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PSYCHOMEDIA
COMUNITÀ TERAPEUTICHE
CT Salute Mentale



L'Henderson Hospital e il suo peso nella storia del movimento delle Comunità Terapeutiche. (1)

di Giovanni Foresti ed Enrico Pedriali



Gli anni di guerra, con le pressanti esigenze di carattere collettivo che ponevano l’accento sulla mutualità e l’utilizzo di ogni risorsa, non ultima quella di recuperare per quanto possibile il personale militare temporaneamente inutilizzabile per traumi psichici connessi agli eventi bellici o quanto meno il loro reinserimento in attività sociali (2), fecero da incubatrice a una vivace sperimentazione.
A Norhfield prevalse, per la fortuita e felice copresenza di personaggi che in seguito scriveranno pagine importanti della psicoanalisi d’oltre Manica (Bion, Foulkes, Rikman, Main etc), l’orientamento e l’approccio psicodinamico alla Comunità Terapeutica.
Questa visione delle cose tuttavia non fu univoca nella storia delle Comunità inglesi. Proprio negli stessi anni infatti, e in maniera del tutto indipendente, prese corpo al Maudsley Hospital, vecchio e famoso ospedale psichiatrico londinese, un’esperienza comunitaria legata alla figura di Maxwell Jones, il cui nome resterà indissolubilmente legato al movimento delle Comunità. Di lui esistono diversi “flashes” biografici e autobiografici che permettono di descriverlo come spirito intraprendente e indipendente (“un misto di fascino irlandese, di super-Io scozzese e di senso di protesta britannico verso una burocrazia disumanizzante” (Rapoport, “Community as doctor”), portato ad uno stile di vita gruppale, dotato di una forte carica di idealità e di una naturale tendenza alla leadership (che tuttavia non ammetteva facilmente).
Psichiatra di formazione medica tradizionale, con interessi per la medicina psicosomatica, forte delle sue ricerche di fisiologia del dolore connesso all’ansia, Jones si trovò durante gli anni della guerra a lavorare alla Mill Hill School ove alcuni pazienti del Maudsley erano stati evacuati sotto l’incalzare dei bombardamenti tedeschi. Si trattava prevalentemente di soggetti giovani, in maggioranza uomini, affetti da quella che , ai tempi, si definiva “sindrome da sforzo” e che in gergo veniva denominata “cuore del soldato” che aveva provocato un certo numero di vittime durante la prima guerra mondiale. Jones si rese conto ben presto che i pazienti, più che dal suo approccio scientifico, apprendevano molto della propria situazione se venivano completamente coinvolti in un’interazione reciproca e in discussioni con lo staff. “Alla fine della guerra eravamo convinti che le persone che vivevano insieme in ospedale, sia pazienti che staff, traessero grande vantaggio dall’analisi, condotta in riunioni giornaliere della Comunità, di ciò che facevano e del perché lo facevano” (Jones, !968)
Le riunioni si fecero quindi più frequenti e si instaurò una consuetudine gruppale per comprendere i problemi di vita abituali dei pazienti, con la partecipazione sempre più larga del personale in un clima di libera comunicazione e di riduzione della distanza fra i ruoli. “Dalla sintomatologia, l’interesse si spostò alle situazioni di vita attuali del paziente ed alla possibilità di risolvere i problemi nell’hic et nunc e con l’aiuto di tutto il gruppo” (Jones). I risultati furono sorprendenti e si calcola che nei soli anni di guerra transitarono da Mill Hill circa 2000 pazienti. Questi furono gli albori dell’esperienza Comunitaria di Maxwell Jones, che andò via via strutturandosi meglio nell’immediato dopo guerra quando ricevette l’incarico di occuparsi della riabilitazione “di alcuni fra i più disturbati ex-prigionieri Britannici, ritornati dall’Europa e dall’oriente......con gravi paure di impotenza, di inefficienza e sensazioni paranoiche nei confronti delle mogli e degli ex-compagni di lavoro” (Jones). Successivamente divenne direttore di quello che sarà più tardi l’Henderson Hospital di Londra e vi rimase fino al 1959, occupandosi fin dall’inizio del recupero di soggetti con gravi problemi di disadattamento sociale: crimini, violenze, aberrazioni sessuali, droga, alcool etc. Sulla base dell’esperienza appresa , se vogliamo empiricamente dai tempi di Mill Hill, Jones fondò la sua metodologia su una comunicazione aperta, una minor rigidità nei rapporti gerarchici fra medici, infermieri e pazienti, riunioni strutturate quotidianamente di tutta l’unità ospedaliera e numerosi sottogruppi di attività. Non veniva preso in considerazione un vero e proprio trattamento psicoterapico anche se Jones era interessato allo psicodramma (Moreno fu più volte invitato all’Henderson) e utilizzava tecniche di role-play: ciò che soprattutto veniva valorizzato era il significato globalmente terapeutico dell’impianto comunitario (in questo si può cogliere un’analogia con gli esperimenti di Northfield). Ad un certo punto del suo percorso, Jones fu indotto ad un maggior interesse per la psicoanalisi dalle riflessioni sul lavoro che stava sviluppando e dalla natura dei problemi di molti pazienti di cui si occupava. Iniziò anche un’analisi personale con Melanie Klein che tuttavia non lo portò ad intraprendere la carriera di psicoanalista.(3)

Lo sviluppo parallelo ma indipendente delle storie di Northfield e di Mill Hill, avvenne, come si vede, in maniera differente ma in un contesto storico e sociale comune e “la convergenza di psichiatri di differente estrazione culturale - psicoanalitica e tradizionale - sull’idea di un diverso utilizzo dell’ospedale come base della terapia, fu il segno che il cambiamento fondamentale nel pensiero psichiatrico stava nell’agire.
La psichiatria aveva incontrato la seconda guerra mondiale e fece un uso creativo di questo incontro.” (Kennard).

Le pressanti esigenze del tempo di guerra avevano finito col mettere in luce l’inadeguatezza delle istituzioni psichiatriche e dei metodi tradizionali di trattamento. Il fervore di iniziative di quegli anni ebbero un seguito e uno sviluppo nel periodo successivo al conflitto mondiale.
L’interesse per lo studio delle relazioni umane e per l’organizzazione dei sistemi sociali indusse molti appartenenti al gruppo di Northfield a fondare il Tavistok Institute of Human Relations, che assumerà una parte di rilievo nella cultura psicoanalitica inglese; Foulkes e De Marè svilupparono il filone della Gruppo Analisi e fondarono la Group Analitical Society; Main assunse la direzione del Cassel Hospital realizzando un modello istituzionale psicoanaliticamente orientato, destinato a diventare un punto di riferimento storico; il nome di Maxwell Jones venne identificato con il movimento stesso delle Comunità Terapeutiche.

L’esperienza dell’Henderson Hospital

L’ospedale che Jones diresse fino al 1958 divenne familiarmente “l’Henderson” per molti psichiatri soprattutto europei e nord-americani che ai suoi metodi fecero riferimento. Qui venne sviluppato un modello teorico e metodologico di stampo psicosociale che negli anni della sua maturità tentò di riproporre in contesti diversi, anche al di fuori dei confini dell’istituzione (negli Stati Uniti, in Scozia, poi ancora negli Stati Uniti e in Canada fino alla sua morte). Esso divenne la Comunità Terapeutica più nota in Inghilterra e probabilmente rimane un modello nel trattamento dei disturbi di personalità, secondo un’ottica comunitaria (Kennard). Diversi furono i motivi della sua fortuna: fra essi si possono annoverare il clima socio-culturale di quegli anni, le esigenze di nuove forme di trattamento, i primi fermenti anti-istituzionali, la particolare formula di principi e metodi che si prestavano ad essere adottati anche da chi non aveva una particolare preparazione alle spalle (a differenza del Cassel che, per il suo marcato imprinting psicoanalitico comportava un lungo periodo di training personale per gli operatori dello staff); non ultimo il carisma personale di maxwell Jones.
Gli ingredienti chiave della formula erano sostanzialmente tre: la “community meeting”, lo “staff review meeting” e la “leaving learning situation”. All’Henderson infatti, pazienti e operatori si riunivano tutti i giorni in un grande circolo per discutere l’accaduto del giorno precedente ed esaminare qualsiasi problema e situazione che si presentasse. Questo era il focus della Comunità in cui ogni fatto riceveva un feed-back da tutto il gruppo, venivano formulate proposte e prese decisioni senza che lo staff assumesse una posizione predominante (role-blurring). L’intento era quello di sollecitare i pazienti ad una partecipazione responsabile che, secondo Jones aumentava la stima di sé e consentiva a ciascun membro del gruppo di apprendere le percezioni e i sentimenti che stavano dietro i comportamenti di ciascuno, confrontati con quelli degli altri (reality confrontation).
Ogni riunione era seguita, subito dopo, dall’incontro di tutto lo staff per discutere le interazioni che si erano verificate e le stesse reazioni dei membri dello staff.
La leaving learning situation era la metodologia più celebre fra quelle in uso all’Henderson. Consisteva in una sorta di intervento di crisi, ogni qual volta se ne presentava l’occasione, che coinvolgeva tutto il gruppo di persone (pazienti e operatori) in qualche modo coinvolte nella crisi stessa, fino alla sua risoluzione. Jones la considerava un fondamentale confronto diretto e un’oportunità di apprendimento delle difficoltà interpersonali e riteneva soprattutto utile la presenza dei pazienti nel gruppo di crisi.
Oltre a ciò l’Henderson era animato da un fervore di attività svolte in gruppo, con un referente eletto dai suoi componenti, affiancati dagli operatori in posizione paritaria.
Comitati di vario genere venivano creati per le situazioni più disparate; la gestione della casa era quasi per intero affidata ai residenti. I componenti lo staff avevano un ruolo molto flessibile senza che ciò comportasse una vera e propria confusione dei ruoli. Coerentemente a tutta l’impostazione, anche l’ingresso di nuovi ospiti passava attraverso la valutazione di una rappresentanza mista di operatori e pazienti e veniva sempre discussa preventivamente in riunione di Comunità.
Nel 1950, Jones volle sottoporre la sua creatura a una sorta di legittimazione attraverso l’analisi di un gruppo di sociologi guidati dall’antropologo americano Robert Rapoport . Da questa collaborazione nacque un libro, Community as Doctor (1960) che solo più tardi divenne una specie di breviario per chi si interessava di Comunità, ma che non piacque molto a Jones e per certi versi lo irritò.
Lo studio di Rapoport metteva innanzitutto in evidenza una ciclicità interna nell’andamento della Comunità, per cui a periodi di intenso coinvolgimento di operatori e pazienti, in un clima democratico di condivisione delle responsabilità, se ne alternavano altri in cui l’equilibrio si alterava, lo staff assumeva un ruolo più attivo e direttivo e i pazienti uno più dipendente. (4) Fu evidenziato anche un conflitto all’interno dello staff fra una tendenza a raggiungere l’obiettivo di una riabilitazione del paziente rispetto a quella che privilegiava una miglior conoscenza di sé attraverso il trattamento comunitario. Servendosi di un questionario divenuto famoso, Rapoport arrivò ad elencare i principali valori che i componenti dello staff attribuivano al trattamento:
- Democratisation: intesa come equa condivisione del potere decisionale fra pazienti e operatori;
- Permissiveness: vale a dire una reciproca tolleranza dei rispettivi modi di essere, anche se devianti dalla “norma” ;
- Communalism: riferito ad uno stile confidenziale nelle relazioni alla condivisione di tempo e spazio e ad una comunicazione aperta;
- Reality confrontation: ovvero sia il confronto, nel vivere quotidiano e nelle innumerevoli riunioni di gruppo, con le interpretazioni di tutti i componenti sui rispettivi comportamenti per come essi si manifestavano.
In base ai principi di Permissiveness e di Reality confrontation, il paziente era libero di fare ed esprimersi come preferiva, ma qualunque cosa accadeva diventava motivo di confronto e discussione se interferiva nelle relazioni con gli altri.
E’ importante notare che questa visione delle cose accomunava l’esperienza dell’Henderson a quella dei primi esperimenti di Northfield: sia nel reparto di Bion che nell’impostazione più strutturata di Main avvenivano cose abbastanza simili a quelle realizzate da Jones.
Il lavoro di Rapoport comunque metteva in evidenza certi aspetti ideologici della cultura comunitaria e alcune contraddizioni, come ad esempio il fatto che non tutti i pazienti traessero vantaggi dalla permanenza in Comunità, verificandosi anche dei peggioramenti o lo sviluppo di nuove forme di devianza, il che faceva emergere l’ipotesi dell’opportunità di criteri selettivi. Oppure la constatazione che molto spesso i pazienti che presentavano dei miglioramenti erano quelli che avevano sviluppato un significativo rapporto con alcuni membri dello staff, cioè di fatto avevano realizzato una relazione transferale, il che poneva la questione di un lavoro più esplicitamente psicoterapico.
Ma l’aspetto più spiacevole per Maxwell Jones era la domanda che Rapoport poneva esplicitamente e cioè: quanto dei risultati ottenuti dipendeva dal metodo e quanto dall’uomo ? (5)
In effetti il peso del carisma di Jones era abbastanza indiscutibile, prova ne sia che quando nel ’59 egli decise di lasciare l’Henderson per trasferirsi negli Stati Uniti l’ospedale ebbe una grossa reazione abbandonica e tutto lo staff si sentì in qualche modo tradito, come sempre accade ai gruppi guidati da un leader carismatico. In ogni caso la storia della Mill Hill School e dell’origine dell’Henderson ripropone quella convergenza di fattori che avevano dato luogo autonomamente a Northfield all’entusiasmante esperienza dell’Hollymoor Hospital.
Le esigenze del tempo di guerra e le carenze delle istituzioni che vennero in luce con evidenza nel dopo guerra richiedevano dei cambiamenti per opera di qualche riformatore innovativo. Per storia e caratteristiche personali, Jones rispondeva perfettamente a queste istanze: forse in ciò stava il segreto del suo carisma.
Leader naturale al pari di Tom Main, se ne distingueva tuttavia per la diversa qualità del carisma, connessa alla loro differente formazione. Se Main utilizzò al meglio la sua appartenenza culturale all’ ”Invisible College” (6) unitamente a una buona dose di pragmatismo britannico, Jones fece del social-learning la sua bandiera per scrollarsi di dosso gli orpelli di una formazione psichiatrica tradizionale.
Il primo univa ad un solido impianto teorico la capacità di cogliere in profondità il significato degli avvenimenti sia che si trattasse di un piccolo gruppo, di un’istituzione, di una manifestazione di classe o di un movimento nazionale. Il secondo aveva la capacità di individuare un’idea ricca di potenzialità, la creatività per svilupparla nelle sua applicazioni sociali, la testardaggine (e l’entusiasmo) per bloccare i suoi nemici.
Dopo la sua partenza subentrò un periodo di crisi, tanto che nel ’65, anno in cui arrivò un nuovo direttore, John Stuart Whiteley, il Consiglio della Contea stava interrogandosi sull’opportunità di chiudere l’ospedale. Fortunatamente l’Henderson superò questa fase traumatica di transizione ed assunse una funzione aggregante per altre esperienze di Comunità, in Inghilterra e anche fuori del Regno Unito, che diede vita ad un’Associazione internazionale di Comunità Terapeutiche (ATC).
L’impegno di Whiteley e quello di Kingsley Norton, attuale diretore, è consistito soprattutto nel consolidare il tradizionale orientamento comunitario dandovi una veste metodologica sempre più rigorosa e al tempo stesso promovendo un’intensa attività di ricerca teorico-clinica, epidemiologica e statistica.

Conclusa l’epopea degli anni “eroici”, la presenza di Maxwell Jones continuò per un certo tempo ad aleggiare sia in Inghilterra che negli Stati Uniti e in Canada, ove si trasferì fino alla morte, impegnandosi in progetti che non sempre ebbero fortuna. Come altri leader carismatici dell’epoca (basti pensare a David Cooper, fondatore con Laing del movimento anti-psichiatrico), assunse col tempo atteggiamenti quasi profetici, estendendo la sua visione comunitaria alla società nel suo complesso ed uscendo dai confini propriamente istituzionali.
In questo forse la sua parabola presenta qualche analogia con la figura carismatica più popolare e conosciuta nel nostro paese: quella di Franco Basaglia. L’analogia tuttavia è più apparente che sostanziale. Jones arrivò a sostenere la necessità di iniziative al di fuori delle istituzioni, senza contrapposizione con l’operato istituzionale, a differenza di Basaglia che, dopo i primi anni dell’esperienza goriziana, teorizzò la necessità di un superamento dell’istituzione stessa, indicando nel contesto sociale il terreno elettivo per un’azione antiistituzionale. Nel primo prevalse la visione psicosociologica con una forte sensibilità alla psicologia dei gruppi nelle sue varie forme, nel secondo quella socio-politica, con una malcelata idiosincrasia per le teorie psicoanalitiche.

La diversa matrice culturale che ha caratterizzato l’esperienza inglese rispetto alla nostra, nel periodo che va dagli anni 40 agli anni 80, consente di comprendere come un ospedale come l’Henderson abbia potuto attraversare le turbolenze di questi anni e confrontarsi con le nuove tendenze della psichiatria, senza dover rinnegare la sua impostazione originaria e metodologica.
A mio parere le chiavi di lettura di questo successo sono sostanzialmente due. Da un lato, l’Henderson ha conservato, in tutti questi anni, i criteri di selezione dei pazienti che rimangono ancor oggi circoscritti all’ambito dei disturbi di personalità (con esclusione quindi della patologia psicotica) e sono perfettamente compatibili con la metodologia comunitaria classica. Ciò ha consentito di sviluppare e perfezionare la teoria e la prassi della Comunità Terapeutica, sviluppando al massimo gli strumenti psicoterapici e socioterapici che con questo tipo di utenza trovano una possibilità di utilizzazione più incisiva di altri (farmacoterapia e terapie biologiche in genere). Dall’altro, ha sviluppato al proprio interno una linea di ricerca epidemiologica e teorico-clinica che ha consentito di affrontare con maggior serenità il confronto con i dilaganti criteri di accreditamento e valutazione.
Ciò ha significato per l’Henderson il mantenimento dei finanziamenti statali che, nel 1998, hanno consentito il raddoppio della struttura. In tempi di crisi del Welfare State questo è un grosso risultato in termini di credibilità e affidabilità.
Da tempo inoltre, l’Ospedale collabora con gli enti giudiziari per il recupero della popolazione in età giovanile che, per disturbi di personalità, finisce nel circuito carcerario.
E’ in gran parte per merito dell’Henderson se oggi le Comunità Terapeutiche in gran Bretagna sono guardate con molto interesse dal Servizio Sanitario Nazionale e prese in seria considerazione dalle nuove politiche carcerarie.

Concluderei questa presentazione con una riflessione sulla situazione italiana.
Per anni nel nostro paese è prevalsa una cultura marcatamente antiistituzionale, sostenuta dall’urgenza di abbattere le mura dei manicomi e di restituire alla vita civile migliaia di persone abbrutite da un regime custodialistico. Oggi il problema si è spostato sulla presa in carico territoriale e questo comporta la realizzazione di strutture efficienti ed efficaci ad affrontare le diverse esigenze. Tra gli ostacoli che si presentano in questa realizzazione vano considerate certamente le risorgenti tentazioni neo-manicomiali ma anche gli acritici pregiudizi antiistituzionali: entrambi producono effetti deleteri.
L’esperienza dell’Henderson Hospital, senza proporsi come modello esaustivo di ogni problema o come esempio da imitare fideisticamente, può fornire lo spunto per un utile riflessione sulla situazione dei servizi psichiatrici nel nostro paese. Soprattutto può far riflettere sul peso di certe posizioni preconcette e sulla possibilità, anche per un’istituzione psichiatrica , di conservare lo slancio e la vitalità originari, di mantenere una tensione innovativa al proprio interno e di interrogarsi continuamente sulla propria adeguatezza ed efficacia. Questa, in fondo, è la lezione che ci viene dall’Henderson.


NOTE

(1) Questo articolo è parte di un paragrafo del capitolo dedicato alle Comunità Terapeutiche di area inglese, del libro: “La Comunità Terapeutica. Mito e realtà”, a cura di A.Ferruta, G. Foresti, E. Pedriali, M. Vigorelli (Raffaello Cortina Editore, 1998 - Milano).
(2) Basti pensare alla gran massa di militari che affollavano gli ospedali psichiatrici, alla scarsità del personale che imponeva l’utilizzo accanto ai medici anche di chi proveniva da una diversa formazione (psicologi,sociologi, psicoanalisti) nella conduzione dei reparti, alle condizioni di grave disagio che richiedevano l’impiego di metodiche meno formali e dispendiose in termini di tempo, stimolarono indirettamente e facilitarono l’avvio di quelle pratiche di gruppo che caratterizzarono largamente la metodologia della Comunità.
(3) Confidenzialmente raccontava che durante una delle ultime sedute disse all’analista:”Non credo che questa cosa faccia per me” e che la Klein gli rispose:”Sono d’accordo con lei”. Così, pare terminasse il suo training analitico.
(4) La stessa cosa era stata evidenziata a Northfield da Foulkes che la metteva in relazione all’arrivo di nuovi pazienti.
(5) “Maxwell Jones, nel periodo del Belmont, era il prototipo dell’innovatore carismatico. Il suo entusiasmo era contagioso non solo per lo staff, ma anche per i pazienti.... Tutti i riformatori utopici, in certo qual modo, pensano ed agiscono ideologicamente, usando la fede e la persuasione in mancanza di principi scientifici dimostrati. Maxwell Jones è uno di questo genere.” (R.N. Rapoport, 1970)
(6) Con questa denominazione veniva identificato quel gruppo di personaggi, di diversa formazione ed estrazione culturale, di provenienza non accademica ma di grande originalità e creatività, che diede vita alle esaltanti esperienze di Northfield.


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