ciò che ha già memorizzato dello spazio in cui si muove. Inoltre l'animale utilizza questa rappresentazione mnestica per guidare i propri spostamenti. Laroche (2002) ritiene che ogni rappresentazione spaziale sia dipendente dall'attivazione di un gran numero di neuroni di luogo, e che uno stesso neurone dell'ippocampo possa partecipare a diverse rappresentazioni spaziali in ambienti differenti, e anche ad altri tipi di rappresentazioni non spaziali.

Parkinson[7] ha allenato delle scimmie a eseguire un test che ha consentito di valutare la loro memoria nella localizzazione di oggetti (memoria spaziale). A ogni prova venivano mostrati agli animali due oggetti completamente nuovi (ad es.: A e B) disposti in posizioni specifiche su un vassoio (ad es.: nord-est e sud-ovest); poi all'animale veniva presentato uno dei due oggetti (ad es.: A) nella sua posizione iniziale (ad es.: nord-est) e un suo duplicato esatto, situato dove era stato posto il secondo oggetto (sud-ovest) oppure in un'altra sede del vassoio. La scimmia veniva ricompensata quando sceglieva l'oggetto mostrato per primo nella sua posizione iniziale. Dopo la rimozione bilaterale dell'amigdala, la scimmia riapprendeva velocemente l'esercizio e lo eseguiva correttamente. Invece, dopo la rimozione bilaterale dell'ippocampo, la scimmia perdeva la capacità di compiere l'esercizio. Una correlazione simile si verifica anche nei pazienti affetti da amnesia: vi è cioè una correlazione fra l'estensione del danno all'ippocampo e l'entità del disturbo che riguarda il ricordo della localizzazione degli oggetti (Mishkin e Appenzeller 1987). In definitiva, queste osservazioni scientifiche confermano che l'ippocampo é particolarmente importante per l'apprendimento dei rapporti spaziali

Secondo Goldman-Rakic (1992), i neuroni capaci di conservare le coordinate visive e spaziali di uno stimolo (o in altri termini neuroni che "tengono a mente" la posizione di uno stimolo quando quest'ultimo non è più visibile - vedi: Morris et al. 1982 e 1986; Rose 1994) sarebbero riuniti in una specifica area della corteccia prefrontale, formando il "nucleo del sistema della memoria di lavoro spaziale".
Per studiare la memoria spaziale, sono stati introdotti finissimi elettrodi, nella corteccia prefrontale di scimmie (rhesus) addestrate a fissare lo sguardo su un puntino al centro di uno schermo. Mentre la scimmia esegue il compito di fissare il puntino, appare brevemente uno "stimolo visivo", di solito un quadratino, posizionato in una di otto posizioni dello schermo (per esempio in alto a destra dello schermo) e poi svanisce. Dopo un ritardo di tre-sei secondi scompare anche il puntino situato al centro dello schermo. Quest'ultimo evento informa la scimmia di spostare lo sguardo nella posizione dello schermo dove, prima del ritardo, era apparso lo stimolo (cioè in alto a destra dello schermo). Se la risposta motoria dei globi oculari è esatta, la scimmia riceve una ricompensa. Dalle misurazioni dell'attività elettrica è risultato che certi neuroni reagiscono alla comparsa dello stimolo (il quadratino), altri ne conservano la memoria spaziale e altri ancora si attivano aspettando la risposta motoria (spostamento dello sguardo senza spostare la testa e per sola rotazione del bulbo oculare ad opera dei muscoli estrinseci dell'occhio). Le scimmie che hanno subìto lesioni mirate alla corteccia prefrontale riescono a spostare lo sguardo su un oggetto visibile e ad afferrarlo, ma se vengono sottoposte al suddescritto test non riescono più a dirigere una risposta motoria ricordando un oggetto o uno stimolo che non è più visibile. Il risultato del test dimostra che la corteccia prefrontale funge da intermediario fra memoria spaziale ed azione: un danno in questa area comporta la scomparsa della capacità di richiamare ed utilizzare le informazioni archiviate, ma non pregiudica la conoscenza della scimmia del mondo esterno. Risulta anche che i pazienti con danni alla corteccia prefrontale conservano la capacità di apprendere compiti di discriminazione sensoriale.
Goldman-Rakic (1992) ha messo in evidenza che un ampio incavo o solco principale nella corteccia prefrontale del macaco, è fondamentale per la memoria visiva e spaziale. In particolare ha dimostrato che i neuroni del solco principale sono sensibili alla posizione specifica di uno stimolo visivo. Questi neuroni accedono quindi ad informazioni visive e spaziali che hanno origine in altre parti del cervello. Goldman-Rakic ha proposto che (nella scimmia rhesus) il solco principale della corteccia prefrontale riceva segnali dalla corteccia parietale, regione nella quale viene elaborata la visone tridimensionale.
Nel 1973, Walter Pohl [8] ha dimostrato che la corteccia parietale della scimmia (macaco) ha uno specifico ruolo nella visione. Successivamente Goldman-Rakic ha evidenziato nell'uomo, che un danno alla corteccia parietale provoca la perdita di consapevolezza del corpo e dei suoi rapporti con gli oggetti del mondo esterno. Proprio per analizzare quest'ultima facoltà della corteccia parietale, Mishkin e Appenzeller (1987) hanno sottoposto scimmie adulte (macaco) al seguente test: alla scimmia sono state presentate due vaschette coperte e vicino a una delle due veniva posizionato un oggetto cilindrico. La posizione del cilindro veniva variata da una prova all'altra e la scimmia scopriva rapidamente che la vaschetta più vicina al cilindro conteneva una nocciolina di ricompensa. In successive ricerche, Mishkin e Coll. (in Mishkin e Appenzeller 1987) hanno constatato che danneggiando la corteccia parietale posteriore, le scimmie (macachi sottoposti allo stesso test) erano ancora in grado di distinguere gli oggetti, ma erano diventate incapaci di percepire le relazioni spaziali fra gli oggetti (gli individui operati mostravano, infatti, una notevole difficoltà a correlare la posizione dell'oggetto cilindrico e quella della vaschetta contenete la nocciolina). Questo risultato si interpreta tendo conto che è stata individuata (Ungerleider[9]) una via che ha origine dalla corteccia striata (stazione visiva primaria situata nella regione occipitale del cervello, la quale riceve le vie efferenti dai gangli genicolati laterali - Hubel e Wiesel [1970]) e termina (attraverso una serie di stazioni) nella corteccia parietale posteriore, ritenuta la sede di analisi delle relazioni spaziali.
Impiegando amminoacidi marcati e utilizzando la tecnica dell'autoradiografia (per misurare il metabolismo cerebrale), Mishkin ha individuato inoltre connessioni dirette tra il solco principale della corteccia prefrontale e l'ippocampo e verificato che le rispettive aree corticali sono spesso attivate simultaneamente durante i test di risposta ritardata (in Mishkin e Appenzeller 1987). Inoculando 2-desossiglucosio (molecola che non può essere degradata dal metabolismo cellulare e che i neuroni assorbono in proporzione alla loro attività), Goldman-Rakic (1992) ha verificato che la corteccia prefrontale e molte aree a cui è connessa (ippocampo, corteccia parietale inferiore e talamo) presentano un livello elevato di attività metabolica durante l'esecuzione di compiti di risposta ritardata.
Sulla base dei risultati ottenuti da esperimenti eseguiti su scimmie rhesus. Goldman-Rakic (1992) é giunta alla conclusione che (in questo circuito mnemonico) il ruolo principale dell'ippocampo sia quello di consolidare le nuove associazioni mentre quello della corteccia prefrontale sia quello di recuperare i prodotti dell'apprendimento associativo, archiviati a lungo termine in altre aree cerebrali, allo scopo di utilizzarli per il compito in corso. Ritiene inoltre che la corteccia prefrontale della scimmia sia divisa in molteplici domini di memoria, ciascuno specializzato nel codificare un tipo differente di informazione, come la posizione degli oggetti, le loro caratteristiche (colore, forma e dimensione), e nell'uomo anche conoscenze semantiche e matematiche.

2.2.2. La memoria implicita
La maggior parte delle elaborazioni cerebrali non avviene a livello cosciente. Le abitudini, le capacità, le preferenze individuali e gli stati emotivi non sono controllate dalla coscienza, ma governano il nostro comportamento e contribuiscono alla definizione della nostra personalità (Mishkin e Appenzeller 1987; LeDoux 1998; Squire e Kandel 2002a,b).

2.2.2.1. La memoria procedurale
La memoria procedurale consente di apprendere abilità e di acquisire abitudini. È stato suggerito che certe capacità di lettura dipendono da una memoria procedurale che non viene compromessa dall'amnesia. Il sistema partecipa selettivamente al «sapere come fare la cose»: andare in bicicletta, digitare le parole su una tastiera, ricomporre una puzzle o leggere le parole alla specchio. La memoria procedurale concorre anche allo sviluppo delle "abitudini", pratiche di comportamento consolidate e largamente inconsce che svolgiamo nella vita di ogni giorno (Schacter 2001)

2.2.2.1.1. Le abitudini
I pazienti amnesici, incapaci di riconoscere una persona o un oggetto visti appena pochi minuti prima, mantengono la facoltà di apprendere. Vari autori riportano il caso del paziente amnesico H. M. (studiato da Brenda Milner)[10] che aveva imparato a disegnare una stella riflessa in uno specchio senza incrociare le linee, anche se dopo esservi riuscito non ricordava più di averla eseguita. Anche le scimmie private dell'amigdala e dell'ippocampo, hanno ancora capacità di apprendere: se a una di queste scimmie (con carenze mnemoniche accertate con il test di discriminazione ritardata) viene fatto vedere (una volta al giorno e per più giorni) una lunga serie di differenti coppie di oggetti, impara col tempo a scegliere l'oggetto al quale è legato il premio. Questo ed altri risultati sperimentali sulla scimmia insieme all'analisi dei pazienti amnesici, hanno indotto a ritenere che nell'ambito meccanismi della memoria, operi un secondo sistema, non dipendente dal circuito limbico, che provvede a un diverso tipo di apprendimento. Mishkin e Appenzeller (1987) hanno definito "abitudine" questo tipo di apprendimento non cognitivo, fondato su collegamenti automatici fra stimolo e risposta: la scimmia, sottoposta al test di discriminazione fra due oggetti familiari, confronta la stessa coppia di stimoli giorno dopo giorno ed infine sviluppa l'abitudine di prendere l'oggetto la cui scelta è sempre rinforzata dal premio. Secondo Squire e Kandel (2002b) la sede adatta per l'instaurarsi di "abitudini" nei primati, è il neostriato - cioè il nucleo caudato e il putamen - che fa parte del corpo striato, una struttura telencefalica evolutivamente antica di origine subpalliale. Nei mammiferi, lo striato riceve afferenze dalla corteccia motoria e sensitiva (vie corticostriate), dal talamo e dalla sostanza nera del tronco cerebrale e, a sua volta, proietta fibre alla sostanza nera, al tegmento e ai nuclei del talamo afferenti alla corteccia motoria (vedi: Mazzi e Fasolo 1977). Anche gli Invertebrati, che hanno un sistema nervoso centrale strutturalmente ed embriologicamente diverso da quello dei Vertebrati, e possiedono solo una memoria implicita, apprendono risposte automatiche agli stimoli (Squire e Kandel 2002a): ciò supporta l'idea che le "abitudini" siano processi di origine filetica molto primitiva. La possibilità che nei primati più evoluti, l'apprendimento venga elaborato attraverso due sistemi completamente differenti, induce a ritenere che il loro comportamento sia i risultato di un insieme di risposte automatiche a stimoli (abitudini) e ad azioni guidate dalla conoscenza e dalle aspettative (Mishkin e Appenzeller 1987).
Packard e Hirsh[11] per rivelare le differenze tra la memoria delle abitudini e la memoria dichiarativa, hanno addestrato alcuni topi a due differenti compiti. Nel primo, gli animali dovevano ricercare il cibo dentro otto rami di un labirinto, in ciascuno dei quali - per parecchi giorni - avevano trovato una ricompensa alimentare. La performance di questo compito di memoria veniva sconvolta da una lesione del sistema dell'ippocampo, mentre una lesione del nucleo caudato non produceva alcun effetto. Nel secondo, gli animali dovevano imparare a visitare solo quattro su otto rami del labirinto: i quattro rami emettevano segnali luminosi e solo in essi gli animali trovavano il cibo. Dopo quattro settimane di addestramento, gli animali imparavano progressivamente ad entrare nei rami giusti. La performance di questo compito di memoria veniva compromessa, da una lesione del nucleo caudato, ma non da una lesione del sistema dell'ippocampo. Con questa esperienza, Packard e Hirsh, hanno dimostrato che nel primo test, l'animale deve ricordarsi il posto che ha appena visitato e questo tipo di apprendimento si basa sulle funzioni dell'ippocampo, mentre nel secondo test, l'animale deve abituarsi al percorso dove è certo di trovare la ricompensa e questo tipo di apprendimento si basa sulle funzioni del neostriato, e non dipende dalla memoria dichiarativa.
Per analizzare la capacità dell'uomo di acquisizione "abitudini", Squire e Knowlton[12] hanno sottoposto volontari sani, pazienti affetti da amnesia e pazienti affetti da patologie degenerative del nucleo caudato - come la corea di Huntington (Cattaneo et al. 2001) e il morbo di Parkinson (Youdim e Riederer 1997) - al test di previsione del tempo, basato sull'esame di specifiche carte meteorologiche. Poiché il compito è di natura probabilistica, è impossibile scegliere correttamente ad ogni prova. Pertanto il criterio più efficace seguito dai volontari sottoposti al test è stato quello di memorizzare una risposta corretta per tutto l'insieme d'indizi: con questo metodo i soggetti hanno migliorato progressivamente la loro capacità di prevedere correttamente il risultato meteorologico. È interessante il fatto che anche i pazienti affetti da amnesia hanno imparato alla stessa velocità dei soggetti normali, mentre i pazienti affetti da patologie degenerative del nucleo caudato sono stati incapaci di perfezionarsi in questo compito di previsione meteorologica. Nei pazienti affetti dal morbo di Parkinson, degenerano anche i neuroni della sostanza nera (substantia nigra - vedi: Mazzi e Fasolo 1977, pag.250). Questo centro (che si trova interposto tra il corpo e il piede del mesencefalo) è connesso al neostriato tramite il sistema dopamminergico nigrostriato e riceve fibre dalla neocorteccia. Ciò premesso, Schultz[13] ha addestrato le scimmie a rispondere a un suono e ogni volta che entro due secondi rispondevano correttamente al compito, ricevevano una ricompensa. All'inizio dell'addestramento, i neuroni della sostanza nera si attivavano solo quando l'animale riceveva il premio. In seguito, le scimmie si "abituavano" al compito, e questi stessi neuroni rispondevano precocemente al suono, che annunciava il premio in maniera affidabile.
In conclusione queste esperienze risulta complessivamente che il neostriato è un importante centro per certe forme di acquisizione di abitudini, sia nell'uomo che in altri mammiferi. Poiché il nucleo caudato e il putamen ricevono fibre sia dalla corteccia sensitiva che da quella motoria, Squire e Kandel (200b) ritengono che questa doppia innervazione sia la probabile base dell'associazione tra stimoli e risposte.

2.2.2.1.2. Le abilità
L'affidabilità con cui agiamo quotidianamente, dipende dalla nostra esperienza passata e dalle occasioni che abbiamo avuto per apprendere e far pratica in merito a specifiche capacità motorie, percettive e cognitive.

Le capacità o abilità motorie, una volta apprese sono inserite nelle procedure che si possono esprimere attraverso l'azione. Sapere andare in bicicletta fa parte dell'insieme di abilità motorie che non richiedono l'intervento della memoria dichiarativa. È inoltre noto che una volta appreso, in maniera cosciente il controllo motorio della bicicletta, questa abilità rimane "memorizzata a lungo termine" con la particolarità che non è più necessario «dichiarare» che cosa facciamo per mantenere l'equilibrio il nostro corpo su un mezzo (bicicletta, motocicletta etc) che si muove su due ruote. In tal senso sono automatici anche i movimenti che abbiamo appreso coscientemente per sciare, nuotare, guidare un'automobile.
Con l'aiuto di tecniche di imaging che si avvalgono della tomografia a emissione di positroni (PET), si è chiarito che la corteccia prefrontale (nota per il suo ruolo di immagazzinamento temporaneo dell'informazione) tende ad essere attivata all'inizio di un tipo di apprendimento motorio. Contemporaneamente si attiva la corteccia parietale, che svolge una specifica attività nell'attenzione visiva (Mishkin e Appenzeller 1987). Nelle prime tappe dell'apprendimento motorio, anche il cervelletto svolge un importante ruolo, in quanto modula il coordinamento dei movimenti richiesti nell'esecuzione corretta di una capacità motoria e per l'organizzazione temporale dei movimenti (Heck e Sultan 2002). Quando un determinato compito motorio è stato ripetuto più volte, l'attività della corteccia prefrontale, della corteccia parietale e del cervelletto, diminuisce, mentre aumenta quella della corteccia cerebrale motoria e dell'area adiacente. Secondo Squire e Kandel (200b), queste due regioni della corteccia cerebrale e il neostriato (nucleo caudato e putamen), sarebbero le sedi che immagazzinano l'informazione come memoria a lungo termine e permettono l'esecuzione fluida dei movimenti connessi alla abilità acquisite.

Per quanto riguarda le abilità percettive vale l'esempio riguardante la capacità di leggere. Per imparare a leggere, dapprima si decifrano faticosamente una parola dopo l'altra, poi, con la pratica, si legge sempre più rapidamente, spostando gli occhi all'incirca quattro volte al secondo, e integrando il significato di più di 300 parole al minuto. Quando si legge parecchie volte ad alta voce lo stesso brano, il tempo necessario per leggerlo diminuisce ad ogni lettura perché, a poco a poco, diventano più facili da percepire l'ordine delle parole, delle frasi e il contenuto del testo. Tuttavia questo incremento nella velocità di lettura non dipende dal ricordo del testo, infatti anche i pazienti amnesici danno prova della stessa abilità, malgrado le loro mediocri prestazioni interpretative sul contenuto del brano. Squire e Cohen (1980)[14] hanno dimostrato che questi pazienti hanno imparato a leggere anche parole capovolte in uno specchio, a una velocità del tutto normale e hanno conservato questa abilità percettiva per almeno tre mesi. Essi leggevano normalmente malgrado il fatto che alcuni non ricordassero le sessioni di apprendimento e si arenassero sui test formali di riconoscimento di parole già lette.

Bery e Broadbent[15] hanno analizzato invece le abilità cognitive di volontari sani e di pazienti amnesici, sottoposti a un test che simulava al computer la relazione fra il numero di operai impegnati assunti in fabbrica e la produzione ottimale di zucchero. I soggetti sani sono arrivati progressivamente alla strategia corretta, perché hanno imparato a non cambiare il numero dei lavoratori in maniera troppo brusca, perché questo comportava un mancato raggiungimento del valore bersaglio. Anche la prestazione dei pazienti amnesici in questo compito, migliorava allo stesso modo di quella dei soggetti sani. Nel considerare il valore di questo risultato, Squire e Kandel (2002b) ritengono che imparando a gestire ad esempio la produzione dello zucchero, l'individuo acquisisca una capacità cognitiva che, almeno all'inizio, sia dipendente da un meccanismo inconscio, cioè un'intuizione sul modo di procedere, fondata probabilmente sulla memoria non implicita.

2.2.2.2. L'innesco
Il termine priming è stato tradotto in italiano con i termini innesco, facilitazione e sensibilizzazione. Per priming s'intende un tipo di memoria la cui funzione è quella di "migliorare la percezione degli stimoli" recentemente incontrati, senza che gli individui abbiano necessariamente coscienza del miglioramento della velocità o dell'efficacia della loro percezione. Uno degli aspetti più studiati del priming, è il miglioramento della capacità di ricordare o di identificare parole od oggetti poco dopo che siano stati osservati.
Tulving e coll. (1982) hanno sottoposto al test di completamento lessicale pazienti affetti da grave amnesia: lo scopo era verificare se una parola sottoposta all'attenta analisi del paziente, può essere successivamente evocata da quest'ultimo utilizzando degli indizi lessicali. Ad esempio il paziente ha studiato brevemente (cinque secondi) un elenco di parole e fra queste la parola polipo. Dopo un po' di tempo (un'ora) allo stesso paziente è stato chiesto di completare gli spazi vuoti di po....po, (oppure gli sono state fornite le radici di tre lettere [rit] per ritrovare le parole presentate in precedenza [ritorno] - Squire e Kandel 2002a). È risultato che i pazienti amnesici hanno mantenuto una immutata capacità di completare le parole (e fra queste polpo) mentre dopo una settimana la loro "memoria conscia" è risultata molto meno precisa (rispetto a quella manifestata dopo un'ora dalla lettura dell'elenco delle parole del test). Il priming si é verificato anche quando i soggetti amnesici sostenevano di non ricordare di aver già studiato la parole nella prima fase dell'esperimento. In un altro tipo di test, Cave e Squire[16] hanno presentato in un sola volta 50 disegni raffiguranti oggetti a pazienti affetti da amnesia e hanno analizzato, dopo una settimana di intervallo, la loro prontezza nel denominare 100 immagini delle quali 50 già viste. I pazienti - malgrado avessero enormi difficoltà nel fare una distinzione fra le immagini già viste nella prima ("vecchie") sessione e quelle ("nuove") viste nella seconda sessione - hanno riconosciuto più velocemente le vecchie immagini (con un vantaggio di circa 150 millisecondi rispetto alle 50 immagini nuove).
Questi risultati confermano che durante i meccanismi di apprendimento e di memorizzazione, si attiva l'effetto priming (facilitazione o innesco) un processo che prescinde dalla memoria conscia. Per individuare nel cervello la sede dell'effetto priming, volontari e pazienti affetti da amnesia grave, sono stati analizzati con la tomografia a emissione di positroni (PET): è risultato che quando gli individui analizzati sono impegnati nell'analisi delle parole e nel completamento delle parole (Schacter 2001; Squire e Kandel 2002a), si manifestava una marcata variazione dell'attività della corteccia visiva, in particolare nel giro linguale (Squire e Kandel 2002a) situato nella regione occipitale posteromediale di ogni emisfero cerebrale (Truex e Carpenter 1969). Lo stesso risultato è stato ottenuto mediante elettrodi posti sul capo dei soggetti analizzati. Nella corteccia posteriore la variazione dell'attività elettrica è stata registrata durante i 100 millisecondi che seguono la presentazione (al soggetto in esame) della radice di una parola; invece per rilevare il primo segno della variazione dell'attività elettrica nella corteccia prefrontale trascorrono circa 300 millisecondi (Squire e Kandel 2002a). Schacter (2001) ha constato che mentre la semplice "vista" di una parola conosciuta attiva la regine della corteccia occipitale che presiede la percezione visiva, mentre "pensare al significato" di quella parola attiva tre zone dei lobi temporali e frontali.
I suddetti dati sperimentali fanno ritenere che l'effetto priming si attui attraverso le vie ottiche, ancora prima che l'informazione raggiunga il lobo temporale mediano essenziale per la memoria cosciente (esplicita o dichiarativa). L'innesco percettivo (priming) si produce quindi nella corteccia posteriore o visiva e l'informazione relativa alle parole presentate al soggetto in esame, immagazzinata il questa regione, permette in seguito di trattare più efficacemente le radici delle parole (Squire e Kandel 2002a). La facilitazione o innesco è senza dubbio un vantaggio, perché gli animali si sono evoluti in un mondo dove gli stimoli incontrati una volta hanno una forte probabilità di essere incontrati di nuovo. L'effetto priming è finalizzato quindi al miglioramento della prontezza e dell'efficacia, qualità funzionali con le quali i vertebrati e in particolare i primati, interagiscono in un ambiente familiare.

2.2.2.3. La memoria delle categorie
Il mondo che ci circonda è formato da oggetti: ogni oggetto è differente dall'altro per le sue caratteristiche morfologiche (oltre che per molte altre). Gli «alberi» hanno caratteristiche morfologiche di base differenti da quelle degli «animali». Ma nell'ambito degli «alberi», un pino ha delle caratteristiche morfologiche differenti da quelle, ad esempio, di una palma. Tuttavia fra gli alberi di «pino», il cembro (Pinus cembra) ha alcune caratteristiche morfologiche che non sono presenti nel mugo (Pinus mugo), nel pino comune (Pinus silvestris) e in altri. Pertanto ciò che consente di stabilire la «categoria pino», sono alcune caratteristiche morfologiche (forma delle foglie aghiformi, tipo di pigna etc) comuni (condivise) in questi alberi.
Questa modalità di distinzione e di classificazione delle categorie degli oggetti presenti in Natura, è stata acquisita dalle "scienze" con tempo e con molta fatica. Ora si è preso coscienza che anche la mente distingue le varie categorie di oggetti sulla base dei loro caratteri comuni: il concetto di " forchetta" non è associato ad uno specifico designer né ad uno specifico materiale costitutivo, ma a specifiche caratteristiche morfologiche comuni di questi oggetti inanimati: una serie di 2-5 punte sottili allineate all'apice di un manico breve (caratteristiche della forchetta) e non di un'asta (caratteristiche della fiocina).
Il cervello dell'uomo, oltre ad archiviare informazioni sulle esperienze degli oggetti, classifica le informazioni in categorie in modo che gli eventi e i concetti fra loro connessi (come le forme, i colori, le traiettorie nello spazio e nel tempo, i movimenti e le reazioni del corpo) possono essere riattivati insieme (Damasio e Damasio,1992). La costruzione delle categorie e dei concetti è un aspetto fondamentale della memoria. Vi sono prove che è possibile acquisire conoscenze sulle categorie in maniera implicita anche quando la memoria dichiarativa (conscia), è deficitaria a causa di gravi neuropatologie o a seguito di traumi encefalici. Knowlton e Squire (1993) hanno analizzato la capacità di apprendimento delle categorie di individui sani e di pazienti amnesici. I soggetti dovevano inizialmente analizzare una serie di 40 gruppi di punti (categorie di addestramento): ciascun gruppo di punti era una deformazione uno stesso prototipo di punti che rappresentava un oggetto. In un secondo tempo i soggetti dovevano analizzare altre configurazioni di punti e stabilire subito l'appartenenza o meno di ogni configurazione alla categoria della serie di addestramento. Al termine dell'esperimento è risultato che i pazienti amnesici erano capaci di attribuire le categorie altrettanto bene dei soggetti normali. Questo risultato ha dimostrato che il cervello può registrare quello che hanno in comune gli elementi di una configurazione, e che questo processo opera anche in assenza del sistema cerebrale responsabile della memoria esplicita (lobo temporale mediano). Evidentemente nell'individuo operano due sistemi paralleli di apprendimento visivo [Nota 2.]. Squire e Kandel (2002b) ritengono che quando ci vengono sottoposti elementi visivi, i circuiti della corteccia visiva si modifichino progressivamente ed "estraggono la media" dell'esperienza visiva accumulata. Questa media rappresenterebbe dunque ciò che tutti gli elementi visivi hanno in comune ovvero la media registrerebbe la categoria di appartenenza di tali elementi. Le immagini dell'attività cerebrale (riprese con l'utilizzo della risonanza magnetica funzionale) hanno dimostrato che durante la fase di ripartizione delle nuove configurazioni in categorie, si modifica l'attività della corteccia visiva dei soggetti sottoposti al test, un quadro funzionale coincidente con quello degli studi fatti sul priming.

2.2.2.4. Il condizionamento classico
Il condizionamento classico [Nota 3.] è la forma di più semplice di apprendimento associativo, largamente distribuito nel mondo animale: è stato descritto negli invertebrati come nell'aplisia (Kandel e Hawkins 1992), nella drosofila (Hitier et al. 2002), nei vertebrati inferiori, come nei pesci (Agranoff 1967) e nei vertebrati superiori e fra questi il coniglio (Alkon 1989), il ratto (LeDoux 1994), il cane (Pavlov 1927) e i primati, uomo compreso. L'apprendimento associativo si stabilisce quando uno stimolo debole, neutro, detto stimolo condizionato (ad es.: un suono) precede uno stimolo forte, biologicamente significativo, detto stimolo incondizionato o sensibilizzante (ad es.: una scarica elettrica - Kandel e Hawkins 1992). L'animale che sperimenta più volte l'associazione di uno stimolo forte preceduto da uno stimolo debole, subisce una modifica del suo comportamento, perché esprime una risposta condizionata (ad es.: aumento del battito cardiaco). Ora l'animale addestrato quando recepisce il solo stimolo debole (il suono), esprime ugualmente la risposta condizionata. Questa procedura standard viene chiamata condizionamento differito: secondo Squire e Kandel (2002b) questo tipo di condizionamento è la quintessenza della memoria implicita.

2.2.2.4.1. Risposte emotive
Esplicativa è l'esperienza (negativa) del ratto sottoposto al test di "condizionamento alla paura" (LeDoux 1994). In una prima fase il ratto, messo in una gabbia a fondo metallico, viene addestrato a udire un suono (stimolo condizionato): questo stimolo ha poco effetto sulla pressione sanguigna, sul battito cardiaco e su i movimenti dell'animale. Nella seconda fase, il ratto sente prima il solito suono e dopo un «preciso intervallo di tempo», riceve una debole scarica elettrica ai piedi (stimolo incondizionato o sensibilizzante): dopo varie ripetizioni, cresce la pressione sanguigna, aumenta il battito cardiaco e il ratto si immobilizza a lungo, come se fosse spaventato, nell'udire il suono. Nella terza fase, il ratto sente solo il suono e questo stimolo scatena ora le stesse alterazioni comportamentali e fisiologiche dell'animale.

LeDoux ha dato a questo processo il nome di "memoria emotiva": una memoria basata sull'emozione creata dalla "paura". La lesione bilaterale dell'amigdala, elimina la risposta negativa del ratto (risposta emotiva condizionata) acquisita durante la seconda fase del condizionamento classico, una forma particolare di apprendimento. I nuclei del complesso amigdaloideo, nei quali convergono le fibre sensitive, inviano fibre che afferiscono all'ipotalamo (Il diencefalo é morfologicamente suddivisibile in tre strutture: l'epitalamo il talamo e l'ipotalamo - vedi Truex e Carpenter 1969, pag. 458). Si ritiene che nell'ipotalamo abbiano origine le risposte emotive. Oggi è ben noto che alcuni nuclei del diencefalo e delle strutture limbiche fanno parte di uno stesso circuito le cui funzioni sono modulate dalla dopammina un neurotrasmettitore importante nei "processi motivazionali" (Pulvirenti e Koob 1995). Gli ormoni dello stress - dopammina, adrenalina e norepinefrina - funzionano sia nel cervello che nel resto del corpo, influenzando la reazione nervosa, il battito cardiaco e altri aspetti fisiologici della reazione di lotta o di fuga. Le bambine e le giovani ragazze, che per lungo tempo hanno subìto violenze e abusi sessuali, producono percentuali più alte di queste sostanze chimiche (Putnam 1997). Numerosi ricercatori hanno confermato che la corteccia prefrontale dei ratti contiene in abbondanza le catecolammine, una famiglia di composti che hanno la funzione di preparare l'animale a situazioni di stress. Goldman-Rakic (1992) ha scoperto che anche nella corteccia prefrontale delle scimmie le catecolammine sono abbondanti. Fra queste molecole, che fungono da neurotrasmettitori, la dopammina, regola l'attività neuronale associata alla memoria di lavoro, e sembra avere un ruolo fondamentale nella schizofrenia, neuropatologia che si manifesta anche con risposte emotive inappropriate o appiattite e con carenze di iniziativa, di progetti e di obiettivi (vedi: punto 2.1.1). Nelle fasi acute della sindrome, a questi sintomi si accompagnano disorganizzazione, agitazione e paura (Häfner 1995). Studi condotti sulle scimmie anziane evidenziano che il loro deficit registrato nei test di memoria di lavoro dipendono dalla perdita del recettore D1 della dopammina. Le scimmie anziane, che hanno una carenza di dopammina nella corteccia prefrontale, ottengono risultati modesti nei test di risposta ritardata. Inoculando la dopammina, si è potuta ripristinare la funzionalità della memoria, tanto che le scimmie anziane hanno riportato risultati paragonabili a quelli delle scimmie più giovani e sane.

L'amigdala o complesso amigdaloideo dei Mammiferi, sito critico per l'apprendimento emotivo, si trova nell'estremità del lobo temporale ed è costituito da due gruppi di nuclei: la divisione corticale o corticomediale, che è una continuazione ventrale del pallio laterale (paleopallio) e la divisione basale o basolaterale che è di origine subpalliale. Il gruppo corticale o corticomediale comprende cinque nuclei è fra questi il nucleo centrale che svolge un ruolo fondamentale nell'accumulo delle informazioni derivate dall'esperienza quotidiana, mentre il nucleo mediale amigdaloideo viene considerato cruciale nella mediazione dei comportamenti sessuali. Il gruppo basale o basolaterale comprende il nucleo laterale, il nucleo basale e il nucleo basale accessorio. La stimolazione della parte più rostrale delle complesso amigdaloideo evoca riposte di paura e di fuga mentre la stimolazione della parte caudale evoca risposte di difesa e di aggressione. La lesione dell'amigdala distrugge alcune capacità di apprendimento e l'acquisizione di risposte emozionali condizionate (Butler e Hodos 1996).
Sulla base di dati derivati da esperimenti sul ratto e sul coniglio, appare che il nucleo laterale amigdaloideo può ricevere segnali sia direttamente dalla via mesencefalo-talamo:sensitivo-amigdala sia dalla via mesencefalo-talamo:sensitivo-neocorteccia-amigdala. Phillips e LeDoux (1992) hanno dimostrato che il subicolo (una regione dell'ippocampo connessa ad altre parti del cervello) invia proiezioni al nucleo laterale amigdaloideo e quindi quest'ultimo può ricevere segnali anche attraverso la via mesencefalo-talamo sensitivo-neocorteccia-ippocampo-amigdala.
Le vie afferenti al nucleo laterale (dell'amigdala), che provengono dal talamo sensoriale, forniscono solo una percezione rudimentale (informazioni primitive) dell'evento esterno ma sono più brevi e quindi veloci. Invece le vie afferenti al nucleo laterale provenienti dalla corteccia sono più lunghe ma offrono rappresentazioni più dettagliate e permettono di "riconoscere" un oggetto con la vista e con l'udito. Il risparmio di tempo potrebbe essere il motivo dell'esistenza di due vie una corticale e una subcorticale. Sia gli animali che l'uomo hanno bisogno di un meccanismo di reazione rapido anche se approssimativo difronte ad un evento pericoloso. La via talamo-amigdaloidea può essere particolarmente utile per le situazioni che richiedono una risposta immediata. Il meccanismo di reazione rapida prevede che nell'amigdala abbiano inizio le reazioni emotive (aumento del ritmo respiratorio, della pressione arteriosa e del battito cardiaco, urla di paura o fuga) ancor prima di riconoscere perfettamente a che cosa si stia reagendo (memoria implicita o non dichiarativa). In seguito il coordinamento informazioni (sonore, visive tattili etc) a livello cerebrale permette la verifica dell'esistenza dell'evento pericoloso (memoria esplicita o dichiarativa) per reagire o per far cessare la risposta di paura che si era velocemente instaurata (LeDoux 1994; 1998).
Alcune strutture del diencefalo vengono considerate parte del sistema limbico ed includono parti dell'epitalamo, del talamo dorsale (sensitivo) e dell'ipotalamo. È noto da tempo che il diencefalo dei mammiferi ha connessioni dirette e indirette con l'amigdala e l'ippocampo (Truex e Carpenter 1969; Mazzi e Fasolo 1977). Per dimostrare l'interazione del diencefalo con le strutture limbiche, in una sorta di circuito della memoria, Mishkin (in collaborazione con Aggleton)[17] ha distrutto i nuclei del diencefalo che ricevono le afferenze dall'amigdala e dall'ippocampo. Le scimmie operate sottoposte ai test di riconoscimento visivo, hanno manifestato le stesse carenze di memoria osservate dopo la rimozione dell'ippocampo e dell'amigdala. Danni congiunti alle aree di proiezione diencefalica di questi due complessi subcorticali (amigdala ed ippocampo) danneggiavano gravemente la memoria di riconoscimento degli animali operati (vedi punto 2.2.1.3.), mentre i danni limitati ad una sola di queste aree diencefaliche, avevano uno scarso effetto. I nuclei talamici comunicanti con le strutture limbiche inviano fibre alla corteccia prefrontale ventromediale che, a sua volta, fa parte del circuito limbico. Bachevalier[18] ha osservato che la lesione chirurgica di queste afferenze alla corteccia determina una notevole perdita della memoria di riconoscimento.

Nei Vertebrati inferiori, come gli Anfibi, i nuclei del setto, dell'amigdala e dell'ippocampo ricevono input diretti dal bulbo olfattivo (Mazzi e Fasolo 1977, pag. 445), ma nei Mammiferi questi input non raggiungono più l'ippocampo perché quest'ultimo é diventato essenziale per la memoria a breve termine dei nuovi eventi. L'amigdala è interconnessa anche con lo striato, con l'ipotalamo e con ampie aree della neocorteccia (isocorteccia) e in particolare con la corteccia prefrontale (Butler e Hodos 1997). L'amigdala è ricca di neuroni che producono oppiacei endogeni, neurotrasmettitori che si pensa regolino la trasmissione dei segnali in altre parti del sistema nervoso. Le vie di elaborazione sensoriale a livello corticale mostrano un gradiente crescente di recettori per gli oppiacei endogeni in corrispondenza delle stazioni finali, dove le impressioni sensoriali si configurano nella loro completezza. Vi è la possibilità che le fibre contenenti oppiacei afferiscano dall'amigdala alle aree sensoriali del cervello, dove possono svolgere una funzione di controllo, liberando gli oppiacei in risposta a stati emotivi generati nell'ipotalamo, struttura diencefalica che fa parte del circuito limbico. In tal modo l'amigdala può far si che le emozioni influenzino ciò che viene percepito ed appreso. L'effetto reciproco dell'amigdala sulla corteccia, può spiegare perché gli eventi con una carica emotiva possano restare profondamente impressi (Mishkin e Appenzeller 1987). Anche nell'uomo, le risposte comportamentali (positive o negative) verso vari stimoli, sono il frutto di un apprendimento inconscio derivato dall'esperienza che ciascun individuo si è fatto nei confronti di certi alimenti, di determinati mezzi di trasporto, di particolari suoni o di altri tipi di informazione ambientale.

2.2.2.4.2. Risposte motorie
Un modello di risposta motoria dipendente dal "condizionamento" riguarda la membrana nittitante [Nota 4.] dell'occhio del coniglio (Liem et al. 2002). Nella prima fase di addestramento viene inviato un soffio d'aria sull'occhio del coniglio: questo stimolo attiva i recettori delle terminazioni sensitive (cutanee, congiuntivali e sclerotiche) del trigemino e determina la risposta riflessa del muscolo della membrana nittitante. La risposta che segue al soffio d'aria è lo scorrimento della membrana sulla superficie dell'occhio. Nella seconda fase, il coniglio sente prima un suono e dopo un intervallo di tempo (da 200 a 400 millisecondi), riceve il flusso d'aria sull'occhio: il suono prosegue mentre il soffio viene emesso e i due stimoli terminano contemporaneamente. L'addestramento del coniglio, che prevede l'importante relazione temporale tra i due stimoli, viene ripetuta più volte. Nella terza fase, il coniglio sente il suono non seguito dal soffio d'aria e questo stimolo da solo provoca lo scorrimento della membrana nittitante sulla superficie dell'occhio (Alkon 1989; Squire e Kandel 2002b).
Secondo Squire e Kandel (2002b) i due segnali (tattile e acustico) pervengono al cervelletto del coniglio e convergono sulle cellule di Purkinje, ognuna delle quali é in contatto con numerose fibre parallele differenti e con una sola fibra rampicante [Nota 5.]. Le cellule di Purkinje, sono gli unici neuroni cerebellari con un assone connesso al nucleo interposito, situato in sede profonda subcorticale che riceve tutti i segnali in uscita dalla corteccia cerebellare. Dal nucleo interposito e dal nucleo laterale, si proiettano fibre afferenti (braccio congiuntivo) al nucleo rosso che rappresenta una importante stazione relè fra il cervelletto e i sistemi effettori bulbari e spinali [Nota 6.]. Dal nucleo rosso hanno origine fibre che afferiscono ai nuclei del talamo che a loro volta proiettano nell'area della corteccia motoria che è specifica per l'attivazione del muscolo della membrana nittitante (Mazzi e Fasolo 1977).
Ad avvalorare la tesi di Squire e Kandel, è stato osservato da Thompson e Coll.[19] che gli stimoli elettrici sulle due principali afferenze cerebellari alla cellula di Purkinje, sostituiscono gli stimoli rispettivamente del suono e del soffio d'aria. Infatti la stimolazione elettrica delle fibre rampicanti funge da stimolo incondizionato (il soffio d'aria) e determina lo scorrimento della membrana nittitante del coniglio, mentre la stimolazione delle fibre muscoidi sostituisce lo stimolo condizionato (il suono). Quando le due stimolazioni sono accoppiate, si instaura il sopraccitato condizionamento comportamentale. Inoltre gli stessi ricercatori, hanno inattivato con la refrigerazione il nucleo interposito e la soprastante corteccia cerebellare: i conigli che hanno subìto questo trattamento hanno perso la risposta condizionata e, una volta cessata la refrigerazione, dovevano subire un nuovo condizionamento. Questo risultato, secondo Squire e Kandel (2002b), dimostra che la traccia mnestica associante il suono al soffio d'aria, viene immagazzinata nel cervelletto.

2.2.2.5. La memoria subliminale
La percezione subliminale é una percezione non cosciente, che per i suoi effetti sulla mente viene oggi perseguita penalmente. Il messaggio subliminale in una promozione televisiva è rappresentato da uno stimolo fugace che lo spettatore percepisce inconsciamente ma che modifica il suo comportamento. Per dimostrare l'esistenza della percezione subliminale, sono stati analizzati pazienti che, colpiti da ictus, sono diventati incapaci di vedere consciamente una certa zona del loro campo visivo. A questi pazienti è stato chiesto di indicare dove si trovava uno stimolo luminoso che appariva in un punto qualsiasi davanti a loro. Ogni volta che il punto si accendeva, essi lo indicavano, indipendentemente da dove facesse la sua comparsa. Evidentemente le vie ottiche di questi pazienti non sono state interessate dall'ictus, e lo stimolo visivo viene appreso inconsciamente nel circuito percettivo.
Per determinare la natura delle informazioni attivate da uno stimolo subliminale, è stato usato un metodo indiretto. Si paragona, per esempio, il tempo che il soggetto impiega nel riconoscere la parola quaderno (parola bersaglio) se lo stimolo subliminale è stato quadro oppure auto: il risultato è che il riconoscimento della parola bersaglio è favorito dallo stimolo "quadro".
Per l'effetto subliminale è fondamentale la quantificazione del tempo di esposizione dello specifico stimolo. A soggetti sani è stata presentata per tempi variabili la parola "casa" seguita subito dopo da una sequenza di lettere da completare: la sequenza "ca" completata può dare origine a parole come caffè, cane, calce, callo, e così, via. Ai soggetti è stato chiesto di non completare la sequenza di lettere (ca) con la parola (casa) che inizialmente è stata presentata ai soggetti in modo da essere riconosciuta più o meno bene. Quando la parola "casa" è stata presentata con un tempo relativamente lungo (per esempio 200 millisecondi) i soggetti hanno dato risposte esatte che non includevano la parola "casa". Invece quando questa parola è stata presentata per un tempo molto breve (tra i 43 e i 57 millisecondi) i soggetti tendevano a completare la sequenza "ca" nella parola "casa". La spiegazione è che questa parola (casa) non è stata percepita a livello della coscienza: perciò i soggetti non l'hanno esclusa dall'elenco delle parole possibili da elencare

2.3. La memoria filetica o memoria della specie
Per approfondire alcuni aspetti degli studi sulla memoria dei Vertebrati è necessario considerare che nella neocorteccia (isocorteccia o neopallio) del cervello dei Mammiferi, esistono tre fondamentali specializzazioni funzionali: sensitiva, motoria e associativa. Da un punto di vista evolutivo, in un toporagno - che è un micromammifero (insettivoro) a neocorteccia poco sviluppata e a superficie liscia - la maggior parte di quest'ultima è occupata dalle aree sensitive e motorie dette primarie. Nell'uomo - che è mammifero (primate) a neocorteccia molto sviluppata, a superficie molto convoluta e ripiegata in pliche - la scissura di Rolando separa la corteccia motoria (anteriore o frontale) dalla corteccia sensitiva (posteriore o percettiva) e la maggior parte della corteccia è occupata dalle aree associative (Mazzi e Fasolo 1977; Romer e Parson 1987; Liem et al. 2002). Le cortecce sensitive (o percettive) primarie (area somestetica e tattile o area di sensibilità generica; area visiva; area uditiva; area insulare probabilmente gustativa) ricevono specifici impulsi afferenti dai nuclei del talamo, mentre dalla corteccia motoria primaria partono gli impulsi motori. Le aree associative della neocorteccia non ricevono afferenze specifiche dai nuclei talamici, ma piuttosto afferenze talamiche generalizzate ed una notevole quantità di informazioni da aree corticali specifiche. In queste aree le diverse sensazioni sono integrate, memorizzate e qui sorgono e si affermano nell'uomo l'autocoscienza, l'ideazione e la consapevole libertà (Padoa)[20]. Dal confronto fra il cervello di un insettivoro e quello di un uomo, si intuisce che uno degli aspetti del successo evolutivo di quest'ultimo è l'ipersviluppo neocorticale delle aree associative. Nell'encefalo dell'uomo, rispetto a quello del toporagno, lo sviluppo delle aree associative è stato tale da determinare la separazione topografica tra le aree sensitive e motorie primarie.

Secondo Fuster (1999) per meglio comprendere la formazione e la topografia della memoria, dobbiamo vedere nelle aree corticali sensitive e motorie primarie le depositarie di una memoria filetica o memoria della specie. Già alla nascita, tali aree contengono l'esperienza adattativa che la specie ha acquisito nella sua interazione con l'ambiente. Questo tipo di memoria richiede una ripetizione all'inizio della vita di ciascun individuo (vedi ad es.: il ruolo dell'esperienza ottica nel periodo critico post natale per lo sviluppo regolare della corteccia del gatto - Hubel e Wiesel [1970]). Quindi ogni nuova esperienza interagisce con il substrato della memoria filetica e mediante la coincidenza temporale della nuova informazione con quella della rete antica riattivata, prende forma la memoria individuale (personale o soggettiva: considerata un'espansione della memoria filetica nella corteccia associativa). Merita sottolineare che i contenuti filetici di questa ipotesi sono stati già enunciati da Jung (1934)[21]: "l'inconscio collettivo contiene l'eredità filogenetica e, come somma totale di tutti gli archetipi, è il deposito di tutte le esperienze umane da quelle più antiche a quelle più oscure".
Fuster (1999) ritiene che durante lo sviluppo, la neurogenesi proceda dai territori dalla corteccia primaria a quelli della corteccia associativa. In riferimento alla scissura di Rolando (o solco centrale disposto fra i settori sensitivo [percettivo] e motorio della neocorteccia) Fuster ritiene che possono essere riconosciuti due gradienti di sviluppo: l'uno nella parte posteriore della corteccia cerebrale, che comprende i lobi temporale, parietale e occipitale e l'altro nella corteccia del lobo frontale. Il primo gradiente (quello posteriore) corrisponde allo sviluppo delle aree implicate nella percezione (sensitive) e il secondo gradiente (quello anteriore) corrisponde allo sviluppo delle aree coinvolte nel movimento (motorie). Il gradiente (la "progressione" dello sviluppo) posteriore culmina nello sviluppo della corteccia associativa che modula le reti della memoria episodica e semantica. Il gradiente (la progressione) anteriore culmina nello sviluppo della corteccia associativa della corteccia prefrontale, le cui reti riguardano gli schemi di azione e mediano la realizzazione dell'azione stessa (memoria degli atti e memoria dei progetti). Nell'uomo, la neocorteccia associativa, substrato della memoria più personale, giunge a piena maturazione all'età della giovinezza e conserva la plasticità sinaptica per tutta la durata della vita.
La memoria percettiva (sensoriale o sensitiva) e quella motoria sono entrambe associative, diffuse nella corteccia e organizzate gerarchicamente. La memoria percettiva che corrisponde alla memoria personale (individuale), viene acquisita attraverso gli organi di senso (occhio, orecchio, gusto, tatto etc - Mazzi e Fasolo 1977) e comprende la rappresentazione di oggetti, persone, animali, piante, numeri, eventi, e concetti. Nell'atto percettivo, l'individuo proietta le proprie aspettative e ipotesi sull'esperienza passata. Vi è una gerarchia di memorie percettive e le differenti forme di memoria possono essere raggruppate in distinte categorie di rango diverso: alla base si trovano le memorie delle sensazioni elementari e alla sommità i concetti astratti. Il livello più alto della gerarchia corticale della memoria e della percezione, è caratterizzato dalle reti più complesse ed estese della memoria polisensoriale e di quella dichiarativa, distribuita quest'ultima nella corteccia cerebrale associativa posteriore. Nell'ambito della memoria percettiva, le reti e le memorie di rango differente sono abbondantemente interconnesse le une con le altre. A questo proposito Fuster (1999) afferma che le memorie sono per la maggior parte inframmischiate: "la mia memoria dell'immagine e dei rumori del tram di San Francisco (memoria sensoriale) è associata al ricordo della mia ultima visita a quella città (memoria episodica), con il significato della parola tram (memoria semantica) e con il concetto di trasporto pubblico (memoria concettuale). Queste memorie e le loro reti sono annidate l'una dentro l'altra, dalla inferiore alla superiore, nonché interconnesse fra di loro e con altre verticalmente e orizzontalmente nella gerarchia" .
Secondo Fuster (1998), la memoria motoria o esecutiva e la gerarchia delle strutture neurali dedicate all'esecuzione degli atti motori, segue il modello della gerarchia delle memorie percettive. Nei Mammiferi, i livelli inferiori della gerarchia motoria risiedono nel midollo spinale, nel tronco encefalico e nel cervelletto. Al di sopra di quest'ultimo, nella gerarchia delle strutture motorie, vi sono i nuclei del talamo, i gangli basali e l'ipotalamo. La corteccia associativa del lobo frontale é la base dei livelli superiori della gerarchia delle memorie motorie, mentre la corteccia motoria primaria, posta subito davanti al solco centrale di Rolando, è la sede della memoria motoria filetica, che modula gli atti motori elementari. La corteccia premotoria (o postcentrale intermedia - Mazzi e Fasolo 1977), situata nel lobo frontale davanti alla corteccia motoria primaria, è sede di reti che codificano atti motori definiti per obiettivo, sequenza e traiettoria. La corteccia prefrontale, un'ampia area anteroinferiore del lobo frontale, è una corteccia associativa che costituisce il livello superiore della gerarchia motoria che modula reti di azioni sequenziali dirette ad un obiettivo. Le immagini del cervello ottenute tramite la PET (tomografia a emissione di positroni) rivelano che quando un individuo apprende una nuova abilità manuale, si attivano le aree frontali. I soggetti che subiscono lesioni frontali, perdono invece la capacità di realizzare volontariamente sequenze di movimenti complessi, ma conservano la capacità di eseguire movimenti automatici.

2.4. Recupero della memoria e dei falsi ricordi
La rete di memoria si ravviva quando la memoria viene recuperata attraverso il ricordo (o riconoscimento). Nella riattivazione di una rete neurale, l'ippocampo sembra svolgere un ruolo importante. È stato osservato infatti che i pazienti con lesioni di questa struttura non solo hanno difficoltà nel formare nuove memorie, ma anche nel recuperare quelle pregresse. Dal momento che le reti di nuove memorie sono "espansioni" di quelle vecchie, i processi neurali di formazione e di recupero della memoria sono in stretta relazione e l'ippocampo partecipa a entrambi (Fuster 1998).
Ma, a quanto pare, i ricordi ce li reinventiamo secondo l'uso che ne vogliamo fare e non sono alimentati soltanto dalla percezione dei sensi, dalle circostanze e dai rapporti che abbiamo con gli altri e con l'ambiente (Loftus 1997), ma anche dal modo in cui il patrimonio genetico, ereditato dai nostri progenitori, reagisce a quello che avviene dentro e fuori del nostro corpo. Questa memoria filetica o di specie (somma degli infiniti eventi di sopravvivenza sperimentati dalla linee evolutive del Phylum) è inscritta in alcuni geni che modulano peculiari reazioni fisiche interpretate dal cervello come segnali dall'allarme che interferiscono nei meccanismi di recupero dei ricordi.
In questo particolare quadro di processi mnemonici, sono di notevole interesse i meccanismi attraverso i quali la suggestione e l'immaginazione riescono a creare i ricordi di eventi che non si sono mai verificati. Loftus (1997) ha dimostrato che, in determinate condizioni (ipnosi e ristrutturazione mnemonica guidata) non è difficile istillare falsi ricordi in certe persone e che la disinformazione può cambiare i ricordi di un individuo in modi prevedibili e a volte molto efficaci. Spesso i falsi ricordi si creano attraverso la combinazione di ricordi veri con suggestioni indotte da altri. I ricordi distorti possono essere indotti quando una persona viene incoraggiata ad immaginare di aver sperimentato certi eventi, senza preoccuparsi se siano realmente accaduti o meno. La conferma di un evento da parte di un'altra persona può essere una potente mezzo per istillare un falso ricordo in persone particolarmente esposte a queste forme di suggestione. Questo effetto è stato dimostrato sperimentalmente su individui subdolamente accusati di aver danneggiato un calcolatore premendo un tasto sbagliato. Gli individui inconsapevoli di partecipare a questo esperimento, inizialmente hanno respinto l'accusa, ma quando un complice (dei ricercatori) ha sostenuto di averli visti compiere quell'azione, molti "indagati" hanno interiorizzato e confessato la colpa. Questi risultati dimostrano drammaticamente che una falsa prova incriminante può indurre certe persone ad accettare le responsabilità di un crimine non commesso, e perfino a sviluppare ricordi per confermare quella convinzione di colpevolezza.

2.5. L'oblio e i blocchi di memoria
Tutti, senza eccezioni, andiamo soggetti a piccole, temporanee amnesie, specialmente se siamo in condizioni di stress emotivo. Si tratta di minuscoli episodi dipendenti dall'enorme quantità di informazioni contenute nel nostro cervello. È la memoria a breve termine a tradirci quando si dimentica il numero del telefono appena letto nella rubrica, o quando non si trovano le chiavi o non si riesce a ricordare dove abbiamo posteggiato l'automobile (Laroche 2002). Nel processo di richiamo di un'informazione subentra temporaneamente una delle fondamentali funzioni cerebrali, l'oblio (Rose 1994) un meccanismo che difende le aree cerebrali dall'inflazione di informazioni. In altre parole, se ricordassimo ogni cosa (come il caso "Shereshevskii" descritto da A. Lurija 1968) ci troveremmo nella stessa condizione di chi non ricorda nulla. Un fenomeno frequente negli anziani è la temporanea mancanza di memoria verso i nomi propri. Il problema è che i nomi sono completamente arbitrari. Il suono di una parola, inoltre, è codificato nel cervello in una zona diversa da quella in cui è codificato il suo significato. Se i nessi tra il concetto (cioè il contesto nel quale conosciamo una persona), la rappresentazione visiva e il nome stesso della persona sono deboli, allora l'individuo non riesce vincere l'amnesia sul nome anche se ricorda tutto della persona in questione. A volte si ricorda (o si ritiene di ricordare) il primo suono della parola ma non il resto perché i fonemi sono evidentemente codificati anch'essi separatamente e quando ne riaffiora uno non è detto che seguano anche gli altri. Questa sensazione di "averle sulla punta della lingua" riguarda soprattutto le parole che non usiamo troppo spesso. Ma i blocchi di memoria non sono gli unici momenti di difficoltà. Alcune persone commettono degli errori di associazione, collegando in modo scorretto il contenuto di un ricordo con il suo contesto (per esempio: il manager è convinto di aver detto alla moglie la data di inizio delle ferie, mentre lo ha comunicato alla sua segretaria). In questi casi l'individuo trasferisce inconsciamente un ricordo da una categoria mentale ad un'altra e la causa di ciò può risiedere nell'ippocampo, le cui funzioni comprendono fra le altre quella di collegare tutti gli aspetti di un ricordo. Quando l'ippocampo subisce una lesione, i pazienti sono più inclini a questo tipo di errore. Notevoli problemi sorgono quando altri gravi eventi traumatici, lesioni anatomiche dell'encefalo o neuropatologie (Alzheimer, sindrome di Korsakoff, morbo di Huntington, etc) danneggiano aree cerebrali deputate a particolari funzioni mnemoniche.

2.6. Gli ormoni della memoria
É stato esaminato il ruolo degli ormoni della memoria: fra questi in particolare gli estrogeni che vengono considerati tra le sostanze più potenti e promettenti per la stimolazione delle funzioni cognitive. Gli estrogeni infatti migliorano la memoria a breve termine e quella a lungo termine in animali di entrambi i sessi e proteggono il cervello dal danno causato dal mancato flusso di ossigeno in caso di ictus. La terapia di reintegrazione degli estrogeni non solo riduce il rischio di sviluppare l'Alzheimer, ma serve a migliorare la memoria a breve termine in donne affette dalla patologia e in donne sane in età postmenopausale.
Molti altri ormoni hanno un ruolo critico nella memoria. Gli ormoni secreti in risposta allo stress, come i corticosteroidi, stimolano potentemente la memoria. Tra gli ormoni liberati in corso di stress vi è l'adrenalina che provoca la subitanea risalita dei livelli ematici di glucosio che a sua volta provoca la produzione di acetilcolina e il conseguente potenziamento della memoria (Holloway 1999). In particolare, nelle ragazze che in età giovanile hanno subìto abusi sessuali prolungati, è stata osservata una percentuale molto alta di cortisolo, un ormone da stress rilasciato dalla ghiandola surrenale che aiuta a preparare il corpo alla lotta o alla fuga (De Bellis et al. 1994). Alte percentuali di cortisolo, se prodotte cronicamente, possono venire pagate a caro prezzo del corpo perché possono danneggiare le cellule nervose del cervello. Da studi basati sulla risonanza magnetica è risultato infatti che l'ippocampo (struttura che seleziona ed immagazzina i ricordi nella memoria primaria) è molto più piccolo nelle persone che soffrono di disturbi da stress post traumatico (Bremner et al. 1997; Stein et al. 1997) e si ritiene che questa atrofizzazione sia attribuibile ad un rilascio cronico di cortisolo. L'atrofizzazione dell'ippocampo potrebbe essere una delle cause primarie della riduzione del livello di apprendimento scolastico di queste ragazze (Strong 1999).

3. Meccanismi molecolari della memoria

Per vivere nell'ambiente, l'animale deve essere in grado di saper riconoscere fra due alternative la situazione a lui ottimale, come ad esempio distinguere la preda dal predatore. Negli animali con cure parentali avanzate quali quelle dei mammiferi superiori, la madre educa i figli alla conoscenza delle fonti alimentari e del territorio, in ambienti naturali anche molto ostili. Questa capacità di adattamento deriva dal fatto che l'esperienza può modificare il sistema nervoso e quindi il comportamento dell'animale. In questo concetto di adattabilità è racchiuso il significato dei termini di apprendimento e di memoria (Montarolo e Schacher 1988).
L'apprendimento è un processo grazie al quale noi associamo nuove informazioni relative al mondo che ci circonda, mentre la memoria è il processo che garantisce l'archiviazione di quelle informazioni. L'apprendimento quindi è un processo che modifica l'individuo in rapporto a ciò che accade nell'ambiente e a ciò che lui fa nell'ambiente. Quindi l'esperienza è alla base dell'apprendimento di ogni organismo animale (Mirabella 2000). Dall'esperienza derivano due tipi di apprendimento: l'abituazione e l'apprendimento associativo.
L'abituazione è una delle forme più semplici dell'apprendimento e consente di non reagire agli stimoli irrilevanti (Oliverio 1991). Un fenomeno di questo tipo è stato osservato nelle comunicazioni fra individui di ceropitechi che in natura riconoscono i loro segnali vocali di allarme corrispondenti alla presenza di un pericolo come aquile, leopardi e serpenti. Se uno di questi segnali di allarme registrati (per es.: presenza del leopardo) viene fatto sentire ad un gruppo (comunità) di cercopitechi, quest'ultimi manifestano la reazione di fuga tra gli alberi. Ma se continuativamente viene emesso lo stesso segnale d'allarme, i cercopitechi a poco a poco smettono di reagire ad esso (abituazione). Se però i soggetti "abituati" a questo stimolo percepiscono un altro stimolo che giudicano diverso, la forza della loro risposta di fuga aumenta nettamente. Questa tecnica definita dell'abituazione-disabituazione, rivela che a) l'individuo in esame (in questo caso il cercopiteco) ha la facoltà di giudicare se due stimoli sono simili o dissimili e che b) l'abituazione è attribuibile al controllo della reazione di paura esercitata dal cervello e che questo comportamento non determina l'eliminazione della memoria emotiva (Seyfarth e Cheney 1993).
L'apprendimento associativo implica che l'organismo impari ad associare due avvenimenti che si verificano simultaneamente e che all'animale risultano concatenati (Oliverio 1991). Nell'ambito dell'apprendimento associativo si fanno alcune distinzioni funzionali (Thorpe 1963) e fra queste il condizionamento classico e il condizionamento strumentale.

Hebb[22] ha proposto che l'apprendimento associativo sia prodotto da un meccanismo cellulare semplice: "quando l'assone di una cellula A.... eccita la cellula B e prende parte ripetutamente e continuamente alla sua eccitazione, nell'una o in ambedue le cellule si verifica qualche processo di crescita o qualche cambiamento metabolico, così che l'efficacia di A, come cellula che attiva B, viene aumentata". Secondo questa "regola di Hebb", la attività coincidente del neurone presinaptico e di quello postsinaptico [Nota 1.] è fondamentale per il rafforzamento della connessione fra di essi (meccanismo pre-post associativo o coincidenza di attività nei neuroni presinaptico e postsinaptico secondo Hebb).
Tauc e Kandel (1963)[23] hanno osservato in Aplysia, che la connessione sinaptica fra due neuroni (A e B) può essere rafforzata anche in assenza di attività del neurone postsinaptico (neurone B), quando sul neurone presinaptico (neurone A) agisce un terzo neurone (neurone C), definito neurone modulatore o facilitante (vedi: Alberts et al. 1991, pag. 1307): la terminazione sinaptica di quest'ultimo agisce sulla terminazione sinaptica del neurone presinaptico (neurone A) potenziando la liberazione del neurotrasmettitore prodotto da quest'ultimo. Secondo Tauc e Kandel, questo meccanismo può assumere proprietà associative se i potenziali d'azione [Nota 3.] del neurone presinaptico (A) coincidono con i potenziali d'azione del neurone modulatore (C) (meccanismo associativo premodulatorio o meccanismo di coincidenza premodulatoria).
Carew (1983), Hawkins (1983) e i loro rispettivi collaboratori, hanno descritto in Aplysia, il meccanismo associativo premodulatorio dove esso contribuisce al condizionamento classico, una forma di apprendimento implicito. Successivamente Holger e coll. (1986)[24] hanno trovato che il meccanismo pre-post associativo è attivo nell'ippocampo dei Mammiferi dove è utilizzato per l'apprendimento spaziale, una forma di apprendimento esplicito . La scoperta di queste due distinte regole di apprendimento cellulare, ciascuna con proprietà associative, ha fatto pensare che i meccanismi associativi per l'apprendimento implicito ed esplicito, non abbiano bisogno di complesse reti di neuroni (Kandel e Hawkins 1992).

In contrasto con la diversità delle specie di animali invertebrati e vertebrati impegnati nei test di condizionamento classico risulta che sussiste una sorprendente somiglianza dei processi molecolari di base che modulano la formazione della loro memoria associativa. Questa somiglianza suggerisce che, nel corso dell'evoluzione, si siano conservati i meccanismi della memoria associativa (Alkon 1989). Numerosi studi condotti su svariati modelli animali, hanno chiarito che le due diverse forme di memoria, "a breve termine" e "a lungo termine" trovano una precisa corrispondenza nelle due diverse fasi che attraversano i processi di plasticità sinaptica nelle cellule nervose implicate nell'archiviazione di una determinata informazione. Mentre la memoria a breve termine comporta una modificazione transitoria dell'attività sinaptica, ottenuta grazie alla modificazione delle proteine preesistenti, quella a lungo termine è associata a variazioni del numero e/o dell'organizzazione delle sinapsi coinvolte e richiede l'attivazione di geni e la sintesi di nuove proteine (Ghirardi e Casadio 2002). Allo stato attuale delle conoscenze risulta che, gli Invertebrati hanno solo la memoria implicita, mentre i Mammiferi, tra i Vertebrati, hanno notevoli capacità di memoria esplicita ed anche di memoria implicita.

3.1. L'apprendimento e la memoria implicita negli Invertebrati
I gangli cefalici dei molluschi marini (D'Ancona 1953, pag. 754) sono caratterizzati da alcune cellule nervose giganti (Kandel 1970; Willows 1971) e questi neuroni sono risultati molto idonei per effettuare studi di base sul comportamento neurofisiologica animale.
Il meccanismo associativo premodulatorio secondo Tauc e Kandel (1963)[23] è stato studiato nel mollusco Aplysia (Gasteropodi opistobranchii - D'Ancona 1953) che ha un sistema nervoso centrale formato da 20.000 neuroni (Scheller e Axel 1984), di cui alcuni sono molto grandi (Kandel 1979 [come ad esempio il neurone L7 - Ghirardi e Casadio 2002]). Di questo gasteropode sono noti molti riflessi semplici e fra questi quello della retrazione della branchia (vedi: Alberts et al. 1991, pp. 1305-10) che si evidenzia quando un lieve stimolo viene applicato in un'altra parte del corpo, come ad esempio sulla plica del mantello o sul sifone (Montarolo e Schacher 1988). Questo riflesso semplice avviene perché il tegumento del mantello e del sifone è innervato da due distinti gruppi di neuroni sensitivi (neuroni presinaptici) che formano sinapsi eccitatorie (secernono il neurotrasmettitore acetilcolina) sui i neuroni motori (postsinaptici) dei muscoli retrattori della branchia.
Da numerosi esperimenti risulta che il gasteropode Aplysia può esprimere tre tipi di comportamento in risposta degli stimoli: l'assuefazione, la facilitazione a breve termine e quella a lungo termine.

3.1.1. L'assuefazione
Se il sifone viene stimolato debolmente più volte, il gasteropode si abitua e cessa di retrarre la branchia, perché il reiterato stimolo non lesivo induce la progressiva riduzione della quantità di neurotrasmettitore secreto dai neuroni sensitivi. Di conseguenza si indebolisce il potenziale d'azione postsinaptico [Nota 6.] dei neuroni motori che innervano i muscoli retrattori della branchia.

3.1.2. La facilitazione a breve termine
Nell'aplisia sono stati analizzati (Kandel e Hawkins 1992), i meccanismi di apprendimento implicito della memoria (sia a breve termine che a lungo termine), nel riflesso di retrazione della branchia, facendo associare al gasteropode: a) un stimolo debole (o condizionato) corrispondente ad un sottile flusso d'acqua sul sifone, seguito da uno stimolo forte (sensibilizzante o non condizionato) come una scarica elettrica sulla parte terminale (coda) del piede muscolare dell'animale e b) come controllo, uno stimolo debole sul mantello, non seguito dalla scarica elettrica sul piede. Dopo cinque prove per ciascun test (a e b), l'aplisia dimostra di aver associato che lo stimolo debole al sifone è seguito da uno stimolo forte provocato dalla scarica elettrica: infatti c) la risposta (retrazione della branchia) alla stimolazione debole del sifone (definito percorso abbinato) è maggiore della risposta alla stimolazione debole del mantello (percorso non abbinato). Lo stesso risultato si ottiene anche a] stimolando debolmente prima il mantello e b] stimolando poi elettricamente il piede e c] stimolando solo debolmente il sifone.
Questi esperimenti hanno dimostrano che 1) lo stimolo forte (scarica elettrica) provoca un rafforzamento del riflesso di retrazione della branchia; 2) per ottenere questo rafforzamento è necessario che lo stimolo debole preceda lo stimolo forte; 3) l'intervallo di tempo fra i due stimoli deve essere di circa 0,5 secondi! (Kandel e Hawkins 1992). La spiegazione di questi tre punti chiariscono gli intimi meccanismi dell'apprendimento implicito in Aplysia.

Dal punto di vista neuroanatomico la rete dei neuroni coinvolta nell'apprendimento implicito è schematicamente così costituita: I) il neurone motore (ad es.: il neurone L7 - Ghirardi e Casadio 2002) dei muscoli retrattori della branchia riceve le terminazioni presinaptiche dei neuroni sensitivi sia del sifone che del mantello (arco riflesso della retrazione della branchia) che secernono il neurotrasmettitore acetilcolina ; II) le terminazioni presinaptiche dei neuroni sensitivi sia del sifone che del mantello ricevono, a loro volta, le terminazioni presinaptiche dei neuroni facilitanti (o modulatori) che secernono il neurotrasmettitore serotonina e III) quest'ultimi ricevono le terminazioni (presinaptiche) dei neuroni sensitivi della "coda" (del piede muscolare).

Dal punto di vista funzionale, lo stimolo debole deve precedere lo stimolo forte perché nella terminazione sensitiva presinaptica si deve attivare una sequenza di eventi neurochimici. Lo stimolo debole, come un flusso d'acqua diretto sul sifone, attiva il potenziale d'azione del neurone sensitivo [Nota 7.], potenziale che, a livello della terminazione presinaptica, determina l'apertura dei canali a controllo di potenziale del calcio sia a livello della membrana plasmatica sia a livello delle membrane delle cisterne endoplasmatiche: lo ione Ca2+ presente nel neuroplasma promuove l'esocitosi del neurotrasmettitore (acetilcolina) nella fessura sinaptica [Nota 7. penultimo comma].
La successiva scarica elettrica sulla "coda" del piede muscolare (stimolo rinforzante) attiva il potenziale d'azione del gruppo di neuroni sensitivi (della coda) e quest'ultimi, a loro volta, attivano il potenziale d'azione del neurone facilitante (o modulatore) che secerne la serotonina (5HT), un neurotrasmettitore definito "primo messaggero". Questo neurotrasmettitore si lega ai specifici recettori situati nella membrana plasmatica della terminazione presinaptica del neurone sensitivo del sifone. Il recettore legato alla serotina, induce la modificazione conformazionale di una proteina di membrana, la proteina G (Montarolo e Schacher 1988) che, a sua volta, attiva l'enzima di membrana adenilciclasi (o adenilato ciclasi), proteina enzimatica inserita nella membrana cellulare dei neuroni. Gli ioni Ca2+ presenti nel citoplasma (accumulati nel reticolo endoplasmatico e successivamente liberati nel citoplasma) si legano alla calmodulina una proteina che, modificando la sua conformazione molecolare, a sua volta si lega e amplifica l'azione dell'adenilciclasi, enzima quest'ultimo che genera molecole di AMP ciclico (adenosinmonofosfato ciclico) dall'ATP (adenosintrifosfato).
L'aumento dei livelli dell'AMP ciclico, definito "secondo messaggero", attiva a sua volta la proteinchinasi, molecola enzimatica che cede un gruppo fosfato (fosforilazione) ai canali del potassio (Alkon 1989). Quest'ultimi, a seguito della fosforilazione, modificano la loro conformazione molecolare a favore della riduzione del flusso in entrata degli ioni K+ e quindi del mantenimento degli effetti del potenziale d'azione. Ciò consente il prolungamento del flusso di entrata degli ioni Ca2+ che induce la terminazione presinaptica (dei neuroni sensitivi del sifone) a secernere una quantità di acetilcolina maggiore di quella che viene normalmente secreta per l'eccitazione del neurone motore dei muscoli retrattori della branchia.

In questa complessa catena di attività molecolari, che nel gasteropode Aplysia caratterizzano l'apprendimento implicito, i due tipi di stimolo (debole e forte) sono quindi rappresentati all'interno dello stesso neurone sensitivo del sifone dalla convergenza di due "segnali" diversi, il calcio e la serotonina, sullo stesso enzima adenilciclasi, che determina il rinforzo delle risposte riflesse di tipo difensivo. L'intervallo di 0,5 secondi fra lo stimolo debole (condizionato) e lo stimolo forte (non condizionato o sensibilizzante) - essenziale per l'apprendimento del riflesso di retrazione della branchia - può corrispondere all'intervallo di tempo nel corso del quale il calcio entra nella terminazione presinaptica e va legarsi alla calmodulina così da indurre l'adenilciclasi a produrre una maggiore quantità di AMP ciclico in risposta alla serotonina (Kandel e Hawkins 1992).
Un solo stimolo sensibilizzante (non condizionato: la scarica elettrica), provoca nel gasteropode Aplysia un potenziamento transitorio della sinapsi (definito facilitazione a breve termine) che induce una forma semplice di memoria a breve termine, cioè un'archiviazione di breve durata delle informazioni. Studi in vitro (Rayport e Schacher 1986) hanno confermato che una singola breve applicazione di serotonina, attiva un recettore serotoninergico accoppiato all'enzima adenilciclasi sulla membrana del neurone sensitivo (neurone che nell'animale innerva la cute del sifone). L'attivazione dell'adenilciclasi produce un aumento dei livelli di cAMP (AMP ciclico) e l'attivazione dell'enzima proteinchinasi A (PKA) all'interno dello stesso neurone sensitivo. A sua volta il PKA provoca un aumento del rilascio del neurotrasmettitore (acetilcolina) da parte del neurone sensitivo grazie alla modificazione delle proteine sinaptiche preesistenti (Ghirardi e Casadio 2002).

Risultati comparabili sono stati ottenuti da Alkon (1983) nell'analisi comportamentale di un altro gasteropode marino della specie Hermissenda crassicornis. Nel suo ambiente naturale e nella fase diurna del ciclo giornaliero, il gasteropode si muove sugli scogli più vicini alla superficie marina alla ricerca di piccoli organismi che si concentrano nell'acqua ben illuminata. In caso di tempesta il gasteropode, per evitare danni al suo corpo creati dalle violenti turbolenza dell'acqua, reagisce allargando la superficie del suo piede muscolare per aumentare l'adesione sulle rocce e ridurre la velocità del suo movimento.
In laboratorio, gli individui sono strati addestrati ad apprendere l'associazione fra gli timoli di intensità luminosa e di turbolenza dell'acqua. La forza di trascinamento dei flutti ondosi del mare è stata ottenuta con la forza centrifuga esercitata sugli animali da un piano ruotante, che portava una serie di tubi trasparenti disposti a raggiera. Il lume di tubi (che conteneva acqua di mare) era tale da obbligare il soggetto in esame ad avanzare aderente alla pareti interne del tubo e solo verso la zona centrale di rotazione che poteva essere variabilmente illuminata. Gli individui più volte addestrati a vari livelli di illuminazione e di turbolenza (ovvero di forza centrifuga - altri individui sono stati addestrati alla sola luce, o alla sola forza centrifuga, etc.) sono stati successivamente sottoposti al solo stimolo della luce: è risultato che la velocità di movimento degli individui verso il cento è stata inferiore a 1/3 della velocità misurata prima dell'esperimento. Essi avevano appreso ad associare l'intensità della luce (stimolo condizionante) con la forza di rotazione (stimolo non condizionante). Il condizionamento aveva avuto l'effetto di conformare in misura sempre maggiore la risposta alla luce a quella della rotazione. Tuttavia per ottenere questo modello di condizionamento era necessario che la comparsa della luce precedesse di un intervallo di tempo di circa un secondo l'inizio della massima rotazione del piano. Ulteriori analisi neuroanatomiche dei circuiti e biochimiche a livello cellulare in Hermissenda hanno confermato la sovrapponibilità dei risultati sull'apprendimento implicito ottenuti in Aplysia.

3.1.3. La facilitazione a lungo termine
L'apprendimento implicito o sensibilizzazione, una forma semplice di memoria a breve termine persiste per breve tempo. Un solo stimolo forte provoca nell'animale un potenziamento transitorio della sinapsi (facilitazione a breve termine), mentre se l'animale - nei giorni successivi - viene sottoposto a ripetute scosse elettriche al piede, la sensibilizzazione si protrae nel tempo, persistendo per settimane (Alberts et al. 1991; Ghirardi e Casadio 2002). Più stimoli sensibilizzanti inducono quindi una facilitazione a lungo termine, come è stato dimostrato (Montarolo e Schacher 1986)[25] quando è stata ricostruita in vitro la connessione sinaptica fra un neurone sensitivo che innerva la cute del sifone e il motoneurone L7 che controlla la risposta di contrazione della branchia del gasteropode Aplysia (Rayport e Schacher 1986).
Come sopraddetto, una singola breve applicazione in vitro di serotonina attiva un recettore serotoninergico accoppiato all'enzima adenilciclasi, che a sua volta determina un aumento del livello citoplasmatico dell'cAMP e quindi l'attivazione dell'enzima PKA che, a sua volta, provoca un aumento del rilascio del neurotrasmettitore (acetilcolina) da parte del neurone sensitivo grazie alla "modificazione" delle proteine sinaptiche preesistenti. Questa catena di attivazioni enzimatiche indotta da "un solo" stimolo sensibilizzante (serotonina) provoca nel neurone sensitivo un potenziamento transitorio della sinapsi, definito facilitazione a breve termine che nell'animale intero induce una forma semplice di memoria a breve termine.
La risposta del neurone sensitivo cambia se vengono effettuate, a intervalli di 20 minuti, cinque applicazioni del neurotrasmettitore serotonina (5HT) in coltura: infatti il reiterato stimolo forte induce una facilitazione a lungo termine che dura 24 ore o più. Dopo le ripetute e intervallate applicazioni di 5HT, gli enzimi PKA e MAPK (o MAP-chinasi: proteina chinasi attivata da mitogeni - Wolfe 1996) vengono non solo attivati ma anche traslocati dal citoplasma al nucleo del neurone sensitivo, dove modulano (cioè regolano) l'espressione genica [Nota 8.]. Nei neuroni, come in tutte le altre cellule dell'animale, l'attività dei geni è regolata da una complessa serie di enzimi, i fattori di trascrizione che controllano il livello di espressione dei singoli geni [Nota 8.], incrementando o riducendolo, con conseguente modificazione della struttura o della funzionalità del neurone.
Nel nucleo la PKA e la MAPK attivano alcuni fattori di trascrizione, ovvero delle molecole proteiche denominate CREB (cAMP Responsive Element Bilding Protein) che interagiscono con particolari sequenze di DNA chiamate CRE (cioè: elemento sensibile all'cAMP). In particolare la PKA e la MAPK attivavano rispettivamente i fattori di trascrizione CREB1 e CREB2, dando inizio alla trascrizione di vari geni. Uno dei prodotti di questi geni, l'ubiquitina-idrolasi, che rende la PKA citoplasmatica attiva in maniera persistente. In particolare, è stato identificato il gene ApCREB1 responsabile della sintesi (nel nucleo) della proteina CREB1a. La PKA presente nel nucleo modifica questa proteina, mediante un processo si fosforilazione. Due molecole CREB1a fosforilate si uniscono formando un complesso molecolare in grado di legarsi alle sequenze CRE di alcuni geni, innescando la trascrizione. L'attivazione della proteina CREB1a è l'evento chiave per l'induzione della facilitazione a lungo termine. Infatti l'iniezione di anticorpi che bloccano il funzionamento di CREB all'interno del neurone sensitivo, impedisce il manifestarsi della facilitazione a lungo termine. Al contrario, l'introduzione, mediante l'iniezione intracellulare, di CREB1a induce la comparsa facilitazione a lungo termine anche in assenza di serotonina.
La sintesi di mRNA necessaria per la facilitazione a lungo termine, attivata dal complesso sistema dei geni CREB, e si ritiene (Ghirardi e Casadio 2002) che serva sia per produrre proteine richieste per la crescita strutturale del neurone sensitivo sia per la formazione di nuove connessioni sinaptiche (Bertoni-Freddari 1998) tra il neurone sensitivo e quello motore. Infatti, la facilitazione a lungo termine, si associa alla crescita di nuovi processi e alla formazione di nuovi contatti sinaptici da parte del neurone sensitivo sia nell'animale intero che nelle cellule in coltura. Queste modificazioni strutturali sembrano, allo stato attuale delle conoscenza, costituire la base della memoria a lungo termine e questo complesso di meccanismi genetici e cellulari si è dimostrato pressoché universale e conservato i tutto il regno animale, dagli invertebrati ai mammiferi.

Anche nel moscerino Drosophila, Hitier e coll. (2002) hanno dimostrato che nei processi finalizzati al conseguimento della memoria a breve termine, la concentrazione dell'cAMP attiva una proteinchinasi che modifica i canali del potassio e altera conseguentemente le proprietà elettriche della membrana cellulare. In tal modo, la cellula risulta più facilmente eccitabile, e questa proprietà funzionale è uno dei fondamenti della instaurazione della memoria a breve termine. Nella drosofila anche il consolidamento delle informazioni apprese nella memoria a lungo termine è dipendete dall'alta concentrazione dell'cAMP che stimola l'attivazione della proteinchinasi A (PKA) citoplasmatica dei neuroni fungiformi. La PKA attivata penetra nel nucleo di questi neuroni e attiva la proteina CREB che innesca la trascrizione di determinati geni. Le proteine espresse da questi geni, migrano nel citoplasma dell'assone fino ai bottoni terminali e qui attraverso la produzione di nuove sinapsi, le proteine codificate da questi geni, possono far si che i neuroni vengano connessi in modo differente per l'instaurazione di una memoria a lungo termine.

3.2. L'apprendimento e la memoria esplicita nei Mammiferi
Il meccanismo pre-post associativo (o principio di convergenza sincrona dell'attività nei neuroni presinaptico e nel postsinaptico) secondo Donald Hebb [Nota 9.] è stato studiato nell'ippocampo e nel cervelletto di alcuni Mammiferi, e in particolare nel topo e nel coniglio.

3.2.1 Il meccanismo pre- post associativo
La fondatezza del meccanismo postulato da Hebb (1949), trova una conferma sperimentale nelle ricerche di Mirabella (2000) sulla rappresentazione corticale delle vibrisse nella corteccia somatosensitiva primaria del ratto adulto. Le vibrisse del muso, assieme ai recettori gustativi e quelli olfattivi, sono gli organi di senso più importanti di questo micromammifero (la rappresentazione corticale della regione delle vibrisse occupa un'area proporzionalmente molto più ampia di quella occupata dal resto del corpo). I neuroni del IV strato della corteccia somatosensitiva (che ricevono la quasi totalità delle afferenze talamiche) sono riuniti in gruppi discreti chiamati "barili". Il numero e la disposizione topografica di quest'ultimi corrispondono a quelli delle vibrisse presenti nel lato controlaterale del muso (i barili sono disposti su 5 file [A-E] e ogni fila ha un proprio numero di barili [D1, D2, D3 etc.]). Ciascun barile dà origine ad una "colonna corticale" che si estende dal IV al II strato della corteccia. Ogni colonna elabora principalmente le informazioni provenienti da una vibrissa (detta: vibrissa principale) e riceve, tramite connessioni intracorticali, informazioni sullo stato funzionale delle vibrisse adiacenti (Woolsey e Van der Loos 1970)[26]. Ai fini della ricerca, le vibrisse del lato destro del muso dei ratti sono state tagliate, ad eccezione di D2 e di D3 . La vibrissa D1 (tagliata e adiacente alla D2) e quella D3 (lasciata intatta e adiacente alla D2) sono state rispettivamente definite "D-tagliata" e "D-appaiata" . Dopo questo trattamento ogni ratto è stato reintrodotto nella propria gabbia con un compagno. I ratti con le vibrisse tagliate interagiscono con i ratti di controllo in modo apparentemente normale. Dopo tre giorni i ratti con le vibrisse tagliate sono stati anestetizzati ed è stata registrata l'attività della corteccia somatosensitiva. Per raccogliere simultaneamente più dati, sei elettrodi sono stati simultaneamente inseriti nella corteccia somatosensitiva di ciascun ratto in corrispondenza della rappresentazione corticale delle vibrisse D1, D2 e D3 [Nota 10.]. Nei ratti di controllo (che non hanno subìto il taglio delle vibrisse) la stimolazione di una vibrissa evoca un'onda di attività che ha il suo massimo nella colonna corticale corrispondente e che diminuisce via via che si allontana da questa. Nei ratti appaiati (che per tre giorni hanno subìto l'effetto del taglio di tutte le vibrisse e della persistenza delle vibrisse D2 e D3 sul lato destro del muso) l'attività indotta dalla deflessione di una vibrissa appaiata (D2 o D3) si diffonde in una porzione di corteccia molto più estesa, interessando quasi tutta l'area campionata. Viceversa l'attività evocata dalla stimolazione di un vibrissa tagliata è molto più localizzata intorno alla corrispondente colonna corticale.
Mirabella (2000) ritiene che, dopo tre giorni di appaiamenti di due vibrisse, i cambiamenti nella distribuzione dell'attività corticale somatosensitiva siano dipendenti da due distinti meccanismi di plasticità che operano simultaneamente: I) uno nelle colonne corticali attive e II) uno in quelle deprivate. Nel primo meccanismo, l'attività sincrona delle cellule delle due colonne appaiate (D2 e D3) porta al potenziamento delle sinapsi delle fibre di connessione intracorticali secondo il meccanismo postulato da Donald O. Hebb. Nel secondo meccanismo, il taglio delle vibrisse crea due classi di colonne corticali: le colonne attive (per le vibrisse D2 e D3 lasciate intatte) e le colonne deprivate (per le vibrisse tagliate).
Nel ratto sano esistono i circuiti intracorticali fra le colonne della rappresentazione corticale delle vibrisse. Ciò premesso, nel ratto privato parzialmente delle vibrisse su un lato del muso, le connessioni funzionali tra le due colonne rimaste attive si rafforzano in virtù dell'attività sincrona prodotta dall'uso continuo e sincrono delle vibrisse intatte (per il rafforzamento e aumento numerico delle connessioni sinaptiche), mentre i circuiti che collegano le colonne deprivate (degli input delle vibrisse tagliate) vengono progressivamente depressi (per la riduzione delle connessioni sinaptiche). Poiché il taglio delle vibrisse priva le corrispondenti colonne corticali della corteccia somatosensitiva delle loro normali afferenze sensoriali, viene attivato un meccanismo di riorganizzazione che si basa sulla "colonizzazione" dei territori corticali inattivi. In tal modo le afferenze provenienti dalle vibrisse appaiate possono sfruttare i circuiti che non sono più impegnati dagli input sensoriali (a causa del taglio delle rispettive vibrisse). Di conseguenza la corteccia somatosensitiva può riorganizzarsi in funzione di una modifica degli input afferenti senza che la rappresentazione topografica delle vibrisse sia distrutta. In definitiva i territori corticali deprivati (degli input) vengono "invasi" dalle terminazioni sinaptiche dei neuroni dei territori attivi, e ciò garantisce la stabilità e la modificabilità della corteccia somatosensitiva. Questa serie di ricerche dimostrano complessivamente che i tessuti nervosi sono degli insiemi dinamici che vengono continuamente modellati dall'apprendimento e dall'esperienza sensoriale in virtù della plasticità delle loro sinapsi.

3.2.2. La plasticità sinaptica
Studi sperimentali confermano che in virtù della plasticità sinaptica, il cervello si modifica nel corso dell'apprendimento e dall'esperienza sensoriale. Per molto tempo i neurobiologi hanno sostenuto che la stabilità dell'organizzazione cerebrale fosse la base per una corretta elaborazione dell'informazione sensoriale e per l'esecuzione delle strategie motorie. I dati sperimentali degli ultimi due decenni hanno portato in evidenza invece che tutte le funzioni cerebrali possono essere modificate dall'esperienza. In altre parole, tutte le parti del cervello si modificano e si rinnovano senza sosta nel corso della vita (Benedetti 1992; Mirabella 2000). Elbert e coll. (1995) hanno confrontato la rappresentazione della mano nella corteccia somatosensitiva di violinisti di professione con quella di soggetti che non avevano esperienza nell'uso di questo strumento musicale. Il violinista esperto usa il pollice della mano sinistra per sostenere il collo del violino e le altre quattro dita per toccare le corde dello strumento. Questi compiti richiedono notevole destrezza e durante la loro esecuzione la corteccia somatosensitiva controlaterale viene stimolata in continuazione. La mano destra muove invece l'archetto, un compito meno complesso (di quello svolto dalla mano sinistra) che induce una stimolazione tattile minore sulla corteccia somatosensitiva controlaterale. I ricercatori con l'uso della magnetoencefalografia (MEG - una tecnica non invasiva) hanno osservato che la rappresentazione corticale della dita della mano sinistra dei musicisti é notevolmente ingrandita rispetto a quella dei soggetti di controllo e che l'ingrandimento del territorio corticale delle dita della mano sinistra é correlato con l'età nella quale i violinisti hanno iniziato a suonare: in quelli con maggior esperienza la rappresentazione corticale é più estesa. La rappresentazione corticale delle dita della mano di destra non si é invece modificata. Questa ricerca conferma i precedenti studi di Merzenich e coll. (1984) che hanno confrontato la rappresentazione della mano nell'area somatosensitiva della corteccia di aoto (Aotes trivirgatus: una piccola scimmia notturna dell'America Latina), in soggetti adulti sani e in individui adulti ai quali é stato asportato il terzo dito. Due mesi dopo l'intervento, la zona della corteccia originariamente rappresentata dal terzo dito della mano, risultava occupata dalla rappresentazione del secondo e dal quarto dito e del terzo polpastrello della mano. La mancanza del normale flusso dell'esperienza (informazione) sensoriale modifica quindi l'organizzazione anatomo-funzionale della corteccia cerebrale (Benedetti 1992). L'ampliamento della rappresentazione del secondo e del quarto dito nella corteccia somatosensitiva di aoto, si può spiegare solo sulla base della plasticità sinaptica il cervello e al meccanismo pre-post associativo postulato da Donald Hebb.

3.2.3. Potenziamento a lungo termine nell'ippocampo e nel cervelletto
L'ippocampo è un deposito solo temporaneo delle tracce mnestiche ed è responsabile dell'organizzazione iniziale della memoria, mentre la corteccia cerebrale è la sede permanente dei ricordi. Recenti ricerche hanno confermato che l'immagine mentale relativa a ciascun ricordo è costituita da un insieme di componenti, ognuna delle quali è immagazzinata in aree cerebrali specifiche. Si suppone che l'ippocampo e le strutture del lobo temporale, almeno in un primo momento colleghino tra loro tutte queste aree cerebrali e le relative componenti ricordo, grazie ad un processo graduale di riorganizzazione e stabilizzazione delle tracce mnemoniche, detto consolidamento. Trascorso questo tempo, l'ippocampo non è più necessario e quel ricordo dichiarativo resta, a lungo termine, completamente archiviato nella neocorteccia (Ghirardi e Casadio 2002).
Fra le funzioni nervose di un gasteropode e quelle di un mammifero vi è ovviamente un ampio divario. Gli animali con un sistema nervoso semplice, come Aplysia, possono imparare ad associare solo una ristretta gamma di stimoli tramite l'apprendimento implicito. I Mammiferi e in particolare l'uomo, che hanno un cervello strutturalmente e funzionalmente molto evoluto, sono capaci di associare qualsiasi evento tramite la via dell'apprendimento esplicito operante a livello del complesso dell'ippocampo. Le lesioni all'ippocampo interferiscono solo con l'archiviazione dei muovi ricordi, ma l'individuo conserva una memoria abbastanza buona di eventi precedenti alla lesione. L'ippocampo è solo un «deposito temporaneo» delle informazioni apprese. Il complesso dell'ippocampo elabora le informazioni (per un periodo compreso fra qualche settimana o qualche mese) e quindi le trasferisce in varie aree della corteccia cerebrale, dove si stabilizzano nella memoria a lungo termine. Recentemente un notevole interesse viene rivolto alle capacità di apprendimento e mnemoniche del cervelletto.

Negli anni sessanta, nella letteratura neurofisiologica apparvero sporadiche relazioni nelle quali si leggeva che, se le vie neurali in ingresso in certe regioni della corteccia cerebrale venivano stimolate ripetitivamente a una frequenza abbastanza elevata, si avevano aumenti a lunga durata dell'attività elettrica spontanea di quelle regioni. Quest'effetto, che era essenzialmente un aumento nell'efficacia della trasmissione fra le cellule pre- e postsinaptiche, fu chiamato potenziamento (Rose 1994). Successivamente, Bliss e Lømo (1973) nel coniglio hanno trovato che alcune sinapsi dell'ippocampo manifestavano cospicue alterazioni funzionali se usate ripetutamente. Se in una delle vie nervose dell'ippocampo venivano somministrati occasionali ed isolati potenziali d'azione, di quest'ultimi non rimaneva una durevole traccia nel neurone postsinaptico, ovvero questi stimoli non persistenti inducevano un potenziamento a breve termine (memoria a breve termine). Diversamente reiterate brevi scariche elettriche, ad alta frequenza (Kalil 1990) causano un potenziamento a lungo termine (LTP - da long term potentiation) nel neurone postsinaptico, tale che successivi isolati potenziali d'azione generano nel neurone postsinaptico una risposta fortemente amplificata. L'effetto dura per parecchie ore in un animale anestetizzato e per giorni o settimane in un animale vigile, in rapporto al numero e all'intensità della raffica di reiterate scariche ricevute (memoria a lungo termine). In successive ricerche Bear[27] ha dimostrato che, applicando uno stimolo a bassa frequenza agli stessi circuiti nervosi dell'ippocampo, si induceva una riduzione prolungata della forza delle connessioni sinaptiche locali. Tale riduzione è a sua volta duratura ed è conosciuta come depressione a lungo termine (LTD). Il rafforzarsi e l'indebolirsi delle connessioni sinaptiche attraverso processi simili all'LTP e all'LTD, sono ora ritenuti i principali meccanismi responsabili della conservazione e dell'eliminazione delle informazioni acquisite nel cervello. Oggi sappiamo che l'LTP e l'LTD, si presentano in molte forme diverse e che si verificano in altre regioni cerebrali oltre all'ippocampo, come la neocorteccia e l'amigdala (Tsien 2000).
Premesso che ogni neurone postsinaptico del cervello forma numerosissime sinapsi con altri neuroni presinaptici, risulta che il LTP si verificava solo a carico delle sinapsi attivate da reiterate scariche di potenziali d'azione. Diversamente nella stessa cellula postsinaptica le sinapsi "a riposo" restano estranee al LTP, ma se una di quest'ultime capta un potenziale d'azione isolato mentre il neurone postsinaptico sta ricevendo una raffica di scariche di potenziali d'azione, anche questa sinapsi subisce il potenziamento a lungo termine. Le forme di LTP studiate più dettagliatamente sono quelle rilevate: a) a livello di connessioni sinaptiche fra le fibre che originano dai neuroni piramidali della regione CA3 e i neuroni postsinaptici situati nell'area CA1 dell'ippocampo (Ghirardi e Casadio 2002), e b) con registrazioni elettrofisiologie ottenute da fettine di cervelletto (isolate dal verme, la parte mediana del cervelletto), perfuse e ossigenate in un'apposita camera, dove i neuroni sono stati studiati (D'Angelo et al. 1999) con le tecniche di patch-clamp (vedi: Neher e Sakmann 1992).

Nel sistema nervoso dei Vertebrati, il neurotrasmettitore eccitatorio di gran lunga più diffuso è l'L-glutammato (primo messaggero), un amminoacido che entra nel ciclo di Krebs (ciclo dell'acido citrico - vedi Wolfe 1996) e viene attivamente metabolizzato dai neuroni e dalle cellule di glia (D'Angelo et al. 1999). I recettori del glutammato vengono distinti in "ionotropi", direttamente connessi ai canali ionici e in "metabotropi", non connessi a canali e svolgono la loro azione mediante secondi messaggeri intracellulari. Ai recettori ionotropi appartengono i recettori attivati da un amminoacido analogo al glutammato, l'N-metil-D-aspartato e perciò detti recettori NMDA. I recettori insensibili a questo amminoacido sono invece indicati come recettori non-NMDA (Winson 1991; D'Angelo et al. 1999) o AMPA, cioè un recettore che interagisce con le ampachine (Holloway 1999; Laroche 2002). I recettori ionotropi NMDA e AMPA sono ambedue costituiti ad almeno 4 subunità proteiche - ognuna delle quali può essere espressa (dai geni del neurone postsinaptico - Tsien 2000) sotto forma di numerose variati molecolari - disposte attorno al poro centrale del canale (recettore-canale) e quest'ultimo viene aperto dal legame tra il recettore e il glutammato. Le principali vie nervose dell'ippocampo e del cervelletto utilizzano questo neurotrasmettitore (liberato nella fessura sinaptica dal neurone presinaptico) che legandosi ai specifici recettori-canale (presenti nella membrana postsinaptica), genera (come era stato ipotizzato da Hebb [1949]) un LTP (Lømo 1966)[28]. Quest'ultima proprietà ha un'importanza fondamentale nel definire il ruolo funzionale dei recettori-canale NMDA: nel cervelletto, è stato verificato che per l'attivazione di questi recettori è necessaria la presenza dell'amminoacido glicina (D'Angelo et al.1999) e nell'ippocampo, è stato evidenziato che sono soggetti ad una forma di controllo dipendente dagli ioni magnesio (Kandel e Hawkins 1992).

I recettori metabotropi (mGluR - D'Angelo et al. 1999; Laroche 2002), a differenza di quelli ionotropi, non sono associati direttamente a un canale ionico: la catena polipeptidica costitutiva del recettore presenta 7 regioni che attraversano la membrana postsinaptica a differenza di quella delle subunità dei recettori ionotropi che presenta 4 regioni che attraversano la membrana cellulare (per questo tipo di recettore transmembrana vedi: Alberts et al. 1999, pag. 477). I recettori metabotropi svolgono la loro azione tramite un secondo messaggero intracellulare, che si forma per l'intervento di un enzima di membrana attivato da una proteina G - cosiddetta perché necessita di guanosintrifosfato (GTP) per svolgere la sua funzione - che fa spola tra il recettore metabotropo e l'enzima effettore. Nelle cellule granulari del cervelletto, il controllo dei livelli citoplasmatici di ioni calcio operato dai recettori NMDA, richiede l'intervento sinergico dei recettori metabotropi e del secondo messaggero da questi prodotto, probabilmente tramite la sua capacità di liberare gli ioni calcio dai depositi intracellulari (reticolo endoplasmatico - Alberts et al. 1999, pagg. 370 e 433).
I recettori metabotropi esistono in almeno 8 diversi sottotipi accoppiati a diversi sistemi di secondi messaggeri intracellulari (D'Angelo et al. 1999). Wolfe (1996, pp. 674-677) riporta che recettori questo tipo vengono attivati anche dai fattori di crescita e a proposito di quest'ultimi, Black e Coll.[29] hanno scoperto che i fattori di crescita neurotrofici (vedi: Levi Montalcini e Calissano 1979) hanno un significativo ruolo nel rafforzamento delle sinapsi. Fra le molecole analizzate il BDNF (Brain Derived Neurotrophic Factor) ha dato i risultati più significativi. La sua azione infatti fa aumentare la suscettibilità di un neurone a un segnale elettrico inviato da un'altra cellula, innescando un fenomeno che porta al rafforzamento della connessione fra i due neuroni (quello che riceve lo stimolo e quello che lo trasmette) e che può essere associato ai processi mnemonici. In animali con deficit della memoria a causa di una lesione nella zona dell'ippocampo, un trattamento a base di BDNF, sembra che sia in grado di ristabilire la funzione normale (Fronte 1997).

I canali per il passaggio degli ioni Ca2+ associati ai recettori NMDA dell'ippocampo si aprono solo quando vengono simultaneamente soddisfatte le seguenti condizioni: A) la membrana postsinaptica deve essere fortemente depolarizzata [Nota 7.], consentendo 1) il distacco dello ione Mg2+ dal recettore NMDA, 2) il conseguente cambiamento della conformazione molecolare del recettore, 3) l'apertura del canale associato al recettore e 4) il conseguente passaggio degli ioni Ca2+ dallo spazio extracellulare al citoplasma del neurone postsinaptico; B) il neurotrasmettitore glutammato deve essere legato al recettore NMDA.

I recettori NMDA dell'ippocampo sono decisivi ai fini del LTP. Infatti quando vengono selettivamente bloccati da un inibitore specifico come l'AP5 (acido amminofosfovalerico - Morris et al. 1986), il potenziamento non si verifica, anche se continua la normale trasmissione sinaptica. Un animale trattato con questo inibitore non riesce ad apprendere, in quei settori ritenuti dipendenti dall'ippocampo, ma si comporta sotto ogni altro aspetto in modo quasi normale. Il LTP ha inizio quando il neurotrasmettitore glutammato, si lega ai recettori AMPA (Winson 1991; D'Angelo et al. 1999; Laroche 2002) e promuove la depolarizzazione della membrana postsinaptica. Come sopraddetto nell'ippocampo, la depolarizzazione della membrana postsinaptica annulla il blocco esercitato dallo ione Mg2+ sul canale associato al recettore NMDA e consente l'ingresso degli ioni calcio nel neuroplasma postsinaptico, inducendo la plasticità sinaptica (o LTP - Laroche 2002). L'entrata in massa degli ioni calcio avvia, nel neurone postsinaptico, una cascata di reazioni molecolari finalizzata a determinare una "modificazione durevole" della sinapsi.
Il potenziamento a lungo termine presenta una forma di ritenzione del ricordo "a breve termine" se viene indotto da una singola stimolazione ad alta frequenza (memoria a breve termine). Diversamente il LTP presenta una forma di ritenzione del ricordo "a lungo termine" (che persiste almeno 24 ore), se viene indotto con ripetute scariche ad alta frequenza, e richiede la sintesi di nuove molecole di RNA e di proteine mediata dall'attivazione di fattori di trascrizione tipo CREB ed è associato a modificazioni morfologiche quali la formazione di nuovi contatti sinaptici tra le cellule ippocampali coinvolte (memoria a lungo termine).

Memoria a breve termine
Con la tecnica del patch-clamp (vedi: Neher e Sakmann 1992 e [Nota 11.]), D'Angelo e coll. (1999) hanno avuto l'abilità di registrare le deboli correnti elettriche generate dall'apertura dei canali ionici connessi ai recettori del glutammato situati nella membrana postsinaptica dei dendriti delle cellule granulari (Llinás 1975) del cervelletto. In condizioni fisiologiche, quando il potenziale di membrana delle cellule granulari è libero di variare nel tempo, le correnti non-NMDA (AMPA) e NMDA, contribuiscono in modo differente alla depolarizzazione della membrana postsinaptica conseguente al rilascio del glutammato: A) - a basse frequenze di stimolazione, che liberano piccole quantità di glutammato, la depolarizzazione non modifica molto il potenziale di membrana dal valore di riposo (circa -70 mV) e viene sostanzialmente prodotta dalla corrente non-NMDA, mentre il contributo della corrente NMDA è trascurabile; B) - ad alte frequenze di stimolazione, quando la concentrazione del glutammato nello spazio sinaptico è relativamente elevata ed è notevole la depolarizzazione inizialmente promossa dalla corrente non-NMDA, si ha lo sblocco della corrente NMDA e diventa preminente il suo contributo alla depolarizzazione postsinaptica.
In definitiva, si può dire che mentre la correnti elettriche generate dall'apertura dei canali ionici connessi al recettore non-NMDA (AMPA) promuove la depolarizzazione, la corrente NMDA la intensifica e la prolunga. Questa complessa dinamica fa si che i recettori NMDA consentano un notevole ingresso di ioni calcio nel neurone postsinaptico solo durante la stimolazione singola stimolazione ad alta frequenza. Tale meccanismo ha un ruolo fondamentale nel regolare l'efficacia della trasmissione sinaptica (D'Angelo et al.1999).
Gli ioni calcio neuroplasmatici attivano tre differenti proteinchinasi (considerati secondi messaggeri: calciocalmodulina chinasi, proteinchinasi C [PKC] e tirosina chinasi) che portano all'induzione del potenziamento a lungo termine. Quest'ultimo viene impedito se i livelli di Ca2+ intracellulari vengono artificialmente mantenuti bassi nel neurone postsinaptico iniettandovi un chelante di Ca2+ (come l'EGTA - Alberts at al. 1991, pag. 1311 - [Nota 12.]).
L'apprendimento esplicito, rispetto a quello implicito descritto per Aplysia, prevede la produzione di un segnale retrogrado che, liberato dal neurone postsinaptico, ha come bersaglio la terminazione presinaptica al fine di mantenere la secrezione del glutammato. Il processo si attiva quando le sopraddette proteinchinasi calcio-dipendenti cedono un gruppo fosforico all'enzima ossido d'azoto sinteasi (NOS). Questo enzima per operare come donatore di elettroni, si lega sia alla calciocalmodulina sia a tre coenzimi (NADPH, FAD e FMN - Goodman e Gilman 1965, pp.1659 e 1657; Snyder e Bredt 1992). La NOS così attivata induce l'arginina (un amminoacido) a scindersi in citrullina e ossido d'azoto (NO - Snyder e Bredt 1992; Kandel e Hawkins 1992). Inibitori (nitroarginina, metilarginina ed emoglobina) dell'NOS bloccano la produzione postsinaptica dell'NO e di conseguenza del GMP ciclico (guanosinmonofosfato ciclico - cGMP) nella terminazione presinaptica (Snyder e Bredt 1992).
Secondo Kandel e Hawkins, l'ossido d'azoto viene subito liberato dal neurone postsinaptico nello spazio extracellulare - nella fessura sinaptica senza l'intervento di vescicole - penetra nella terminazione presinaptica e agisce da messaggero retrogrado legandosi al ferro del gruppo eme della guanililciclasi (guanilatociclasi sec. Alberts et al. 1991, pag. 849; Wolfe 1996). L'enzima attivato dall'NO induce la formazione di cGMP (a partire dal GTP [guanosintrifosfato] - Snyder e Bredt 1992) il quale mantiene aperti canali calcio. Il mantenimento del flusso in entrata degli ioni Ca2 conserva il livello di fusione delle vescicole sinaptiche nella membrana presinaptica e la reiterata liberazione del glutammato nella fessura sinaptica (Snyder e Bredt 1992).
Il fattore retrogrado, rappresentato dall'NO, diffonde quindi nelle terminazioni presinaptiche e attiva uno o più secondi messaggeri (come l'enzima guanililciclasi) che intensificano la liberazione del glutammato e in tal modo mantengono il potenziamento a lungo termine. Ma l'NO produce il LTP solo se associato all'attività dei neuroni presinaptici (facilitazione presinaptica dipendente dall'attività sec. Kandel e Hawkins 1992). Il fatto che il potenziamento sia dipendente dall'attività (dei neuroni presinaptico e postsinaptico), potrebbe essere un metodo per garantire che vengano potenziate solo le vie presinaptiche che sono attive (Kandel e Hawkins 1992). Agnati, Fuxe e coll. (Agnati, Zoli et al. 1995; Agnati e Fuxe 2000) considerano la diffusione transmembrana dell'NO e di altre molecole, un tipo di comunicazione definito volume transmission, mediato dal flusso di correnti ioniche dipendenti dall'attività nervosa nel liquido extracellulare (una linea di pensiero che si avvicina a quella di Pischinger e coll. [1996] sulla funzione della matrice extracellulare). La volume transmission, a differenza della sinapsi, avviene nel liquido extracellulare per tutte le comunicazioni intercellulari [Nota 13.]. Al fine di mantenere separate le comunicazioni intercellulari occorre che siano differenti i segnali chimici (uno per ciascuna connessione) e che le rispettive cellule bersaglio siano dotate di sensori biochimici capaci di riconoscere selettivamente il segnale chimico a esse destinato (Agnati 1998).
In definitiva questo tipo di potenziamento che richiede l'intervento finale di un messaggero retrogrado e che induce una memoria a breve termine, comporta la "modificazione transitoria" dell'attività sinaptica, ottenuta grazie alla modificazione delle proteine preesistenti (Ghirardi e Casadio 2002).

Memoria a lungo termine
La memorizzazione a lungo termine si basa su modificazioni sinaptiche, che devono essere stabilizzate e consolidate, altrimenti la forza sinaptica decresce rapidamente e il ricordo viene meno. Questi meccanismi di consolidamento sinaptico, richiedono la sintesi di proteine. Gli inibitori della sintesi proteica, somministrati durante l'apprendimento, non perturbano l'acquisizione o la ritenzione dei ricordi a breve termine, ma producono deficit selettivi della memoria lungo termine. Infatti in presenza di inibitori della sintesi proteica, il LTP decresce rapidamente e non può stabilizzarsi al di là di qualche ora. Si deduce che per avere delle modificazioni sinaptiche stabili è necessario un ripetuto stimolo sperimentalmente indotto con ripetute scariche ad alta frequenza, l'attivazione di alcuni geni e la sintesi di specifiche proteine.
Similmente a quanto sopradescritto per l'induzione della facilitazione a lungo termine nel gasteropode Aplysia, anche nei Mammiferi, dopo l'attivazione del recettore NMDA, l'induzione del LTP si accompagna all'espressione di alcuni geni, definiti geni precoci (vale a dire attivati molto rapidamente: si stima che nel cervello umano ve ne siano più di 500) e all'attivazione del fattore di trascrizione CREB, proteina basilare per la plasticità neuronale e per il consolidamento della memoria a lungo termine. L'inattivazione di questa proteina, in topi mutanti, perturba l'induzione del LTP ed anche il suo mantenimento. Nel corso di compiti di associazione di stimoli di riconoscimento olfattivo di individui della stessa specie o di memorizzazione dello spazio, gli animali mutanti (nei quali la proteina CREB è inattiva) conservano bene l'informazione nelle ore che seguono l'apprendimento, ma presentano gravi deficit della memorizzazione a lungo termine (Silva e Kandel)[30].
Laroche (2002) in collaborazione con altri ricercatori hanno scoperto che l'induzione del LTP nell'ippocampo è accompagnata da ondate successive di espressione di geni specifici, ondate che si distribuiscono nell'arco di parecchi giorni e si sovrappongono parzialmente. Dopo l'attivazione rapida e transitoria di differenti fattori di trascrizione, aumenta l'espressione dei geni che codificano per le chinasi, per le proteine di esocitosi (che incorporate nella membrana presinaptica partecipano alla liberazione del neurotrasmettitore - Alberts et al. 1991, pag. 1266), per i fattori di crescita neuronale (vedi: Levi-Montalcini, Calissano 1979) e, dopo diversi giorni, per i recettori del glutammato. Frey e Morris[31] hanno dimostrato che l'attivazione iniziale che potenzia l'efficacia di una sinapsi lascia una traccia, una sorta di «etichetta», che permette alle ondate successive di proteine di trovare la propria strada e di «consolidare» specialmente le sinapsi etichettate. Le nuove proteine trasportate verso le sinapsi di recente attivazione trasformerebbero il cambiamento temporaneo in un cambiamento permanente. Studi morfologici ultrastrutturali (con le tecniche proprie della microscopia elettronica), hanno rivelato la traccia di profondi rimaneggiamenti delle reti neuronali dopo l'induzione della plasticità sinaptica: cambiamenti di forma e di dimensioni delle sinapsi, aumento delle superfici di contatto fra gli elementi pre- e postsinaptici, trasformazione di sinapsi da "silenti" in sinapsi attive e crescita di nuove sinapsi (Bertoni-Freddari 1998 e 2001; Laroche 2002).

Studiando la regolazione genica nel quadro dei meccanismi della plasticità sinaptica, Laroche (2002) ha identificato un "commutatore molecolare, la sintaxina [Nota 14.] che potrebbe avere un ruolo rilevante nella propagazione della plasticità in seno alle reti interconnesse. La sintaxina, è una proteina che interviene nella fissazione e nella fusione delle vescicole sinaptiche alla membrana neuronale e nella liberazione del neurotrasmettitore durante la tappa finale dell'esocitosi (vedi Wolfe 1996, pag. 629). Quando nel giro dentato (vedi: Ghirardi e Casadio 2002, pag. 9) viene indotto il LTP, l'espressione del gene per la sintaxina aumenta per parecchie ore nei neuroni postsinaptici dell'ippocampo. La proteina sintetizzata in questi neuroni, viene poi trasportata verso le terminazioni sinaptiche degli assoni situate in un'altra regione dell'ippocampo, l'area CA3. In questa sede, la sintaxina provoca un aumento della liberazione del glutammato, inizio di attivazione della plasticità trans-sinaptica.
In un compito di memoria spaziale (vedi ad esempio le ricerche nel ratto di Morris et al. [1982] e di Goldman-Rakic [1992]), l'espressione del gene per la sintaxina aumenta nei differenti contatti dei circuiti dell'ippocampo, nel momento in cui gli animali cominciano a padroneggiare il compito. Le prestazioni mnestiche aumentano con l'ampiezza di questa regolazione genica. In altre parole, l'espressione della sintaxina aumenta nelle reti neuronali durante la memorizzazione. In altri compiti che necessitano di una memoria di riferimento spaziale (o memoria di rappresentazione dello spazio - Laroche 2002), questo marcatore (la sintaxina) della plasticità trans-sinaptica viene espresso in circuiti più grandi che comprendono l'ippocampo e le aree corticali prefrontali. Questo meccanismo molecolare potrebbe partecipare alla costruzione di una rete neuronale interconnessa che codifica la traccia mnestica. La straordinaria plasticità delle cellule nervose - che garantisce il rimodellamento dei circuiti cerebrali - è una componente essenziale della formazione e dell'immagazzinamento dei ricordi a lungo termine.

3.2.4. Le caderine nei meccanismi funzionali delle sinapsi
In questi ultimi anni è emerso un coinvolgimento diretto delle caderine (Shapiro et al. 1995) nell'organizzazione strutturale e nei meccanismi funzionali delle sinapsi (Yamagata et al. 1955; Fannon e Colman 1996; Uchida et al. 1996; Hagler e Goda, 1998) e in particolare le sinapsi dei neuroni dell'ippocampo. Le caderine sono delle glicoproteine transmembrana (proteine transmembrana vedi: Alberts 1991 et al. pag. 337) che partecipano all'adesione intercellulare calcio-dipendente fra le membrane plasmatiche di cellule adiacenti. Queste glicoproteine sono presenti nelle giunzioni aderenti (Wolfe 1996, pag. 179) delle cellule epiteliali (caderina E o E-cad), nelle cellule nervose oltre che in quelle del cuore e del cristallino (caderina N o N-cad) e nella placenta e nell'epidermide (caderina P - Alberts et al. 1991, pag. 991).
Le caderine E-cad e N-cad (composte pressappoco da 700 residui amminoacidi - Alberts et al. 1991, pag. 991) fanno parte integrante della struttura delle membrane pre- e postsinaptica dei neuroni dell'ippocampo (Tang et al. 1998). Una piccola parte della N-cad è impegnata nel neuroplasma corticale sotto la membrana pre- o postsinaptica (dominio cellulare della caderina) tramite due proteine di collegamento (chiamate caderine _ e ß) e prende rapporto con i microfilamenti di actina tramite alcune proteine di connessione (Wolfe 1996, pag. 179, fig. 6.12). Si ritiene che il dominio cellulare della caderina nel realizzare l'attacco sul citoscheletro (ovvero con i microfilamenti di actina) svolga un ruolo regolatorio dell'adesione stessa, di cui segnala le variazioni al neuroplasma (Haimann 1998). La prevalente parte della N-cad è invece extracellulare (dominio extracellulare della caderina) ed è costituita da cinque ripetizioni della caderina (EC1-EC5 - di circa 110 residui amminoacidi ciascuno - Hagler e Goda 1998) tenute insieme in maniera Ca2+dipendente (Pokutta et al. 1994; Kock et al. 1997). Il dominio più distale o EC1 (rispetto all'intero dominio extracellulare della caderina emergente dalla membrana presinaptica o da quella postsinaptica) media i meccanismi di adesione con la formazione di legami fra caderine dello stesso tipo ([N-cad-N-cad o E-cad-E-cad]: Nose et al. 1990) e la sua molecola proteica contiene la sequenza amminoacidica relativamente conservata HAV (istidina-alanina-valina).
Studi tridimensionali delle caderine (Tamura et al. 1998; Colman 1997) hanno suggerito che, sulle due sedi pre- e postsinaptica, coppie di monomeri paralleli di caderine dello stesso tipo si uniscano lungo tutta la loro molecola a formare un "dimero intrecciato" e che i dimeri intrecciati della membrana presinaptica e quelli della membrana postsinaptica si incontrino al centro della fessura sinaptica tramite l'adesione EC1-EC1. In questo modo i rispettivi domini EC1 risulterebbero fra loro uniti in modo alternato come i denti di una cerniera tipo "chiusura lampo" (Shapiro et al. 1995; Gumbiner 1996)). Il legame "a chiusura lampo" è dipendente dall'alta concentrazione extracellulare degli ioni calcio (Tang et al. 1998).

La struttura molecolare delle caderine è simile a quella di un'altra grande glicoproteina transmembrana, la N-CAM, che induce l'adesione fra cellule nevose con un meccanismo Ca2+indipendenti. È interessante che a sua volta il dominio extracellulare (680 residui amminoacidi) della molecola N-CAM si ripiega in cinque domini omologhi ai domini delle immunoglobuline, caratteristici delle molecole di anticorpo (Alberts et al. 1991, vedi fig. 14.66).

Precedenti ricerche di Luthi et al. (1995) hanno dimostrato che nell'ippocampo di ratto gli anticorpi contro le molecole di adesione cellulare N-CAM possono prevenire il LTP solo se (gli anticorpi) vengono applicati prima dello stimolo induttivo (del LTP). Successivamente Tang et al. (1998) hanno trattato sezioni sottili d'ippocampo di ratto con anticorpi contro il dominio extracellulare sia delle E-cad che delle N-cad, ed hanno evidenziato che il trattamento riduce notevolmente il LTP (indotto da due stimolatori e rivelato da un elettrodo impiantato nello strato CA1 delle cellule piramidali). Anche l'infusione delle sezioni dell'ippocampo con peptidi HAV (la molecola contiene la sequenza His-Arg-Val ovvero gli amminoacidi istidina-arginina-valina) antagonisti alle N-cad e alle E-cad (perché la sequenza HAV dei peptidi compete con la sequenza HAV delle caderine EC1 di adesione fra caderina-caderina) attenua il LPT quando viene attivato dallo stimolo, mentre non esprimono la loro azione antagonista all'LTP dopo che quest'ultimo è stato attivato.
Questi risultati inducono a ritenere che durante l'induzione del LTP intervengano cambiamenti nell'adesione fra caderine contrapposte e che solo in questo momento i peptidi HAV possono competere per occupare nella sede dalle caderine EC1, ed esprimere un'azione inibitrice sul LTP. Conseguentemente si può ritenere che le proteine HAV non possano esprimere la loro azione antagonista dopo che è stato attivato l'LTP perché si è già ristabilita l'adesione fra EC1 nella configurazione dinamica della "cerniera lampo" proposta da Shapiro e coll. (1995). Solo applicando i peptidi inibitori delle integrine (una famiglia di recettori di membrana [Alberts 1991, pag. 979; Wolfe 1996, pag. 197] localizzati sulla membrana postsinaptica) l'LTP può essere prevenuto immediatamente dopo lo stimolo induttivo (Bahr et al. 1997).
Tang e coll. (1998) hanno osservato inoltre che gli effetti inibitori degli anticorpi e dei peptidi sul LTP, vengono bloccati dall'innalzamento della concentrazione del Ca2+ da 2.5 mM a 5 mM: questo dato sperimentale evidenzia che lo stato di adesività delle caderine sinaptiche Ca2+dipendenti può essere altamente sensibile a piccoli cambiamenti fisiologici del Ca2+ extracellulare. La rimozione del Ca2+ dal mezzo comporta una perdita di adesione (Hyafil et al. 1981) e un cambiamento nella struttura delle caderine extracellulari dalla originale struttura bastoncellare a quella globulare (Pokutta et al, 1994; Kock et al. 1997). Questi risultati lasciano pensare che la dinamica delle caderine extracellulari nel modello a "cerniera lampo", moduli l'induzione dell'LTP. Hagler e Goda (1998) propongono che l'attivazione delle caderine durante l'induzione del LTP dia inizio a riarrangiamenti nelle relazioni fra caderina-caderina e fra caderine-citoscheletro. Nell'ambito di questi cambiamenti, le caderine potrebbero a) modulare la trasmissione sinaptica aumentando o diminuendo l'area di contatto fra elementi pre- e postsinaptici (Lisman e Harris 1995; Tang et al. 1998); b) regolare l'estensione dell'iniziale zona attiva sinaptica seguita da un aumento delle vescicole sinaptiche fuse alla membrana presinaptica e dall'inserzione di recettori del neurotrasmettitore nella membrana postsinaptica (Halger e Goda 1998); c) determinare l'aumento del numero delle sinapsi per suddivisione (splitting) delle iniziali sinapsi (Bertoni-Freddari 1998) o per promuovere la formazione di nuove sinapsi.
Hagler e Goda (1998) propongono, in alternativa, che le caderine possano regolare le vie che conducono il segnale richiesto per l'LTP. Nel compartimento postsinaptico, le caderine attivate potrebbero regolare il meccanismo del rilascio presinaptico del neurotrasmettitore tramite la via caderine-caderine che forma un ponte fra le membrane pre- e postsinaptica. Questa ipotesi tende quindi a ridurre la necessità di un messaggero solubile retrogrado, come l'ossido d'azoto, per attivare i cambiamenti presinaptici che accompagnano l'LTP.
Parallele ricerche di Kohmura e coll. (1998), hanno individuato l'esistenza di un'altra famiglia di caderine associate ai recettori della membrana postsinaptica, chiamate CNR (Cadherin-related Neuronal Receptor). Le CNR hanno omologie intracellulari con le sopradescritte caderine classiche mentre differiscono completamente nel dominio extracellulare che è composto da sei ripetute caderine (invece delle 5 caderine ripetute N-cad e E-cad). Le caderine CNR interagiscono direttamente con Fyn, una proteina enzimatica con attività protein-chinasica coinvolta nella fosforilazione (e quindi nella regolazione dell'attività [Haimann 1998]) dei recettori NMDA per il glutammato (Suzuki e Okumura-Noji 1995; Miyakawa et al. 1997). Grant e coll. (1992) hanno osservato che ratti carenti in Fyn, sono indeboliti sia nell'induzione del LTP sia nell'apprendimento spaziale. Questo dato indica che l'attività Fyn potrebbe essere una specifica esigenza del LTP. Secondo Hagler e Goda (1998) è possibile che l'induzione del LTP aumenti l'attività del Fyn e questo enzima potrebbe a sua volta modulare l'efficienza sinaptica per azione sulle CNR, causando probabilmente cambiamenti nelle strutture sinaptiche critiche per l'espressione del LTP. Ritengono inoltre che le caderine CNR a loro volta potrebbero modulare le funzioni sinaptiche distinte da quelle N-cad ed E-cad, dato che sono risultate critiche per la riduzione numerica e per la fusione della membrana delle vescicole sinaptiche con quella presinaptica e per il sequestramento del neurotrasmettitore da parte dei recettori postsinaptici. Perciò, la trasduzione dei segnali (Gumbiner 1996) tramite i membri della famiglia CNR sembra che abbia un ruolo modulatore sulla funzione del recettore NMDA attraverso l'attività dell'enzima Fyn (Kohmura et al. 1998).

In definitiva, nell'ippocampo dei mammiferi si attuano i meccanismi dell'apprendimento esplicito legati ad una prima fase bioelettrica finalizzata al raggiungimento di una memoria a breve termine. L'alterazione dei canali per il passaggio degli ioni calcio associati ai recettori NMDA, le variazioni della concentrazione del calcio extracellulare e le conseguenti interazioni fra caderine extracellulari, determinano un'inibizione del LTP necessario all'apprendimento esplicito. La conversione dell'ordinario LTP in una forma durevole chiamata L.LTP o memoria a lungo termine corrisponde ad una seconda fase che fa riferimento ai meccanismi della sintesi proteica. Infatti gli inibitori della trascrizione e della sintesi proteica bloccano il processo di archiviazione dei ricordi.

3.2.5. Esperimenti sul ruolo dei recettori NMDA nel potenziamento a lungo termine
Watkins e Evans (1981) e successivamente, Nowak (1984), Mayer (1984) e rispettivi collaboratori, hanno dimostrato che l'ippocampo dei Mammiferi contiene i recettori NMDA sensibili all'azione eccitatoria del glutammato e che questi recettori diventano attivi solo allo stato di depolarizzazione della membrana postsinaptica instaurando il potenziamento a lungo termine. Da quando si è scoperto che il LTP si verifica nell'ippocampo, si è posto il problema di dimostrare con adeguati esperimenti che il LTP sia coinvolto nel processo di archiviazione dei ricordi secondo il meccanismo pre-post associativo proposto da Donald Hebb

Morris e coll. (1982) - sulla base di preliminari di suoi studi (Morris 1981)[32] sulla capacità dei ratti di nuotare in uno contenitore d'acqua - diviso in quattro quadranti orientati secondo i punti cardinali - e di salvarsi rapidamente su una piattaforma, sulla base delle informazioni acquisite, durante il test, sugli elementi topografici ambientali (memoria spaziale), hanno dimostrato che ratti (ceppo Lister) privati bilateralmente dell'ippocampo possono raggiungere: a) una piattaforma fissa, nel quadrante nord-est, ma non visibile dal punto di partenza (perché nascosta immediatamente sotto la superficie dell'acqua resa opaca con il latte) seguendo rotte indirette e molto lunghe rispetto a quelle più dirette effettuate dei ratti di controllo (apprendimento spaziale); b) una piattaforma visibile (perché in parte emergente dall'acqua resa opaca) e fissa in un altro punto del quadrante sud-ovest, seguendo una rotta comparabile a quella dei ratti di controllo (apprendimento di riferimento). Inoltre hanno osservato che: c) gli stessi ratti privati dell'ippocampo messi nuovamente a nuotare in presenza della piattaforma non visibile posizionata nello stesso punto e nello stesso quadrante sud-ovest della precedenti serie di prove (descritte al punto b), a diversità dei ratti di controllo, non ricordano il punto del quadrante dove era stata posizionata la piattaforma visibile ma la raggiungono ugualmente seguendo percorsi più lunghi e indiretti rispetto a quelli più brevi e diretti nuotati dei ratti di controllo.
Questo ciclo di addestramento ha dimostrano quindi che: 1) - i ratti privati dell'ippocampo non riescono a ricordare il punto nello spazio dove è stata lasciata fissa la piattaforma; 2) - l'asportazione dell'ippocampo danneggia gravemente l'apprendimento spaziale, mentre non influisce sull'apprendimento di riferimento (basato sulla vista) ne sulla motivazione di salvarsi comunque dalla situazione di pericolo.
Successivamente Morris e coll. (1986) hanno praticato l'infusione continua (tramite minipompe sottocutanee) dell'AP5 (acido amminofosfovalerico) nel ventricolo telencefalico di ratti (ceppo Lister), essendo noto che questo veleno nella configurazione molecolare D,L-AP5 blocca i recettori NMDA. I ratti trattati e quelli di controllo sono stati fatti nuotare nelle condizioni sperimentali sopradescritte con una piattaforma non visibile fissa nel quadrante nord-est. I ratti di controllo, entro 15 prove consecutive, hanno imparato ad approdare rapidamente sulla piattaforma. Diversamente, i ratti infusi con D,L-AP5 (continuativamente dal 1° al 9° giorno di prove) hanno percorso rotte sempre più lunghe e indirette verso la piattaforma. In una seconda serie di prove di addestramento i ratti di controllo e quelli con trattamento cronico sono stati fatti nuotare verso una piattaforma visibile. I ratti trattati cronicamente con D,L-AP5, hanno appreso più facilmente il punto di approdo visibile, ma con tempi di nuoto maggiori di quelli impiegati dai ratti di controllo.
In una terza serie di esperimenti i ratti infusi con D,L-AP5 e quelli di controllo, sono stati anestetizzati con uretano e quindi posizionati nello strumento stereotassico di Kopf. Un elettrodo a stimolazione bipolare è stato collocato nel giro dentato del complesso dell'ippocampo. Ogni ratto, per 100 minuti, ha subìto impulsi a bassa frequenza. Inoltre entro questo periodo ha subìto, esattamente al 20° e al 40° minuto, due brevi raffiche di attivazione ad alta frequenza. A differenza dei ratti di controllo, nei ratti infusi continuativamente con D.L-AP5, il veleno ha causato un totale blocco dell'induzione del LTP in vivo.
I sopradescritti esperimenti dimostrano quindi che nel ratto: I) i canali associati ai recettori NADM dei neuroni postsinaptici dell'ipotalamo regolano l'apprendimento e la memorizzazione della disposizione spaziale degli oggetti; II) sono presenti canali che provvedono alla memorizzazione di altri stimoli, come ad esempio quelli connessi all'apprendimento visivo, provenienti dall'ambiente e III) operano meccanismi cognitivi rivolti al conseguimento di un obiettivo (Rose 1994). Questa straordinaria plasticità delle sinapsi - che garantisce il rimodellamento dei circuiti cerebrali - è una componente essenziale della formazione e immagazzinamento permanente dei ricordi.

3.3. Geni che modulano la memoria
La sindrome di Williams è poco conosciuta e i pazienti affetti da questa neuropatologia riportano bassi punteggi nel test per il QI e mostrano una sorprendente miscela di abilità e di disabilità. Per esempio alla richiesta di disegnare e di descrivere un animale, il paziente produce uno scarabocchio (incomprensibile senza indicazioni scritte) e una ricca descrizione verbale del soggetto. L'abilità verbale è abbastanza tipica di questi pazienti, alcuni dei quali mettono in luce uno straordinario talento musicale. In genere non sanno leggere la musica, ma hanno uno straordinario senso del ritmo: un gran numero di soggetti è in grado di tenere a mente per anni, complicati brani musicali e sono i grado di improvvisare e comporre testi cantabili (Lenhoff et al. 1999). Nel 1993, la causa della sindrome fu individuata nella mancanza (o delezione) di una piccola porzione delle due coppie del cromosoma 7 presenti in ogni cellula, una porzione che può contenere 15 o più geni. Lenhoff e coll. (1999) ritengono che: a) l'individuazione di questi geni mancanti darà ai ricercatori la possibilità di capire in che modo si producano le anomalie neuroanatomiche e comportamentali osservate; b) questo approccio integrato (in cui si collegano i geni alla neurobiologia e, infine, al comportamento) può diventare un modello per lo studio dell'azione dei geni sullo sviluppo e il funzionamento del cervello.
È molto interessante che anche per l'autismo è chiamato in causa il cromosoma 7. Rodier e coll. (2001) hanno analizzato il profilo strutturale del cervello di una donna affetta da autismo e hanno verificato l'assenza del nucleo facciale (che controlla la mimica del volto) e dell'oliva superiore (stazione relè per le informazioni uditive). Entrambe le strutture sono vicine nel tronco cerebrale e hanno origine dallo stesso segmento del tubo neurale dell'embrione. Questi ricercatori hanno osservato inoltre che le distanze lungo l'asse anteroposteriore risultavano sorprendentemente ridotte nel tronco cerebrale della donna autistica. Era come se una striscia di tessuto fosse stata asportata dal cervello, e i due pezzi rimanenti fossero stati ricuciti assieme, senza una giunzione visibile dove il tessuto mancava.
Rodier ha avuto l'abilità di collegare queste osservazioni con i dati riportati di un lavoro sui topi transgenici (organismi nei quali è stato introdotto o quelli il cui genoma è stato alterato in altri modi usando le tecniche dell'ingegneria genetica [organismi transgenici] - Alberts et al. 1999, pag. 328) del tipo knock-out (gene selettivamente inattivato o «messo al tappeto» - Tsien 2000) modificati in modo da non poter più esprimere il gene Hoxa1 (vedi: Boncinelli 2001). Anche le analisi neuroanatomiche sul cervello di questi topi dimostravano l'esistenza di un accorciamento del tronco cerebrale, di un nucleo facciale più piccolo del normale e l'assenza del nucleo olivare superiore. Anche altre caratteristiche strutturali dei topi geneticamente modificati sono comparabili a quelle osservate nei bambini autistici. (malformazione del padiglione auricolare e assenza di una delle strutture cerebrali che controllano i movimenti oculari). Gli studi sui topi knock-out dimostravano quindi che il gene Hoxa1 svolge un ruolo di primo piano nello sviluppo del tronco cerebrale: il gene infatti è attivo nel tronco cerebrale dell'embrione quando i primi neuroni si stanno formando. Il gene Hoxa1 produce un tipo di proteina chiamato fattore di trascrizione, che modula l'attività di altri geni. Risulta inoltre che il gene Hoxa1 smette di essere attivo dopo le prime fasi dell'embriogenesi e pertanto rappresenta un candidato migliore per spiegare un disturbo congenito come l'autismo.
In questo stesso periodo, Miller e Strömland (1994)[34] hanno scoperto che alcune vittime della talidomide erano bambini affetti da autismo e che mostravano anomalie del padiglione dell'orecchio, ma nessuna malformazione delle braccia o delle gambe. Siccome si conosce con esattezza il giorno in cui la malformazione può essere indotta da questo farmaco, si è dedotto che i soggetti erano stati danneggiati nei primissimi stadi della gestazione, da 20 a 24 giorni dopo il concepimento. La versione umana del gene chiamata HOXA1, è situata sul cromosoma 7 ed é relativamente piccola: contiene appena due regioni che codificano per la proteina, o esoni [Nota 8.], assieme a regioni che regolano il livello di sintesi proteica o che non hanno una funzione apparente. Utilizzando campioni di sangue prelevati sia da soggetti autistici sia da soggetti di controllo, Rodier (2001) ha estratto il DNA e ha individuato due varianti alleliche [Nota 8.] di HOXA1. Nei pazienti affetti da autismo la frequenza di una di queste varianti è risultata significativamente più alta di quella che è stata registrata in individui sani e non imparentati. Rodier e coll. hanno scoperto una variante allelica del gene HOXB1, un gene situato sul cromosoma 17 che deriva dallo stesso antenato di HOXA1 (i genetisti definiscono quest'ultimo, un gene «altamente conservato» durante tutto il processo evolutivo degli organismi viventi) e che durante lo sviluppo del tronco cerebrale codifica per simili funzioni, ma i cui effetti nell'autismo sembrano più contenuti. È probabile che altri alleli possano diminuire questo rischio e ciò potrebbe contribuire a spiegare l'espressione variabile della gamma di disturbi collegati all'autismo e le capacità mnemoniche di pazienti autistici di tipo savant.

Gli studi di Tsien (2000) sul topo e di Hitier e coll. (2002) nella drosofila, sono un primo importante contributo scientifico verso l'interpretazione del ruolo svolto d alcuni geni nei processi mnestici. Sotto questo punto di vista l'animale transgenico appare molto utile, perché consente di eliminare alcuni geni, farli sovraesprimere o sottoesprimere, quando è necessario (Garzia 2002).
Molto interessanti sono gli studi di Hitier e coll. (2002) nella drosofila: questo moscerino della frutta, malgrado il suo minuscolo "cervello" (è rappresentato dal complesso gangliare cerebrale o sopraesofageo - D'Ancona 1953, pag. 754) è in grado di ricordare ottimamente. Uno degli strumenti più idonei a questo scopo è il «simulatore di volo»: il moscerino è stato attaccato per il dorso a un sottile filo di rame collocato al centro di un'arena mobile. Quando l'insetto vola e vuole cambiare direzione, un sensore misura il momento di rotazione, rivelandone le minuscole forze. Un microprocessore elabora questi dati e impartisce l'ordine alla pareti dell'area di ruotare: se la drosofila tenta di girarsi a sinistra, la parete circolare dell'arena ruota verso destra, così dare l'impressione all'insetto di stare realmente mutando direzione. La drosofila vede sulla parete mobile dell'arena due T alternate a due T rovesciate. Se il moscerino sceglie di volare verso la T, si attiva una lampada a infrarossi che irrita fastidiosamente l'insetto: quest'ultimo associa pertanto una sgradevole sensazione di calore quando tende a volare verso la T e apprende rapidamente a evitare lo stimolo negativo. La drosofila dimostra di conservare il ricordo per 72 ore.
Un modello di apprendimento più duraturo è quello relativo al "condizionamento olfattivo" del moscerino, durante il quale l'insetto associa un determinato odore a una scossa elettrica. Vari ceppi di moscerini della specie Drosophila melanogaster vengono attualmente allevati nei vari laboratori: per Hitier e coll. è stato di grande interesse scoprire che la capacità mnemonica olfattiva, varia a seconda del ceppo. Questi ricercatori hanno utilizzato come ceppo di riferimento il Canton-S, dato che i moscerini sono in possesso di una buona capacità di memoria. Hitier ha iniettato nelle uova di un moscerino Canton-S, delle sequenze genetiche dette trasposoni che si integrano "in un punto a piacere" nel patrimonio genetico dell'ospite, determinando una mutazione. L'ipotesi di lavoro era fondata su questi punti: a) se la mutazione indotta dalla sequenza genica iniettata interferisce sull'attività di un gene che influisce significativamente sulla facoltà della memoria, quest'ultima dovrebbe risultare una memoria peggiore; b) dai difetti metabolici si può allora risalire al compito della proteina coinvolta e quindi del gene corrispettivo (il vantaggio di questa procedura è che la sequenza di inserzione è facilmente rintracciabile fra i cromosomi); c) il gene mutato deve pertanto trovarsi nelle immediate vicinanze.

Tra le innumerevoli linee di moscerini mutati così ottenute, i ricercatori sono riusciti a selezionare quelle in cui la mutazione riguarda la memoria olfattiva. Nella Drosophila, Hitier e coll. hanno dimostrato che la memorizzazione persistente di un compito di discriminazione olfattiva, richiede l'attivazione proteine CREB simili a quelle di Aplysia. Come nei mammiferi, anche la memoria dei moscerini si consolida quando gli insetti vengono sottoposti ripetutamente ad un certo tipo di condizionamento, frapponendo opportune pause tra le singole fasi di addestramento. Nella drosofila, i centri cerebrali della memoria olfattiva sono i "corpi fungiformi" che ottengono le loro informazioni sensoriali dalle antenne, responsabili della percezione degli odori. La struttura dei corpi fungiformi presente in entrambi gangli cerebrali è simmetrica e consiste di 5000 cellule nervose i cui assoni danno luogo a un peduncolo che si divide in varie diramazioni.
Una drosofila che per 10 volte abbia percepito una scossa elettrica associata ad un certo odore, attiva la memoria a lungo termine ed è in grado di ricordare l'esperienza per almeno una settimana, il che per un moscerino allo stato libero equivale a tutta la vita! Il test di addestramento è stato ideato negli anni settanta da 5e coll.[34]: un certo numero di moscerini è stato collocato dentro un tubo rivestito all'interno da un graticcio elettrico. Nel tubo scorreva un flusso d'aria che trasportava alternativamente due diverse sostanze odorose. Il primo odore è stato associato a uno shock elettrico, il secondo no. Dopo questa fase di apprendimento, i moscerini sono stati trasferiti in un ambiente da cui avevano accesso a due diverse sezioni, ciascuna delle quali è stata impregnata con una delle sostanze usate nella fase di condizionamento. Subito dopo la maggioranza dei moscerini è volata nella direzione dell'odore «inoffensivo». Dato che questo test è eseguibile su un gran numero di esemplari, è utilizzabile non solo per determinare le differenze individuali, ma anche le differenze che intercorrono fra intere famiglie di moscerini.
Tra le innumerevoli linee di moscerini mutati con l'inoculazione dei trasposoni sono state selezionate quelle in cui la mutazione riguardava la memoria olfattiva del moscerino. Dopo un lungo lavoro di gruppo sono stati individuati i geni mutati: nel ceppo chiamato dunce è risultata mutata la sintesi della fosfodiesterasi (codificata dal gene dunce) e nel ceppo rutabaga è risultata alterata la sintesi dell'adenilciclasi (codificata dal gene rutabaga). Entrambe queste proteine enzimatiche regolano la concentrazione dell'adenosinmonofosfato ciclico (cAMP), importante messaggero intracellulare, all'interno dei neuroni dei corpi fungiformi del moscerino.
Nei ceppi mutanti di drosofila è stata individuata la memoria a medio termine, che si affianca agli altri due tipi di memoria (a breve e a lungo termine) e che copre un periodo che va da un'ora a un giorno e mezzo dopo il periodo di addestramento. Nella memoria a medio temine le informazioni vengono immagazzinate con due modalità. Se in questa fase i moscerini vengono raffreddati fino a raggiungere una temperature di 4 gradi Celsius, si manifesta una perdita di memoria ma questa perdita riguarda solo una parte delle informazioni immagazzinate. Pertanto è stata fatta una distinzione tra a) una memoria breve termine instabile (dipendente dai fenomeni di variazione dell'attività elettrica neuronale) e sensibile a freddo e b) una memoria a medio termine consolidata (dipendente da processi che si attuano a livello molecolare) e resistente al freddo. Sono stati individuati infatti due ceppi mutanti con queste caratteristiche mnemoniche. Il ceppo radish è capace di apprendere al freddo (cioè conserva inalterata la capacità di memoria sensibile al freddo) ma è incapace di ancorare quanto appreso nella parte «consolidata» della memoria,. Il ceppo amnesiac ha invece le capacità mnemoniche contrarie. Ne consegue che il ceppo radish è privo della memoria a lungo termine, mentre il ceppo amnesiac la conserva. Dunque sono solo i fenomeni che avvengono nella memoria sensibile al freddo, quella dipendente dai fenomeni di variazione dell'attività elettrica neuronale a rappresentare una necessaria premessa per l'insorgere della memoria a lungo termine.

I segnali olfattivi, recepiti dai recettori delle antenne e trasportati dai neuroni sensitivi, raggiungono i neuroni dei corpi fungiformi, dove l'impulso nervoso attiva l'apertura dei canali del calcio dipendente dal potenziale di membrana [Nota 7.]. Il conseguente flusso innalzamento della concentrazione interna di calcio, attiva l'adenilciclasi che, a sua volta, induce un aumento della concertazione della concentrazione dell'cAMP (adenosinmonofosfato ciclico), importante messaggero intracellulare. Il moscerino, sottoposto al sopradescritto test di condizionamento (secondo la tecnica di Benzer) percepisce, parallelamente all'informazione olfattiva, uno stimolo elettrico che converge sui neuroni dei corpi fungiformi. Questo stimolo forte sensibilizzante, induce la liberazione di un neurotrasmettitore (in Aplysia la serotonina) che attiva un recettore (ancora non identificato in Drosophila) inserito nella membrana cellulare dei neuroni del corpo fungiforme. Il recettore stimola a sua volta l'adenilciclasi: ne consegue un ulteriore innalzamento della concentrazione dell'cAMP.
Solo quando pervengono in contemporanea impulsi lungo entrambe queste due vie - quella attivata dallo stimolo «odore» e quella attivata dallo stimolo «scossa» - viene raggiunta una concentrazione critica dell'cAMP. Quest'ultima aumenta l'eccitabilità elettrica del neurone che d'ora in poi risulterà attivabile con maggiore facilità. Nel corso dei successivi test di memoria, basterà il solo «odore» per innescare la reazione a cascata che induce il moscerino a fuggire. Nei meccanismi molecolari finalizzati al conseguimento della memoria a medio termine sensibile al freddo, è stato individuato il gene amnesiac che codifica per una proteina molto piccola sintetizzata in due sole cellule nervose connesse ai corpi fungiformi. Questo neuropeptide interviene alla fine del processo, a livello del recettore transmembrana, per attivare l'adenilciclasi ed innalzare la concentrazione dell'cAMP che regola la soglia di eccitazione delle cellule nervose. Quindi, la "memoria a breve termine sensibile al freddo" si fonda sull'innalzamento dell'attività elettrica nei corpi fungiformi mediato da un neuropeptide espresso dal gene amnesiac.

Hitier e coll. (2002) osservano che la trasposizione degli esiti della ricerca dal moscerino all'uomo richiede una certa cautela, passando, come gradino intermedio, al modello costituito dal topo. Infatti i topi resi «difettivi» o knoch-out, possono fornire molte informazioni sulla funzione di tali geni nei mammiferi.
Nel cervello dei mammiferi, e in particolare nell'ippocampo, i recettori NMDA della membrana postsinaptica, hanno un ruolo centrale in un'ampia gamma di processi cognitivi e di memoria, e sono costituiti da quattro subunità proteiche transmembrana che controllano l'ingresso degli ioni calcio nei neuroni. Ciascuna subunità proteica viene codificata da un gene: tre di queste subunità, NR1, NR2A, NR2B, svolgono una significativa attività nei processi di apprendimento e di memoria. Tsien (2000) ha utilizzato una specifica tecnica per ottenere topi knoch-out privi di una della subunità NR1 del recettori NMDA in una regione dell'ippocampo conosciuta come CA1 (vedi Ghirardi e Casadio 2002). Il risultato di questo esperimento è stato che i topi knoch-out hanno perduto la capacità di modificare la forza delle connessioni neuronali nella regione CA1 dell'ippocampo, connessa ad un'anomala rappresentazione dello spazio e una modesta memoria spaziale: non riescono infatti a ricordare la strada giusta per uscire dal labirinto d'acqua di Morris.
In diversi animali (uccelli, roditori e primati) i recettori NMDA degli individui giovani rimangono più aperti di quelli degli individui adulti e per Tsien questo lasciava supporre che tale differenza avrebbe potuto spiegare il fatto che gli animali giovani sono solitamente in grado di imparare più prontamente - e anche a ricordare più a lungo quello che hanno imparato - rispetto agli anziani. Risultava inoltre che con l'aumento dell'età dell'animale, vengono sintetizzati meno recettori NMDA che contengono subunità NR2B, mentre con il tempo cresce la sintesi dei recettori che contengono subunità NR2A. Infine, da studi fatti in laboratorio, ha scoperto che i recettori con le subunità NR2B rimangono aperti più a lungo dei recettori con le subunità NR2A.
Sulla base di tutti questi dati, Tsien ha deciso di verificare la possibilità di aumentare la funzionalità dei recettori NMDA, legando una coppia del gene che regola la produzione della subunità NR2B ad uno speciale frammento di DNA avente funzione di interruttore (che era cioè in grado di aumentare specificatamente la capacità del gene di attivare i processi di sintesi della proteina NR2B nel cervello di un individuo adulto) e quindi di iniettare il complesso molecolare in uova fecondate di topo. Il gene iniettato è stato incorporato nei cromosomi dell'embrione e si svilupparono topi geneticamente modificati, con una coppia in più del gene per la proteina NR2B, attiva solo nel cervello. Lo straordinario risultato è stato che i recettori NMDA dei topi geneticamente modificati potevano rimanere aperti per un tempo quasi doppio rispetto a quello dei topi normali. Inoltre, i neuroni dell'ippocampo di topi adulti geneticamente modificati erano in grado di formare delle connessioni sinaptiche più forti rispetto a quelle costitute dai topi della stessa età: quindi le connessioni dei topi transgenici assomigliavano a quelle dei topi ancora giovani. A questi topi risultati più intelligenti dei topi normali, è stato dato il nome Doogie.
I topi Doogie sono stati messi alla prova per valutare la loro «capacità di riconoscere» (vedi punto 2.2.1.3) un oggetto, uno degli aspetti più basilari della memoria. Dal test di riconoscimento è risultato che questi topi ricordavano gli oggetti familiari per un periodo quattro-cinque volte più lungo dei topi normali. Inoltre si sono dimostrati capaci di imparare presto ad associare una scossa elettrica con il fatto di trovarsi in una particolare gabbietta o con l'udire uno specifico suono. Nell'ambito di questa prova, hanno dimostrato una maggiore velocità prontezza nel test di «apprendimento dell'eliminazione della paura»: questo test prevede il condizionamento dei topi a ricevere una scossa elettrica, quindi gli stessi topi vengono più volte reintrodotti nello stesso ambiente dove sono stati condizionati, ma senza riceve la scossa. I topi Doogie hanno imparavano a non avere più paura dopo solo due ripetizioni, contro le cinque espresse dai topi normali; inoltre hanno appreso più velocemente dei topi normali anche a non temere il suono associato alla scossa elettrica. Nel labirinto d'acqua di Morris, il topo deve ricordare la posizione della piattaforma sommersa nell'acqua torbida, facendo riferimento ad indizi visivi presenti intorno alla vasca. Questo compito richiede il coinvolgimento di molti elementi cognitivi, fra cui capacità analitiche, apprendimento, memoria, nonché la capacità di elaborare strategie. Ancora una volta, i topi Doogie, hanno ottenuto risultati migliori di quelli normali.

Tsien ritiene che nonostante il ruolo centrale dei recettori NMDA in un'ampia gamma di processi cognitivi e di memoria, probabilmente queste molecole non sono le sole ad essere coinvolte; senza dubbio nei prossimo anni ne saranno identificate molte altre, con specifiche funzioni. La scoperta che la manipolazione genetica delle proteine del recettore NMDA produce una differenza così evidente in un intero settore delle capacità intellettive indica che la subunità NR2B potrebbe rappresentare un nuovo bersaglio farmacologico per diversi disturbi della memoria legati all'età e per i pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer. È naturale chiedersi perché questa molecola diminuisca con l'età. Tsien ritiene che la diminuzione di sintesi di NR2B sia un processo di adattamento evolutivo, perché riduce la possibilità che individui vecchi (che presumibilmente si sono già riprodotti) competano con successo con quelli più giovani per le risorse di cibo.

3.3.1. Talenti non comuni
Il caso Shereshevskii, descritto da Lurija (1968), è l'esempio classico dell'individuo dalla "memoria prodigiosa" ma caratterizzata da rievocazioni di informazioni dettagliate ed inutili e di eventi marginali. Il costo della ritenzione perfetta era molto alto: la mente del paziente era così ingombra di ricordi precisi da essere incapace di sintetizzare e generalizzare i fatti da lui vissuti. Shereshevskii è un caso eccezionale ma non è l'unico. Nel 1932 la società radiofonica degli Stati Uniti assunse un «genio del calcolo», il polacco Salo Finkrlstein, divenuto poi oggetto di studio dei psicologi W.A. Bousfield e H. Barry. Quando Finkrlstein calcolava, i numeri gli apparivano come se fossero scritti di suo pugno col gesso su una lavagna. Egli poteva allora spostare i numeri, sommarli, sottrarli e manipolarli, e sulla lavagna gli apparivano i risultati delle sue manipolazioni
Secondo Rose (1994) le persone come Shereshevskii e Finkrlstein hanno quella che si chiama comunemente una memoria fotografica. In realtà le immagini non sono qualcosa di fisso a cui riferirsi, ma sono manipolabili creativamente dal memorizzatore. L'aggettivo tecnico per questo tipo di memoria è eidetica, dal vocabolario greco per «immagine». La memoria eidetica è rara negli adulti, mentre sembra che sia molto più frequente nei bambini piccoli. A quanto pare molti, se non tutti, bambini piccoli, di norma vedono e ricordano eideticamente, ma i più perdono questa capacità crescendo. La memoria stessa è un processo di sviluppo, e fra i nove e i dieci anni la qualità della memoria cambia. Un po' di tempo prima della pubertà, si verifica una transizione in conseguenza della quale i ricordi dell'adulto sono stranamente disarticolati da quelli dell'infanzia. Quella che nei bambini piccoli è evidentemente una capacità generale, diventa negli adulti una rarità degna di nota.
Alcuni individui normali manifestano, sin da bambini, eccezionali capacità mnemoniche, artistiche, e di astrazione. Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791b) è uno dei bambini prodigio più famosi: a tre anni cominciò a conoscere le note al pianoforte e a cinque anni scrisse due minuetti per clavicembalo. Williams James Sidis (1898-1944) fu un bambino estremamente dotato: capace di leggere fin dall'età di due anni, inventò una nuova tavola logaritmica a otto, a 10 anni parlava sei lingue e a undici anni si iscrisse alla Harvard University, dove teneva lezioni di matematica al corpo docente (Winner 1999). Nota è la capacità artistica di una bambina cinese, Wang Yani, che all'età di cinque anni dipingeva con eccezionale perizia, come un adulto. Da bambina produsse (intorno al 1980) una quantità prodigiosa di lavori, arrivando a finirne 4000 in tre anni (Winner 1999). L'idea che l'espansione di alcune aree del cervello conferisca capacità particolari ha avuto molto seguito: gli studi sul cervello di Einstein (1879-1955) hanno messo in evidenza infatti che un'area dedicata alla matematica è risultata così sviluppata da far supporre un processo di annessione di neuroni delle zone limitrofe normalmente dedicate ad altre funzioni (Romeo 2002).
I bambini dotati sono spinti da una sorta di "frenesia di imparare": hanno un profondo interesse per i campi in cui dimostrano grande abilità ed è facile che si concentrino a tal punto su uno di questi (campi) da perdere la percezione del modo esterno. Questi bambini cominciano presto a camminare, a parlare e a leggere prima dell'ingresso a scuola. Studi approfonditi di Mihaly Csikszentmihalyi dell'Università di Chicago[33] hanno dimostrato che questi peculiari bambini tendono ad essere introversi, altamente motivati e a pensare in modo indipendente. Quanto più estremo è il livello del loro talento, tanto maggiore è l'isolamento che essi percepiscono.
Nei bambini dotati la disuniformità del talento è molto comune: eccellenti doti spaziali e matematiche spesso si accompagnano a capacità verbali mediocri o addirittura carenti. Thomas Alva Edison (1876-1913) rappresenta bene il tipo di individuo dotato ma in modo non uniforme. Da bambino aveva una passione ossessiva per la scienza e in particolare per la chimica. In seguito fu un genio prolifico, al punto che ottenne 1093 brevetti per invenzioni che spaziavano dal fonografo alla lampadina a incandescenza. Edison ebbe tuttavia difficoltà di apprendimento, soprattutto nelle aree verbali e probabilmente aveva sintomi di dislessia (vedi: Shaywitz 1997).
L'associazione fra carenze verbali e talento spaziali sembra particolarmente forte negli individui dotati per le arti visive. I casi più estremi di coesistenza di talenti spaziali o matematici e deficit verbali si riscontrano nei pazienti savant (Down 1887)[36]: costoro sono soggetti ritardati (con quoziente di intelligenza [QI] compreso fra 40 e 70 - Treffert e Wallance 2002) e autistici (vedi: Frith 1993; Rodier 2000). Alcuni savant (ne sono noti meno di cento) presentano una o più abilità a livello prodigioso: di solito questi pazienti eccellono nelle arti visive, nella musica o nella fulminea esecuzione dei calcoli. In campo artistico merita citare Alonzo Clemons, affetto da disordini dello sviluppo ma capace di creare perfette repliche in cera di qualunque animale egli abbia visto, per quanto brevemente. Le fusioni in bronzo delle sue statue sono vendute da una galleria d'arte nel Colorado, e gli hanno procurato fama negli Stati Uniti (Treffert e Wallance 2002). Rush [37] ha descritto, già nel 1789, la rapidissima abilità di calcolo di Thomas Fuller, che non era in grado di comprendere la matematica al di là del semplice far di conto. Quando gli fu chiesto "quanti secondi abbia vissuto un uomo di 70 anni, 17 giorni e 12 ore", Fuller rispose esattamente "2.210.500.800" impiegando solo un minuto e mezzo: per arrivare a questo numero ha dovuto tener conto di 17 anni bisestili! Infine Kim Peek un paziente che soffre di disordini dello sviluppo ma per le sue eccezionali capacità mnemoniche ha fornito l'ispirazione del personaggio del celebre film Rain Man. Peek è dotato di una memoria eccezionale: ha memorizzato oltre 7600 libri e sa elencare le strade che conducono a ogni città americana, i loro codici postali e prefissi telefonici, le stazioni televisive che servono ogni strada; inoltre è in grado di identificare la maggior parte delle composizioni di musica classica e sa in che data ogni pezzo è stato pubblicato o eseguito per la prima volta, nonché il luogo e le date di nascita e di morte del compositore. Peek è affetto dalla sindrome del savant e dipende dal padre per le necessità quotidiane (Treffert e Wallance 2002).
I savant tendono ad esibire un'abilità visiva e spaziale altamente sviluppata associata a gravi deficit del linguaggio. Una delle spiegazioni più accreditate di questa sindrome, ipotizza un'organizzazione cerebrale dei pazienti atipica, in cui l'emisfero sinistro, che controlla il linguaggio, presenterebbe deficit compensati dall'emisfero destro che controlla le abilità visive e spaziali. Brink[38]ha descritto un bambino che è diventato muto, sordo ed emiplegico sul lato destro del corpo a causa di un danno da proiettile all'emisfero sinistro. Dopo questo fatto, ha cominciato a manifestare insolite abilità meccaniche: era in grado di riparare biciclette con un complesso sistema di rapporti e di congegnare piccole invenzioni. Uno studio pneumoencefalografico (Treffert e Wallance 2002) ha evidenziato danni all'emisfero sinistro in 15 dei 17 pazienti autistici: quattro di loro erano savant. Il fatto che molti savant siano stati neonati prematuri, concorda con questa idea di un danno postnatale all'emisfero sinistro e conseguente compensazione sul lato destro (Winner 1999). Questa conclusione coincide con le ricerche sperimentali eseguite sulla plasticità della corteccia visiva del gatto (Hubel e Wiesel 1970) e della corteccia somatosensitiva dell'aoto e del ratto (Benedetti 1992; Mirabella 2000). Mishkin[39] ha ipotizzato che alla memoria sono associati diversi circuiti nervosi, fra i quali il circuito corticolimbico di altro livello per la memoria cognitiva e il circuito corticostiatale di livello più basso per la memoria procedurale. La memoria dei savant sembra che sia di quest'ultimo tipo. Gli stessi fattori che provocano lesioni dell'emisfero sinistro potrebbero intervenire anche nel danneggiare i circuiti della memoria cognitiva. Come conseguenza, il sistema nervoso centrale dei savant si affiderebbe ai circuiti più primitivi, ma intatti, della memoria procedurale (Treffert e Wallance 2002).

4. Appendice

Elenco delle "Note" inserite nel testo

1. La cellula nervosa o neurone è formata da un corpo cellulare o pirenoforo, da cui partono numerose propaggini dette dendriti e da un lungo prolungamento detto assone, che a sua volta si suddivide in numerose terminazioni sinaptiche. Ogni terminazione sinaptica o sinapsi è delimitata dalla membrana cellulare e nel citoplasma comprende numerose vescicole (dette vescicole sinaptiche) a loro volta contenenti un neurotrasmettitore, come ad esempio l'acetilcolina.
La terminazione sinaptica (del neurone A o neurone presinaptico) può prendere rapporto con i dendriti, con il pirenoforo o con l'assone di un altro neurone (neurone B o neurone postsinaptico o con il corpo di una cellula non nervosa di un muscolare o di una ghiandola). Nelle zone di contatto intercellulare o sinapsi, la membrana cellulare del neurone A viene chiamata membrana presinaptica e la membrana cellulare del neurone B viene chiamata membrana postsinaptica. Lo spazio extracellurare fra le due membrane viene detto fessura sinaptica.
Quando lo stimolo nervoso passa attraverso la sinapsi,, dal neurone A al neurone B, le vescicole sinaptiche del neurone A aderiscono alla membrana presinaptica e con un processo di esocitosi, versano l'acetilcolina nella fessura sinaptica. Il neurotrasmettitore eccitata la membrana postsinaptica del neurone B. Nella fessura sinaptica è presente l'enzima acetilcolinesterasi che gradua l'eccitazione della membrana postsinaptica, scindendo una parte dell'acetilcolina in acetato e colina.

2. A questo proposito Mishkin e Appenzeller (1997) hanno definito che il sistema visivo elabora l'informazione lungo due vie (superiore ed inferiore) nella corteccia cerebrale. L'elaborazione iniziale dell'informazione (che arriva alla retina attraverso il corpo genicolato laterale - vedi Truex e Carpenter 1969, pag 469) avviene nel punto di partenza di queste vie, la corteccia striata. Qui i singoli neuroni rispondono a elementi semplici, che occupano uno spazio limitato del campo visivo, come contorni o macchie di colore. Lungo la via inferiore i neuroni analizzano le proprietà macroscopiche di un oggetto, la sua forma globale o il colore. Nel tratto finale di questa via - che corrisponde alla corteccia temporale inferiore, i singoli neuroni seno sensibili a un gran numero di proprietà e a un vasto campo visivo - ciò suggerisce che proprio lì debba convergere l'informazione, elaborata nella sua completezza, relativa ad un oggetto. Lungo la via superiore, vengono analizzati i rapporti spaziali di una scena. La percezione della posizione di un oggetto rispetto ad altri punti di riferimento del campo visivo si formerebbe, per esempio, nella stazione terminale della via «spaziale», che è localizzata nella corteccia parietale posteriore.

3. L'arco riflesso, nell'organizzazione più semplice, è teoricamente (Mazzi e Fasolo 1977) rappresentato da un neurone sensitivo (o recettore) specializzato nel trasformare (trasduzione) lo stimolo ambientale (ad es.: una puntura sulla pelle) in un impulso nervoso da trasmettere a un neurone motore (o neurone effettore) che a sua volta attiva (eccita) un organo effettore (come un muscolo o una ghiandola). I due neuroni dell'arco riflesso semplice sono connessi tramite una sinapsi (riflesso monosinaptico - Mazzi e Fasolo 1977; Gordon 1984). L'arco riflesso diviene complesso, quando fra i due neuroni sono interposti da uno a più interneuroni. Pertanto l'eccitazione di più recettori può attivare un solo organo effettore, come pure, l'eccitazione di pochi recettori può attivare più organi effettori (Eibl-Eibesfeldt 1976).
Per recettore si può intendere sia un neurone sensitivo che con una o più estremità dendritiche riceve direttamente gli stimoli dalla superficie periferica esterna o interna del corpo oppure una o più cellule periferiche riunite in un organo sensitivo [ad es.: un bottone gustativo] che sono in rapporto sinaptico con l'estremità dendritiche di uno o più neuroni sensitivi. Il recettore di ogni arco riflesso è geneticamente preposto al riconoscimento di uno specifico stimolo periferico [ad es.: riconoscimento delle particelle chimiche del sapore da parte delle cellule sensitive del bottone gustativo]: di conseguenza la risposta riflessa del neurone [o della catena dei neuroni] e dell'organo effettore [ghiandola salivare] è obbligatoriamente determinata (ad es.: la salivazione prodotta dalla ghiandola omonima). Lo stimolo che provoca la risposta riflessa viene chiamato stimolo incondizionato (SI) e la risposta viene definita risposta incondizionata (RI). Questo modello di risposta automatica allo stimolo viene definito riflesso incondizionato.
Se [in via sperimentale] allo stimolo incondizionato A [ad es.: la illuminazione diretta di un occhio, induce il restringimento della pupilla, oppure un soffio d'aria sull'occhio] viene contemporaneamente associato un altro stimolo B [come il suono di un campanello] ripetuto più volte, lo stimolo B alla fine acquista il potere di produrre la risposta [restringimento della pupilla, oppure l'estensione della membrana nittitante] anche in assenza dello stimolo A. Lo stimolo B viene chiamato stimolo condizionato (SC) e la risposta appresa viene definita risposta condizionata (RC). Questo modello di apprendimento viene chiamato condizionamento classico o riflesso condizionato.
Se fra due stimoli (accensione di una luce e somministrazione di un a debole scarica elettrica) viene associato un elemento dipendente dalla risposta dell'organismo (abbassare una leva), l'animale impara a ricevere una ricompensa (evitare la scarica elettrica). Quando l'animale impara ad evitale la punizione (la scarica elettrica) si ha un rinforzo positivo nel suo apprendimento e aumenta la frequenza delle sue risposte positive. Questo modello di apprendimento viene definito condizionamento strumentale.

4. L'occhio dei vertebrati terrestri è protetto da due spesse palpebre, superiore ed inferiore, mobili e da una terza palpebra trasparente, la membrana nittitante (dal latino, nictare = sbattere le palpebre). Questa membrana è normalmente retratta nell'angolo mediano dell'occhio, nel punto d'incontro delle palpebre superiore e inferiore, ma può essere spostata con movimenti molto rapidi sulla superficie della cornea (Mazzi e Fasolo 1977; Alkon 1989; Liem et al. 2002) per attività di un muscolo (retractor bulbi negli Anfibi) innervato dal nervo abducente (VI paio dei nervi cranici) che ha origine dal nucleo omonimo situato nella colonna somatomotrice (mediale) del tronco cerebrale. Gli stimoli convogliati dalla radice discendente del nervo trigemino (V paio dei nervi cranici) provenienti dalla cute della faccia, della congiuntiva e della sclerotica dell'occhio, scatenano il riflesso motorio della membrana nittitante. Nei Mammiferi il nucleo della radice discendente del trigemino, si differenza nei nuclei orale, interpolare e caudale. I tre nuclei proiettano fibre che afferiscono al nucleo posteromediale ventrale del talamo controlaterale; inoltre i nuclei orale e interpolare proiettano fibre alla sostanza reticolare e il nucleo interpolare proietta direttamente nel cervelletto tramite il peduncolo inferiore del cervelletto.

5. La citoarchitettonica del cervelletto si è venuta complicando nel corso dell'evoluzione dei Vertebrati. Nei Mammiferi il cervelletto è formato da un numero variabile di lamelle, ognuna delle quali, in genere, è compresa in un piano perpendicolare all'asse dell'encefalo. La lamella è l'unità strutturale del cervelletto, nella quale si riconosce una corteccia grigia superficiale e una sostanza bianca profonda nella quale sono contenute bilateralmente i nuclei propri del cervelletto.
Il cervelletto dei Mammiferi è caratterizzato dalle A) cellule di Purkinje, ciascuna delle quali prendono rapporto, tramite i loro dendriti, con una sola delle fibre rampicanti provenienti dal complesso nucleare olivare inferiore (Mazzi e Fasolo 1977) e in particolare dall'oliva dorsale accessoria (Heck e Sultan 2002), e dalle B) cellule dei granuli che prendono rapporto con le fibre muscoidi che originano da neuroni situati nel ponte e in vari siti del tronco cerebrale (Squire e Kandel 2002b), quali quelli della sostanza reticolare (altri tipi di cellule del cervelletto sono: le cellule dei canestri, le cellule di Golgi e le cellule stellate che contraggono importanti rapporti sinaptici con le fibre rampicanti, con le fibre muscoidi e con la cellula di Purkinje - Mazzi e Fasolo 1977; Heck e Sultan 2002)).
Lo strato grigio cerebellare della lamella comprende tre stati che, procedendo dalla superficie verso l'interno, sono: strato molecolare, strato delle cellule di Purkinje e strato dei granuli. Nella sostanza bianca si trovano i nuclei profondi del cervelletto sono: il n. laterale, il n. interposito e il n. mediale (nell'uomo il nucleo laterale corrisponde al nucleo dentato e il nucleo interposito ai nuclei emboliforme e globoso - Mazzi e Fasolo 1977). Nell'uomo, le cellule di Purkinje sono disposte rigorosamente in un solo strato lungo la superficie di confine fra gli strati molecolare e dei granuli, distanziate l'un l'altra di una cinquantina di micrometri. I dendriti di ogni cellula di Purkinje si ramificano nello strato molecolare, e hanno una tipica disposizione "a spalliera": questo ventaglio dendritico é orientato nella direzione trasversa alla lamella. Anche l'assone della cellula dei granuli si estende nello strato molecolare e si biforca a forma di T e i due rami opposti decorrono parallelamente ai solchi che delimitano la lamella. Questi rami, chiamati fibre parallele, si assiepano con una densità tale che in una sezione trasversale della lamella si trovano sei milioni di fibre per millimetro quadrato. Ciascuna fibra ha una traiettoria di due o tre millimetri e attraversa i ventagli dendritici di alcune cellule di Purkinje stabilendo un elevato numero di successivi contatti sinaptici. Ne deriva che, data la elevata densità delle fibre parallele, i dendriti di ogni cellula di Purkinje contraggono rapporti sinaptici con le fibre parallele appartenenti a varie cellule dei granuli. Tuttavia le fibre parallele sono molto corte, pertanto ogni cellula di Purkinje risente l'influenza delle cellule dei granuli situate a pochi millimetri di distanza (Heck e Sultan 2002).

6. Il nucleo rosso dei Mammiferi rappresenta una importante stazione relè fra il cervelletto, corteccia cerebrale e sistemi effettori bulbari e spinali. La sostanza reticolare, un complesso di nuclei che si estende dal mesencefalo al bulbo spinale, costituisce il più importante sistema di collegamento fra centri di integrazione encefalici e motoneuroni spinali. Il sistema reticolare ha un significativo ruolo non solo nella coordinazione motoria, ma anche nella rielaborazione di impulsi destinati a regolare le attività generali del sistema nervoso. Dai neuroni della sostanza reticolare si originano le vie reticolocerebellari, ascendente e discendente. La via reticolocerebellare ascendente prende origine dalle zone bulbari laterali e da alcuni nuclei profondi e giunge al cervelletto (verme e zone emisferiche) attraverso il peduncolo cerebellare posteriore (Truex e Carpenter 1969; Mazzi e Fasolo 1977). Nel bulbo ha anche sede il complesso nucleare olivare inferiore rappresentato dal nucleo olivare principale inferiore, dal nucleo olivare mediale accessorio e dal nucleo olivare dorsale accessorio (denominato oliva dorsale accessoria). I tre nuclei del complesso inviano afferenze alla sede opposta del cervelletto costituendo un sistema di fibre olivocerebellari. Il fascio di fibre olivocerebellari efferenti dal nucleo olivare inferiore, per entrare nel peduncolo cerebellare inferiore, attraversano la sostanza reticolare (Truex e Carpenter 1969).

7. Il neurone è una cellula nervosa funzionalmente polarizzata, ovvero l'impulso elettrico attivato da uno stimolo si muove lungo la membrana plasmatica nella direzione dendriti-pirenoforo-assone-terminazioni sinaptiche.
La concentrazione extracellulare dello ione sodio è 10 volte superiore a quella dello stesso ione nel citoplasma (o neuroplasma) del neurone. La concentrazione degli ioni potassio nel neuroplasma è invece 10 volte superiore a quella extracellulare. Una proteina integrale della membrana plasmatica del neurone si comporta come una pompa che continuamente scambia gli ioni sodio presenti nel neuroplasma con gli ioni potassio dei liquidi esterni al neurone. La membrana plasmatica di un neurone di grandezza media contiene circa un milione di pompe sodio. La differenza nelle concentrazioni degli ioni sodio (Na+) e potassio (K+) all'esterno e all'interno del neurone danno origine ad un potenziale di riposo cioè ad una differenza di potenziale fra l'esterno e l'interno del neurone di circa -70 millivot. In condizioni di riposo (in assenza di conduzione nervosa) la membrana plasmatica del neurone è praticamente impermeabile agli ioni Na+ mentre gli ioni K+ possono fuoriuscire attraverso pori che ne permettono il passaggio. Questo flusso di ioni K+ verso l'esterno provoca un deficit di cariche positive sulla superficie interna della membrana plasmatica e ciò crea la differenza di potenziale fra l'esterno e l'interno del neurone.
La trasmissione di un impulso nervoso coincide con una modificazione temporanea della permeabilità della membrana plasmatica nei confronti degli ioni sodio e potassio. Durante la propagazione di un impulso si ha il movimento degli ioni Na+ e K+ attraverso altri due tipi di proteine della membrana plasmatica note come canali del sodio e del potassio. Il passaggio di un impulso elettrico lungo la superficie del neurone induce una modificazione della conformazione delle molecole delle due proteine verso la posizione aperta dei due canali (canali a controllo di potenziale).
Un impulso nervoso inizia con una lieve riduzione del potenziale negativo o depolarizzazione a livello dell'inizio dell'assone che provoca l'apertura di alcuni canali del Na+ che a sua volta provoca un'ulteriore depolarizzazione con l'apertura di altri canali del Na+.. Il flusso del Na+ accelera finché una piccola e delimitata zona interna della membrana acquista carica positiva. Quest'ultimo evento determina una inversione di voltaggio che provoca la chiusura dei canali del sodio e l'apertura dei canali del potassio: la fuoriuscita degli ioni K+ riporta rapidamente il voltaggio di quella zona all'originale valore negativo del potenziale di riposo. L'apertura e la chiusura dei due canali a controllo di potenziale si estende lungo tutta la membrana plasmatica e la rapida inversione di voltaggio (detta potenziale d'azione) si propaga lungo la membrana plasmatica fino alle terminazioni sinaptiche dell'assone (Luria et al. 1984).
Nella terminazione sinaptica, il potenziale d'azione induce l'apertura dei canali a controllo di potenziale per lo ione calcio. Il Ca2+, penetrando nel citoplasma, agisce da regolatore della fusione della membrana della vescicole sinaptiche con la membrana presinaptica. Questo processo detto di esocitosi, consente la liberazione del neurotrasmettitore nella fessura sinaptica in specifiche zone della membrana presinaptica topologicamente corrispondenti a quelle dei recettori del neurotrasmettitore situati nella membrana postsinaptica di un altro neurone. L'azione del Ca2+ è regolata dagli ioni K+: lo ione potassio rientrando nel citoplasma riduce il potenziale d'azione della membrana plasmatica della terminazione sinaptica, attiva la chiusura dei canali del Ca2+ e di conseguenza si riduce l'emissione del neurotrasmettitore.
Il legame fra il neurotrasmettitore e il recettore specifico della membrana postsinaptica comporta in quest'ultimo un cambiamento conformazionale che determina l'apertura dei canali sodio e potassio presenti all'interno dello stesso recettore (vedi Alberts et al. 1991, pag. 1280). Dal momento che questi canali si aprono per legame con le molecole del neurotrasmettitore si dice che i canali sono azionati chimicamente, a differenza dei canali dell'assone che sono azionati elettricamente. In seguito al flusso di ioni Na+ la membrana postsinaptica si depolarizza e su questa superficie cellulare (di un altro neurone, o di una cellula muscolare , etc.) si attiva un nuovo impulso elettrico, detto potenziale postsinaptico o PSP.

8. Il DNA (acido desossiribonucleico) dei cromosomi è una molecola formata da due filamenti complementari. Nei batteri la molecola del DNA non si associa a proteine e forma un unico "cromosoma" circolare. Negli Euteri, la molecola del DNA si associa a proteine ed è suddivisa nei cromosomi generalmente a forma di bastoncello: il numero dei cromosomi è specie specifico. Ogni filamento è costituito da una variabile sequenza di 4 nucleotidi (A adenina, C citosina, G guanina e T timina). Nel punto dove in uno dei due filamenti vi è il nucleotide G, nello stesso punto dell'altro filamento vi è il nucleotide C, e ugualmente al nucleotide A di un filamento corrisponde il nucleotide T dell'altro filamento. Il gene corrisponde ad una specifica sequenza di nucleotidi, disposta lungo ciascun filamento della molecola del DNA. L'informazione genetica è quindi contenuta in codice nella sequenza di nucleotidi che costituisce ciascun gene.
Durante il ciclo vitale della cellula, le sequenze di nucleotidi complementari si separano a) totalmente o b) in uno o più punti della molecola. Nel caso a) ogni filamento per azione di un enzima (DNA-polimerasi) stampa un nuovo filamento complementare di DNA (replicazione del DNA). Nel caso b) uno dei due filamenti, per azione di un enzima (RNA-polimerasi) stampa un filamento di RNA messaggero (mRNA o acido ribonucleico messaggero) formato da una sequenza complementare di nucleotidi a quella del DNA con la differenza che al posto della timina (T) vi è l'uracile (U) che si accoppia con l'adenina (A) (trascrizione del DNA). Specifiche sequenze del DNA stampano filamenti complementari per l'RNA transfer (tRNA) e per l'RNA ribosomiale (rRNA).
La molecola del mRNA nel citoplasma viene ordinatamente letta da differenti molecole di tRNA ciascuna delle quali è associata ad uno dei 20 amminoacidi citoplasmatici. La lettura avviene mentre l'mRNA scorre lungo il ribosoma (organello citoplasmatico): in questa sede citoplasmatica l'informazione genetica di una specifico punto della molecola DNA stampata sull'mRNA, viene tradotta in una corrispondente sequenza di amminoacidi che vengono singolarmente associati (dall'enzima peptidiltransferasi) per la sintesi di una specifica molecola proteica (traduzione del DNA). La molecola del mRNA può anche operare la traduzione inversa, ovvero presiedere alla sintesi di un filamento complementare di DNA (Alberts et al. 1999). I fattori di trascrizione sono molecole proteiche del nucleo che controllano la trascrizione dell'informazione di un gene contenuta in una sequenza nucleotidica del DNA in una del mRNA, che a sua volta si traduce nella sintesi di una specifica molecola proteica.
Nella maggior parte dei geni delle cellule eucariote (ovvero che hanno il nucleo) la sequenza di nucleotidi codificante (una proteina) è interrotta da sequenze di nucleotidi non codificanti dette introni. I pezzi sparsi della sequenza codificante, detti esoni, sono più corti degli introni e in un gene la parte codificante costituisce spesso solo una modesta frazione della lunghezza totale.
Ogni cromosoma di una cellula aploide contiene un gruppo distinto di geni. Il genoma diploide contiene due coppie della maggior parte di tutti cromosomi. Le due coppie di uno stesso cromosoma contengono gli stessi geni. Quest'ultimi però possono essere pre4senti in versioni diverse, con distinte sequenze nucleotidiche DNA: le diverse versioni di uno stesso gene sono chiamate alleli (Wolfe 1996, pag. 554).

9. Secondo Hebb, nei Vertebrati, quando un neurone ne eccita un altro, si producono modificazioni metaboliche in una o in entrambe le cellule, in modo che aumenta l'efficienza della prima nell'attivazione della seconda. In questo quadro funzionale Hebb propose il principio di convergenza sincrona, ovvero due neuroni o sistemi che ripetutamente si mostrino attivi al tempo stesso, tenderanno a divenire associati, in modo che l'attività dell'uno faciliti quello dell'altro (Fuster 1998).

10. Subito prima della registrazione, le vibrisse appaiate D2 e D3 sono state accorciate in modo da essere lunghe come quelle tagliate tre giorni prima. Durante l'esperimento le vibrisse sono state stimolate con un dispositivo che le deflette sempre nello stesso modo.

11. Questa modalità di registrazione, detta voltage-clamp, consente di mantenere fisso il potenziale della membrana e di misurare correttamente le correnti ioniche. Mantenendo la membrana postsinaptica a potenziali diversi risulta che la corrente NMDA è sempre molto più lenta della corrente non-NMDA; inoltre la corrente NMDA è relativamente piccola a potenziali negativi, e cresce quando si depolarizza la membrana cellulare postsinaptica. Viceversa, la corrente non-NMDA [determinata dal flusso nel canale di ioni sodio e potassio ma non calcio] è molto più ampia a potenziali negativi e diminuisce depolarizzando la membrana.

12. In presenza di grandi quantità di glutammato, l'apertura dei canali NMDA può provocare danni neurologici. La distruzione dei neuroni durante l'ictus cerebrale potrebbe essere il risultato di una cascata del glutammato. La sollecitazione di questi canali legata alla maggior frequenza di scarica, causata dalla stimolazione a opera del glutammato, finisce per uccidere le cellule nervose - (Zivin e Choi 1991; Snyder e Bredt 1992).

13. Nella definizione di volume transmission è inclusa la trasmissione parasimpatica [a breve distanza], paracrina [a distanza intermedia] ed endocrina-simile [a lunga distanza] che, come vettore , utilizza il liquido cerebrospinale.

14. Sintaxina come commutatore molecolare: una molecola che permette di modificare i collegamenti tra i componenti di un circuito neuronale, escludendone alcuni ed includendone altri o combinando in modo diverso i collegamenti reciproci.


Elenco degli "studiosi" citati nelle pubblicazioni degli autori riportati in Bibliografia

1) Fuster, Kubota e Niki, cit. da Goldman-Rakic, 1992.
2) Tulving, Squire, Schacter, cit. da Cestari e Brambilla, 2001.
3) Cohen e Schacter, cit. da Kandel e Hawkins, 1992.
4) Bachevalier e Parkinson, cit. da Mishkin e Appenzeller, 1987.
5) Murray cit. da Mishkin e Appenzeller, 1987.
6) Murray e Mishkin, cit. da Mishkin e Appenzeller, 1987.
7) Parkinsn, cit. da Mishkin e Appenzeller, 1987.
8) Pohl, cit. da Mishkin e Appenzeller, 1987.
9) Ungerleider, cit. da Mishkin e Appenzeller, 1987
10) Brenda Milner, cit. da Mishkin e Appenzeller, 1987; Rose, 1994; Damasio, 2000; Cestari e Brambilla, 2001;
Schacter, 2001; Squire e Kandel 2002a; Laroche, 2002.
11) Packard e Hirsh, cit. da Squire e Kandel, 2002b.
12) Squire e Knowlton, cit. da Squire e Kandel, 2002b.
13) Schultz ,cit. da Squire e Kandel ,2002b.
14) Squire e Cohen (1980), cit. da Squire e Kandel, 2002b.
15) Bery e Broadbent, cit. da Squire e Kandel, 2002b.
16) Cave e Squire, cit. da Squire e Kandel, 2002a.
17) Mishkin (in collaborazione con Aggleton), cit. da Mishkin e Appenzeller, 1987.
18) Bachevalier, cit. da Mishkin e Appenzeller, 1987.
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Roma 19 febbraio 2003


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