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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: MEMORIA E (TELE)COMUNICAZIONE

Area: Mass Media

Management dell'identità sui Social Network

di Amelia Rizzo1


Il cyberspazio è un estensione psicologica
del proprio mondo intrapsichico »
(Fata, 2005)

 

I social networks (SN) tipicamente consentono agli utenti lo spazio per un profilo, la facilità di caricare contenuti, come ad esempio foto o musica, la possibilità di scambiarsi messaggi in varie forme e, non ultima, l'opportunità di mettersi in contatto con altre persone. Questi contatti – o amici – sono la funzione principale di un social, e permette inoltre la formazione di gruppi, potenzia la comunicazione e lo scambio di una molteplicità di contenuti e applicazioni (Joinson, 2008).

I SN nascono negli Stati Uniti nel 2003 e si sviluppano attorno a tre principali aree tematiche: lavoro, amicizia e relazioni amorose. Flirk, Twitter, My Space, Youtube e infine Facebook sono solo alcuni dei più popolari social network che, previa iscrizione, consentono di presentarsi, gestire la propria rete di contatti e stabilire o mantenere connessioni con gli altri attraverso lo scambio e la libera condivisione di conoscenze e progetti, interessi personali, politici o musicali.

Una lettura psicologica di questo fenomeno non è certo semplice, ma si rende necessaria, data l’influenza che questo tipo di piattaforma inizia ad avere nelle relazioni umane. Le opinioni a riguardo sono spesso radicali: Facebook è additato da alcuni come lo specchio di una società narcisista ed autoreferenziale e da altri come la “polis” dove ognuno trova libertà di espressione.

In questo articolo vogliamo considerare nello specifico la gestione (management) dell'identità on line nei social networks, escludendo quelle condizioni ampiamente discusse in cui l'identità è segreta e/o costruita sulla base caratteristiche ideali inconsce con cui viene rappresentato un altro sè virtuale (avatar).

L'uso dei SN sembra avere caratteristiche specifiche e la prima è proprio il disvelamento dell'identità reale. Siamo infatti, nella maggior parte dei casi, presenti on line con il nostro vero nome. In una ricerca condotta presso l'Università di Messina è emerso che su 311 intervistati sugli usi e le motivazioni di Facebook, il 96.5% utilizza il proprio nome reale e il 90% il vero cognome. Il 60% arricchisce il profilo con informazioni relative al luogo in cui vive e il 52% con informazioni sulla propria istruzione o professione (Formica et al., 2010).

Una recente ricerca dal titolo "Facebook Profiles Reflect Actual Personality, Not Self-Idealization" ha trovato su un piano empirico le evidenze di una relazione positiva fra l'uso del social network e la vita reale e negativa con l'identità virtuale (Back et al., 2010).

I meccanismi di self disclosure (La Barbera, 2010) inducono a pensare che per comprendere la dinamiche psicologiche implicate nell'uso dei social vadano applicati altri parametri, che non spiegano tanto comportamenti patologici singolari, quanto atteggiamenti diffusi: pochissimi ormai possono chiamarsi fuori dall'esperienza di gestire parte della propria identità in rete.

L'utente ha di fronte a se innumerevoli possibilità nell'uso del social. Lo spazio virtuale di rappresentazione del sè può essere riempito con la nostra identità professionale, con le nostre relazioni sentimentali, passioni e gusti, giochi, stati dell'umore. Molte ricerche hanno dimostrato che l'uso specifico ha una relazione con la personalità (Gosling, 2010; Huges, 2011; Schmit, 2012) in termini di apertuta/chiusura, introversione/estroversione, tratti narcisistici.

La realtà virtuale è inoltre uno spazio psicologico intermedio fra sè e gli altri, che stimola processi di proiezione, regressione, tranfert e controtransfert, aspetti certamente più difficili da rilevare empiricamente. La modalità con cui gestiamo le nostre relazioni on line è proporzionale allo sviluppo della personalità: in questa dimensione senza confini e senza gli indicatori tipici della relazione off line è indispensabile la capacità di vedere l'altro come separato e distinto da sè, la capacità cioè di instaurare relazioni oggettuali (Fata, 2005).

E' questo il perno sui cui si determina la distinzione fra social bridging e social bonding, ovvero fra i legami superficiali e quelli profondi. Abbiamo motivo di credere che sia la rapresentazione oggettuale profonda a determinare il tipo di relazioni che si instaurano on line. Sarebbe interessante comprendere come la complessità delle rappresentazioni oggettuali possa in qualche modo spiegare le tipologie di legami virtuali che si stabiliscono attraverso i social.

Chi opera ad un livello primitivo di relazioni oggettuali tende a vedere gli altri come estensioni del sè. Il transfert fa si che gli altri vengano visti come specchi dei propri desideri, bisogni ed emozioni. Questo sembrerebbe in connessione con l'uso massiccio di quelle funzioni (Status update) che consentono di pubblicare ogni qualvolta lo si desidera dei contenuti, foto che ci ritraggono, video, pensieri e note personali, nell'illusione di un pubblico di contatti che ci riserva tutta la sua attenzione.

In molti ambienti virtuali dove l'identità è celata, si assiste ad una dissociazione fra vita on line e off line. La realtà virtuale diventa quel luogo in cui essere liiberi dalle convenzioni sociali e mettere in atto gli impulsi sessuali e aggressivi più profondi, che, come dimostrano molte ricerche, sono facilitate dall'anonimato. Nel caso dei SN spesso si assiste invece ad una parziale corrispondenza fra i contatti che si hanno nella vita reale e quelli on line. Nella ricerca sopra citata la maggior parte degli intervistati ha dichiarato di conoscere nella vita reale più del 75% dei propri contatti (45.98%), se non addirittura tutti (36.98%).

L'antropologo Robin Dunbar (2010) ha teorizzato un numero soglia di relazioni che l'individuo può gestire pari a 150 (numero di Dunbar). E' chiaro che nei SN questo numero viene facilmente superato, raddoppiato o triplicato. E ciò determina una serie di implicazioni. Innanzi tutto può esservi una commistione di contatti che si conoscono nella vita reale, contatti geograficamente distanti, ma affini per una qualche caratteristica o passione comune, contatti mai incontrati nella vita reale che si desidera conoscere.

In questa eterogeneità di tipologie relazionali si affaccia un unico "profilo" che possiede caratteristiche che, sebbene vicine all'identità della persona, può esprimere ugualmente desideri, proiezioni e velati indicatori della rappresentazione del sè reale e ideale. Se nella completa dissociazione fra vita reale e vita virtuale si rischia di creare una cesura all'interno della personalità, nell'ambito dei SN questa "sovrapposizione" fra vita reale e virtuale è sicuramente più attenuata.

A ciò va associato anche il tipo di transfert che si ha con l'oggetto computer. A volte possiamo inconsapevolmente tendere ad umanizzarlo e, di contro, a percepire gli altri come meno umani. Tanto che Fata (2005) ipotizza che le reazioni transferali nei confronti del computer possono interferire con quelle nei confronti dei propri interlocutori. E' come se, anche chi si trova ad un livello più evoluto di relazioni oggettuali, possa in qualche modo regredire a mezzo del computer.

Tali relazioni sono dunque tanto più sane, quanto più si è consapevoli delle distorsioni a cui si è suscettibili nella relazione tecnomediata, che non solo risente dei nostri meccanismi transferali, ma anche del controtranfert, ovvero della risposta dei nostri interlocutori al nostro transfert. Tutto ciò richiede un alto livello di consapevolezza e un'attenta analisi e riflessione a più livelli sui meccanismi in cui siamo coinvolti quotidianamente.

 

Bibliografia

Back, M. D., Stopfer, J. M., Vazire, S., Gaddis, S., Schmukle, S. C., Egloff, B., & Gosling, S. D. (2010). Facebook profiles reflect actual personality, not self-idealization. Psychological science, 21(3), 372-374.

Dunbar, R. (2010). How many friends does one person need?: Dunbar's number and other evolutionary quirks. Faber & Faber.

Fata A. (2005). Identità on line e conoscenze virtuali. Psycotech n.2, 79-99.

Formica I., Rizzo A., Conti F. (2010). Facebook o faceboom? Una ricerca esplorativa. Ed. Corisco 2010.

Gosling, S. D., Augustine, A. A., Vazire, S., Holtzman, N., & Gaddis, S. (2011). Manifestations of personality in online social networks: Self-reported Facebook-related behaviors and observable profile information.Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking, 14(9), 483-488.

Hughes, D. J., Rowe, M., Batey, M., & Lee, A. (2012). A tale of two sites: Twitter vs. Facebook and the personality predictors of social media usage.Computers in Human Behavior, 28(2), 561-569.

Joinson, A. N. (2008, April). Looking at, looking up or keeping up with people?: motives and use of facebook. In Proceedings of the SIGCHI conference on Human Factors in Computing Systems (pp. 1027-1036).

SCHMIT, L. (2012). Personality and its Effects on Facebook and Self-Disclosure. Katherine Curtis’s Spring ENC1102.


1Psicologa, Dottoranda di Ricerca in Scienze Psicologiche, Dipartimento di Scienze Umane e Sociali, Università degli Studi di Messina.

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