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PSYCHOMEDIA
MEMORIA E (TELE)COMUNICAZIONE
Telefono



Comunicazione Cellulare: un nuovo paradigma della Presenza

di Luca Pezzullo



Questo studio vuole proporre alcune ipotesi psicologiche relative al significato della grande diffusione degli apparati di telefonia cellulare. Le riflessioni e le osservazioni che hanno portato allo sviluppo di queste idee sono maturate durante un periodo di lavoro presso il Customer Service di un gestore italiano di Telefonia Cellulare. La preziosissima opportunità rappresentata dal poter "osservare dall'interno" la cultura della telefonia cellulare, i comportamenti e gli atteggiamenti dei clienti e dei professionisti del telefonino, di poter scambiare opinioni, suggerimenti, idee, di raccogliere testimonianze dirette ed indirette, e, soprattutto, di poter dialogare, nel corso di mesi, con diverse migliaia di clienti, è stata fondamentale per stimolare e corroborare le riflessioni che sono andato sviluppando gradualmente nel corso dell'ultimo anno. In questo senso, sono in debito con tutti i colleghi ed i clienti con cui sono stato in contatto in questi ultimi mesi. Tutte le tesi e le riflessioni sviluppate di seguito vanno intese solo come "tracce di riflessione", proposte di percorsi teorici da articolare teoricamente ed eventualmente validare empiricamente.

Quella della telefonia cellulare rappresenta, da un punto di vista psicosociale e comunicativo, una "rivoluzione" di ampia portata. Alcuni degli aspetti funzionali connessi con l'utilizzo dei telefoni cellulari configurano un "salto" qualitativo di grande rilievo rispetto a quelli del normale telefono. Se il telefono (Abler, 1981; De Sola Pool, 1981; Pellizzoni, 1994) ha svolto un ruolo di rilievo nella nascita delle moderne modalità di telecomunicazione e nella ristrutturazione delle loro dimensioni socio-comunicative, il telefono cellulare rivoluziona alcuni aspetti tipici della comunicazione telefonica, attivando una serie di processualità intrapsichiche ed interindividuali estremamente peculiari. Le tre tesi principali sostenute di seguito sono:

- Il cellulare si propone come estensione tecnologica del Sé comunicativo dell'individuo, e dunque viene percepito e costruito come un'esteriorizzazione di una funzione intrapsichica di rilievo, con i suoi connessi investimenti libidici.

- Il cellulare deterritorializza e degeografizza il processo comunicativo, legandolo direttamente all'individuo, e non più al suo contesto: il focus dell'Atto Comunicativo passa dalla Contestualizzazione all'Individuazione. Questo processo è collegato al più ampio processo, presente nella società e cultura contemporanee, di "deradicazione" e decontestualizzazione dell'individuo dai suoi ordini di esistenza e di strutturazione sociale, geografica, culturale (più in generale, di decontestualizzazione dagli ordini naturali di definizione dell'Identità). Paradossalmente, proprio da questa decontestualizzazione deriva un'ansia che, per essere placata attraverso la rievocazione della Presenza dell'Altro (o del suo fantasma: la sua Voce), richiede l'uso (e l'abuso) dello stesso mezzo che ha contribuito a crearla, in una spirale perversa di "discomunicazioni regressive".

- Il cellulare, nella sua accezione di apparato comunicativo personale, svolge un ruolo di supporto alla Presenza, e come tale riproduce, esteriorizzandola nello spazio comunicativo interindividuale, un'importante dinamica intrapsichica e psicosociale (1).

Il Sé di ogni individuo comprende una parte deputata alla gestione della relazionalità, intrapsichica ed interpersonale. Questa componente "comunicativa" del Sé individuale viene chiamata in causa ogni volta che l'Io del soggetto si trova in una situazione di relazionalità con altri individui o con altri parti interne del proprio Sé. La componente comunicativa del Sé, la cui strutturazione affonda filogeneticamente nelle processualità etologiche della comunicazione umana, si forma nel corso delle esperienze ontogenetiche che caratterizzano le prime fasi della vita dell'individuo, e probabilmente rispecchia, nelle sue componenti interpersonali, i dinamismi delle sue componenti intrapsichiche. Le componenti comunicative del Sé si costruiscono anche a partire dalle potenzialità e dalle caratteristiche dei sistemi biologici sensomotori che le sostengono e ne permettono l'implementazione. Per l'uomo, i canali comunicativi biologici principali sono la vista, il tatto e l'udito. La vista è principalmente un sistema recettivo, che permette prioritaramente di ricevere informazioni e comunicazioni, e solo secondariamente di emetterne (principalmente attraverso la mobilità dell'apparato oculomotore). Il tatto è un importante veicolo comunicativo, di grande rilievo emotivo. L'importanza di un'adeguata stimolazione tattile è universalmente riconosciuta come di assoluta importanza nelle prime fasi di vita dell'individuo (Camaioni, 1993). Anche la voce e la fonazione rivestono un ruolo di rilievo nelle prime fasi di vita. Associate all'esperienza tattile, permettono al bambino di formarsi le prime "rappresentazioni inconsce" della Presenza dell'Altro, i primi precursori delle componenti relazionali della psiche. La voce (assieme alla percezione visiva del volto materno) diviene ben presto il principale stimolo associato alla manipolazione tattile di cui è oggetto il bambino molto piccolo; in questo senso, diviene bene presto "simbolo" e sostituto della Presenza fisica rassicurante (Camaioni, 1996). Dunque, la comunicazione vocale diviene, oltre che un articolato ed efficace sistema di comunicazione informativa, anche un canale di fondamentale rilevanza psicologica, emotiva e relazionale. In questo senso, possiamo considerare il canale vocale come un canale che veicola importanti processualità relazionali ed interpersonali (nonché intrapsichiche: il flusso di coscienza di un individuo assume in buona parte l'aspetto di un dialogo interno "verbalizzato").

E' stata la comunicazione telefonica, per prima, a permettere di "portare la voce" oltre gli abituali limiti di distanza "biologici". Così facendo, la rivoluzione telefonica ha inaugurato una profonda ristrutturazione delle dinamiche socio-comunicative e di gestione dello spazio antropologico (Pellizzoni, 1994). In questi tipo di comunicazione, la percezione dell'Altro non avviene attraverso il segno scritto (la lettera), ma attraverso la sua Presenza diretta, simboleggiata dalla vocalizzazione; come tale, risulta mediata da un canale di comunicazione più naturale ed efficace (quello uditivo) di quello scritto (che, essendo visuo-segnico, rappresenta uno sviluppo bioculturale filogeneticamente molto più recente). La voce, in questo senso è un "simbolo" quasi perfetto dell'Altro: "sta per", è l'equivalente che sostituisce, funzionalmente, l'Oggetto assente.

Il telefono tradizionale, però ha un limite preciso: anche nel caso del telefono di casa, il cui uso è riservato ad un solo individuo, è caratterizzato da un "limite", un vincolo funzionale ben delineato: è fissato, "contestuato" all'interno di un ben definito ordine di riferimento geografico, spaziale e funzionale: la casa, l'ufficio, il bar. Se la persona chiamata non è nelle vicinanze del telefono, allora la chiamata è perduta, il contatto con l'Altro impossibilitato dai vincoli di fissità contestuale del telefono. Col telefono tradizionale si può quindi accertare con molta facilità e frequenza l'"Assenza" di una persona, oltre che la sua "Presenza".
Col cellulare, il discorso cambia. In effetti, il cellulare è sempre e direttamente "connesso" con una persona, e, a meno che non sia spento, permette sempre di rintracciare il suo possessore. Il cellulare non è in "nessun posto preciso": è dove è l'Individuo, si confonde con lui. Da questo punto di vista, la comunicazione si deterritorializza e decontestualizza, perdendo i suoi riferimenti funzionali e geografici, che pur hanno una fondamentale importanza dal punto di vista psicologico; non a caso, la prima domanda che si fa chiamando qualcuno al cellulare è il classico: "dove sei...", necessario orientamento cognitivo. La funzione "space-adjusting" (Abler, 1981) della telefonia cellulare è dunque molto più rilevante e ricca di conseguenze di quella della telefonia tradizionale (2). L'atto comunicativo si lega ancor più strettamente all'Individuo, che a sua volta tende a disconnettersi sempre più (ed ad essere percepito come tale) dai suoi vecchi ordini di riferimento contestuale. L'atto comunicativo è più individualizzato e diretto, la risposta e la reperibilità più facili e frequenti. Anche nel caso di non risposta, si sa che il nostro tentativo di contatto è andato a buon fine, che ha raggiunto il nostro "interlocutore mancato" (tramite la visualizzazione del numero chiamante, l'attivazione della segreteria...).
In questo senso, il cellulare, tendenzialmente, fornisce solo conferme della disponibilità dell'Altro, della sua Presenza, mentre la possibilità (il rischio) della sua Assenza slitta in secondo piano
.
Con la possibilità di instaurare una connessione diretta con chiunque, sempre ed ovunque esso si trovi, ci si abitua a considerare sempre reperibile l'Altro, sempre potenzialmente rintracciabile e disponibile per le nostre necessità. Ciò corrisponde al sogno utopico della "comunicazione continua", dell'immersione in un contesto di Presenze stabili ed amiche, dell'integrazione in una sorta di macrogruppo di comunicanti: una Comunità di soggetti permanentemente "relazionati".

Purtroppo, questi nuovi modelli di comunicazione portano con sé molti rischi: in primo luogo, permettendo di comunicare sempre ed ovunque, annullano l'esigenza ed il significato di molte occasioni di comunicazione autenticamente collettiva. Se fino a pochi decenni fa il senso di Presenza sociale veniva principalmente vissuto a livello macrogruppale, attraverso l'implementazione di rituali collettivi che sostanziassero in tutti i partecipanti il senso dell'Esserci collettivo, del Mit-Dasein Heideggeriano (De Martino, 1948; Tambiah, 1995), ora il macrogruppo socio-relazionale, frantumato dalla diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione, ha perso la propria coesione e la propria dimensione autenticamente collettiva, e si è ripiegato su sé stesso causando uno slittamento della ricerca del senso di Presenza verso la semplice dimensione delle relazioni diadiche multiple ed individualizzate. Si ricerca la Presenza dell'Altro non più nella cerimonia rituale, collettiva, in cui si riaffermano i legami tradizionali, culturali e di sangue con il proprio gruppo di appartenenza, ma all'interno di una moltitudine frammentata di rapporti diadici, auoreferenziali, racchiusi in un orizzonte di riferimento angusto e limitato. La Presenza dei "Molti Individui" sostituisce artatamente quella di "Una Comunità". Gli elementi di una Comunità, però, hanno il vantaggio di poter percepire ed alternare spazi di autonomia personale ad altri di socialità allargata; in assenza di una Comunità e di una relazionalità gruppale autentica ed equilibrata, riesce anche difficile definire un'Identità ed un'Individualità, che non possono più definirsi attraverso il contrasto con la loro dimensione sociale.

Il cellulare, come estensione del Sé comunicante, si propone come strumento dalla valenza intrapsichica, poichè attualizza e rende possibile la Presenza altrui, attivando le processualità psicodinamiche connesse con la costruzione e rappresentazione interiore del "fantasma della Presenza" dell'Altro, del Mit-Dasein. L'Esserci come Agente comunicativo trae un importante rinforzo dall'utilizzo di un apparato tecnologico che permetta la disponibilità "simbolica" di Sé agli Altri e degli Altri al Sé in qualunque luogo o momento, senza più vincoli o limiti funzionali, spaziali e contestuali. Si viene quindi a creare una dipendenza dallo strumento, che viene idealmente investito della funzione di garante della relazionalità, di garanzia materiale della sicura potenzialità di ogni comunicazione. Una relazionalità ed una Presenza ormai decontestualizzate ed individualizzate, senza più una dimensione di riferimento spaziale o comunitario. Pellizzoni scrive: "Per quanto concerne gli usi intrinseci del telefonino, si è detto che essi rispondano essenzialmente ad un'esigenza di relazione sociale delle persone. [...] Una funzione solitamente attribuita al telefono nel quadro della vita urbana è di ridurre la solitudine e l'ansietà, di incrementare il senso di sicurezza e mantenere la coesione all'interno di nuclei familiari e gruppi amicali sempre più dispersi nella città od al di fuori di essa. Il telefono crea delle "comunità psicologiche" che vanno a sostituire le conunità di vicinato; una sorta di "prossimità simbolica" (Pellizzoni, 1994; corsivi miei). Queste osservazioni, e quelle simili di Wurtzel e Turner (1981), trovano ancora maggiore applicazione nel caso della telefonia cellulare. La definzione, di origine giornalistica, per cui con il cellulare ci si "sente lontani" invece che "sentirsi vicini" sembra quanto mai appropriata.

Tenendo in debito conto queste valenze relazionali e "simboliche" dei telefonini, diviene più agevole comprendere l'angoscia per il cellulare rotto, o malfunzionante. Gli addetti ai Customer Service dei gestori di telefonia cellulare ricevono quotidianamente numerose chiamate di persone in ansia per l'impossibilità di chiamare o ricevere chiamate col loro telefonino. A fianco di una minoranza di professionisti che si trova privata di uno strumento di lavoro a volte insostituibile, vi è una maggioranza di persone il cui bisogno di reperibilità e di "comunicabilità" è forse espressione dell'ansia profonda generata da un contesto culturale e collettivo che non è più in grado di accettare ed elaborare le idee di Separazione e di Assenza. Da numerosi clienti con cui ho parlato ho sentito ripetermi piuttosto frequentemente un'affermazione interessante: dopo avergli comunicato che i loro cellulari non avrebbero potuto trasmettere per un paio di ore, i clienti, in preda ad una forte ansia, ribattevano: "Ma lei lo sa cosa significa rimanere senza cellulare per due ore, al giorno d'oggi ?". La maggior parte degli utilizzatori non hanno, il più delle volte, motivi particolari per dover comunicare urgentemente con qualcuno; inoltre, molti di essi disponevano di un telefono fisso a portata di mano. Il loro atteggiamento si rispecchia in quello di molti altri clienti, che manifestano un disagio ed un ansia, per piccoli disservizi, che non sembra trovare spiegazioni nelle loro effettive necessità. Il cellulare, e la modalità comunicativa che esso propone (potenzialmente, la reperibilità continua ed assoluta del nostro Altro) sembra aver soddisfatto dei bisogni psicologici e delle ansie profondamente diffuse: nessuno riesce più a fare a meno di una rassicurante modalità relazionale di cui fino a pochi anni fa non aveva mai goduto e di cui non sembrava necessitare. Evidentemente, il significato psicologico (penso in particolare agli aspetti psicodinamici) di questo tipo di comunicazione, con il suo enorme potenziale ansiolitico, è di estrema rilevanza, se ha permesso una così rapida diffusione di questo strumento.

Ho avuto un'occasione di osservare quanto detto, a proposito della costruzione del "gruppo di comunicanti" e dell'utilizzo dei cellulari per confermare il senso della presenza dell'Altro, nel collegio universitario in cui ho alloggiato per anni. All'inizio dell'ultimo anno accademico, un gruppo di ragazze matricole, appena giunte al collegio da varie regioni d'Italia, ha iniziato a fare uso dei cellulari in maniera piuttosto interessante (e, a quanto sembra, piuttosto tipica per gli adolescenti). Soprattutto nel primo periodo della loro permanenza lontano da casa (mesi di ottobre/novembre), quando più acuto era il senso di nostalgia e di "assenza", ed in via di ristrutturazione il loro contesto socio-relazionale, erano abituate a scambiarsi quotidianamente circa 15-20 "squilli", tra loro e con i parenti a casa. Lo squillo è una normale chiamata, a cui "non si deve" rispondere: serve solo a dare un segnale sonoro e visivo (la visualizzazione su display del numero chiamante) di Presenza. In questo senso, lo squillo, come atto comunicativo solo formale e privo di contenuti, è l'archetipo della comunicazione fàtica (3). In questa stessa ottica vanno probabilmente visti i numerosi SMS, i "messaggini", che le ragazze si scambiavano in continuazione solo per salutarsi, anche se si erano viste da pochi minuti e si trovavano nello stesso edificio.

Moltissimi adolescenti fanno un ampio uso degli SMS, che nei primi mesi del 1999 sono stato oggetto, anche per la loro relativa economicità, di una vera e propria esplosione di "traffico" (in Italia, il principale gestore riferisce di aver registrato un salto quantitativo dai 700.000 SMS giornalieri di metà 1998 agli oltre 3 milioni di metà 1999; il secondo gestore, il cui marketing è prevalentemente diretto ad un pubblico "giovanile", segnala un incremento dell'800% nel traffico SMS nel corso dell'ultimo anno). Questa Presenza compensativa, simbolica, conseguita tramite l'utilizzo dei cellulari, per le ragazze sembrava essere un efficace palliativo in grado di tenere a bada l'ansia di separazione, e di evitare l'elaborazione del "piccolo lutto" conseguente alla perdita temporanea dei rapporti diretti con il nucleo familiare ed i vecchi amici di casa. Il cellulare, sia per le sue specifiche funzionalità, che supportano tipologie di atti comunicativi facilmente spendibili per creare comunicazioni fàtiche (squilli, visualizzazione numeri, SMS), sia per il fatto che "coincide direttamente con la persona", diviene l'antidoto perfetto alla solitudine (anche di breve durata) ed alle ansie che ne conseguono.
La potenziale realizzabilità dell'atto comunicativo universale
, che il semplice possesso del cellulare garantisce, sembra sufficiente per rinforzare il senso di presenza del "fantasma" dell'Altro. L'atto comunicativo stesso passa spesso da una "comunione di significati ed informazioni", ad una semplice rassicurazione fàtica, altamente formalizzata e dai contenuti poveri e stereotipati: lo squillo, il messaggino, la telefonata "sono in treno, sto arrivando, tutto bene, butta la pasta".

In certi casi, il telefono cellulare facilita la "memoria della Presenza". Molte persone, abitualmente, mantengono nella memoria della propria carta telefonica SMS dal significato particolare: il messaggio di un amico inviato in un momento importante, una dichiarazione d'affetto, messaggi che possano ricordare, dopo qualche settimana o qualche mese, situazioni o persone speciali. Rileggere i vecchi messaggi, in questo senso, è emotivamente molto simile al ritrovamento di vecchi bigliettini durante la triennale pulizia dei cassetti di casa. La differenza di fondo risiede nel fatto che, con il cellulare, il soggetto può portare sempre con sé i messaggi che rivestono per lui un particolare significato emotivo, e può rileggerli quando vuole. Le particolari caratteristiche del telefonino (elevata trasportabilità, capacità di contatto immediato ed "universale", supporto sia di atti comunicativi vocali che visuo-segnici, possibilità di memorizzazione delle comunicazioni) facilitano dunque lo sviluppo e la permanenza di un forte senso di Presenza con l'Altro lontano. In alcuni casi, date anche alcune caratteristiche del cellulare, questo senso di Presenza può travalicare anche il "limite della morte".
In seguito ad un reset generalizzato di tutti i messaggi registrati nelle segreterie telefoniche, operato a tutti gli utenti, il servizio clienti nel quale lavoro ha ricevuto la telefonata di un uomo, vedovo da pochi mesi, il quale era abituato a riascoltare spesso la fonia della sua segreteria telefonica, registrata tempo prima dalla moglie. La possibilità di "portare sempre con sé" la voce (e quindi la presenza simbolica) della moglie morta rivestiva per lui un significato molto particolare, ed aveva avuto un sicuro impatto nei suoi processi di elaborazione del lutto. Verosimilmente, la nostra impossibilità di ripristinargli il vecchio messaggio si è per lui tradotta in un ulteriore, significativo, microlutto.

Un'esemplificazione psichiatrica della capacità dei cellulari di "rinforzare la Presenza" è stata inoltre illustrata nell'articolo di Flynn, Taylor e Pollard (1992) relativo all'utilizzo clinico dei telefoni cellulari nella terapia "comportamentale" delle fobie e dei disturbi di ansia.
Lo studio era relativo a due soggetti, una donna di 35 anni affetta da "fobia della guida", ed un uomo di 42 anni affetto da DAP e agorafobia, sottoposti ad una terapia di esposizione (flooding) con l'ausilio di un cellulare: i due soggetti sono stati sottoposti a 24 sessioni di guida solitaria in automobile, muniti di un cellulare collegato con il terapeuta. Le misure oggettive (il numero di km percorsi) e soggettive dell'ansia (questionario) hanno permesso di rilevare che la donna ha manifestato un certo miglioramento sintomatologico, mentre le condizioni dell'uomo sono peggiorate dopo la fine del trattamento ed il conseguente ritiro del cellulare. Gli autori, brillantemente [sic], ne concludono che in alcuni casi il cellulare ha un'utilità clinica, mentre in altri no.
Forse, alla luce di quanto detto finora, si può dire qualcosa di più. Se interpretiamo i disturbi d'ansia e le fobie come disturbi caratterizzati da una forma strutturata di angoscia di separazione e di abbandono (Ey, 1992), allora ne deriva che l'utilizzo del cellulare può effettivamente rendere parzialmente autonomi nello svolgimento delle semplici attività quotidiane, attivando il fantasma della Presenza dell'Altro e permettendo dunque di viverne una vicinanza simbolica (con conseguente riduzione dell'ansia di separazione e dei sintomi fobici che ne derivano), ma, nella maggior parte dei casi, vincola strettamente il soggetto a questo supporto esterno della Presenza, senza mai aiutarlo a integrarla strutturalmente nel proprio Sé ed a riuscire quindi a divenirne realmente "indipendente". In questo senso, il cellulare diviene un semplice e pericoloso palliativo che rinforza le dinamiche di dipendenza del soggetto, impedendogli di trovare un'autentica soluzione alle proprie conflittualità intrapsichiche ed alle eventuali carenze strutturali del proprio Sé. Il caso dell'uomo, peggiorato dopo il ritiro del cellulare "ansiolitico", è esemplificativo dei rischi di questa dipendenza.

Se quanto ipotizzato in queste ultime righe fosse confermato da ulteriori studi, di tipo empirico, allora le ultime notizie relative al mercato dei telefoni cellulari d'oltreoceano dovrebbero allarmarci. Sono infatti già in commercio negli Stati Uniti (e forse arriveranno presto in Italia) degli apparati cellulari semplificati per bambini, concepiti con lo scopo di tranquillizzare bambini e genitori durante le tante, piccole, separazioni quotidiane. Si tratta di cellulari coloratissimi, piuttosto robusti, con una tastiera ultrasemplificata a selezione rapida: ai 4-5 tasti disponibili sono associati i numeri di "mamma", "papà", "nonni"; subito sotto il display c'è uno spazio in cui attaccare una rassicurante foto dei genitori sorridenti. Il bambino, così equipaggiato, può avventurarsi per il mondo avendo sempre vicini, a livello simbolico e comunicativo, i propri genitori (ed ovviamente i genitori hanno sempre la sicurezza di poter rintracciare il pargolo). Questo tipo di apparecchio, che del resto può effettivamente essere utile in diverse occasioni, sembra essere stato concepito più per sedare l'ansia di separazione all'interno del nucleo familiare che per la sua semplice valenza funzionale. Bisognerebbe a questo punto domandarsi quanto la diffusione di questi cellulari, e la conseguente abitudine psicologica ad avere sempre qualcuno disponibile per rispondere ai nostri bisogni di presenza, comunicazione ed affetto, sia funzionale al corretto svolgimento dei processi psicodinamici di separazione ed individuazione del bambino (4). Le dinamiche di dipendenza e la conseguente incapacità a sviluppare una modalità di "essere e funzionare" di tipo adulto ed autonomo possono essere fortemente incrementate dalla diffusione e dall'abitudine all'uso di questo tipo di apparecchi fin dalla più tenera età. Fornendo occasioni e mezzi per realizzare e mantenere un "attaccamento posticcio e patologico" con le figure genitoriali, la potenziale "reperibilità assoluta" instaurata tra bambini ed adolescenti dalla diffusione dei cellulari ritarda l'acquisizione del pur necessario "senso della perdita e del lutto" da parte dell'individuo, pregiudicando la sua conseguente possibilità di gestire in maniera adulta la propria autonomia relazionale.

In Italia, i cellulari sono già molto diffusi tra i preadolescenti. Alcuni gestori hanno messo in commercio appositi kit comprendenti un cellulare con carta prepagata, molto colorato, semplice da usare, a cui viene abbinato l'abbonamento semestrale ad un giornale molto diffuso tra i ragazzini. Perfino i caratteri di stampa sulla scatola sembrano essere studiati apposta per attirare l'attenzione di un pubblico molto giovane. Il vantaggio commerciale forse non è sufficiente a compensare i probabili effetti psicologici negativi di queste operazioni. D'altra parte, il telefono cellulare sembra essere il compagno preferito di molti ragazzini e ragazzine: fornisce la possibilità di comunicare privatamente con amici ed amiche, divenendo "perfetto" supporto della socializzazione adolescenziale e preadolescenziale. Proprio i preadolescenti e gli adolescenti sono, come già sottolineato, i più grandi utilizzatori di forme comunicative spesso esclusivamente fàtiche come gli SMS e gli "squilli". Non credo che vi siano dati precisi sulla diffusione dei cellulari nella fascia di mercato rappresentata da adolescenti e preadolescenti, ma penso si possa affermare che inizi ad essere sufficientemente ampia da destare preoccupazione (5).

Dall'osservatorio privilegiato che è stato il lavoro presso il Customer Service, ho avuto la possibilità di osservare un caso che, in questo senso, è molto interessante.
Un ragazzo di 18 anni, A., da molti mesi chiama incessantemente, decine e decine di volte al giorno, il Customer Service (il cui numero è gratuito). In linea, scambia quattro chiacchiere molto superficiali con gli operatori, canticchia qualche canzone alle sue "ragazze preferite", fa qualche battuta. Appena mette giù, richiama immediatamente un altro operatore del Customer Service, e così prosegue per molte ore di fila, tutti i giorni della settimana (6). L'atteggiamento degli operatori nei suoi confronti è ambiguo: molti non lo sopportano, mentre altri (soprattutto ragazze) lo trovano simpatico. Comunque, riceve abbastanza "rinforzi" per continuare a chiamare. Avendo parlato con lui diverse volte, ho tentato di capire cosa facesse oltre a chiamare il nostro numero. In sintesi, la risposta è: niente. Al mattino va a scuola, mentre di pomeriggio, sera e notte, 7 giorni su 7, ci chiama ossessivamente, aprendo decine e decine di microcomunicazioni di tipo fàtico, di pochi minuti o pochi secondi l'una. Sembra essere un ragazzo senza problemi fisici od economici particolari, e dal tipo di discorsi non si riescono ad inferire segni manifesti di tipo patognomico. Un comportamento del genere potrebbe essere attribuito ad uno schizoide, ma quando parla al telefono A. sembra una persona molto estroversa e brillante, senza alcun problema comunicativo o relazionale. Emerge però con forza questo comportamento di "finta ipersocialità", che permette di instaurare un gran numero di atti comunicativi tesi a rinforzare un senso di Presenza altrui per compensare la povertà relazionale reale. Nel caldo abbraccio del Servizio Clienti, di queste mille voci lontane, eppure ben conosciute ed amiche, sempre disponibili per lui, A. si perde, e perde l'orizzonte del suo mondo sociale. Al telefono sembra ben compensato; ma cosa farebbe A., senza il suo telefonino ed un gruppo di giovani sempre reperibili che sono lì per lui, per confermare con le loro voci il fatto che non è "realmente" solo, che vi è sempre qualcuno "vicino" a lui ?
Nell'ultimo periodo, A. ha iniziato a chiamare il Customer Service contemporaneamente con due cellulari, e poi, quando ha in linea due diversi operatori, passa continuamente da uno all'altro, mettendoli reciprocamente in attesa. Chiama di giorno e di notte; recentemente ha iniziato a chiamare anche dal bagno, come impossibilitato a staccarsi anche solo per pochi minuti da questo appiglio relazionale simbolico e posticcio, come impossibilitato a "pensare" al proprio essere solo, incapacitato ad elaborare l'idea dell'Assenza dell'Altro. Quando in estate è andato al mare in vacanza con la famiglia, la sua vita non è cambiata molto: chiamava dalla spiaggia, dal lungomare, dall'albergo, senza volere o potere socializzare con i molti ragazzi "reali" che gli erano intorno in continuazione. Qualunque riferimento diretto od indiretto che, nelle nostre brevi conversazioni, potevo fare a proposito di ragazze od amici, od a qualunque altra attività che non fosse questo compulsivo e compensatorio "chiamarci", cadeva invariabilmente nel vuoto. Da questo punto di vista, A., sembra essere caratterizzato da una certa tendenza all'evitamento delle situazioni e dei discorsi spiacevoli, una tendenza mascherata dalla finta superficialità e leggerezza delle sue battute e dei suoi argomenti di conversazione.
Se si vuole avere "sicurezza relazionale", è molto più rassicurante chiamare con un cellulare (che ci si porta ovunque) un servizio attivo 24 ore su 24 ore (quindi sempre disponibile) che dover accettare l'idea che l'Altro non sia sempre presente e disponibile per noi, e doversi quindi impegnare nelle mille difficoltà dei rapporti sociali reali (7) (8).
A. è un caso clinico. Ma, a livello subclinico, le "matricoline" della Casa dello Studente, e moltissimi altri adolescenti, insicuri della loro realtà relazionale, disperatamente tesi a ricercare conferme sociali, iniziano a dipendere sempre più dal loro telefonino, il loro apparato per le comunicazioni personali, ridefinibile forse come "apparato per la conferma della Presenza".

Il cellulare si propone dunque funzionalmente come confermatore di Presenze e, simbolicamente, come estensione e concretizzazione delle parti comunicative del Sé. Assurgendo al rango di materializzazione fisica di una parte delle funzioni comunicative personali, il cellulare assume anche una valenza narcisistica, poiché diviene ricettacolo di alcuni degli investimenti libidici che solitamente si indirizzano sul proprio Sé. E' forse possibile leggere in quest'ottica la diffusione sul mercato di decine di accessori molto più "estetici" che funzionali. Penso ai "gusci colorati" di cui fare collezione "à-la-swatch", in modo da poter mettere ogni giorno un "vestitino" diverso al proprio cellulare; alle custodie dei materiali più improbabili, dal nomex al neoprene (9); ai costosi liquidi antigraffio, che "correggono" i piccoli segnetti sulla superficie del display che uno sbadato utilizzatore potrebbe infliggere alla sua "relazionalità materializzata". La cura "estetica" per il proprio cellulare può dunque essere vista come il risultato di un duplice investimento narcisistico: indiretto (il generico desiderio della persona di circondarsi di ornamenti, il piacere per la cura estetica, la spinta a conformarsi alle mode...) e diretto (costituito dagli investimenti libidici sul cellulare "costruito" come esteriorizzazione di una parte del Sé).
In questo stesso senso è forse possibile interpretare anche l'ossessione per il cellulare sempre più piccolo e sofisticato, visto come novello oggetto del desiderio: casalinghe e imprenditori sono fieri di annunciare il possesso di modelli piccolissimi, Dual-Band (10), SuperPower (11), con funzioni di Vibracall, Riconoscimento Vocale e chi più ne ha più ne metta. La passione italiana per lo Status-Symbol (12) ha sicuramente molto gioco, in questo dinamismo; ma poter dire "ce l'ho più piccolo di te" è diventata un'involontariamente ironica questione di narcisismo, prestigio ed affermazione personale (13).

La comunicazione "permanente", che è l'idea che sta alla base della comunicazione cellulare, è un concetto che si è diffuso con enorme forza nella prassi quotidiana. L'esperienza di ognuno è ricca di esempi di persone che utilizzano il cellulare nelle situazioni e nei luoghi più impensati ed improbabili. Dai mezzi di trasporto al luogo di lavoro, dalla strada alla spiaggia, il cellulare è diventato compagno inseparabile degli individui. In alcuni casi, l'utilizzo del cellulare per rinforzare il "fantasma" di una presenza simbolica diviene perfino causa di pericoli molto più concreti e reali. Basti pensare alle persone che si ostinano ad utilizzare i cellulari in aereo, con grave rischio per tutti i passeggeri. I giornali riportano sovente le notizie di passeggeri cui il cellulare è stato sequestrato dagli assistenti di volo in seguito al rifiuto di questi ultimi di interrompere le loro conversazioni personali, percepite come molto più importanti e concrete dei rischi causati a sé ed a tutti gli altri passeggeri. Allo stesso modo, le strade sono piene di guidatori che compiono evoluzioni spericolate con il cellulare incastrato tra orecchio e spalla, o con una sola mano sul volante. Telefonare mentre si guida sembra talmente illogico che forse richiede uno studio approfondito relativo ai dinamismi che ne stanno alla base (14). L'utilizzo del cellulare "deve" avvenire in tutte le occasioni possibili, poiché altrimenti si rompe la "rete comunicativa", che vuole e "deve" essere prioritaria rispetto a qualunque altra attività. La società della comunicazione, enfatizzando l'estremo isolamento dell'individuo, ne conferma al contempo la vocazione sociale, che però, decontestualizzata e senza più riconoscimento, assume forme patologiche per esprimersi. Forse mai è esistita una società così fortemente tesa verso l'affermazione dei valori dell'individualismo e della decontestualizzazione come codici etici e valoriali, ed al contempo così nevroticamente spinta a proporre modelli relazionali deboli, confusi ed improntati nettamente alla dipendenza, alla coattività dell'atto comunicativo ed alla sua indebita riduzione a funzione di "placebo" delle ansie. In questo senso, il cellulare si propone come nuovo paradigma della Ricerca di Presenza ed, al contempo, dell'atomizzata ed insicura Società della Comunicazione.

 

Note:

1) Nonostante la grande diffusione degli apparati per la comunicazione cellulare, e delle "rivoluzioni" che questa diffusione sta sviluppando nel settore dell'Information and Telecommunication Technology, la letteratura psicologica e psicosociale a riguardo è scarsissima, ed il tema è stato poco studiato anche dagli specialisti (Tessarolo, comunicazione personale; Psyc-Lit, a Agosto 1999, restituisce meno di una decina di rimandi su keywords "Mobile Phones"). Ciò stupisce, a fronte della corposa letteratura dedicata ad altri "nuovi media" quali Internet, ed all'impatto sociale dei cellulari.

2) Inoltre, a differenza di quanto nota Pellizzoni (1994), con il cellulare la convergenza costi-spazio viene realizzata compiutamente, visto che non rimane più nemmeno la differenza di costo a segnalare la differenza tra una chiamata "vicina" ed una "lontana": chiamare un cellulare costa sempre allo stesso modo, sia che si trovi dietro l'angolo che a mille chilometri di distanza.

3) Ovvero funzionalmente finalizzate solo alla conferma della presenza e dell'attenzione altrui.

4) Con "separazione ed individuazione" non intendo solo le corrispondenti fasi mahleriane, ma più in generale tutti i processi di costruzione dell'Io e dell'Identità individuale.

5) Si potrebbe sostenere che, nel caso degli adolescenti, non è lo strumento a rappresentare il problema. Questo è sicuramente vero, ma lo strumento sbagliato può amplificare problemi pre-esistenti od anche dinamiche "fisiologiche" in svolgimento. Si pensi alla ricerca di Smith (1996) sugli effetti della diffusione dei cellulari tra gli ipomaniacali ospedalizzati, i quali possono così "bypassare" molte delle abituali misure di sicurezza miranti ad evitare che i soggetti causino danni involontari a sé ed agli altri.

6) E' stato stimato che A. chiami circa 300-400 volte al giorno: il numero rappresenta circa il 3% dell'intero flusso quotidiano di chiamate presso la sua sede territoriale di appartenenza, che gestisce milioni di utenti.

7) Si pensi anche al grande successo dei servizi Audiotel tipo 144/166, analizzati da Rossi (1996). Già dal loro marketing (e non mi riferisco solo ai telefoni erotici), si vede come la maggior parte di questi servizi siano indirizzati a coloro "che si sentono soli", e che cercano nella comunicazione telefonica compensazioni per una relazionalità reale carente.

8) Per correttezza, è necessario aggiungere alcune osservazioni più generali. Nel caso di A. sono sicuramente in atto meccanismi di scissione tra il mondo relazionale reale, percepito come negativo, ed il mondo "magico", positivo, del Customer Service. Non a caso, da quando gli operatori hanno ricevuto indicazioni di "tagliare corto" con A., lui ha iniziato a manifestare una forte depressione ed una notevole angoscia, parlando di "tradimento" nei suoi confronti: come se il Mondo Buono, idealizzato, del CS avesse appunto tradito la sua fiducia, dimostrandosi relazionalmente inaffidabile quanto quello "vero". Segni di scompenso iniziano inoltre a manifestarsi nelle sue chiamate: se sente che dall'altra parte (come da indicazioni ricevute) l'operatore stacca il microfono, inizia ad emettere strani versi, imita animali, produce rumori con oggetti disparati, esprimendo tutto il suo disagio e comportandosi come un bambino che tenti di attirare l'attenzione di adulti distratti. Questa regressione sembra indicativa del fatto che effettivamente la "comunicazione fàtica posticcia" può divenire estremamente pericolosa per chi intenda basarvi, in maniera esclusiva, le proprie compensazioni.

9) Il nomex è un tessuto ininfiammabile utilizzato per le divise militari e le tute automobilistiche; il neoprene è il tessuto atermico che si usa per le mute subacquee.

10) La possibilità di utilizzare la banda di frequenza dei 1800 Mhz, oltre a quella classica dei 900. In Italia, è una funzione attivata attualmente solo in alcune città.

11) Una nuova scheda SIM con 16 Kb di memoria invece dei normali 8. Permette una serie di funzioni aggiuntive, la maggior parte delle quali destinate a non essere adeguatamente sfruttate e comunque non ancora attivate dai gestori italiani. Come si vede, allo stato attuale il Dual-Band e la compatibilità SuperPower sono caratteristiche più di immagine che di reale utilità.

12) Si pensi alla diffusione, nei primi anni '90, dei "cellulari di plastica", tristi status-symbol a poco prezzo.

13) Si potrebbe inoltre far notare come il "Mito Tecnologico", ben evidenziato da Galimberti (1999) e da Severino, abbia un ruolo nel proporre modelli culturali improntati all'esaltazione del "feticcio" Hi-Tech, che assume una valenza simbolica resasi sostanzialmente autonoma rispetto alla sua reale valenza pragmatico-funzionale.

14) Personalmente mi sono trovato diverse volte a parlare con clienti che hanno seriamente rischiato incidenti stradali nel corso della nostra conversazione, e che nessun invito a fermarsi prima di parlare riusciva a smuovere dalla loro determinazione, ricca di componenti auto ed eterodistruttive.

 

Bibliografia

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Camaioni, L. (1993). Manuale di Psicologia dello Sviluppo. Il Mulino, Bologna

Camaioni, L. (1996). La Prima Infanzia. Il Mulino, Bologna.

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Galimberti, U. (1999). Psiche e Techne. Feltrinelli, Milano.

Keller, S. (1981). "The telephone in new (and old) Communities". In: De Sola Pool, 1981.

Pellizzoni, L. (1994). Il Telefono e la Città. Metis, 1, 1994.

Rossi, M. (1996). 144, messaggerie virtuali. Psychomedia Telematic Review, [Web site]. Http://www.psychomedia.it/pm/telecomm/telephone.

Smith, A. (1996). Mania and Mobile Phones. Irish Journal of Psychological Medicine, Vol 13(1): 40

Tambiah, S. J.(1995). Rituali e Cultura. Il Mulino, Bologna.

Tessarolo, M. (1994). Il Sistema delle Comunicazioni. Cleup, Padova.

Wurtzel, A.H., Turner, C. (1981). "Latent function of the Telephone: What Missing the Extension Means". In: De Sola Pool (1981).

 

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Luca Pezzullo, 1999, per Psychomedia Telematic Review. Tutti i diritti sono riservati. Ogni utilizzo dell'articolo o di parti di esso deve essere autorizzato dall'autore e dall'editor della rivista, e dovrà citare la fonte originale.


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