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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICHIATRIA

Area: Psicopatologia

La crisi della psicopatologia*

di Werner Janzarik



Werner Janzarik appartiene alla grande tradizione della Psicopatologia tedesca. Allievo di Kurt Schneider a Heidelberg ha occupato dal 1973 la cattedra di Psichiatria presso la Università di Heidelberg. Questo suo contributo che ci è sembrato utile proporre a distanza di venti anni dalla sua prima pubblicazione, ha per tema la crisi della Psicopatologia, o meglio, lo stato di crisi che la Psicopatologia viveva alla fine degli anni '70. Alcune delle considerazioni di Janzarik risentono infatti del clima culturale di quegli anni, legato alla larga diffusione in Europa della cosiddetta anti-psichiatria. Ma, aldilà di questi aspetti temporalmente datati, il tema della crisi resta di grande attualità, tanto che nel 1993 Gisela Gross e Gerd Huber hanno pubblicato un lavoro dal titolo Abbiamo ancora bisogno della psicopatologia? E anche il congresso inaugurale della "Società Italiana per la Psicopatologia" è dedicato proprio al problema del Senso della Psicopatologia (Firenze, 23 marzo 1996). D'altronde, se è vero che il ruolo dello psicopatologo - come scriveva Janzarik - è quello di essere comunque un guastafeste (ad esempio rispetto alle nosografie attualmente imperanti) la sua stessa disciplina non potrà che essere perennemente in crisi.



Cinquant'anni fa Karl Buehler, uno psicologo piuttosto noto nella prima metà del secolo che, prima della emigrazione, insegnava a Vienna, scrisse un articolo sullo stato della psicologia, pubblicato in una raccolta di saggi dal titolo Studi su Kant. Dopo avere illustrato lo stato della disciplina nel 1890, in un'epoca dominata dall'associazionismo, Buehler descrisse il rapido sviluppo e le reciproche interazioni all'inizio del secolo di una ampia varietà di scuole di pensiero in psicologia. Il suo libro (La crisi della psicologia), in cui riprese il tema dell'articolo, è divenuto in seguito un classico.
Un contributo sullo stato attuale della psicopatologia nei paesi di lingua tedesca non può che evidenziare uno stato di crisi. La descrizione dello stato della psicopatologia contemporanea prende le mosse dalla rivoluzione che si è verificata nell'ambito delle scienze umane all'inizio del secolo e che ancora oggi influisce sul pensiero psichiatrico. In questo modo sarà possibile seguire i vari percorsi attraverso i quali la psicopatologia è arrivata al punto attuale e riflettere sulla sua crisi.
La psicopatologia tedesca si è sempre occupata dei fenomeni mentali patologici, costituendo così il fondamento della psichiatria clinica. Le sue origini risalgono alla Psicopatologia generale di Karl Jaspers, pubblicata nel 1913, e nella quale sono evidenti le influenze della rivoluzione che si era verificata in psicologia, le influenze della filosofia ermeneutico-comprensiva di Dilthey e della fenomenologia di Husserl. Con una scrupolosa attenzione al metodo Jaspers riuscì a classificare i reperti psicopatologici che fino ad allora erano stati esaminati solo dal punto di vista descrittivo. Attraverso questa impostazione gli fu possibile formulare concetti chiari e suggerire ulteriori indirizzi di ricerca in psichiatria. Oltre che riprendere la distinzione formulata da Dilthey tra "comprensione" e "spiegazione", Jaspers introdusse nei disturbi psichiatrici la distinzione tra "processo" e "sviluppo", una distinzione che ha avuto una profonda risonanza sia nell'ambito della psichiatria biologica, sia in ambito psicopatologico. Solo con Jaspers la psichiatria acquisì consapevolezza di un metodo.
La psicopatologia descrittiva come scienza, fondata da Jaspers ed ulteriormente elaborata dai suoi allievi nell'ambito della scuola di Heidelberg, ha dominato il pensiero psichiatrico in Germania per circa 40 anni. Quando Jaspers abbandonò la clinica psichiatrica per dedicarsi alla filosofia, lasciò ai suoi discepoli, in particolare a Kurt Schneider, il compito di applicare le sue idee alle psicosi endogene. Sebbene Kurt Schneider fosse poco convinto che la psicosi maniaco-depressiva e la dementia praecox fossero "malattie" piuttosto che semplici entità psicopatologiche, altri membri della Scuola di Heidelberg - in particolare Gruhle, Mayer-Gross, Wetzel - si dedicarono con maggiore entusiasmo a ricerche ad indirizzo organicistico orientate intorno all'idea di malattia mentale proposta in precedenza da Kraepelin. L'influenza della psicopatologia descrittiva jaspersiana può essere oggi rintracciata nei contributi di Weitbrecht, Glatzel (a Bonn) e in quelli del pediatra di Heidelberg, Eggers. Kranz, Pauleikoff e Huber, sotto la direzione di Kurt Schneider, hanno contribuito allo sviluppo di altri concetti jaspersiani.
Un'altro indirizzo di ricerca in psicopatologia è stato seguito da Kretschmer nei suoi studi sulle formazioni deliranti paranoidee in personalità asteniche, irritabili e sensitive. Kretschmer, seguendo gli insegnamenti di Gaupp, tentò di rendere comprensibile come alcuni stati deliranti - che chiamò "deliri di riferimento sensitivi" (Sensitiver Beziehungswahn) - potessero svilupparsi indipendentemente da un processo schizofrenico, attraverso una combinazione di personalità, ambiente e determinate esperienze chiave. Jaspers, che era stato membro della commissione che aveva discusso la tesi di dottorato di Kretschmer, sebbene riconoscesse l'alto livello dei suoi contributi, criticava il fatto che fosse stata ignorata la fondamentale distinzione tra sviluppo comprensibile e processo nelle psicosi. Paradossalmente, fu proprio questo aspetto dell'opera di Kretschmer che in seguito attrasse maggiormente l'attenzione. L'approccio kraepeliniano, che enfatizzava la natura endogena delle psicosi, fu largamente prevalente nella psichiatria tedesca fino agli anni '50; Kretschmer stesso acquisì fama internazionale con il suo lavoro sui tipi costituzionali e non tanto grazie ai suoi contributi di psicopatologia. Dopo la seconda guerra mondiale tuttavia il modello interpretativo proposto per il delirio di rapporto sensitivo fu maggiormente accettato dalla psichiatria tedesca. Anche gli psichiatri più conservatori erano disposti a considerare la possibilità di una componente ambientale nella eziologia e non solo nello scatenamento di una psicosi funzionale.
Un terzo indirizzo di ricerca è costituito dalla tardiva utilizzazione delle intuizioni psicoanalitiche freudiane nella comprensione delle psicosi. Grazie al successo della sua impostazione concettuale, la Scuola di Psicopatologia di Heidelberg aveva inizialmente contribuito a tenere la psicoanalisi ai margini della psichiatria tedesca. Eugen Bleuler in Svizzera ed un gruppo di psichiatri di lingua tedesca emigrati all'estero (provenienti da Vienna e dall'Istituto di psicoanalisi di Berlino) tentarono una sintesi tra psichiatria clinica e psicoanalisi. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale queste idee, reintrodotte in Germania, influenzarono l'opera di molti psichiatri tedeschi determinando un ridimensionamento del ruolo fino a quel momento attribuito alla genetica ed ai fattori endogeni nello sviluppo delle psicosi e valorizzando invece il ruolo delle dinamiche familiari.
Un quarto indirizzo di ricerca in psicopatologia risente della influenza della antropologia. I contributi di Straus e von Gebsattel, i due maggiori autori che si sono dedicati a questo tipo di approccio, sulla psicopatologia della depressione, delle compulsioni e delle perversioni sessuali prendono le mosse dalle considerazioni di Scheler sull'esperienza individuale della vita come un tutto. Più recentemente Zutt ha proposto l'idea di una "analisi antropologica" dei disturbi mentali.
Un ulteriore indirizzo si fonda sui contribuiti dell'esistenzialismo, ed in particolare delle idee di Heidegger espresse in Essere e Tempo (Sein und Zeit). Ludwig Binswanger è stato l'esponente di punta di quella corrente che ha preso il nome di "analisi esistenziale". L'intento della analisi esistenziale era guadagnare una nuova via di accesso al mondo del paziente, non più visto come entità isolata quanto piuttosto come parte di un certo tipo di esistenza, comprensibile in base alla storia individuale e alle relazioni interpersonali. Queste idee ebbero grande fortuna in Germania negli anni '50 e '60: Zutt e Kulenkampf a Francoforte, von Baeyer, successore di Kurt Schneider, a Heidelberg, le sostennero con entusiasmo, promuovendo l'idea della psicosi schizofrenica come "crisi anormale" nella vita di un individuo.
Nei primi anni '60 a Francoforte e Heidelberg si sviluppò un'altra tendenza fondata sul tentativo di incorporare nel contesto di riferimento della psicopatologia ciò che si sapeva circa le origini sociali della psicosi. Le radici di questo orientamento erano già presenti nella psichiatria tedesca, nelle idee di Kretschmer, ma erano in qualche modo aliene alla tradizione ed il nuovo approccio risentì dell'influenza della psichiatria britannica. Secondo me lo sviluppo di una teoria di psichiatria sociale che spieghi il concetto di psicosi e la sua evoluzione storica è uno dei compiti più pressanti della psicopatologia del giorno d'oggi.
Per quanto riguarda la psicologia, la più potente influenza sulla psicopatologia è venuta dalla psicologia della Gestalt, con il concetto centrale che la somma delle parti componenti l'esperienza percettiva è sempre meno del tutto, vale a dire della Gestalt. Sebbene questa scuola si fosse sviluppata tra le due guerre mondiali, con Wertheimer, Koehler e Koffka, l'applicazione delle idee della Gestalt allo studio dei fenomeni anormali ha avuto luogo solo dopo la Seconda Guerra Mondiale. Welleck in Germania ha studiato la personalità e i disturbi emotivi; Conrad si è occupato delle conseguenze dei danni cerebrali e della natura della schizofrenia. Secondo Conrad, afasia e schizofrenia sarebbero entrambe causate dalla disintegrazione di una Gestalt; nella prima condizione sarebbe il linguaggio a soffrirne, nella seconda, l'unità percettiva. Matussek ha, in anni recenti, utilizzato l'analisi della Gestalt di Conrad per spiegare come certi fenomeni schizofrenici, fino ad allora considerati come credenze anormali, siano in realtà anormalità percettive.
Se si tiene conto del fatto che le idee impiegano un certo tempo per entrare a far parte di una teoria psichiatrica, allo stato attuale è difficile prevedere quali tendenze contemporanee possano esercitare una influenza sulla futura ricerca psicopatologica. La pratica psichiatrica attuale consiste in una combinazione di farmacoterapia e psicologia sociale su base psicoanalitica. La applicazione occasionale della teoria dei ruoli sociali ai problemi incontrati in psicopatologia, per esempio alla analisi dell'ambiente familiare degli schizofrenici, non determina la costituzione di una psicopatologia fondata sulla sociologia o di una psicologia sociale. Allo stesso modo, lo strutturalismo applicato alla linguistica e alla etnologia, sebbene impiegato da Peters nel trattamento di alcuni disturbi psicopatologici, non ha prodotto niente che possa essere chiamato psicopatologia strutturalistica.
La rinascita del marxismo come metodo scientifico può essere vista come qualcosa che promuove una critica della pratica psichiatrica convenzionale, ma non della psicopatologia stessa. Fino ad ora solo gli incantesimi rituali del primo e secondo sistema di segnalazione di Pavlov sono stati considerati come elementi specifici della psichiatria marxista. Nonostante il trattamento psichiatrico sociale della popolazione in strutture ben organizzate per pazienti esterni, la psichiatria ufficiale degli stati socialisti ha mantenuto, nel suo approccio teorico, una impronta conservatrice kraepeliniana, tanto che i giovani psichiatri progressisti occidentali non esiterebbero a liquidarla come reazionaria, capitalistica e repressiva. Non esiste per il momento nessuna psicopatologia marxista, forse perché un metodo che è stato creato per specifiche condizioni economiche non può tenere presenti le esigenze del soggetto.
La crisi attuale è stata alimentata dal cosiddetto movimento anti-psichiatrico, sostenuto dalle idee di Basaglia, Cooper, Laing, Szasz e Foudraine. Nelle sue implicazioni pratiche l'antipsichiatria deve molto al modello della comunità terapeutica elaborato da Maxwell Jones in Inghilterra. Le sue origini teoriche possono essere rintracciate nelle ricerche sulle famiglie degli schizofrenici in Nord America. Szasz stigmatizzò il concetto di malattia mentale considerandolo un mito costruito allo scopo di escludere i soggetti che non potevano adattarsi alle discutibili norme di una società alienata. In Francia, Inghilterra, e in Nord America queste idee sono in declino. In Francia si è formato un movimento anti-anti-psichiatrico. In Germania invece queste idee sono ancora attuali. Si veda per esempio questo commento sulla recente copertura della cattedra vacante di psichiatria ad Heidelberg: "la psichiatria di Heidelberg aveva un forte bisogno di trovare il modo di liberarsi infine del suo inglorioso passato di terreno di coltura della psicopatologia"
A fronte di tutta la irritazione causata dai molti anti-psichiatri nella loro arroganza naive, lo psicopatologo non è privo di una qualche comprensione nel notare la determinazione con la quale il concetto di malattia biologica del XIX secolo è stato rimesso in discussione nel caso delle psicosi endogene.
Accanto a queste influenze filosofiche, psicologiche e sociologiche dobbiamo anche considerare il rapporto esistente tra psicopatologia e scienze biologiche. é stato l'avvento di trattamenti biologici efficaci che ha costretto gli psichiatri a valutare e misurare i vari aspetti della loro pratica clinica. Il campo della psichiatria ne è stato toccato in due modi. Alcuni psichiatri, in particolare Heimann a Tübingen e Wieck a Erlangen, hanno cercato di correlare i tradizionali rilievi psicopatologici con i markers biologici, realizzando quella che Wieck ha chiamato "psicopatometria". Altri, in particolare Helmchen e Hippius, hanno messo a confronto criteri psicopatologici empirici con criteri clinici o con criteri basati sull'efficacia di un particolare agente terapeutico. Da quanto detto potrebbe sembrare che la psicopatologia abbia assunto una posizione sempre più subordinata all'approccio biologico e che la psicologia attuale corra il rischio di essere dominata, come nel tardo '800, da una versione neuropsicologica dell'associazionismo. A mio parere tuttavia è improbabile che ciò si verifichi a causa della reale natura del soggetto di indagine. é necessario riconoscere le dimensioni esistenziali e sociali dell'esistenza e tenere in conto che la esperienza psicotica non può essere quantificata in modo affidabile.
Sempre nell'ambito delle scienze biologiche una ulteriore influenza è stata esercitata dalla ricerca comportamentale comparata. Bilz ha sottolineato il rilievo di questi risultati per gli psicopatologi e Ploog ha tentato di confermare sperimentalmente l'idea che stati affettivi abnormi, psicosi e malattie degenerative possano liberare forme innate di comportamento. Queste nozioni sono reminiscenze dei livelli di dissoluzione di Hughlings Jackson che hanno periodicamente influenzato il lavoro dei più importanti psichiatri tedeschi, incluso Kraepelin.
Queste sono le principali direzioni in cui si è sviluppata la psicopatologia tedesca. Probabilmente questa selezione di indirizzi è stata influenzata da pregiudizi personali ed ogni tendenza è stata solo succintamente illustrata. Qual'è lo stato attuale della disciplina e di che natura è la crisi che la attraversa? Quando nel 1926 Buehler parlava di una crisi della psicologia, non si trattava - a suo parere - di una crisi di decadimento e di declino ma piuttosto di una crisi di crescita sostenuta da una moltitudine di nuove idee e metodi. Una revisione di tutte le tendenze moderne della ricerca e della pratica psichiatrica potrebbe arrivare alla stessa conclusione. Ma qui non stiamo discutendo della psichiatria come tale, quanto piuttosto delle difficoltà di una disciplina specialistica che sta cercando di sviluppare una sua propria metodologia. La crisi della psicopatologia così definita è - almeno a prima vista - di una sconcertante banalità. é una crisi di indifferenza, di rassegnazione e di incertezza, in un'area della ricerca che corre il rischio di scivolare in una "terra di nessuno" scientifica a causa del fatto che i suoi principali risultati non possono essere espressi in grafici o nel linguaggio dei computer.
Anche in passato si erano verificate situazioni critiche. Intorno al 1933 l'ideologia politica e la violenza avevano fatto irruzione nella vita universitaria paralizzando l'attività accademica. All'incirca nella stessa epoca erano apparse in psichiatria le prime terapie biologiche efficaci, nonostante fosse oscura la loro modalità di azione. L'attività scientifica quindi si era ritirata nel settore terapeutico ed era diventato impossibile giustificare l'esistenza di una disciplina considerata inutile dallo spirito anti-umano del tempo. La fioritura della psicopatologia tedesca dopo la Seconda Guerra Mondiale può essere vista come una reazione al declino indotto dall'indottrinamento politico e come una tendenza pragmatica orientata verso la terapia. Non dovrebbe naturalmente essere trascurato il fatto che dalla nascita della psichiatria clinica all'inizio del XIX secolo le maggiori innovazioni hanno tratto incentivo dalla pratica terapeutica e dalle fondamentali trasformazioni avvenute nella gestione dei pazienti psichiatrici. Una volta esaustivamente discussi i risultati empirici dei nuovi trattamenti farmacologici, ci si sarebbe potuta aspettare una rinascita di interesse verso la psicopatologia, che era stata nel frattempo relegata ai margini della psichiatria. Ma ciò non è accaduto e la mancanza di interesse si è semmai accentuata. La psicopatologia è divenuta un futile passatempo senza "rilevanza sociale", per usare una frase corrente.
La causa di questo declino è più profonda del semplice trionfo dell'empirismo terapeutico sull'esame e sulla interpretazione della natura dei disturbi mentali. La psichiatria di oggi si trova alla merce' di forze create dalla ristrutturazione di una società industriale che è arrivata ai limiti della sua espansione demografica e tecnica. Superficialmente la crisi della psicopatologia può apparire poco importante. Al di là della superficie tuttavia, e in un modo non osservato in altre discipline mediche, la psichiatria non riconosce la sua dipendenza dai cambiamenti sociali e la conseguente necessità di un fondamentale riorientamento del suo ruolo e dei suoi valori. Kisker, ad esempio, pensa che il problema degli psichiatri sia quello di decidere se rassegnarsi al ruolo di custodi di psicotici istituzionalizzati oppure diventare psichiatri della società. Il suo suggerimento è che non dovremmo mescolare la politica con la psichiatria quanto piuttosto fare politica in favore della nostra disciplina.
Se questa prognosi è esatta allora allo psichiatra non si dovrebbe chiedere se il suo ruolo politico gli piace o no. Egli lo dovrà accettare come un dato di fatto. Se lo accetta, opererà come psichiatra sociale utilizzando quei segni dei tempi che sono favorevoli alla sua causa e impegnandosi in politica a favore della psichiatria. Se invece troverà le implicazioni politiche della organizzazione sociale inaccettabili, allora dovrà accontentarsi del ruolo limitato di psichiatra clinico. Forse in una futura "psichiatria universale" sarà anche sorpreso dal vedere quanto ci si aspetta dal suo ruolo medico vecchia maniera, passato di moda, malgrado la sua preoccupazione per le norme sociali e nonostante il valore criminale che sarà attribuito a certe deviazioni individuali anche nei paesi non-socialisti. Come psicopatologo egli dovrà avere il coraggio di essere un guastafeste che rifiuta di accettare la limitazione della psichiatria al suo ruolo terapeutico. Se non desidera restringere l'ambito dei suoi interessi e della sua ricerca, rispetto alla psichiatria nel suo complesso dovrà essere un pluralista. Il suo specifico interesse per i fenomeni patologici e per le esperienze saranno considerati troppo poco pratici e socialmente irrilevanti e lo psicopatologo si troverà così in contrasto con lo spirito del tempo, susciterà ostilità intorno a sé e sarà tentato di arrendersi o di rifugiarsi in una attività più "utile" o almeno socialmente accettabile.
Da quando la psicologia e la sociologia sono diventate troppo aride e fragili a causa del loro asservimento alla statistica, i giovani si volgono alla pratica della psichiatrica sociale come mezzo terapeutico. Per questa nuova generazione la parola pluralismo, anche nella scienza, è priva di significato, poiché non ha fatto esperienza della monotonia di pensiero imposto sotto il terrore di gruppo della Comunità Nazionale dei Paesi Socialisti, né della liberazione da questa. é una generazione a cui in ultima analisi non può essere negato il diritto di disprezzare la debole contemplazione delle proprie attività e delle loro conseguenze e che non ha ancora scoperto il significato della indagine storica. é proprio a questa generazione che gli sforzi della psicopatologia appaiono disperatamente antiquati. Chiunque abbia paura di essere poco in sintonia con la nuova generazione e di essere lasciato indietro come un out-sider passato di moda non dovrebbe dedicarsi alla ricerca psicopatologica.
Potrebbe sembrare un inutile esercizio cercare un modo di risolvere la crisi della psicopatologia. Non è possibile arrestare le ondate che scandiscono la storia della scienza. Si può solo stare a guardare, tentare con un po' di esperienza di prevedere le fluttuazioni ed evitare di essere trascinati via. Una scienza deve essere libera di fare ipotesi, verificarle e falsificarle e di riflettere sulle sue radici storiche. Le psicosi endogene continueranno a costituire un problema teorico centrale per tutte le visioni futuristiche della psichiatra come scienza socio-psicologica della organizzazione e della "sociatria" che ne consegue. Non è un caso che la psichiatria popolare oggi si preoccupi quasi esclusivamente della schizofrenia, che dopo tutto costituisce solo una parte delle psicosi endogene e certamente solo una frazione del materiale clinico della psichiatria. Tuttavia i sostenitori di questo tipo di psichiatria pensano di abbracciare la totalità del soggetto nelle loro polemiche critiche. Ironicamente così dimenticano che la schizofrenia e le altre psicosi endogene sono solo convenzioni psicopatologiche. Possono anche avere successo nei loro sforzi terapeutici entro questo quadro di riferimento ma non possono affermare di avere lo status di scienziato senza sapere nulla delle origini e del metodo della psicopatologia.
Lo psichiatra non dovrebbe lasciarsi confinare nel ruolo attribuitogli dalle tendenze sociali dominanti né in qualche aspetto di moda della sua materia di studio; dovrebbe essergli permesso esercitare il pluralismo della sua scienza. Dovrebbe essergli data l'occasione di svolgere la sua attività terapeutica e di essere perdonato quando al suo lavoro è acriticamente accordato il favore popolare. Ma come psicopatologo dovrebbe anche essergli garantita la libertà di riflettere sulla propria pratica e sull'oggetto della propria attività e di inseguire la comprensione nell'oscurità dell'esperienza psichiatrica.



* Il testo è stato originariamente pubblicato nel 1976 col titolo Die Krise der Psychopathologie ("Nervenartz", 47, pp. 73- 80), e, undici anni dopo, è entrato a far parte del volume The clinical roots of schizophrenia concept curato da J. Cutting e M. Shepherd (Cambridge University Press, 1987). La presente traduzione di Mario Rossi Monti e Giovanni Stanghellini segue il testo The crisis of psychopathology dell'edizione in lingua inglese.


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