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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICHIATRIA

Area: Psicopatologia

Il crepuscolo della realtà

Nicolò Terminio*


La follia apre una riserva lacunosa che designa e
fa vedere quell'incavatura dove lingua e parola si
implicano, si formano l'una a partire dall'altra e
non dicono nient'altro che il loro rapporto ancora
muto. [...] Freud [...] ha fatto risalire le parole
fino alla loro origine - fino a quella regione
bianca dell'autoimplicazione dove niente è detto.

M. FOUCAULT, La follia, l'opera assente

1. Letteratura freudiana e lettura lacaniana

Con gli studi sul sogno Freud ha aperto il campo dell'inconscio. Se paragoniamo i testi freudiani alla maggior parte dei testi scientifici di quel tempo, possiamo avere l'impressione che egli abbia operato una re-mitologizzazione della lingua medica e psicologica dei suoi contemporanei. Ma se paragoniamo uno dei versi di Virgilio (flectere si nequeo Superos, Acheronta movebo) e la prosa di Freud (L'interpretazione del sogno è la via regia che porta alla conoscenza dell'inconscio nella vita psichica),(1) possiamo valutare che è avvenuta una demitologizzazione, e che il verso latino non è stato che l'espressione arcaica di una intuizione che ha atteso Freud per prendere la sua dimensione strettamente psicologica e la sua forma scientifica.
Il verso di Virgilio simboleggia il processo del sogno, cioè l'oggetto studiato, mentre la Via regia, che fa eco al motto latino, simboleggia la via d'accesso, cioè il metodo. Freud si è quindi appoggiato ai miti, alla memoria dei testi sacri della cultura europea sia per interpretarli sia per costituire il proprio linguaggio.
Ciò vale anche per il complesso d'Edipo che, con le parole di A. Di Ciaccia, possiamo definire come:

l'esperimento freudiano per universalizzare il particolare dell'iscrizione dell'essere umano in un mondo che non è naturale, poiché è attraversato e ristrutturato dal simbolico.
Il complesso di Edipo è il colpo riuscito di Freud. Se non fosse che anch'esso è ridotto a mal partito da Lacan che ne mostra la struttura di mito: il mito è un modo di dire la verità, ma la verità si dice solo a metà. L'altra parte non si può dire. Così il mito stesso, se da un lato svela, dall'altro copre, protegge, difende. Per questo Lacan potrà dire che il complesso di Edipo è un sogno di Freud e indica così la via per ridurre all'osso le costruzioni freudiane, perché dicano il sapere della struttura dell'inconscio. E lo dicano con meno patemi e più matemi.(2)

Lacan si accosta ai testi e alla dottrina freudiana cercando di interrogare gli effetti psichici evidenziati da Freud e la "rete di rapporti coordinati"(3) in cui egli li ha inseriti. Come fa notare Miller, "Lacan non s'era certo prefissato di reinventare la psicoanalisi; al contrario, egli aveva posto gli inizi del suo insegnamento sotto il segno di un 'ritorno a Freud': si era solamente chiesto a quali condizioni la psicoanalisi fosse ancora possibile".(4) E per giustificare la sua pratica clinica intraprende un lavoro seminariale sui testi di Freud: "la sua è un'argomentazione che entra nel dettaglio e che vuole essere dimostrativa".(5)
Durante i seminari che ha tenuto per circa un trentennio "Jacques Lacan ha insegnato Freud; ha insegnato a leggere Freud; ha insegnato a leggere Freud alla lettera. E per fare questo Lacan ha dovuto insegnare che non si leggeva Freud; e non lo si leggeva perché si credeva di capirlo; e si credeva di capirlo perché Freud scriveva nella lingua di tutti, o più esattamente Freud faceva credere di scrivere nella lingua di tutti e lo faceva credere perché lui stesso lo credeva. [...] Lacan ha insegnato che non c'era una sola parola di Freud che, oltre al suo senso ordinario, non avesse anche un senso speciale derivante dal suo uso nel linguaggio di Freud".(6)
Lacan dunque rilegge le Opere freudiane interrogando il metodo con cui Freud affrontava le questioni che la sua pratica clinica via via gli poneva.
La lettura lacaniana "è la lettera di Freud di cui prolunga il percorso per decifrarla e offrirla a dei nuovi lettori".(7) Lo sforzo di Lacan mette a nudo la struttura che contiene le coordinate dei miti freudiani, infatti della letteratura freudiana non privilegia la sua "forma epica", ma decifra la struttura che il testo di Freud postula.
Nelle pagine che seguono si cercherà di metter in luce alcuni passaggi del lavoro compiuto da Lacan su uno dei classici freudiani: il Caso clinico del presidente Schreber.


2. Le Memorie del presidente Schreber

Nel 1903 l'ex presidente della Corte d'Appello di Dresda, Daniel Paul Schreber, pubblicò un libro(8) in cui descriveva autobiograficamente il decorso clinico della sua malattia, una forma di paranoia(9) per cui aveva subito diversi ricoveri.
Durante la sua vita Schreber, come egli stesso affermava nelle sue Memorie, ebbe due crisi nervose, entrambe "in seguito ad una fatica intellettuale eccessiva":(10) la prima volta nel caso di una sua candidatura per un avanzamento di carriera, la seconda volta in occasione degli sforzi lavorativi compiuti dopo l'assunzione della carica di presidente della Corte d'Appello di Dresda.
La prima crisi, che ebbe luogo tra l'autunno del 1884 e la fine del 1885, si risolse dopo circa sei mesi di ricovero nella clinica diretta dall'anatomista Flechsig. Dopo questo grave attacco di ipocondria, così fu indicato nel certificato medico che gli venne rilasciato, Schreber si dedicò alla famiglia e al lavoro, trascorrendo gli otto anni successivi con molta tranquillità, se non per qualche lieve turbamento dovuto alla "ripetuta delusione [...] di avere bambini".(11)
Nel giugno 1893 Schreber fu nominato presidente della Corte d'Appello di Dresda. Assunse la carica soltanto dall'ottobre dello stesso anno, ma nel periodo che trascorse tra la nomina e l'entrata in ruolo ebbe diversi sogni a cui poi diede molta importanza - si trattava di esperienze oniriche che raffiguravano il ritorno della sua vecchia malattia - e in più un episodio che segnò l'inizio del suo decorso clinico: un giorno, nel dormiveglia, il presidente Schreber si trovò a pensare che "dovesse essere davvero molto bello essere una donna che soggiace alla copula".(12) A partire da questo punto si sviluppò in lui un prodigioso delirio, che lo fece passare per tutti gli estremi della tortura e della voluttà, coinvolgendo Dio, il sole, complotti, "assassinii dell'anima", catastrofi cosmiche e rivolgimenti politici. Le sue costruzioni deliranti ruotavano attorno alla convinzione di trovarsi in procinto di essere trasformato in donna e allo stesso tempo di dover lottare strenuamente contro Dio. Lo scenario che di pagina in pagina prende forma nel testo di Schreber contempla l'alternanza di una sconvolgente architettura d'immagini, di nessi e di illuminazioni che ci vengono tra l'altro presentate con la precisione e il rigore logico di un inappuntabile magistrato. Dopo sei anni di malattia Schreber voleva infatti dimostrare di non essere pazzo e alla fine ci riuscì, cosicchè fu accolto il suo ricorso alla sentenza d'interdizione. Questa contemporanea presenza di costruzioni deliranti e di ragionamenti che ne delucidavano la sequenza resero le Memorie schreberiane come uno dei testi più frequentati dagli studiosi della vita psichica del ventesimo secolo.(13)
Della eccezionale importanza di questo testo si accorse per primo Jung, che lo studiava già nel 1907 e lo fece leggere a Freud nel 1910. Freud scrisse addirittura a Jung che l'ex presidente Schreber avrebbe avuto i titoli per diventare professore di psichiatria. E così lo psicoanalista viennese si interessò allo studio di questo caso,(14) dando molto valore a quella storia in quanto "caso paradigmatico" di demenza paranoide, ma in particolar modo perché nel racconto di Schreber rintracciava una conferma degli assunti teorici ai quali era già precedentemente pervenuto. Per la teoria psicoanalitica le Memorie di Schreber sembrano quindi configurarsi come una prova del fuoco, tanto che, insieme a Lacan, potremmo definirle come "un grande testo freudiano, nel senso in cui, invece di essere Freud a chiarirlo, esso mette in luce la pertinenza delle categorie forgiate da Freud".(15)
Per i fini che si propone il presente lavoro, nelle pagine che seguono, non affronteremo tutto il caso Schreber né tantomeno l'insieme delle questioni che ha sollevato in ambito psichiatrico o psicoanalitico. Tenteremo piuttosto di individuare quei passaggi strutturali che evidenziano "il complesso paterno" di Schreber e che lo fanno scivolare verso un momento "antropo-logico"(16) che segna il suo divenire delirante. Come dei nani sulle spalle dei giganti, ovvero sulla scia di Lacan verso Freud, cercheremo di metter in luce quella transizione verso la psicosi conclamata che si può individuare leggendo e la Questione preliminare di Lacan e le successive formulazioni che ha stimolato all'interno del Campo freudiano.


3. La trasformazione in donna e il rapporto con Dio in Schreber

Il saggio di Freud su Schreber si articola in tre sezioni e un poscritto. La prima parte propone una sorta di riassunto della storia di malattia, concentrandosi in particolar modo su quei punti che vengono ripresi nei "tentativi d'interpretazione". Dopo gli approfondimenti sui "complessi e le forze motrici" intorno a cui ruota la malattia seguono nella terza parte le considerazioni sul "segno distintivo della paranoia". Nel breve supplemento vengono infine esposte alcune riflessioni sull'interesse mitologico delle credenze deliranti: questi accenni verranno in seguito sviluppati in Totem e tabù del 1912-1913.
L'interesse di Freud per la storia e per le caratteristiche del delirio schreberiano è mosso dall'aspirazione di imparare a conoscere i motivi e i processi implicati nella trasformazione prodotta nei paranoici. Del resoconto di Schreber e della perizia psichiatrica Freud isola due punti essenziali: da un lato "la missione di redentore assunta dal paziente e la sua trasformazione in donna"(17) e dall'altro "l'atteggiamento del nostro malato nei confronti di Dio".(18)
Dallo studio delle Memorie Freud è portato a supporre che "l'idea di essere trasformato in donna (cioè di essere evirato) era stato il delirio primario di Schreber che l'aveva inizialmente giudicato un atto persecutorio che gli avrebbe recato grave danno; solo in un secondo tempo era entrato in rapporto con la missione di redenzione. [...] In altri termini, un delirio di persecuzione sessuale si è successivamente trasformato nel paziente in megalomania religiosa. La parte di persecutore fu dapprima assegnata al medico curante, professor Flechsig; in seguito Dio stesso prese il suo posto".(19) Sulla natura primaria della fantasia di trasformazione in donna Freud aggiunge che essa "era già divenuta cosciente nel periodo d'incubazione della malattia, ancora prima che a Dresda si facessero sentire gli effetti dell'eccesso di lavoro".(20)
Per quanto riguarda invece i suoi rapporti con Dio Schreber fornisce una serie di indicazioni a partire da cui Freud cerca di rintracciare il metodo di costruzione del delirio. L'intero testo schreberiano è percorso da continue recriminazioni verso un Dio che non è in grado di comprendere gli uomini viventi. L'equivovo fondamentale (o carenza) che attraversa come un filo rosso tutta la vita di Schreber concerne l'ignoranza di Dio rispetto ad un "Ordine del Mondo" mediante cui rapportarsi all'uomo vivente.(21) Questo Dio così strano ha dei comportamenti assurdi e persecutori nei confronti di Schreber, a cui inoltre impone delle penosissime coazioni a pensare, delle voci e persino dei miracoli.
Nel suo insieme il percorso patologico, ossia il delirio di persecuzione, può essere concepito "come una lotta dell'uomo Schreber contro Dio, dalla quale il debole uomo risulta vittorioso, poiché ha dalla sua parte l'Ordine del Mondo".(22) L'atteggiamento che il paziente mostra verso Dio è un misto di venerazione e ribellione in cui si alternano i continui sforzi per procurare a Dio un Ordine del Mondo, giacché questi "pretende un godimento continuo, corrispondente alle condizioni di esistenza delle anime conformi all'Ordine del Mondo".(23) Una pagina più avanti e Schreber scrive:

Tutta l'abilità del mio modo di vivere, data la pazza situazione in cui mi sono venuto a trovare - non intendo qui riferirmi alle condizioni dell'ambiente che mi circonda, bensì all'assurdità e alla violazione dell'Ordine del Mondo costituita dai rapporti sorti tra me e Dio - consiste perciò nel trovare un'opportuna via di mezzo, che rappresenti per ambedue le parti, Dio e l'uomo, un compromesso tollerabile.

Freud riepiloga la storia di malattia e la costruzione delirante di Schreber collegando "la trasformazione in donna e il privilegiato rapporto con Dio" mediante l'atteggiamento femminile verso Dio stesso. Dopo esser stata sottolineata "la relazione genetica essenziale" tra questi due elementi si apre la seconda parte del saggio freudiano, quello sul "complesso paterno" in Schreber.


4. Flechsig, Dio e il padre di Schreber

L'interpretazione freudiana delle manifestazioni deliranti raccontate da Schreber passa attraverso alcuni punti che non erano stati sufficientemente valorizzati dalle perizie mediche. Freud rivolge infatti la sua attenzione al rapporto tra il presidente Schreber e il professor Flechsig, suo primo medico. Freud evidenzia che "il primo artefice di tutte le persecuzioni è Flechsig ed egli ne rimane il promotore durante l'intero corso della malattia".(24) Per Schreber c'era una sorta di dipendenza o influsso a cui Dio era sottoposto dal professor Flechsig o dalla sua anima.(25) Seguendo l'argomentazione di Freud bisogna però sottolineare come "Schreber si sforzi di distinguere l''anima di Flechsig' dall'uomo vivente che risponde a questo nome, il Flechsig in carne e ossa dal Flechsig del delirio".(26)
Anche sulla base di precedenti studi, Freud annota che i deliri di persecuzione sono contraddistinti da un mutamento avvenuto nell'atteggiamento sentimentale del paziente: la persona che adesso è temuta come persecutore, era precedentemente amata e venerata. Nel caso Schreber tale persona era Flechsig. La causa scatenante della malattia si può dunque ritrovare in "un assalto di libido omosessuale, il cui oggetto in origine fu, con ogni probabilità, il dottor Flechsig, e la lotta contro questo impulso libidico provocò il conflitto che generò le manifestazioni patologiche".(27) Freud continua ed entra nei particolari del rapporto con Flechsig, mettendolo sulla stessa linea di "Dio" e scoprendo dietro la sua figura quella del padre di Schreber, che per le sue "virtù" di pedagogo autoritario si presta, secondo Freud, al ruolo e del Dio delle Memorie e del suo rappresentante: il sole.(28)
"Nel caso Schreber ci troviamo sul ben noto terreno del complesso paterno",(29) di cui, come Freud sottolinea in nota, la "fantasia di desiderio femminile" di Schreber altro "non è che una delle forme tipiche assunte dal complesso nucleare infantile".(30)
Il saggio freudiano continua così: "se la lotta con Flechsig finisce per rivelarsi al malato stesso come un conflitto con Dio, noi dobbiamo a nostra volta tradurre tale conflitto come un conflitto infantile col padre".(31) Preannunciando i prodromi di quello che in seguito sarebbe diventato il complesso d'Edipo, Freud sostiene qui che "il padre in queste esperienze infantili appare come colui che intralcia il soddisfacimento, perlopiù autoerotico, cui il bambino aspira, e che più tardi viene sostituito nella fantasia da un soddisfacimento meno inglorioso. Nella fase finale del delirio di Schreber la tensione sessuale infantile celebra un trionfo grandioso: la voluttà diventa timorata di Dio e Dio stesso (il padre) non si stanca mai di richiederla al paziente".(32)
Freud si interroga inoltre sul motivo per cui questa esplosione di libido omosessuale si sia manifestata nel paziente proprio nel periodo che va dalla nomina del giugno 1893 all'effettivo trasferimento a Dresda avvenuto soltanto ad ottobre. Quest'ultima questione viene sinteticamente approfondita così: lo scoppio del conflitto viene messo in relazione con "una privazione imposta dalla vita reale".(33) E tale privazione sarebbe stata per Schreber la mancanza di figli. Il suo matrimonio viene infatti descritto come un'unione felice, ma non ha portato "quel figlio che lo avrebbe consolato della perdita del padre e del fratello, e su cui egli avrebbe potuto riversare la sua tenerezza omosessuale insoddisfatta. [...] Schreber - scrive più avanti Freud - può bene aver fantasticato che come donna gli sarebbe riuscito meglio avere dei figli, e aver così trovato la via che gli consentisse di riportarsi all'atteggiamento femminile nei confronti del padre che era stato proprio dei primi anni della sua infanzia".(34)
Secondo Freud quindi si può "sostenere che l'elemento paranoico della malattia è costituito dal fatto che per difendersi da una fantasia di desiderio omosessuale il paziente reagisce precisamente con un delirio di persecuzione di un certo tipo".(35)


5. Il meccanismo della paranoia e la fine del mondo

Dopo aver individuato la peculiarità della paranoia, Freud si dedica ad un'argomentazione più complessa in cui cerca di entrare nel meccanismo di formazione dei sintomi. Dei brevi cenni sullo sviluppo psicosessuale consentono di approdare alla constatazione secondo cui "i paranoici cercano di sottrarsi da una siffatta sessualizzazione dei loro investimenti pulsionali sociali" e di supporre quindi "che il punto debole della loro evoluzione debba recarsi in un segmento dello sviluppo psichico che sta fra lo stadio dell'autoerotismo, del narcisismo e dell'omosessualità e che ivi risieda la loro disposizione alla malattia (forse suscettibile di più precisa definizione)".(36)
Il saggio freudiano continua con l'analisi della proposizione "Io lo amo" che sottoposta ai meccanismi di formazione dei sintomi paranoici subisce una mutazione in: "Io lo odio" nel delirio di persecuzione e attraverso tutta un'altra serie di passaggi può anche tradursi nell'erotomania, nel delirio di gelosia o nel delirio di gelosia dell'alcolizzato.
"Dopo questa discussione sull'inatteso significato che la fantasia di desiderio omosessuale riveste per la paranoia"(37) Freud individua come tratto essenziale della formazione dei sintomi il processo della proiezione. Si tratta di "una percezione interna" che viene repressa e a cui subentra nella coscienza, "dopo aver subito una certa deformazione", una percezione esterna.(38) In altre parole: "ciò che era stato abolito dentro di noi, a noi ritorna dal di fuori".(39)
Freud continua il saggio articolando le tre fasi della rimozione e occupandosi del problema del distacco della libido nella paranoia: "il malato ha sottratto alle persone del suo ambiente e al mondo esterno in generale l'investimento libidico fino allora ad essi rivolto. [...] La fine del mondo è la proiezione di questa catastrofe interiore; il suo mondo soggettivo è giunto alla fine dal momento in cui egli ha sottratto ad esso il suo amore".(40)
E in seguito a questo "profondo mutamento interiore"(41) il paranoico cerca di ricostruire il mondo e di riconciliarsi con esso; e qui il delirio si configura, piuttosto che come un prodotto della malattia, come "il tentativo di guarigione".(42) La trasformazione interiore di Schreber avviene in un processo silenzioso, di cui si possono soltanto osservare "gli eventi che seguono. Si impone invece clamorosamente alla nostra attenzione il processo di guarigione", ossia quella prodigiosa costruzione delirante che segue il "gioco" della proiezione.
Ora, ai fini del nostro discorso, chiudiamo questo rapido viaggio nel testo freudiano con una frase che tocca proprio il punto di trasformazione a cui subentra quella fine del mondo che irrompe nella vita del soggetto paranoico: "la fine del mondo era la conseguenza del conflitto scoppiato tra lui e Flechsig, oppure [...] del legame diventato ormai indissolubile, tra lui e Dio, e costituiva perciò l'esito necessario della sua malattia".(43)


6. La rilettura lacaniana dell'Edipo: dal padre al Nome-del-Padre

Lacan considera le Memorie di Schreber come una raccolta utile e per introdursi alla fenomenologia della psicosi e per rilanciare l'analisi delle strutture freudiane nella psicosi. È quanto propone nel Seminario dell'anno 1955-1956(44) e che formalizza in modo più completo nel testo Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi.(45) In quelle pagine Lacan riattualizza la lettura freudiana del 1910 del caso Schreber, appoggiandosi alle successive elaborazioni teoriche di Freud: l'Edipo, la castrazione e il narcisismo.
Sulla questione della psicosi, "secondo Lacan sono due i punti che orientano Freud: da un lato l'esaltazione della funzione del padre e, dall'altro, l'attenzione ai fenomeni di parola".(46) Appoggiandosi alla linguistica strutturale Lacan tenta di riformulare la teoria dell'Edipo e di articolarla al campo del linguaggio e alla funzione della parola. Nella prospettiva lacaniana la psicosi viene così pensata "soltanto a partire dalle coordinate simboliche dell'Edipo. Il che non significa, evidentemente, che nella psicosi ci sia iscrizione edipica".(47) Le manifestazioni psicotiche vengono infatti rilette a partire dalla non iscrizione di un significante, quello del Nome-del-Padre, poiché riveste un ruolo cardine all'interno dell'Edipo e del complesso di castrazione.
Lacan, che rilegge il complesso d'Edipo in termini strutturali, dà al termine significante "un valore esattamente trascendentale, trascendentale nella sua accezione propriamente antica: quel che dà le condizioni di possibilità dell'esperienza, dell'esperienza umana".(48) Affinché ci sia del senso, del significato o una significazione - o, con termini schreberiani, perché ci sia un Ordine del Mondo - è necessario un significante e Lacan nella struttura dell'Edipo lo individua nel padre. Il padre dunque come significante primordiale e da qui l'espressione Nome-del-Padre.
Il Nome-del-Padre non coincide con il padre reale, ma corrisponde piuttosto con la funzione paterna. Il Nome-del-Padre è un significante base che appartiene all'insieme dei significanti e, al contempo, "costituisce la legge del significante",(49) senza la quale l'ordine dei significati non potrebbe stabilirsi. Pur essendo uno dei significanti, istituisce, sostiene e regola la batteria dei significanti. "Il Nome-del-Padre, dunque, ha la funzione di organizzazione dei significanti; esso tiene insieme, articola, fa da punto di capitone all'insieme dei significanti".(50)
La funzione del Nome-del-Padre consiste nel rompere la relazione immaginaria madre-bambino, intervenendo come elemento Altro che introduce una nuova dimensione: quella simbolica, quella del significante. Lacan individua questo momento antropogeno nell'Edipo freudiano e sottolinea che per lo psicotico qualcosa non si è appunto realizzata nell'Edipo.
La lettura lacaniana del complesso di Edipo individua "tre tempi", ossia tre scansioni logiche che si svolgono in una certa successione cronologica.(51) In un primo tempo, in una fase precoce dello sviluppo, il bambino sente di essere tutto per la madre, ciò che l'appaga completamente. Lacan quando parla di questa condizione di completezza, dice che il bambino incarna il fallo,(52) ovvero ciò che colma la mancanza della madre. Il bambino dunque, in una relazione immaginaria con la madre, si identifica con l'oggetto del desiderio materno. Questo è il tempo dell'infatuazione reciproca fra madre e bambino. La presenza di questa intensa relazione non lascia però al bambino lo spazio per pensare all'assenza della madre, condizione imprescindibile perché possa sorgere la prima forma di simbolizzazione.
Lacan mette in guardia da una "madre tutta madre", ovvero da quel desiderio materno - definito addirittura cannibalico - che nella sua aspirazione alla totalità può diventare fagocitante: il bambino potrebbe rischiare infatti di rimanere intrappolato nell'identificazione immaginaria al fallo. L'entrata in scena del Nome-del-Padre segna la separazione della coppia madre-bambino, instaurando il passaggio da questa dialettica immaginaria al secondo tempo dell'Edipo: quello dell'interdizione paterna. La funzione paterna opera una duplice manovra d'interdizione (castrazione simbolica), rivolgendosi sia al bambino che alla madre: quest'ultima non può più soddisfarsi completamente nel bambino, che a sua volta viene sganciato dall'identificazione fallica. L'immagine della funzione paterna indica "colui da cui la madre va quando esce dalla porta, quando non è presente. Si tratta, cioè, del nome del desiderio della madre, del nome che dice che il suo desiderio è orientato anche altrove rispetto al bambino".(53) Nel secondo tempo dell'Edipo, dunque, "il padre interviene in quanto padre che priva, in quanto padre che dice no"(54) la madre può così reinserirsi sul versante del suo essere donna e il bambino può cominciare a interrogarsi sull'enigma del Desiderio della Madre, su ciò che la conduce altrove, nella sua assenza.
La comparsa del desiderio materno sopraggiunge però per il bambino come un "significante puro" che rimane in una dimensione enigmatica. Il significante infatti vuol dire qualcosa, ma per dirlo deve articolarsi a un altro significante. Il Nome-del-Padre costituisce proprio quella Legge che determina le articolazioni dei significanti e fa il suo ingresso nella struttura del soggetto rispondendo appunto all'interrogativo posto dal Desiderio della Madre. La dimensione simbolica subentra quindi come risposta dell'Altro all'enigma aperto dalla rottura della dialettica immaginaria.
La Legge del significante non è però soltanto un'interdizione del godimento, infatti il tramonto dell'Edipo apre al bambino una dimensione che sta al di là del sacrificio del suo godimento. In questa terza fase, definita da Lacan la tappa "feconda",(55) la funzione del padre consiste nel fornire al soggetto un modello in cui identificarsi, ma questa volta su un piano simbolico. Il padre risarcisce il sacrificio pulsionale del bambino con un dono simbolico: un ideale che struttura nel soggetto l'annodamento tra legge e desiderio. Freud indicava con questo concetto l'"Ideale dell'Io".
L'intervento del Nome-del-Padre è dunque necessario affinché il soggetto trovi posto in un apparato simbolico. "Questo è il carattere duplice della funzione paterna dal punto di vista della legge: da una parte l'interdizione [...] e dall'altra, l'abilitazione al desiderio".(56)
Nella struttura psicotica non è invece avvenuta l'iscrizione nel luogo dell'Altro. La funzione logica del Nome-del-Padre non ha tracciato una trama simbolica in grado di stabilire una separazione nella coppia speculare madre-bambino, che continua così a rapportarsi intorno a questa comune illusione di fallicizzazione reciproca.
A tal proposito Lacan evidenzia il ruolo fondamentale esercitato dalla madre, che oltre ad accudire e curare il bambino, deve anche riconoscere il Nome-del-Padre:

Ciò su cui vogliamo insistere è che conviene occuparsi non soltanto del modo con cui la madre si colloca in rapporto alla persona del padre, ma del caso ch'ella fa della sua parola, diciamo il termine giusto, della sua autorità, in altri termini del posto che riserva al Nome-del-Padre nella promozione della legge.(57)

La madre quindi non solo come caregiver, ma anche come soggetto che lascia al Nome-del-Padre lo spazio per entrare in gioco. La madre, occupandosi del bambino, dovrebbe saper alternare la sua presenza e la sua assenza e, allo stesso tempo, dovrebbe valorizzare "la metafora paterna",(58) facilitando in tal modo l'entrata del Nome-del-Padre nel "posto primitivamente simbolizzato dall'operazione dell'assenza della madre".(59) La riuscita di questa sostituzione metaforica permetterà di includere il Desiderio della Madre nel luogo dell'Altro, lasciando così al bambino lo spazio sufficiente per collocarsi nel discorso dell'Altro.


7. Dalla forclusione del Nome-del-Padre allo scatenamento psicotico

Si comprende che laddove non sia riuscita la metafora paterna troviamo "un buco scavato nel campo del significante",(60) cui corrisponde una lotta che impegna il soggetto nell'impossibile ricostruzione immaginaria del simbolico. Lo psicotico si rapporta quindi a un doppio dell'Io che non anticipa l'entrata nell'Edipo: con l'Edipo c'è la comparsa di un oggetto terzo, non più narcisistico, ma sublimato. Nella psicosi non c'è il passaggio all'oggetto sublimato, permane il confronto con l'evanescenza dell'oggetto narcisistico, che con la medesima evanescenza si stacca dalla realtà e diventa delirante.
Tra il Seminario III e la Questione preliminare Lacan compie un passaggio in cui cerca di precisare il punto dove si situa il buco simbolico nella struttura psicotica. Nel Seminario III parlava ancora di forclusione dell'Altro, ma nel suo testo del '58 afferma che "nella psicosi non è tutto il significante ad essere precluso, ma è il punto di iscrizione del Nome-del-Padre. Quindi non è corretto affermare che nella psicosi l'Altro è forcluso perché è piuttosto la funzione di capitonaggio dell'Altro che è - in quanto garantita dal Nome-del-Padre - forclusa".(61)
Nella psicosi la forclusione (Verwerfung) del Nome-del-Padre indica una mancanza nel luogo dell'Altro, un buco nel simbolico, che comporta una serie di conseguenze, come il ritorno nel reale di ciò che non è stato simbolizzato, e le allucinazioni uditive ne sono un drammatico esempio. Prima dello scatenamento lo psicotico era riuscito a mantenersi grazie a una compensazione immaginaria, quasi come uno sgabello a quattro piedi che può però appoggiarsi solo su tre, essendo forcluso il sostegno del Nome-del-Padre, ossia del piede mancante. L'esordio della psicosi si manifesta dunque con la scompensazione di un equilibrio immaginario, che fino a quel momento sembrava adeguato per il percorso del soggetto. Nello scatenamento della psicosi interviene un incontro che scardina il soggetto proprio nel punto di vuoto che abita la sua struttura:

Perché la psicosi si scateni, bisogna che il Nome-del-Padre, verworfen, precluso, cioè mai giunto al posto dell'Altro, vi sia chiamato in opposizione simbolica al soggetto.(62)

Ma in che modo può avvenire l'incontro dello psicotico con il Nome-del-Padre? E proprio nel punto in cui gli manca da sempre? Lacan risponde facendo riferimento ad un padre reale, che non incarnerà necessariamente il padre del soggetto, ma semplicemente "Un-padre"(63)

Si cerchi all'inizio della psicosi questa congiuntura drammatica. Che si presenti per la donna che ha appena partorito, nella figura dello sposo; per la penitente che confessa la sua colpa, nella persona del confessore; per la ragazza innamorata, nell'incontro col "padre del ragazzo", la si troverà sempre, e tanto più facilmente quando ci si orienti sulle "situazioni" nel senso romanzesco del termine.(64)

Prima dello scatenamento psicotico, il soggetto fa un incontro che assume le sembianze dell'enigma. Per interpretare l'incognita che gli si presenta come un significante puro, si appella al Nome-del-Padre, ma questo gli è irrimediabilmente precluso. L'enigma trascina così il soggetto nella perplessità dell'atmosfera delirante (Wahnstimmung).
"Ritornando a Schreber, possiamo affermare che per lui è stato possibile funzionare per molto tempo della sua esistenza facendo riferimento soltanto all'altro immaginario. Lo vediamo, così, far parte di un tribunale e orientarsi sugli altri giudici per trovare una guida alle sue azioni; quando, però, viene nominato presidente, questo suo riferimento immaginario non funziona più di fronte ai suoi colleghi. [...] Questo avvenimento costituisce per lui un enigma che lo obbliga a cercare il significato delle proprie azioni al di fuori del rapporto con i pari".(65) Il suo nuovo incarico lo mette di fronte all'appello rivolto al Nome-del-Padre, che nel suo caso è caratterizzato da un posto vuoto. "Questo è il motivo dello scatenamento; Lacan dice che, a questo punto, egli incontra un buco nella significazione. Alla mancanza del significante paterno, della quale si vede qui l'effetto, risponde, nell'immaginario, un buco di significazione, un'insensatezza per il soggetto".(66)
"Nel tempo dello scatenamento l'identificazione rigida all'altro speculare si frantuma a causa dell'irruzione di un elemento eterogeneo"(67) e "una volta apertosi il fallimento del Nome-del-Padre"(68) si innescherà una catena di disastrosi tentativi volti ad arginare ciò che era stato escluso dal simbolico e che adesso ritorna nel reale sotto forma di fenomeni elementari o anideici: illusioni della memoria, intuizioni deliranti, stati passionali, allucinazioni verbali, sentimenti di estraneità e divinazione del pensiero. Si tratta di fenomeni che segnano allo stesso tempo l'eclissi della comunicazione interpersonale e la comparsa di un abisso soggettivo che si stabilizzerà solo "nella metafora delirante".(69)
Nel caso Schreber ciò che il soggetto cerca di stabilizzare e di non "lasciar cadere" è l'Altro che alterna la sua ritirata ( che lascia cioè un vuoto di significazione ( a un movimento verso il soggetto stesso a cui richiede un godimento del corpo. Schreber si preoccupa quindi di non esser "piantato in asso" dall'Altro e di mantenerne l'esistenza attraverso la sua costruzione delirante, costruzione significante che, al contempo, svolge una funzione regolatrice nei suoi rapporti con l'Altro. "Ecco perché Schreber ci spiega quanto Dio sia stupido: è senza regole, senza leggi, non capisce nulla degli uomini. Il Dio di Schreber è un Dio osceno, che non capisce niente e che lascia cadere. Per questo motivo Schreber sente il dovere di spiegargli come fare, e così mantiene l'ordine dell'universo contro questo Altro capriccioso".(70)
Il delirio si configura quindi come una ricerca di senso che, seppur erronea e incondivisibile, rappresenta il tentativo disperato di supplire a quell'assenza di significato che il mondo ha ormai assunto, perché "quel che è escluso dalla simbolizzazione resta fuori senso".(71)
"Il soggetto psicotico troverà il modo di colmare questo buco nel simbolico attraverso un rimedio metaforico, che utilizza il significante, iscrivendo nel posto assente della metafora paterna una metafora delirante. Per questo motivo Freud dice che il delirio è un processo di guarigione, che permette una stabilizzazione del soggetto. Uno scatenamento psicotico si produce a una certa età, ma non è collegato a una nevrosi infantile, non c'è quindi una premessa infantile, ma piuttosto uno scatenamento brutale, sorprendente, inatteso. Immaginatevi il presidente Schreber: quarantott'anni, una posizione eminente a livello sociale, qualcuno che aveva dato prova di muoversi molto bene nella realtà, improvvisamente si trova di fronte a questa catastrofe, in cui la realtà è trasformata in una sorta di crepuscolo".(72)


Bibliografia

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Note:

*( Psicologo - Dottorando di ricerca in "Ricerche e metodologie avanzate in Psicoterapia" presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

1 Freud S (1899). L'interpretazione dei sogni, in Opere, III, Bollati Boringhieri, Torino 1967, p. 553.
2 Di Ciaccia A (2001). Introduzione, in Miller J-A (a cura di), Il sintomo psicotico. La conversazione di Roma, Astrolabio, Roma, p. 7.
3 Lacan J (1957). Intervista, La Psicoanalisi, 10, 1991, p. 24.
4 Miller J-A (1981-1984). Schede di lettura lacaniane, in Lacan J et al., Il mito individuale del nevrotico, Astrolabio, Roma 1986, p. 73.
5 Ivi, p. 74.
6 Miller J-A (2001-2002). L'insegnamento di Jacques Lacan, La Psicoanalisi, 30/31, p. 108.
7 Miller J-A (1991). Uno stile mock-heroic, La Psicoanalisi, 10, p. 126.
8 Schreber DP (1903). Memorie di un malato di nervi, Adelphi, Milano 1974.
9 In realtà, come sottolinea J.-A. Miller ne La Psicoanalisi n. 25, il quadro clinico offerto da Schreber "merita il nome di demenza paranoide".
10 Schreber DP (1903). Memorie di un malato di nervi, cit., p. 54.
11 Ivi, p. 56.
12 Ibidem.
13 Calasso R. Nota sui lettori di Schreber, in Schreber DP (1903). Memorie di un malato di nervi, Adelphi, Milano 1974.
14 Freud S (1910). Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (dementia paranoides) descritto autobiograficamente (Caso clinico del presidente Schreber), in Opere, VI, Bollati Boringhieri, Torino 1974, pp. 333-406.
15 Lacan J (1966). Presentazione delle Memorie del presidente Schreber nella traduzione francese, La Psicoanalisi, 25, 1999, p. 12.
16 Perché "antropo-logico"? Platone in un passaggio del Cratilo definisce ànthropos colui che è in grado di riconsiderare ciò che ha visto. Nel caso di psicosi il soggetto vive nell'immediato presente, cioè non può appoggiarsi ad una memoria personale e collettiva tale da garantirgli una posizione soggettiva in cui sentirsi "io". Nel passaggio alla fase florida della psicosi c'è un momento di discontinuità strutturale, ossia ciò che fino a quel punto aveva consentito una prospettiva soggettiva - in altre parole: la compensazione immaginaria del buco nel simbolico - si manifesta adesso nella sua inconsistenza. Quello dell'esordio psicotico è un momento del vissuto umano da cui si possono estrarre (o astrarre) le coordinate logiche che segnano il passaggio verso la perdità di realtà. E questa perdità di realtà non è altro che l'irruzione del simbolo nel reale, l'eclissi del significato. Il soggetto psicotico mostrerà così ciò che ci rende "umani" proprio nel passaggio logico che ne determina il dissolvimento.
17 Freud S (1910). Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (dementia paranoides) descritto autobiograficamente (Caso clinico del presidente Schreber), in Opere, VI, cit., p. 347.
18 Ivi, p. 350.
19 Ivi, p. 348.
20 Ivi, pp. 349-350. Cfr. con il quarto capitolo delle Memorie (in particolare pp. 54-57) dove Schreber scrive a proposito delle "esperienze personali durante la prima e all'inizio della seconda malattia nervosa".
21 Schreber DP (1903). Memorie di un malato di nervi, cit., p. 75.
22 Freud S (1910). Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (dementia paranoides) descritto autobiograficamente (Caso clinico del presidente Schreber), in Opere, VI, cit., pp. 356-357.
23 Schreber DP (1903). Memorie di un malato di nervi, cit., p. 296.
24 Freud S (1910). Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (dementia paranoides) descritto autobiograficamente (Caso clinico del presidente Schreber), in Opere, VI, cit., p. 366.
25 Schreber DP (1903). Memorie di un malato di nervi, cit., p. 75.
26 Freud S (1910). Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (dementia paranoides) descritto autobiograficamente (Caso clinico del presidente Schreber), in Opere, VI, cit., p. 368.
27 Ivi, p. 370.
28 Ivi, p. 380.
29 Ivi, p. 381.
30 Ibidem.
31 Ivi, p. 381.
32 Ivi, p. 381-382.
33 Ivi, p. 383.
34 Ivi, pp. 383-384.
35 Ivi, p. 385.
36 Ivi, p. 388.
37 Ivi, p. 391.
38 Ivi, p. 392.
39 Ivi, p. 396.
40 Ivi, p. 395.
41 Schreber DP (1903). Memorie di un malato di nervi, cit., p. 105.
42 Freud S (1910). Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (dementia paranoides) descritto autobiograficamente (Caso clinico del presidente Schreber), in Opere, VI, cit., p. 396.
43 Ivi, p. 395.
44 Lacan J (1955-56). Il Seminario, Libro III, Le psicosi, Einaudi, Torino 1985.
45 Lacan J (1958). Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi, in Scritti, Einaudi, Torino 1974, pp. 527-579.
46 Brousse M-H (2000). Dal Padre a donna, Studi di Psicoanalisi, p. 15.
47 Castanet H (2000). Il processo psicotico, Studi di Psicoanalisi, p. 51.
48 Miller J-A (1987). Lacan e psicosi, in I paradigmi del godimento, Astrolabio, Roma 2001, p. 203.
49 Lacan J (1958). Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi, in Scritti, cit., p. 574.
50 Castanet H (2000). Il processo psicotico, Studi di Psicoanalisi, p. 54.
51 Lacan J (1957-58). Il Seminario, Libro V, Le formazioni dell'inconscio, Einaudi, Torino 2004.
52 Lacan naturalmente con il termine fallo non si riferisce a parti anatomiche, ma lo utilizza in modo metaforico. Il fallo infatti è il risultato del processo di simbolizzazione dell'assenza e presenza del pene.
53 Stevens A (2000). Entrare nella soggettività del delirio, Studi di Psicoanalisi, p. 78.
54 Miller J-A (1998), Il nuovo, Astrolabio, Roma 2005, p. 62.
55 Lacan J (1957-58), Il Seminario, Libro V, Le formazioni dell'inconscio, cit., p. 206.
56 Stevens A (2000). Entrare nella soggettività del delirio, Studi di Psicoanalisi, p. 79.
57 Lacan J (1958). Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi, in Scritti, cit., p. 575.
58 Ivi, p. 553.
59 Ibidem.
60 Ivi, p. 560.
61 Biagi-Chai F (2000). "La voce nella psicosi", Studi di Psicoanalisi, p. 36.
62 Lacan J (1958). Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi, in Scritti, cit., p. 573.
63 Ibidem.
64 Ivi, p. 574.
65 Stevens A (2000). Entrare nella soggettività del delirio, Studi di Psicoanalisi, pp. 80-81.
66 Ivi, p. 81.
67 Recalcati M (2000). Psicosi fuori scatenamento nelle nuove forme del sintomo, Studi di Psicoanalisi, p. 139.
68 Lacan J (1958). Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi, in Scritti, cit., p. 579.
69 Ivi, p. 573.
70 Stevens A (2000). Entrare nella soggettività del delirio, Studi di Psicoanalisi, p. 86.
71 Solano E (2000). Lo scatenamento della psicosi, Studi di Psicoanalisi, p. 95.
72 Ivi, p. 99.

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