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Psicoterapia - Documenti e Comunicati



Tanatologia: intervista a Mario Mastropaolo

Maurizio Mottola



Venerdì 29 gennaio 2010 inizia a Napoli il Corso in Tanatologia Psicologia del vivere e del morire, organizzato da Nea Zetesis Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale e Transpersonale. Il corso si sviluppa in 92 ore di attività, articolate in 7 incontri seminariali di 13 ore ciascuno, in week-end periodici mensili da gennaio a luglio 2010; ne è direttore didattico lo psicologo e psicoterapeuta della Gestalt Mario Mastropaolo, al quale abbiamo posto alcune domande.
Quali sono le finalità del corso in Tanatologia? Il corso vuole promuovere una conoscenza complessiva e multidisciplinare, cioè la ricerca in ambiti numerosi, considerati talvolta obsoleti o ritenuti inconciliabili dallo spirito del nostro tempo. Prima di tutto lasciare un margine di ambiguità, allo scopo di evitare che ci si possa occupare della morte e del morente soltanto quando non è possibile fare diversamente, vista l'ineluttabilità dell'evento. Tecniche di accompagnamento alla morte, improvvisazioni volontaristiche, affidamenti fideistici, conoscenze rappezzate all'ultimo momento, espressioni di circostanza, che risentono di un lungo disinteresse e negazione della morte, acquistano scarso significato davanti alla constatazione che il morente è il vivente stesso, colui che ha cominciato a morire nel momento stesso in cui è nato, destinato quindi a trasformarsi, senza che il ciclo vita-morte possa essere interrotto, né tanto meno cambiato. L'assistenza al morente richiede dunque, non frettolose formule rituali, bensì una conoscenza della morte e questa deve essere ricercata in tutto l'arco della vita. Scrive Lama Sogyal Rinpoche: "(...) Non ci è stato insegnato quasi nulla su come aiutare chi muore, anche se è una persona cara o vicina, e non siamo incoraggiati a pensare al futuro del defunto, a come continuerà la sua esistenza, a come possiamo aiutarlo. Anzi, qualunque pensiero in questo senso rischia di essere bandito come inutile e ridicolo. Tutto ciò ci dimostra con dolorosa evidenza che ora più che mai abbiamo bisogno di un cambiamento radicale nel nostro atteggiamento verso la morte e i morenti (...)".
Come viene vissuto il morire in Occidente ed in particolare in Italia? Non viene vissuto. Spesso un'angoscia improvvisa e senza spiegazioni apparenti si muove all'interno di noi, ma il modello biomedico della cura propone la "pillola indicata". Psicofarmaci destinati ad azzerare qualunque turbamento sostengono le tre difese più potenti escogitate dalla nostra cultura. 1. la negazione (la morte non esiste). I morti infatti hanno una loro città, un luogo da abitare a ridosso delle nostre case, se siamo fortunati forse possiamo anche parlare con loro, sono presenti nei nostri pensieri. Bisogna soltanto accettare una trasformazione, ma siamo molto lontani dall'accettazione dell'evento e dalla interiorizzazione del ricordo. 2. L'annullamento. La morte si può evitare, magari vivendo un po' di meno in vita possiamo governarla, controllarla mirando alla perfezione del corpo o intellettuale (onniscienza, grandiosità). Riguarda i così detti "grandi uomini", quelli ritenuti immortali per grandi meriti acquisiti, da Einstein a Napoleone, in questo caso è poco importante se hanno contribuito all'evoluzione della comunità umana o alla regressione. Un semplice esempio riguarda un'esperienza che tutti possiamo fare. Decidere di passeggiare per una città del mondo guardando i nomi delle strade. Criminali, truffatori, uomini di fede, politici libertari, salumieri, figli di puttana. Per tutti c'è un ricordo da immortalare. 3. L'alienazione. E' l'allontanamento dal Sé, la pretesa di vivere secondo una verità rivelata, quindi la convinzione che il bene deriva da un'autorità esterna, alla quale è necessario adeguarsi, distruggendo la propria ricerca individuale (autorealizzazione) e ricercando il "valore" dell'obbedienza. La vita affettiva è fatta di relazioni narcisistiche e di potere (controllo).
Qual è la sua opinione sul testamento biologico? Nella prospettiva psicologica umanistica, esistenziale e transpersonale, i valori che sono alla base di qualunque teoria che possa riguardare l'uomo, il benessere e la qualità della sua vita abbracciano una visione olistica, dalla quale deriva il pieno rispetto della condizione umana, di per sé meritevole di considerazione. Quella scienza medica, che in nome della "ricerca scientifica", travalica questo confine è scientismo, una ricerca cioè estranea all'umanesimo esistenziale, completamente lontana dagli interessi dell'uomo. Il testamento biologico trova il suo fondamento nel tentativo di proteggere la volontà individuale allo scopo di impedire che lo scientismo medico possa intervenire e sostituirsi alle "ultime volontà". Crediamo, intanto, che da questo punto di vista anche un medico più consapevole debba sentirsi liberato dal peso di decisioni impegnative, anche se queste vengono spesso prese nell'ambito di una consuetudine condivisa e ritenuta positiva e rispettosa delle leggi biologiche.
Ma la longevità può essere considerata un valore ? Noi pensiamo che può diventare un valore soltanto se include l'acquisizione della significatività della vita, il cui allungamento può favorire l'attivazione della pulsione di autocompimento, quella ricerca di senso che nasce dalla conoscenza di se stessi, dall'elaborazione della propria irripetibile vicenda umana e dal dispiegamento delle potenzialità latenti. Il cosiddetto accanimento terapeutico, dunque, non trova un fondamento etico accettabile e rientra in quelle motivazioni discutibili di tipo regressivo, che sono talvolta alla base della scelta della professione medica.


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