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A. M. P.
SEMINARI 2002 - 2003
Maria Antonia Ferrante

Scritto sulla pietra. L'organizzazione di un gruppo umano nell'età del ferro



Il Neolitico, Età della pietra levigata e dell’avvento dell’agricoltura, sebbene segni un evento rivoluzionario quale lo stanziarsi di gruppi umani nei villaggi autosufficienti, in quanto la semina e l’allevamento del bestiame domestico provvedono a soddisfare i bisogni alimentari senza che sia più necessario lo spostamento da un’area all’altra, non genera ancora nessuna differenziazione di ordine sociale. Nel villaggio neolitico, tutti sono uguali; potrebbe differenziarsi dagli altri, al limite, il saggio, il cerimoniere, il sacerdote dei riti.
L’Età dei metalli ha inizio con l’uso del rame; questa è detta Età eneolitica. A questa Età fa seguito quella del Bronzo ed infine, quella del Ferro. Il passaggio dall’una all’altra età è graduale, lento. Nell’Età del Ferro, che qui ci riguarda,il bronzo continua a dominare sulla scena della produzione di oggetti di vario genere. Ma l’ultima Età dei metalli, per l’appunto quella del Ferro, è oltremodo interessante in quanto, ancor più dell’età precedente, marca e sottolinea la differenziazione di stato fra i gruppi umani. Le diverse Età della Preistoria, della Protostoria e della Storia non iniziano e non si concludono contemporaneamente in tutte le aree del globo. Dove iniziano prima, dove iniziano più tardivamente, dove declinano, dove ancora permangono. Ogni Età, inoltre, si stempera lentamente in quella successiva permanendovi anche a lungo o definitivamente, anche se la successiva diventa dominante.
Una legittima domanda, una volta che si è detto che le Età dei metalli avviano la differenziazione sociale e il conformarsi di nuclei protourbani è la seguente: da dove desumiamo tutto ciò? Lo desumiamo dall’analisi del corredo tombale. Nelle Età dei metalli le tombe di coloro che possono permetterselo, i ricchi, in definitiva, sono dei veri contenitori di opere di bronzo o di ferr: dagli oggetti di ornamento, alle armi, a suppellettili varie ritenute indispensabili per un confortevole viaggio nell’Aldilà.
Quella del Ferro è Età protostorica. Dove si sviluppa primariamente,in Medio Oriente, vi è già la Scrittura, perciò siamo per quelle aree, già nella Storia.
Sembra che l’Età del Ferro abbia avuto inizio nel XV secolo a.C.e che si sia propagata dal Medio Oriente verso la Grecia e nel Bacino del Mediterraneo, subito dopo. Nell’area che sarà studio di questa relazione sembra che vi sia giunta intorno al IX secolo .Le stele daunie, di cui vi parlerò, sarebbero fiorite fra l’VIII e Il VI secolo.
Le stele in argomento sono dette daunie perché derivano il loro aggettivo da Dauno, figlio di Licaone, re della Daunia e dell’Apulia e padre di Turno. Il mito narra che presso Dauno si rifugiò Diomede che ne sposò la figlia, Enippe, disgustato del tradimento della propria moglie. Il termine stele indica un segnacolo, posto sul terreno, che segnala, per l’appunto, la presenza di qualcosa che è stata interrata. Tuttavia, quasi sempre, la stele indica la presenza di una tomba.
Le nostre stele, alla loro epoca, erano disseminate, in grandissimo numero, nella piana di Siponto, vicinissima all’attuale Manfredonia, nel Gargano sud-orientale, zona, a quel tempo, paludosa. La loro scoperta è piuttosto recente. Negli Anni Sessanta, un’archeologa, in transito in quella zona, si accorse dell’esistenza di frammenti di pietra calcarea, scolpiti ed incisi, che destarono il suo interesse. Comunicò l’evento all’archeologo toscano Emilio Ferri che non perdette tempo a venire a Manfredonia per esaminare i reperti Grande fu la sua sorpresa e la gioia, in quanto capì di trovarsi di fronte ad una scoperta eccezionalissima. Recuperò più di tremila pezzi, fra stele integre e stele frammentate. Oggi si trovano nel castello angioino aragonese di Manfredonia, divenuto museo

DESCRIZIONE FORMALE DELLE STELE

Le stele daunie sono state ricavate da pietra calcarea delle falde del Gargano, pietra facilmente lavorabile. E’ probabile che all’epoca esistessero già delle botteghe artigianali e che i lapicidi lavorassero per commissione, segno di una eccellente organizzazione del gruppo che ha dato vita ad una così vasta e ricca necropoli. La misura, in altezza, delle stele, varia dai 40 ai 150 centimetri. Le stele sono lavorate con escissioni, incisioni e graffito, su quattro delle loro facce, essendo, quella di base, infossata nel terreno Il villaggio, o i villaggi, dove i vivi provvedevano ai loro mort,i non dovevano essere lontani dalla zona cemiteriale Le capanne abitative dovevano essere, più o meno, come quella, qui presentata, che è stata ricostruita in una località periferica di Roma, Fidene, abitata durante l’Età del Ferro. E’ stato accertato che i lapicidi, gli artigiani-artisti che hanno lavorato sulle stele, usassero compassi, squadre e righelli.

ASPETTI ORNAMENTALI DELLE STELE

Nell’opera d’arte di ogni tempo, l’ornamento, che molto spesso sfugge allo sguardo del fruitore dell’opera, intento al contenuto, è di grande importanza. “La cornice”, così si può definire l’ornamento, arricchisce e completa il contenuto saliente dell’opera.
Nel nostro caso si nota che l’ornamento delle stele è vario e abbastanza dominante, ha un suo senso. Già in Età neolitica molti segni geometrici, quali la croce, la svastica, il meandro, la spirale e il cerchio erano molto diffusi, fungendo come segni equivalenti a quelli utilizzati,poi, nell’organizzazione linguistica. Ogni segno aveva una sua precisa significazione che purtroppo non è sempre facile tradurre. Tali segni sono rimasti nelle Età dei metalli fregiando il vasellame, gli oggetti di ornamento, le armi ed anche le abitazioni. Se andate a vedere la ricostruita capanna di Fidene vedrete incisi sulle pareti della capanna circolare: svastiche, croci meandri.
Sulle stele daunie il fregio usato in maniera esasperata è il cerchio segnato da un punto centrale. Quando vedrete i lucidi che ho portato, vi renderete conto che questo segno, non solo è elemento ornamentale, ma si ritrova sia sulle figure umane, sia sulle figure degli animali incisi sulle stele.
Nell’Età del Bronzo le deità ctonie, fra le quali la Grande Dea Madre, sebbene non scompaiano , continuando a svolgere il ruolo loro assegnato, cedono il passo alle deità celesti. L’uomo alza gli occhi verso il cielo e prende coscienza del Sole, dell’astro senza il quale la Grande Madre Terra non potrebbe vivere. Nell’Età del Bronzo Medio, il culto del Disco Solare è dominante. Il cerchio con il puntino centrale si ritrova dovunque, soprattutto sugli oggetti metallici. Nell’Età del Ferro il culto del Sole permane accanto agli altri dei del pantheon che già in questo periodo, in Asia Minore e in Greci ed in tutto il bacino mediterraneo, si concretizza in figure di dei dall’aspetto umano: Hera, Persefone, Semele, Attis, Adone, Dioniso, Orfeo e Mitra, successivamente.

Le stele daunie rappresentano il defunto così come era prima del seppellimento. L’abito è molto ricco, è una lunga tunica ricamata che giunge fino ai piedi. Poiché le stele si dividono in stele maschili ed in stele femminili, osserviamo l’abbigliamento delle prime. Tutto fa supporre, soprattutto il particolare copricapo, che ci troviamo di fronte ad un gruppo di defunti di notevole importanza; forse una casta di guerrieri o di dignitari; forse, anche, di sacerdoti e delle loro mogli o di sacerdotesse. L’assetto corporeo del defunto è uguale all’assetto che oggi noi facciamo assumere ai nostri morti: corpo supino, disteso e braccia incrociate sul petto.
La stele maschile è ornata di un pettorale dal quale pendono dei sonagli dei quali vi parlerò subito dopo. Le mani sono inguantate e sulle braccia ci sono i segni geometrici di cui vi ho parlato, forse dei tatuaggi o dei ricami della veste che designano l’appartenenza ad una specifica casta. Dalla cintura, dalla quale pende la spada inguainata, perciò inoffensiva, pendono anche molti sonagli.
La parte posteriore della stele è arricchita dallo scudo. Grande la varietà della decorazione degli stessi. Ciò ha indotto alcuni archeologi ad interpretare il significato di tale decorazione, ma non sono riuscita a reperire le pubblicazioni fatte a questo riguardo.
Le stele femminili, in numero notevolmente maggiore rispetto a quelle maschili, mostrano una treccia che finisce con un particolare fermaglio, forse anche qui ci troviamo di fronte a degli strumenti sonori. Esasperato il cerchietto con il puntino. Le stele femminili presentano ricche collane, sia nella facciata anteriore, sia su quella posteriore. Il ricco mantello è fissato con una, ma anche con due fibule di diversa foggia, dalle quali pendono gli stessi sonagli. La posizione supina, le braccia e le mani inguantate sono le stesse delle stele maschili.

ANALISI INTERPRETATIVA DELLE RAFFIGURAZIONI PRESENTI NEGLI SPAZI DELLA STELE LASCIATI LIBERI DALLE ALTRE INCISIONI. ANALISI DI DUE LIVELLI: LIVELLO DELLA SIMBOLOGIA QUOTIDINA E LIVLLO DELLA SIMBOLOGIA SPIRITULE.

Il lapicida, con i suoi strumenti ha raccontato la vita quotidiana del gruppo umano di cui, a meno che non venisse da lontano, faceva parte. Sono le pagine di un libro di pietra sul quale si legge come vivessero, giorno dopo giorno i Dauni di questo periodo. Sembra che la loro vita fosse tranquilla, muovendosi, gli stessi, con le barchetta sulle placide acque della laguna; pescando, cacciando uccelli acquatici,tessendo, macinando i semi raccolti, andando ad attingere acqua, chiacchierando del più e del meno.
Ma, fra queste scene sono inserite, senza che ci sia cesura, le scene riferibili alla vita spirituale dei Dauni, alle loro credenze, alla loro religione ed alle modalità attraverso le quali venivano manifestati i riti relativi a questa sfera della quotidianità.
Il colore e il rumore, ben diverso questo ultimo, dal suono, sebbene rientri nei suoni, qui sono fortemente simbolici. I Dauni hanno fatto uso, per le loro stele, di due colori fondamentali, attualmente appena percepibile su qualche stele: il rosso e il nero, senza nessuna sfumatura; colori netti, qualche volta abbinati al giallo. Il rosso per le scene di vita, il nero per le scene di morte.
Il rumore è legato alla cerimonia funebre, al momento del trapasso, evento capitale: La Passione, il Pathos,è attimo culminante prima dell’accesso all’Ade, al Mondo degli Inferi. Suoni di cembali (guardiamo i tanti dischi scolpiti sulle stele ), di sistri, di raganelle, di diàuli, di scrotali, di tamburelli, di lire, eccÉaccompagnavano il rito. E qui inizia la parte saliente del presente scritto.
L’epoca qui trattata è epoca viva, periodo in cui i già affermati scambi materiali, ideologici e culturali fra aree geografica lontanissime fra loro, migliorano e si perfezionano. Modelli comportamentali, modelli tecnologici, modelli cultuali, miti e leggende viaggiano da un mare all’altro portati dalle ondate migratorie di individui che assumono culture altre da sé, ma che depongono nei nuovi siti, le loro culture.
In terra dauna giungono le storie, cantate dai rapsodi, della guerra di Troia, già nell’VIII sec .a .C .Giunge il mito di Attis, di Adone, di Orfeo, soprattutto, e di Dioniso, il cui nome si traduce con “colui che strepita”. Giungono i miti di Persefone, di Semele: Si conoscono già le funzioni dei riti orfici e dionisiaci, questi ultimi costituiti da danze frenetiche, da vere orgie culminanti, spesso, nell’omofagia. Perché mangiare la carne che rappresenta il Dio smembrato significa entrare in comunione con lui. Sembra che i Dauni fossero particolarmente devoti ad Orfeo.Sembra che i defunti rappresentati sulle stele fossero gli appartenenti di un gruppo che, piuttosto ai margini della religione comune agli altri, di quella religione definibile “ di Stato”, praticassero i loro riti in maniera appartata. Ma, al di là di questa notazione, l’Ethnè dauna rinvia al ciclo dell’Eterno Ritorno, alla morte ed alla rinascita. Dioniso ed Orfeo, come Attis ed Adone, rappresentano la Natura che, nel suo continuamente rinnovato ciclo, muore e rinasce .Il culto dei morti è, per questa gente, primario. Il defunto è confortato; gli si offrono doni, soprattutto acqua che le donne in processione portano dopo averla attinta dalle tante sorgenti di cui la zona è ricchissima. Le donne daune portano anche ceste su alcune delle quali sono accovacciati degli uccelli. Sono stati visti come pavoni e sappiamo che il pavone è ritenuto animale dalla carne incorruttibile .Ricordiamo che il pavone era sacro ad Hera. In virtù dei tanti fenomeni di sincretismo che qui andrebbero analizzati singolarmente, se non rischiando di rendere troppo lunga la presente relazione, il Cristianesimo ha adottato il pavone come simbolo di Vita Eterna: due pavoni che si abbeverano dallo stesso recipiente sono elementi iconograici di molte opre d’arte. La passione di Dioniso e degli altri simili dei è la Passione di Cristo. Durante le processioni del Venerdì Santo si usava, negli Anni Quaranta, ancora, battere le porte, usare raganelle, grancasse, ed altri strumenti sonori per segnare il momento del trapasso di Nostro Signore.
Il defunto è eroitizzato, posto in trono, gli si offre un banchetto, spesso utilizzando un tavolo rotondo, il più indicato per la partecipazione collettiva al rito.
Sulle stele sono rappresentati riti cruenti di sacrifico propiziatori. Su alcune altre vi è presente la melagrana, simbolo di fertilità, sacra ad Hera. Il Cristianesimo ha attribuito alla Madonna anche il simbolo di questo frutto. Nel Meridione si riscontrano immagini della”Madonna della melagrana”.
Il mondo degli Inferi raffigurato sulle stele daune, richiama immediatamente l’inferno dantesco: animali dalla triplice natura: di leone, capra e serpente. Cavalli alati, come Pegaso, leoni con coda di pesce, serpenti marini con i bargigli, lupe con le zampe di asina che atterriscono i mortali Si osservano demoni che danzano, un defunto eroitizzato con elmo a bucranio tricorne in lotta con un mostro pluricefalo. Molte di queste scene rinviano alle gesta di Eracle. Su alcune stele si osserva il rito del morto con il tampone in bocca, chiuso nella pelle setolosa che guida la sua biga verso l’Ade. Questo rito ci viene tramandato da Erodoto come costume della gente della Tracia.
Non mancano, sulle stele, scene di ordine sessuale: coppie in amplesso, figure itifalliche, ed anche, secondo alcuni studiosi, accoppiamenti fra più uomini e più animali, definiti” catene falliche”.

CONCLUSIONE

La breve esposizione mi induce alla seguenti riflessioni, in parte anche personali. La maggior parte di tali osservazioni, tuttavia, è il risultato delle letture sulle stele e dell’osservazione delle stesse.
I Dauni erano aperti al mondo circostante. Avevano rapporti, come si desume dal reperimento di una vasta gamma di oggetti rinvenuti nelle tombe, ma anche negli strati del terreno appartenente all’area abitativa, con le seguenti, attuali regioni: l’Abruzzo, il Lazio, le Marche, la Basilicata. Ma, non solo. Come afferma, in maniera decisa, Silvio Ferri, la cultura dei Dauni è cultura paneuropea e panasiatica. I Dauni, in virtù della loro buona capacità dinamica di apprendere, in virtù di un contesto ambientale ricco e riposante,( vogliamo immaginarlo tale), in virtù di un periodo pacifico, seppero far tesoro dei segnali culturali che giunsero fino a loro, sebbene sia presumibile che li abbiano integrati all’interno della cultura autoctona che rimane sempre la base sulla quale impiantare il nuovo edificio.


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