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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICOTERAPIA

Area: Integrazione delle Psicoterapie

L'integrazione psicoterapeutica: un approccio psicodinamico assimilativo

by George Stricker, The Derner Institue, Adelphi University
and Jerold R. Gold, Long Island University

(Traduzione di Luca Panseri)


Sommario.

L'integrazione psicoterapeutica è un approccio al trattamento che mira al superamento di ogni particolare teoria o insieme di tecniche. Viene descritta la storia del movimento per l'integrazione in psicoterapia, insieme ai diversi approcci all'integrazione che sono stati sviluppati. Descriviamo poi il nostro approccio assimilativo, basato su un modello psicodinamico che include varie altre metodiche di trattamento. Viene fornito un esempio clinico che illustra il modello da noi descritto.



Gli psicoterapeuti sono sempre stati interessati agli sviluppi delle scienze naturali e sociali, alla filosofia, alla teologia, all'arte e alla letteratura, e hanno cercato di applicarli. Ciò nonostante, la maggior parte di noi ha rifiutato di apprendere la psicoterapia attraverso un confronto intercollegiale se non all'interno di appartenenze condivise ideologiche e di scuola. Questa tendenza all'isolamento è stata contrastata da un piccolo, ma crescente, gruppo di studiosi e clinici che hanno saputo oltrepassare le barriere di un atteggiamento settario. Questi terapeuti integrativi hanno mirato a stabilire un dialogo proficuo fra i membri delle diverse scuole di psicoterapia. La loro meta è stato lo sviluppo di forme il più possibile efficaci di psicoterapia. L'integrazione psicoterapeutica comporta la sintesi dei concetti e metodi migliori e più eleganti in direzione di nuove teorie e nuovi sistemi di trattamento. Data la crescita del numero di pubblicazioni, riviste e società professionali che si occupano dell'integrazione psicoterapeutica, si può dire che essa, come ha rilevato Arkowitz (1991), ha raggiunto la maturità.

Il primo approccio all' integrazione psicoterapeutica comportò la traduzione di concetti e metodi di un sistema psicoterapeutico nel linguaggio e nelle procedure di un altro. Una breve rassegna storica di questo movimento potrebbe cominciare dal tentativo di tradurre i concetti psicoanalitici freudiani nei termini delle teorie dell'apprendimento.
Come osservato da Arkowitz (1984) , alla cui pregevole storia della psicoterapia integrata questo nostro più conciso resoconto ha fatto estesamente riferimento, forse il primo articolo di questo genere fu scritto da Ischlondy (1930) e il suo lavoro fu poi ampliato da French (1933) e Kubie (1934). French studiò la corrispondenza tra i costrutti Pavloviani di inibizione, differenziazione e condizionamento e i concetti analitici di rimozione, scelta oggettuale e insight. Approfondendo queste idee, Kubie fu portato a considerare la possibilità che fenomeni come il condizionamento operante e la disinibizione giocassero un ruolo importante nella relazione tra l'analista e l'analizzato.

Questi pionieri dell'integrazione seguivano una direzione introdotta in psicoanalisi da Freud (1909/1955). Egli aveva notato l'utilità di forzare il paziente fobico a fronteggiare attivamente l'oggetto fobico-una anticipazione della desensibilizzazione in vivo-e aveva sperimentato anche trattamenti limitati nel tempo per poter attivare il conflitto e aver accesso a un materiale inconscio più profondo. Quando i teorici dell'apprendimento cominciarono a includere nei loro sistemi i principi del condizionamento operante e variabili psicologiche organismiche e complesse, tali idee furono applicate agli approcci psicoterapeutici dominanti in quel periodo. Sears (1944), Shoben (1949), Dollard e Miller (1950) rielaborarono la terapia psicodinamica e quella centrata sul cliente nel linguaggio e nei concetti del rinforzo e dell'apprendimento internamente mediato che era stato studiato da neocomportamentisti come Hull (1952). Questi studi evidenziavano il valore di rinforzo del terapeuta e, specialmente nel caso di Dollard e Miller (1952), anticipavano le modificazioni della tecnica analitica che avrebbero dato rilievo all'attività e alla direttività del terapeuta.

Procedure che oggi sono usate comunemente nella terapia cognitivo-comportamentale e in molte forme di terapia integrata
furono introdotte da Dollard e Miller e includevano l'uso di compiti a casa, role playing e modeling, come pure la volontaria e graduale esposizione del paziente a situazioni e stati interni ansiogeni. Wachtel (1977) e Arkowitz (1984) hanno notato che il lavoro di Dollard e Miller fu molto più influente nel campo della psicologia generale e della teoria dell'apprendimento che in quello psicoterapeutico, e che il loro impatto diretto sull'integrazione in psicoterapia non fu avvertito se non molto più tardi.

Alexander (1963; Alexander & French, 1946 ) modificò il suo approccio di terapia orientata psicoanaliticamente sperimentando modalità attive di induzione del cambiamento che si ispiravano alle teorie dell'apprendimento. Un punto cruciale per i successivi sviluppi dell'integrazione psicoterapeutica fu l'introduzione dell'idea che l'insight spesso seguiva la modificazione comportamentale, piuttosto che essere ad essa esclusivamente antecedente. Questa presa di distanza da una visione unidirezionale dei fattori del cambiamento influenzò notevolmente la riflessione di molti successivi ricercatori nel campo dell'integrazione.

Una tendenza molto importante in tutto questo periodo fu la ricerca sui fattori di cambiamento comuni a tutte le psicoterapie. Sebbene non mirassero di per sé all'integrazione o alla traduzione teorica, queste ricerche si rivelarono di fondamentale importanza nell'abbattere le barriere fra gli aderenti a specifici sistemi di psicoterapia. Fiedler (1950) dimostrò l'incapacità da parte di osservatori esterni di rilevare differenze tra terapia analitica, adleriana o centrata sul cliente, o di identificare l'ideologia terapeutica dei differenti clinici. Tali ricerche così come gli studi di Frank (1961) e London (1964 ), evidenziavano gli aspetti comuni nella varietà delle terapie contemporanee, e divennero i promotori di un approccio non settario alla psicoterapia. Queste discussioni risultarono essere estremamente feconde per il lavoro più specificamente integrativo che seguì.

Quando la terapia comportamentale divenne più raffinata e più orientata verso problemi clinici complessi, alcuni dei suoi teorici e clinici rivolsero la loro attenzione alla psicoanalisi, alle terapie umanistiche e agli approcci sistemici, in cerca di indicazioni, idee e metodi. Alcuni esempi significativi di queste ricerche realmente integrative includono i lavori di Beier (1966), Marks e Gelder (1966), Weitzman (1967), Sloane ( 1969), Marmor (1971), e Birk e Brinkley-Birk (1974), tra molti altri. Questi studiosi erano accomunati dall'interesse per i legami teoretici e le similarità tra i metodi comportamentali, umanistici e dinamici. Brady (1968), Birk (1970), Feather e Rhoades (1972) si cimentarono con l'integrazione di metodi psicodinamici, sistemici e comportamentali in casi particolari. Goldfried e Davison (1976) riconobbero la necessità di fare riferimento a concetti e metodi ispirati a vari e differenti sistemi di terapia.

Se la storia dell'integrazione in psicoterapia ebbe un particolare punto di svolta, esso fu rappresentato dalla pubblicazione del lavoro di Wachtel (1977) Psychoanalysis and Behavior Therapy. Questo libro continua ad essere il lavoro più frequentemente citato in psicoterapia integrata, ed è servito come modello di integrazione sia a livello teoretico che tecnico. Wachtel ha offerto una teoria della personalità e della psicopatologia che integra pienamente aspetti critici della teoria psicodinamica e comporamentale in un modello unico e sinergico. Va inoltre sottolineato come questa nuova teoria integrativa consentì di rendere prevedibile e comprensibile l'applicazione clinica di un vasto spettro di interventi.

Norcross e Newman (1992) hanno identificato otto variabili interagenti che hanno favorito lo sviluppo dell'integrazione in psicoterapia. Queste includono: 1. l' enorme aumento del numero di psicoterapie differenti; 2. l'incapacità di qualsiasi singola terapia o gruppo di terapie di dimostrare un'efficacia chiaramente superiore; 3. la correlata mancanza di successo di qualsiasi teoria nello spiegare adeguatamente e nel prevedere le modificazioni della personalità, della patologia e del comportamento. 4. lo sviluppo nel numero e nell' importanza delle psicoterapie brevi focalizzate; 5. la maggior comunicazione fra clinici e ricercatori che ha ampliato le opportunità di sperimentazione terapeutica; 6. l'intrusione nella stanza di terapia dal fattore di realtà costituito dal sostegno socioeconomico erogato da terze parti per le psicoterapie tradizionali di lunga durata, assieme a un'aumentata pressione a render conto del processo e a documentare l'efficacia di tutte le terapie mediche e psicologiche; 7. l' identificazione dei fattori terapeutici comuni a tutte le psicoterapie; 8. lo sviluppo di organizzazioni e reti professionali, dibattiti e riviste dedicati alla discussione e allo studio della integrazione psicoterapeutica.

Recentemente si è avuto un massiccio aumento di lavori integrativi, e un appassionato dibattito circa la possibilità e l'opportunità di un impegno verso l'integrazione. Di particolare interesse in questo periodo è stata una raccolta di dialoghi fra sostenitori e oppositori dell'integrazione psicoterapeutica (Arkowitz & Messer, 1984). Un ultimo segnale della crescente maturità dell'integrazione in psicoterapia è rappresentato dalla quasi simultanea pubblicazione di due recenti manuali che hanno raccolto in volumi singoli i lavori di alcuni dei più importanti studiosi (Norcross & Goldfried, 1992; Stricker & Gold, 1993 ).


Le modalità dell'integrazione in psicoterapia.

Ci sono tre modi generalmente accettati in cui i metodi e i concetti di due o più scuole di psicoterapia possono essere combinati o sintetizzati. Essi differiscono l'uno dall'altro per le ipotesi sul luogo in cui le diverse terapie si incontrano e si fondono l'una con l'altra. Si differenziano anche in funzione dell'enfasi posta a diversi livelli sulla tecnica, sui fattori di cambiamento o sulla teoria in senso lato (Norcross & Newman, 1992). Le tre forme di integrazione più comunemente discusse sono l'eclettismo tecnico, l'approccio dei fattori comuni e l'integrazione teorica.

L'eclettismo tecnico è la forma di integrazione psicoterapeutica più clinica e più orientata in senso tecnico. Tecniche e interventi tratti da due o più sistemi psicoterapeutici sono applicati sistematicamente e sequenzialmente. La serie degli interventi collegati segue abitualmente una valutazione globale del paziente. Questa valutazione permette di identificare i problemi centrali e di chiarire poi le relazioni fra i differenti problemi, i punti di forza e le caratteristiche cognitive, affettive e interpersonali del paziente. Le tecniche sono scelte in funzione dei bisogni del paziente, per come sono valutati in base alla conoscenza clinica e ai risultati della ricerca. L'eclettismo tecnico non richiede di essere orientato da una teoria nuova o integrativa della personalità o della psicopatologia. Utilizza invece le teorie esistenti delle quali supera i limiti concettuali sulla base di una valutazione clinica caso per caso, aggiungendo nuove tecniche e strategie cliniche a seconda delle necessità. Quando la teoria non è chiamata in causa, lo stile dell'integrazione psicoterapeutica tende all'eclettismo.

L'approccio integrativo dei fattori comuni origina dal presupposto che tutti i metodi efficaci di psicoterapia condividono in qualche grado alcuni fattori terapeutici fondamentali. Questo approccio tenta di identificare gli specifici ingredienti efficaci di ciascun gruppo di terapie. Questo sforzo è seguito dall'esplorazione dei modi in cui particolari interventi e interazioni psicoterapeutiche promuovono e contengono quegli ingredienti. Le terapie integrative che risultano da questo processo sono strutturate intorno all' obiettivo di massimizzare l'esposizione del paziente alla combinazione di fattori terapeutici di cui si presume egli possa beneficiare.

La ricerca dei fattori terapeutici comuni effettuata in ricerche trasversali sulla psicoterapia ha una storia lunga e illustre. La ricerca e l'insegnamento di capiscuola come Jerome Frank, Carl Rogers e Hans Strupp ebbero un'importanza decisiva per l'approccio dei fattori comuni. Rogers (1961) tentò di identificare clinicamente e empiricamente i fattori necessari e sufficienti alla crescita terapeutica. Secondo Rogers, il cambiamento del paziente deriva da una relazione in cui il terapeuta risponde al paziente con empatia accurata, coerenza e considerazione incondizionatamente positiva. In una prospettiva interculturale che accomunava guaritori e psicoterapeuti, Frank (1961) giungeva alla conclusione che l'incoraggiamento di un paziente abbattuto e la riaccensione della speranza sono centrali per tutte le relazioni di aiuto psicologiche e morali. Strupp e i suoi colleghi (ad es. Strupp, Wallach & Wogan, 1962 ) aprirono la strada alla ricerca empirica in psicoterapia dinamica. Essi (Strupp, Hadley & Gomes-Schwartz, 1977) giunsero a conclusioni molto simili riguardo agli elementi efficaci delle terapie analitiche.

Gli studiosi contemporanei dei fattori comuni hanno ampliato queste ricerche iniziali e hanno potuto dimostrare che la maggior parte della terapie hanno in comune un insieme di elementi terapeutici. Questi fattori comuni sono supportivi e relazionali, nel senso che nascono dalla relazione terapeutica. Essi sono anche tecnici, in quanto offrono nuove esperienze di apprendimento e l'opportunità di mettere alla prova nuove capacità di azione (Lambert, 1992; Lambert & Bergin, 1994). Ciascuna scuola di psicoterapia valorizza alcuni fattori comuni efficaci e ne trascura o esclude altri (Weinberger, 1995 ). Il vantaggio di questo tipo di integrazione dei fattori comuni è quindi quello di incrementare il numero di fattori curativi, sia comuni sia specifici, ai quali il paziente può essere sistematicamente esposto.

L'ultimo tipo di integrazione in psicoterapia che prenderemo in considerazione è l'integrazione teorica. Questa forma di integrazione è stata descritta da alcuni autori come la più sofisticata e importante, ma è stata criticata come eccessivamente ambiziosa e sostanzialmente irrealizzabile da altri (Franks, 1984; Lazarus, 1992; Messer, 1992) a causa delle incompatibilità scientifiche e le differenze filosofiche fra le varie scuole di psicoterapia. Quelli che sostengono questa forma di integrazione lo fanno per le nuove prospettive che essa offre a livello della teoria e della pratica.

L'integrazione teorica comporta la sintesi di nuovi modelli di funzionamento personologico, di psicopatologia e di cambiamento psicologico a partire dai concetti di due o più sistemi tradizionali. Le teorie integrative di questo tipo tentano generalmente di spiegare i fenomeni psicologici in termini interattivi, cercando di individuare i modi in cui i fattori ambientali, motivazionali, cognitivi e affettivi influenzano e sono influenzati l'uno dall'altro. Si ritiene che la causalità sia abitualmente multidirezionale e includa fattori consci e latenti; la maggior parte delle integrazioni teoretiche comprende inoltre un'attenzione ai modi in cui gli individui riproducono nel presente gli schemi e le esperienze del passato.

I sistemi di psicoterapia che derivano da tale integrazione teorica utilizzano interventi presi da ciascuna delle teorie considerate, ma conducono anche a tecniche originali che possono armonizzare senza cesure apparenti due o più scuole terapeutiche (Wachtel, 1991). A volte gli interventi clinici proposti da un sistema teoricamente integrato possono assomigliare nella sostanza alla scelta di tecniche di un modello tecnicamente eclettico. Le differenze essenziali possono ritrovarsi nel sistema di credenze e nelle spiegazioni concettuali che precedono le strategie cliniche scelte dai rispettivi terapeuti.
L'integrazione teoretica va oltre l'eclettismo tecnico nella pratica clinica ampliando il campo dei fattori manifesti e latenti cui si può rivolgere un intervento terapeutico. Sottili interazioni tra esperienze interazionali e processi e stati interni possono essere valutate e affrontate terapeuticamente da diverse prospettive complementari. I risultati attesi per ogni forma di intervento in una o più aree problematiche possono essere predetti, sperimentati e perfezionati quando necessario. Questa espansione concettuale offre una cornice in cui si i problemi a un determinato livello o ambito della vita psicologica possono essere considerati in modi precedentemente incompatibili (Gold, 1990).


Il modello psicodinamico assimilativo di integrazione psicoterapeutica.

Il nostro modello di integrazione psicoterapeutica si basa sull' integrazione teorica. Attinge in profondità alle teorie psicodinamiche contemporanee delle modificazioni psicologiche, della struttura di personalità e della psicopatologia, utilizzando al contempo liberamente metodi e interventi da altri sistemi terapeutici. Questo approccio all'integrazione teoretica è meglio descritto come assimilativo (Messer, 1992) poiché viene mantenuta una singola impostazione teoretica, ma sono incorporati entro quell'impostazione tecniche di molti altri metodi. Quando sono impiegate nuove tecniche entro un quadro concettuale dato, il loro significato, impatto e utilità sono notevolmente modificati. Nella sua riflessione sulla integrazione assimilativa della psicoterapie, Messer (1992) fa notare che tutte le azioni sono definite e contenute dal contesto fisico, interpersonale e storico in cui si svolgono. Essendo azioni interpersonali complesse, gli interventi terapeutici sono definiti dal più largo contesto della terapia. Una tecnica comportamentale come la desensibilizzazione sistematica avrà un significato completamente differente per un paziente la cui esperienza terapeutica è stata principalmente caratterizzata da un'esplorazione orientata psiocodinamicamente, rispetto a un paziente in trattamento comportamentale tradizionale.

Il processo dell'accomodazione accompagna inevitabilmente quello dell'assimilazione. I metodi, gli stili e le idee orientate psicodinamicamente sono riformulate e sperimentate diversamente in un sistema integrativo, al confronto con le terapie psicodinamiche tradizionali. Quando scegliamo di intervenire attivamente sulle cognizioni del paziente, sul comportamento, sugli affetti e sulle relazioni interpersonali, noi modifichiamo il significato e l'impatto del nostro lavoro di esplorazione, come pure viene modificata la nostra enfasi sull'insight. Queste modificazioni assimilative e accomodative sono state ampiamente e accuratamente descritte nella recente letteratura sull'integrazione psicoterapeutica.

In due lavori precedenti abbiamo presentato un modello a "tre livelli" della struttura della personalità e del cambiamento (Gold & Stricker, 1993; Stricker & Gold, 1988 ). Questi livelli si riferiscono rispettivamente al comportamento manifesto (Livello 1), alle sensazioni, percezioni, affetti e cognizioni consce (Livello 2), e ai processi mentali inconsci, motivazioni, conflitti, immagini e rappresentazioni di altre persone significative (Livello 3). Noi diamo il maggior rilievo teorico e clinico all'esplorazione di quest'ultima sfera di esperienza, ma riconosciamo e utilizziamo terapeuticamente le interconnessioni complesse e multideterminate fra i differenti livelli di esperienza. A differenza della psicoanalisi tradizionale, che considera il comportamento e l'esperienza cosciente come epifenomeniche e importanti solo in quanto simboleggiano le questioni sottostanti, noi accogliamo gli ambiti del comportamento e della coscienza come aree di lavoro significativo di per sé stesse.

La nostra base teoretica psicodinamica, costantemente in evoluzione, eredita i contributi di innovatori psicoanalitici come Ferenczi (1930) e Alexander & French (1946), e interpersonalisti come Sullivan (1953) e Fromm (1955).
Tutti questi autori sfidarono l'egemonia dell'insight e dell'interpretazione nella terapia analitica, sostenendo invece che la nuova esperienza e l'interazione correttiva fra il paziente e il terapeuta fossero altrettanto importanti, se non di più, dell' insight nel determinare il cambiamento. La nostra riflessione è molto vicina a teorie psicodinamiche innovative quali la Psicodinamica Ciclica di Wachtel (1977, Gold & Watchel, 1993), la Terapia Cognitivo-Analitica di Ryle e il modello del Sé attivo di Andrew (1993), e da esse è stata profondamente influenzata. Questi teorici osservano che l'insight e i nuovi patterns di relazione con sé e con gli altri sono connessi in modi circolari, diversi e mutevoli, con l'insight che segue i nuovi processi emozionali, interpersonali e rappresentazionali altrettanto spesso di quanto è esso a determinarli. L'insistenza su un modello unidirezionale del cambiamento (Gold,1991) suggerisce erroneamente che la vita psicologica e l'effetto psicoterapeutico sono chiari e semplici.

Quando si applica l'integrazione assimilativa, il modello psicodinamico della mente utilizzato deve essere riconsiderato (Stricker, 1994). In particolare, la teoria unidimensionale del cambiamento emblematica della psicoanalisi classica deve essere abbandonata in favore di un modello circolare e multidirezionale (Gold & Wachtel, 1993; Stricker & Gold, 1988). Noi riteniamo che il cambiamento avvenga e abbia inizio a uno qualsiasi dei tre livelli della vita psicologica, piuttosto che essere sempre determinato dalle modificazioni della motivazione, della struttura e del conflitto inconscio. Noi sosteniamo anche che l'insight può essere sia la causa del cambiamento sia il risultato di nuove esperienze e modalità di adattamento oppure un mediatore variabile che interviene negli effetti di altri processi di cambiamento. Spesso è difficile, se non impossibile, identificare la posizione dell'insight e degli interventi attivi nella catena causale degli eventi che hanno preceduto i miglioramenti del paziente.

Nel tentativo di raggiungere un'integrazione assimilativa, la selezione fra gli interventi alternativi è fra le decisioni più difficili che il terapeuta si trova ad affrontare. Molto spesso queste decisioni sono prese sulla base di fattori clinici, così come dell'orientamento teoretico o della precedente esperienza. Questo conduce a decisioni altamente individualistiche che raramente sono attendibili, ma che spesso appaiono essere efficaci. Tuttavia, la mancanza di attendibilità ci fa diffidare circa la validità, non importa quanta fiducia ciascun clinico abbia posto nella propria decisione. Un approccio alternativo è stato suggerito da Beutler (ad es. Beutler & Hodgson, 1993), che tenta di sviluppare una base derivata dalla ricerca per accoppiare le decisioni di intervento con i fattori terapeutici disponibili. Chiaramente questa è una base d'azione superiore, anche se la letteratura attuale non ne fornisce un fondamento sufficientemente ampio; di conseguenza molte situazioni non potranno che essere restituite al terapeuta che deciderà su un base teorica ed esperienziale, come ha sempre fatto.

L'utilizzo assimilativo di interventi attivi è basato primariamente sulla valutazione da parte del terapeuta dello stato psicodinamico del paziente. Questa valutazione include un'attenzione particolare alla qualità dell'alleanza e della relazione terapeutica, come pure la valutazione dei conflitti più urgenti, delle difese, delle rappresentazioni del sé e dell'oggetto e degli stati emozionali in cui il paziente si sta dibattendo. Metodi attivi sono scelti e suggeriti tenendo presente due o più obiettivi simultanei e compatibili: (1) promuovere delle modificazioni nel funzionamento attuale della persona che (2) influiranno anche sui principali processi intrapsichici e caratterologici.

Quando indicate, sia sulla base dell'esperienza clinica che dei risultati della ricerca, le tecniche cognitive, comportamentali, sistemiche o esperienziali possono essere introdotte per intervenire in qualcuna o in tutte le problematiche psicodinamiche. Per esempio, noi talvolta usiamo un metodo basato sull'esposizione come la desensibilizzazione sistematica o il training assertivo con l'obbiettivo di ridurre l'ansia sociale. Sebbene il cambiamento del comportamento manifesto sia altamente desiderabile in se stesso, esso rappresenta anche un modo di lavorare con le difese e le resistenze che non cedono all'interpretazione. Quando il paziente si impegna più profondamente in relazioni temute, i fattori intrapsichici sottostanti a quelle paure saranno accessibili all'esplorazione dinamica in modo immediato ed emotivamente vitale.
Similmente, un' impasse nella relazione terapeutica che potrebbe essere determinata dalle rappresentazioni inconsce del paziente rispetto alle intenzioni del terapeuta può essere risolta solo parzialmente dall'interpretazione delle cause attuali e remote di queste percezioni.
La verifica attiva dell' esattezza dei pensieri del paziente, come praticato nella terapia cognitiva tradizionale, può spesso essere altamente efficace in tali situazioni.

Come esempio conclusivo, il lavoro interpretativo con una persona rigidamente controllata e eccessivamente intellettualizzata può essere immensamente facilitato dall'introduzione di metodi esperienziali affettivamente orientati tratti dalla terapia gestalt, come la tecnica delle due sedie. L'obiettivo qui, è di combinare la consapevolezza intellettuale delle emozioni represse prodotta dal lavoro interpretativo con la potenza dell'esperienza immediata di quelle emozioni.
Questa espansione attiva della vita affettiva del paziente spesso è in sinergia con l'esplorazione psicodinamica nel creare una miscela di insight ed esperienza che più difficilmente il paziente riuscirà a incorporare nella sua struttura difensiva intellettualizata. Il terapeuta assume una prospettiva allargata della varietà di eventi e processi che possono influenzare la vita intrapsichica. All'interpretazione e all'insight è ancora assegnato un ruolo fondamentale, ma in un quadro in cui le componenti emozionali, cognitive e interpersonali sono viste come capaci di mantenere o determinare desideri, rappresentazioni di sé o altri e stati complessi di conflittualità interna (Ryle, 1990; Stricker & Gold, 1993; Wachtel, 1977).

Come Wachtel (1977; Gold & Wachtel, 1993) ha fatto notare, stati intrapsichici rifiutati possono talvolta riflettere le percezioni inconsce del paziente di eventi reali o relazioni qui e ora, piuttosto che essere i resti di antiche esperienze. Sia la loro origine nel passato o nel presente, i problemi dinamici sono modellati, rinforzati e talvolta modificati dalla partecipazione delle persone significative nella vita del paziente. Questo riguarda tutti i pazienti, ma è specialmente pertinente al lavoro terapeutico con pazienti la cui patologia deriva da disturbi dello sviluppo. Questi individui "disturbati caratterialmente" difettano della struttura interna necessaria per compiti adattativi come la tolleranza affettiva, la regolazione dell'autostima, o l'iniziativa autonoma ( Stricker & Gold, 1988). Questi difetti dello sviluppo si manifestano attraverso gravi disturbi del comportamento , della cognizione, dell'affettività e delle relazioni interpersonali (Livelli 1 & 2). Il lavoro su questi temi deve essere diretto a tutti i tre livelli. Lavorare solamente al livello psicodinamico richiederebbe al paziente di andare troppo oltre le sue preesistenti capacità adattative. Tuttavia, se si ignora la componente intrapsichica, la terapia può rimanere superficiale e eccessivamente semplificata. Quando le problematiche al Livello 3 non possono essere vantaggiosamente affrontate attraverso l'interpretazione, questa struttura ampliata permette al terapeuta di lavorare indirettamente su quei problemi utilizzandoli come una "mappa" per il cambiamento ad altri livelli. Il lavoro sul comportamento manifesto e sulle ideazioni e emozioni coscienti può procedere da uno qualsiasi dei tre livelli, ma sarà maggiormente efficace quando il significato del comportamento o dell'ideazione sia compreso pienamente e gli interventi scelti siano presentati ed utilizzati in modi che siano sperimentati come accettabili e favorevoli al paziente. Inoltre, le idee, gli affetti, i comportamenti, le difese e i sintomi non esistono in modi separati o in stati senza significato. Questi fenomeni di 1o e 2o Livello sono frequentemente carichi di simbolismo e significato ignoti sia al paziente che al terapeuta. Per esempio, una particolare struttura cognitiva, una convinzione o un modo di elaborare le emozioni possono essere inconsciamente percepiti come una parte fondamentale della propria identità o come un modo di identificarsi con un genitore. In questo modo, gli interventi attivi possono essere sperimentati come cunei diretti a smuovere elementi particolarmente investiti, come una rappresentazione di sé o una relazione oggettuale.

Una esplorazione psicodinamica approfondita di questi fenomeni è necessaria per comprendere pienamente i bisogni del paziente in questi ambiti e per introdurre in seguito metodi attivi con modalità che risulteranno più favorevoli e vantaggiose per il paziente (Gold & Stricker, 1993). Questa concettualizzazione della reciproca influenza e interpenetrazione degli ambiti intrapsichico, interpersonale, esperienziale e comportamentale dell'esistenza conduce la nostra teoria psicodinamica più vicino ai recenti sviluppi in psicoterapia e in psicologia clinica e dell' età evolutiva rispetto ai suoi tradizionali predecessori psicoanalitici (vedi , per esempio, Greenberg, Rice, & Elliot, 1993; Guidano, 1987; Safran & Segal, 1990; o Stern, 1985).


UN CASO DI PSICOTERAPIA ASSIMILATIVA INTEGRATA

Col caso oggetto della seguente presentazione intendiamo esemplificare l'uso di tecniche attive. Vengono esposte tre delle diverse tecniche assimilate che hanno caratterizzato questa terapia essenzialmente psicodinamica. La durata della terapia è stata di circa 32 mesi con frequenza iniziale di sedute settimanali, divenute bisettimanali dopo circa un anno. I sei mesi finali della terapia sono stati condotti su base settimanale.

Il signor S. era un uomo celibe di 37 anni giunto in terapia per forti sintomi d'ansia iniziati all'incirca nel momento in cui la compagnia per cui lavorava si fuse con un una società di maggiori dimensioni a conduzione più impersonale. Il signor S. era un contabile e si sentì sempre più isolato nell'ambito lavorativo, specialmente dopo il pensionamento del suo direttore. Egli aveva stabilito un legame che definiva genitoriale con questa persona più anziana e si sentiva protetto e sostenuto da questo rapporto. Era preoccupato dalla prospettiva di essere licenziato dal suo nuovo direttore sebbene avesse ricevuto una valutazione più che soddisfacente. La conseguenza di tale preoccupazione fu l'incremento e il prolungamento del proprio impegno lavorativo fino ad ignorare qualsiasi relazione sociale o fonte di distrazione e cadere in uno stato reattivo di irritazione e pessimismo al limite della depressione. Il padre del signor S., con cui egli aveva avuto una relazione distante e reciprocamente infelice, era morto improvvisamente circa otto mesi prima. Il paziente riportò questo dato durante la prima seduta in modo apparentemente disinteressato, affermando di provare poche sensazioni al riguardo. Tuttavia, le sue associazioni, i pochi sogni che ricordava relativi al periodo in cui stava cercando una terapia, e la descrizione della sua relazione con il suo direttore, erano tutti elementi indicatori di reazioni da dolore represso complicate da preesistenti istanze inconsce di perdita, rabbia e amore non corrisposto.

La prima fase della terapia ha comportato un'ampia indagine di tutte le esperienze di rilievo necessarie per completare una valutazione ai Livelli 1, 2 e 3. Il Livello 1 (comportamento manifesto) era caratterizzato da modelli ripetitivi di coinvolgimento compulsivo nel lavoro, scelte e azioni impulsive e affrettate, e modelli di evitamento delle relazioni caratterizzati dal fatto che il signor S. si premurava di ridurre al minimo i contatti con le persone. Il Livello 2 (cognizione e affetto cosciente) conteneva richieste rigide e moralistiche di controllo intellettuale su se stesso e sugli altri, obblighi affettivi e una lunga lista di "dovresti " e "devi". La sua preoccupazione compulsiva riguardo il lavoro aveva prodotto un senso di perfezionismo a livello conscio accompagnato da orgoglio e dall'idea di essere superiore agli altri. Al contempo lamentava anche preoccupazioni riguardo al proprio valore e un un debole ma sempre presente senso di vergogna che non era in grado di spiegare. Il Livello 3 (rappresentazioni intrapsichiche) era rappresentato dal rapporto del signor S. con un padre distante e ossessivo e una madre depressa e passiva. Il padre era concentrato esclusivamente sulla propria carriera di successo e altamente remunerativa e mostrava raramente interesse nei confronti della moglie o dei figli, mentre la madre si prendeva cura del paziente in modo forzato e senza entusiasmo. Il mondo interiore del signor S. era composto da identificazioni frammentarie e conflittuali con questi genitori. A livello inconscio era dibattuto tra un senso di grandiosità isolata e una rappresentazione di sé come vulnerabile, privo di energie e indegno delle attenzioni del padre.

La valutazione ha anche evidenziato le relazioni multidirezionali tra i problemi ai tre livelli. I problemi psicodinamici del signor S. erano simbolizzati ed espressi nel suo comportamento e nei suoi pensieri ma reciprocamente il modo in cui agiva e interpretava le sue esperienze confermava e rinforzava le sue relazioni oggettuali e con sé stesso. Per esempio ogni volta che qualcuno tentava di fare amicizia con lui, egli si sentiva imprigionato tra il suo vergognoso senso di indegnità e la sua identificazione con il disprezzo del padre per le relazioni profonde. Questi conflitti, insieme all'atteggiamento difensivo di fuga dalle relazioni, erano poi rinforzati dal disagio degli altri di fronte alle reazioni ambivalenti del signor S.. La sua rabbia e il suo senso di incapacità di ottenere l'amore e l'approvazione di una figura paterna venivano rinforzati anche quando il suo comportamento compulsivo e le sue idee perfezioniste non trovavano ricompensa nell'ambito lavorativo. Con il procedere della terapia, il signor S. divenne sempre più combattivo seppur in modo sottile, portando il suo stile anaffettivo, perfezionista e evitante all'interno della terapia. Egli non era in grado di usare le interpretazioni in modo efficace e, al contrario, sfidava la validità scientifica delle formulazioni del terapeuta, il suo approccio generale e in particolare le idee del terapeuta riguardo le connessioni tra la perdita del suo direttore, i suoi rapporti con il padre, le sue reazioni alla morte del padre e i suoi sintomi attuali. Queste resistenze minacciavano seriamente un rapporto terapeutico già vacillante mentre si sviluppava un'atmosfera impraticabile di crescente ostilità. Il terapeuta si rese conto del fatto che il suo tentativo di mettersi in contatto con il signor S., l'aveva reso suo complice: il paziente aveva bisogno di tenere a bada il terapeuta per escludere dal lavoro proprio le problematiche psicodinamiche su cui il terapeuta cercava di attirare l'attenzione.

Fu proposta a questo punto una modificazione assimilativa. Fu suggerita la tecnica delle due sedie della terapia della gestalt al fine di aiutare il signor S. a mettere alla prova le sue idee riguardo la mancanza di validità delle formulazioni del terapeuta. Se, come sosteneva il signor S., egli non aveva altri sentimenti riguardo suo padre, la sua morte e la perdita del suo direttore, allora queste tecniche si sarebbero rivelate altrettanto inefficaci dimostrando l'inutilità del terapeuta nei suoi confronti. D'altro canto, se qualche cambiamento si fosse verificato, il signor S. avrebbe forse preso in considerazione qualche mutamento nella sua visione della sua situazione psicologica e della terapia. Fu così che seguì un prolungato periodo di lavoro gestalt in cui il signor S. si impegnò con difficoltà nella messa in scena di dialoghi con il suo precedente direttore, con suo padre e infine con sé stesso bambino e con sua madre. La sua coartazione affettiva fu gradualmente allentata ed egli divenne consapevole di una rabbia terribile accompagnata da un profondo desiderio di contatto e un pervasivo senso di vergogna, ansia e indegnità dell'amore dei suoi genitori.
Il successo degli esercizi esperienziali ebbe un impatto enorme, oltre a espandere la competenza emotiva del signor S. Come sperato, egli cominciò a rivedere in una luce più positiva le sue idee e i suoi sentimenti riguardo il terapeuta, la psicoterapia e le sue relazioni e uno dei risultati fu il rafforzamento del legame con il terapeuta. Il transfert ostile che si era sviluppato diminuì in modo significativo e divenne la fonte di una fertile indagine psicodinamica e di insight che potevano ora essere integrati. Ora che il signor S. aveva sperimentato il successo della psicoterapia, percependo direttamente che il terapeuta era efficace e stava dalla sua parte, divennero evidenti altre implicazioni del transfert (per es. aspetti della inettitudine materna). Il signor S. si sentì degno di aiuto e in questa esperienza trovò le basi per prendere coscienza e per mettere alla prova, da un punto di vista cognitivo e interpersonale, il suo timore che gli altri lo rifiutassero come aveva fatto il padre.

Un secondo esempio di integrazione assimilativa nella terapia del signor S. si verificò durante un violento attacco di panico in seguito alla notifica di una verifica interna di parte del suo lavoro. L'indagine dinamica e l'interpretazione divennero impossibili data la paralisi mostrata dal signor S. nella seduta successiva. Di conseguenza ci fu uno spostamento verso l'insegnamento attivo di tecniche di rilassamento, misure cognitive di autorassicurazione e immagini rassicuranti. Queste tecniche si rivelarono molto utili. Divenendo meno ansioso, il signor S. si accorse di essere al contempo rallegrato e rattristato da questi eventi: il terapeuta aveva dimostrato un interesse immediato nei suoi confronti e una capacità di aiutarlo che evocava ricordi e immagini profondamente dolorose del padre e della madre. A volte, quando il paziente era stato angosciato nel passato, il disinteresse del padre e l'inettitudine passiva della madre lo avevano convinto della impossibilità di ricevere nutrimento e aiuto dagli altri e avevano determinato una visione di sè come isolato e dedito all'autocontenimento reattivo. Con l'esplorazione di queste problematiche, egli fu in grado di riconoscere ed integrare una vasta gamma di affetti che aveva a lungo evitato. Divenendo più libero da queste immagini di sé e dell'oggetto, egli cominciò ad utilizzare questa favorevole relazione con il terapeuta come fonte di nuove strutture e rappresentazioni intrapsichiche.

Un ultimo esempio del nostro approccio all'integrazione di metodi attivi è tratta dalla situazione in cui il paziente chiese aiuto per progettare esercizi volti al superamento dei suoi comportamenti di evitamento interpersonale. Una serie di sedute furono dedicate a esercizi comportamentali, alla gestione dell'ansia e alla costruzione di una gerarchia in vivo di situazioni sociali. Queste procedure si proponevano tre obiettivi: il primo e più ovvio, la riduzione della sua ansia sociale e il miglioramento delle sue abilità sociali; secondariamente, l'ottenimento di un più ampio accesso alle questioni psicodinamiche che erano state tenute a bada evitando l'intimità con gli altri; infine il supporto e il rinforzo del suo nuovo ed emergente senso di capacità di chiedere aiuto e di esserne meritevole. Analogamente, tale richiesta segnalava la presenza di un'immagine benevola del terapeuta che richiedeva di essere per quanto possibile confermata. I risultati di questa sequenza comportamentale furono analizzati e portarono ad una crescente espansione della parte psicodinamica della terapia.

In questi e tutti gli altri casi in cui furono introdotte tecniche attive, esse furono presentate al signor S. come tentativi, sempre preoccupandosi dell'interpretazione intrapsichica dei loro significati. Gli effetti di tali suggerimenti sul suo modo di percepire il terapeuta, la loro relazione e la comprensione da parte del terapeuta dei suoi bisogni, furono ripetutamente analizzati assieme alle sue reazioni prima, durante e dopo questi tentativi di intervento. Queste discussioni sono state uno degli aspetti più arricchenti della terapia in quanto evidenziavano tutti e tre i livelli di vita psicologica in modo immediato e vitale.


Considerazioni empiriche

Il nostro modello assimilativo di psicoterapia integrativa potrà essere considerato influente e duraturo se supererà l'esame della convalidazione scientifica e dell'affidabilità con cui si valutano tutte le terapie. Speriamo che il nostro esempio clinico sia chiaramente illustrativo del nostro pensiero e metodologia. Tuttavia il caso stesso non è dimostrativo dell'efficacia del modello, della sua generalizzabilità o della potenziale replicabilità da parte di altri terapeuti. Detto ciò, nel nostro lavoro ci siamo preoccupati esclusivamente delle questioni cliniche e teoriche e non abbiamo potuto sottoporre questo modello alle prove empiriche richieste. E' comunque necessario sollevare le questioni critiche che potranno trovare risposta solo attraverso la ricerca, e prendere in considerazione i risultati già esistenti della ricerca che possono dire qualcosa indirettamente dello stato del nostro lavoro.

Prime e probabilmente preminenti sono le questioni concernenti l'efficacia e la specificità del trattamento. Questa terapia è altrettanto o più efficace delle terapie che la compongono (psicodinamica, cognitivo-comportamentale o esperienziale) o di qualsiasi altro metodo di trattamento? Legate a questa domanda sono le questioni della prescrizione e dell'accoppiamento terapia/paziente: esistono particolari persone, problemi, diagnosi o caratteristiche psicologiche per cui questa terapia può empiricamente dimostrarsi più efficace? Infine, gli interrogativi si pongono anche riguardo a questioni teoriche quali le nostre ipotizzate revisioni della teoria psicodinamica e le presunte relazioni circolari tra psicodinamica, comportamento, cognizione ed esperienza affettiva. In particolare, questo modello deve essere studiato in termini dell'aumento di validità della nostra espansione della prospettiva psicodinamica in confronto alla concettualizzazione tradizionale. Da ultimo bisogna sollevare e verificare le questioni riguardanti la generalizzabilità chiedendosi se questa terapia possa funzionare o persino esistere se condotta da terapeuti che non siano gli autori di questa relazione; o ancora se il modello possa essere insegnato; o se si possano formalizzare e offrire delle linee guida basate sui dati su quando e come muoversi da un intervento al successivo, o se ci si debba basare esclusivamente sull'intuizione clinica.

Sebbene non siamo ancora in possesso di risposte dirette e derivate dai dati, la letteratura offre qualche suggerimento e motivi per un cauto ottimismo. Per esempio, le ricerche sulle psicoterapie prescrittive (Beutler & Hodgson, 1993) e sugli stadi del cambiamento in psicoterapia (Prochaska & DiClemente, 1992) hanno dimostrato la massima efficacia delle psicoterapie che includono interventi tratti da diverse dimensioni psicologiche, come fa il nostro modello. Questi gruppi di studi danno un notevole sostegno all'idea che la tecnica è più utile al paziente quando gli interventi sono una risposta ai bisogni clinici immediati del paziente e al suo stato psicologico. Questa visione è centrale nel nostro modello. Sperimentazioni cliniche di psicoterapie integrate simili alla nostra nel fondere formulazioni ed esplorazioni psicodinamiche con interventi attivi hanno portato a risultati preliminari ma positivi. Per esempio la psicoterapia integrata interpersonale per la depressione sviluppata da Klerman, Weissman, Rounsaville e Chevron (1984) ha ottenuto un risultato migliore rispetto ai trattamenti farmacologici e ad altri interventi psicologici in numerosi studi. Ryle (1990) riferisce che entrambe le versioni, a lungo e breve termine, della Terapia Analitica Cognitiva si sono dimostrate sensibilmente più efficaci di approcci puramente interpretativi o comportamentali. Omer (1992) offre elementi empirici a sostegno di interventi integrativi che incrementano la consapevolezza del paziente della sua partecipazione alla psicoterapia, migliorando in questo modo l'impatto dell'approccio esplorativo di base dello psicoterapeuta. Glass, Victor e Arnkoff (1993) evidenziano che diversi sistemi di psicoterapia integrata, seppure in un numero limitato di studi, hanno dimostrato di produrre risultati migliori rispetto a interventi strettamente psicodinamici o cognitivo-comportamentali.

La raccolta forse più importante di studi di psicoterapia integrata è stata eseguita da Shapiro e dai suoi colleghi nello Sheffield Psychotherapy Project (es.: Shapiro & Firth,1987; Shapiro & Firth-Cozens, 1990). Questi ricercatori hanno studiato l'impatto di due sequenze di terapia combinata di tipo psicodinamico e cognitivo-comportamentale: lavoro dinamico seguito da intervento attivo o viceversa. Essi hanno riscontrato che nella sequenza dinamico-comportamentale si sono ottenuti i maggiori vantaggi e l'esperienza di un trattamento più fluido. I pazienti sottoposti alla sequenza comportamentale-dinamica si sono più frequentemente aggravati nella seconda parte della terapia e hanno mantenuto nel tempo i vantaggi raggiunti con minor frequenza rispetto a quelli dell'altro gruppo. Questi risultati sembrano evocare e confermare gli orientamenti del nostro modello in cui il lavoro psicodinamico precede la prescrizione di interventi più attivi.

Esistono altre ricerche che indicano la possibilità di espansioni empiricamente convalidate della teoria psicodinamica, e della validità e affidabilità di formulazioni di psicodinamica integrata di origine clinica. Una fonte fondamentale di questi risultati è il lavoro di Andrews (1993) sul modello di personalità e di psicoterapia del "Sé Attivo". Analogamente al nostro, questo sistema postula relazioni di feed-back e feed-forward tra gli eventi in diversi ambiti psicologici, in una visione in cui il comportamento, gli affetti, le cognizioni e le relazioni interpersonali servono tutti a esprimere e rafforzare le rappresentazioni preesistenti di sé e di altri. L'analisi dei contenuti delle trascrizioni di sedute terapeutiche ha fornito cospicuo sostegno a questa teoria e alla sua utilità nel guidare la selezione degli interventi in una psicoterapia integrata.

Kiesler (1992) sottolinea che il lavoro nella teoria della personalità derivante dalla diversità di scale di circuiti interpersonali va a sostegno di molte teorie della personalità che guidano modelli integrativi di psicoterapia. Egli fa notare che molti dati confermano l'ipotesi della reciprocità della relazione tra variabili intrapsichiche e interpersonali, e il valore della focalizzazione di molte terapie integrate sull'interruzione dei processi che confermano le rappresentazioni patologiche di sé e degli altri. La verifica empirica delle formulazioni psicodinamiche si può trovare ora in una varietà di progetti di ricerca ampi e ben disegnati. Metodologie quali il Core Conflictual Relationship Theme (CCRT) sviluppato nel Penn Psychotherapy Project (Luborsky & Crits-Cristoph, 1990) consentono una valutazione valida e affidabile di tematiche dinamiche centrali. Il progetto psicoterapeutico di Mt. Zion (Weiss & Sampson,1986) ha dato origine al Plan Formulation Method che consente una valutazione di obiettivi consci e inconsci, credenze patogene ed emozioni conflittuali, programmi per verificare queste credenze e i necessari insight. Queste formulazioni sono state utilizzate in una serie di studi che hanno convalidato in modo notevole le previsioni del terapeuta e degli esperti riguardo le variazioni psicodinamiche del processo durante la psicoterapia (Weiss,1994).

Strupp e i suoi colleghi del Vanderbilt Psychotherapy Project (Strupp,1993; Strupp & Binder, 1984) hanno anche dimostrato la capacità di sviluppare formulazioni psicodinamiche valide e replicabili del funzionamento psicologico del paziente che orientino le strategie dell'intervento terapeutico. Queste formulazioni sono organizzate intorno ad un concetto chiamato Cyclical Maladaptive Pattern (CMP), concetto che amplia la visione dei processi psicodinamici in modi identici al nostro: si presume che le variabili interne influenzino e siano al contempo influenzate da stati interpersonali, cognitivi ed emotivi attraverso processi di feed-back e feed-forward.
I risultati di questi ultimi progetti di ricerca chiamano in causa anche le questioni della generalizzabilità e trasmissibilità citate in precedenza. Il Penn Psychotherapy Project, il gruppo di Mt. Zion, e il Vanderbilt Psychotherapy Project hanno tutti raccolto il loro lavoro in manuali di psicoterapia (per una più completa recensione di questo lavoro vedi Gold, 1995). Questi manuali offrono allo psicoterapeuta linee guida esplicite e supportate dai dati per la formulazione dei problemi e del funzionamento attuale del paziente. Esistono studi (Weiss & Sampson,1986; Luborsky & Crit-Cristoph,1990 Strupp,1993) che indicano come la fedeltà al manuale possa essere misurata e come il livello di fedeltà sia legato positivamente alle variabili del processo e al risultato. Non esiste nessuna prova empirica diretta riguardante il modello da noi proposto, ma ci sono molti sviluppi incoraggianti che suggeriscono che questo e altri modelli possano assumere validità, generalizzabilità e trasmissibilità dimostrabili.


Conclusioni

Un approccio assimilativo all'integrazione in psicoterapia combina i principi organizzativi di un sistema teorico con la gamma di interventi tecnici disponibili nelle varie scuole di terapia. Ha il vantaggio di aprire l'accesso a un ampio numero di tecniche e di consentire la comprensione che deriva da un insieme coerente di proposizioni in grado di giustificare questi interventi. Esso amplifica inoltre il sistema teorico al fine di comprendere meglio le conseguenze degli interventi normalmente non disponibili all'interno di quel sistema. Il nostro approccio si basa su un sistema psicodinamico di comprensione, ma incorpora procedure comportamentali ed esperienziali non previste in questo approccio. Il successo di queste tecniche ci porta a preferire una formulazione psicodinamica interpersonale a una unicamente intrapsichica. Comunque, è possibile iniziare con qualsiasi altra teoria e trovare ugualmente utile incorporare una gamma più ampia di interventi. Ciò ci riporta al nostro approccio a tre livelli. Il primo livello, il comportamento, è il terreno elettivo degli approcci comportamentali; il secondo, cognizione cosciente e affettività, attira l'interesse prevalente dei teorici cognitivo-comportamentali ed esperienziali; al terzo livello, dinamico, si muovono i terapeuti psicodinamici. Comunque, i pazienti funzionano bene o male a tutti e tre i livelli, ed è quindi opportuno che un terapeuta attento operi a tutti e tre i livelli. Abbiamo illustrato uno tra i molti possibili approcci alla integrazione assimilativa. Raccomandiamo ad altri terapeuti di sperimentare combinazioni alternative di tecniche e teorie da sottoporre a verifica empirica, in modo che ne possa derivare un avanzamento della scienza e della pratica della psicologia clinica e della psicoterapia.


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