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PSYCHOMEDIA
MODELLI E RICERCA IN PSICHIATRIA
Modelli e Tecniche in Psichiatria



Contributo di Nuova Psichiatria alla Consulta Preliminare
sulla PdL Burani Procaccini (Roma, Palazzo S.Macuto 8 ottobre 2001)



A integrazione degli interventi a nome di Nuova Psichiatria (Seta, Tropeano, Guerani), che per motivi di tempo sono stati molto sintetici, inviamo un contributo dell'intero gruppo direttivo, più articolato e diviso in tre parti:
- critica alla 180/833
- posizioni in merito al dibattito attuale per temi
- chiosatura del PdL Burani Procaccini


La nostra critica alla 180/833 si articola su questi punti:

1) Impianto ideologico.
I principi informatori dell'attuale legge contengono la negazione della realtà della malattia mentale e la negazione dell'identità dello psichiatra.
Il fatto evidente dell'odierna carenza di strutture, in particolare per pazienti cronici, testimonia della mancata considerazione da parte della legislazione vigente dei problemi posti dall'evoluzione nosodromica di molte patologie mentali. Più sottilmente, l'attacco all'identità medica dello psichiatra ha prodotto, a partire dall'entrata in vigore della legge, un progressivo slittamento verso problematiche di tipo assistenziale, togliendo importanza alla clinica e riducendo l'immagine del malato di mente a quella di un emarginato sociale.
Il punto della obbligatorietà delle cure (TSO), così come previsto dalla 180/833, sembra infine proporre un approccio ambiguo all'acuzie psichiatrica. Il TSO, pur venendo riconosciuto come atto medico, è soggetto a limitazioni che contraddicono tale dichiarazione di intenti, come la durata di 7 giorni. Inoltre, un'interpretazione restrittiva della legge impedisce di effettuare TSO in case di cura convenzionate o in strutture sanitarie diverse dal SPDC, non tenendo conto della necessità di trattamenti sanitari obbligatori in pazienti cronici.

2) Impianto giuridico-normativo.
La 180/833 è una legge quadro che non fornisce una cornice di riferimento completa della problematica psichiatrica. Pur concordando che la legge quadro è la forma più adatta per legiferare in materia psichiatrica, lasciando le articolazioni più specifiche alle Regioni, troviamo la legge attuale incompleta e non organica.
In secondo luogo, essa non prevede precisi vincoli di spesa, né obblighi di applicazione per gli Enti Locali, non prevedendo sanzioni in caso di inadempienze.
Il discorso vale anche per i Progetti-obiettivo, la cui piena attuazione viene invocata come alternativa a una revisione della legge.
I Progetti-obiettivo hanno, innanzitutto, il difetto di non prevedere un finanziamento. Inoltre, il loro contenuto programmatico, sia pure accettabile in alcune parti, risulta vago e generico, vista l'ampiezza onnicomprensiva di intenti. Si tratta di buoni propositi indirizzati da una filosofia di cooperazione e integrazione dei servizi che non entra nel merito delle incongruenze del settore psichiatrico.
In questi anni, una delle scappatoie per superare i limiti della legge è stata quella della emanazione di direttive regionali capaci di scavalcarla. Un esempio in questo senso è rappresentato dalla direttiva dell'Emilia Romagna in materia di TSO. Viene legittimo interrogarsi su quanto sia lecito incoraggiare questa prassi piuttosto che affrontare direttamente la normativa che limita le possibilità di intervento in modo non giustificabile con le reali esigenze di cura del malato.

Impianto ideologico e impianto normativo presentano peraltro un inestricabile intreccio, poiché alcune norme della 180/833, in particolare quelle di carattere restrittivo, sembrano avere assunto lo statuto di veri e propri tabù. Esse garantirebbero "di per sé" dall'evenienza di un ripristino dei vecchi manicomi: toccarle significherebbe, automaticamente, avviarsi a un ritorno indietro, con la riproposizione della cultura custodialista che connotava la legge del 1904.
Tali norme vanno a gravare sull'organizzazione dei servizi, che è soggetta a limitazioni e divieti non sostenuti da una valida teoria della malattia e della cura.
Si rende dunque necessario un intervento legislativo sui divieti e le limitazioni impliciti o espliciti contenuti nell'attuale normativa, riferiti in particolare :
a) alla istituzione di divisioni psichiatriche ospedaliere;
b) alla istituzione di strutture residenziali per pazienti cronici;
c) al rapporto con case di cura private, e con il privato in generale;
d) alla utilizzazione del patrimonio immobiliare degli ex OOPP.
Esistono altresì limitazioni non giustificate, sia di durata, sia di modalità delle cure. Ci si riferisce in particolare ai 7 giorni di TSO e ai posti letto nel SPDC o in comunità residenziali o semiresidenziali, che oltre il numero di 15-20 avrebbero il significato di riproporre l'istituzione manicomiale.

Non bisogna dimenticare che la popolazione manicomiale era in netto decremento, come in netto decremento era il numero complessivo di giornate di degenza, a partire dal 1971, con un minimo nel 1974 (dati Istat), come conseguenza della Legge Mariotti. Se si fosse proseguito in questo impegno riformistico, si sarebbe realizzata in tempi rapidi e senza passaggi traumatici una pressoché totale deistituzionalizzazione. La 180/833 presenta comunque due elementi positivi, ripresi dalla stessa Legge Mariotti, che riteniamo vadano mantenuti e valorizzati nella prospettiva di rivedere l'attuale legislazione:
1) l'inserimento della psichiatria nel SSN;
2) la costituzione di una rete di servizi territoriali tra loro coordinati.
Tali punti vanno riproposti, eliminando gli elementi di ambiguità che tendono a indebolirne la forza e l'efficacia.
Quanto al punto 1) la legge attuale è ambigua perché, se da una parte sostiene di volere integrare la psichiatria nell'ambito della medicina, dall'altra propone una serie di limitazioni che ne fanno di fatto una branca "speciale" e separata.
Quanto al punto 2) il principio della territorialità manca di un'articolazione rispondente alla realtà clinica delle malattie mentali, e tende sempre di più all'identificazione dei servizi psichiatrici con servizi di generico interesse sociale.


Il dibattito attuale

Il dibattito attuale sulla revisione della 180/833 verte sulle proposte Burani e Ce'.
Anche altre proposte avanzate negli anni passati (Calderoli, Meluzzi, Carlesi) riprendevano, sia pure con differenze, l'esigenza di superare le attuali situazioni di divieto. La critica che viene opposta a queste iniziative di volere reintrodurre un regime custodialista non ci sembra plausibile. Casomai si può rilevare una scarsa organicità e una impostazione diretta più che altro alla risoluzione di problemi urgenti e al proposito di legalizzare uno stato di fatto, senza osare provvedimenti radicalmente innovativi.
In particolare, stenta a farsi strada un punto di vista coerentemente improntato alla cura. Una particolare attenzione va prestata al fatto che, mancando un paradigma scientifico della psichiatria che comprenda la psicoterapia, il recupero della funzione medica dello psichiatra potrebbe essere visto come un esclusivo accreditamento della formazione biologica e quindi farmacologica.
Manca del tutto,infatti, un riferimento alla centralità della relazione tra medico e paziente nel trattamento delle malattie psichiatriche. La definizione di tale relazione, riferita non solo al rapporto tra il singolo medico e il singolo paziente, ma estesa a strutture che vedono impiegato un personale multidisciplinare, dovrebbe essere esaminata con maggiore attenzione. Manca altresì un'impostazione organica della prevenzione.

In questo quadro, il testo di legge proposto dall'On. Burani Procaccini ci sembra comunque dotato di un impianto per alcuni aspetti condivisibile. A questo proposito, riteniamo opportuno esporre il nostro punto di vista, innanzitutto per temi, su alcune fondamentali problematiche sollevate da questa iniziativa:

1) Il problema della cronicità
richiede una notevole attenzione. In questi anni si è molto parlato di "nuova cronicità". Con questo termine ci si riferisce a quei malati che pur non essendo mai stati ospiti dell'OP presentano malattie croniche. Questo perché i teorici della 180 sostenevano che la cronicità fosse l'esclusivo prodotto della permanenza in manicomio. Il fenomeno della nuova cronicità li smentirebbe.
D'altra parte, il termine "nuova cronicità" va valutato con attenzione. In realtà quello che va ribadito, e che la 180/833 sembra avere completamente dimenticato (negato?), è che le più gravi malattie mentali possono essere di per sé croniche: sia perché vengono diagnosticate tardivamente, sia perché la ricerca sulla cura è ancora arretrata, sia perché è loro caratteristica psicopatologica un andamento continuo anche se talvolta sintomaticamente silente per lunghi periodi, che erroneamente vengono considerati come remissioni.
D'altra parte, il termine "nuova cronicità" - e questo andrebbe approfondito - potrebbe oggi corrispondere a ulteriori fattori di cronicizzazione dovuti a interventi impropri. I nuovi cronici sarebbero diversi da quelli manicomiali perché al fattore stabile e poco o scarsamente variabile rappresentato dalle caratteristiche stesse della malattia si sarebbero aggiunti aspetti particolari legati al tipo di intervento condotto su questi malati.
Laddove un tempo un certo tipo di abbandono, legato a una mentalità custodialista, poteva produrre la stabilizzazione di una condizione pseudo-deficitaria, oggi bisognerebbe riflettere su un altro tipo di abbandono: l'assenza di strutture terapeutiche adeguate, la pletora di interventi assistenziali, la convivenza forzata con le famiglie. Bisognerebbe verificare come tutto ciò abbia prodotto nuove forme di cronicità. In particolare, bisognerebbe studiare come certi pazienti in carico ai DSM, che nel corso degli anni hanno ricevuto una serie di aiuti non specificatamente clinici ma di tipo nettamente assistenziale (aiuti economici, alloggi, interventi genericamente risocializzanti), abbiano sviluppato un determinato profilo di incurabilità ancor più disperante poiché in questi casi sarebbe stato fatto "tutto quello che si poteva fare".
C'è da interrogarsi seriamente se l'assistenza a oltranza vada comunque perseguita o se non vadano operate delle selezioni in modo che tale assistenza non risulti passivizzante, dunque in contrasto con un'attività terapeutica tesa a stimolare le risorse residue del paziente.

2) Il principio della territorialità
La legge 180/833 lo ha in qualche modo ereditato dalla legge Mariotti, che aveva istituito i primi CSM. La 180/833, però, riprendendo il discorso territoriale, lo lega alla concezione per cui la malattia si genera in un determinato ambiente, si alimenta con l'intolleranza di quell'ambiente al "diverso" e va combattuta con il reinserimento sociale del malato.
Oggi il discorso della territorialità va assunto in altri termini e fa capo principalmente al diritto alla cura nelle condizioni più agevoli. Va dunque assicurata a tutti la possibilità di un intervento differenziato secondo le varie fasi della malattia, e la possibilità del paziente e dei familiari di accedere ai vari servizi sanitari con facilità.
Non vediamo contraddizione tra questo principio così inteso e il fatto che si vada affermando l'esigenza del malato e dei familiari di poter scegliere liberamente il medico e il luogo di cura di fiducia.
A questo proposito c'é un argomento che in questi anni è sempre stato evitato e rimane a tutt'oggi non risolto:

3) Il ruolo del privato in psichiatria
Il principio della libertà nella scelta del medico e del luogo di cura chiama in gioco, tra gli altri, il problema del privato.
Le case di cura private e il privato in generale sono oggetto di espliciti divieti da parte della legge 180/833. La tendenza attuale è quella di ammettere interventi da parte del "privato sociale", non a scopo di lucro, mentre il tema delle case di cura private o di altre strutture convenzionate continua a essere un terreno scivoloso.
Bisogna rilevare che in questi ventitré anni, mentre da una parte si denunciava (talvolta a ragione) la situazione di cliniche improntate al profitto ed erogatrici di interventi non sempre indicati, dall'altra la carenza di strutture, in particolare di posti letto nei SPDC, rendeva quasi obbligato il ricorso a quelle stesse cliniche. La legge però, non riconoscendole "de jure" ma "de facto", anzi obbligando alla risoluzione delle convenzioni operanti, ha di fatto impedito che gli standard terapeutici da esse adottate potessero venire confrontati e integrati con quelli del servizio pubblico.
Oggi sono in molti a chiedere che tra servizio pubblico e privato si instaurino sinergie, in un regime di libera concorrenza su costi e benefici. Va comunque affermata la necessità di una asimmetria, nel senso che sarebbe il servizio pubblico a dover fissare gli standard e a sottoporre a verifica le strutture private, in un processo di progressiva integrazione controllato dal pubblico. In questo quadro, è obbligatorio indicare i criteri per i parametri regionali di accreditamento per le strutture private ed è necessario che le case di cura che vogliono convenzionarsi li rispettino.

4) L'istituzione di divisioni ospedaliere di psichiatria
Un altro divieto della 180/833 riguarda l'istituzione di divisioni ospedaliere di psichiatria. Gli attuali SPDC, istituiti come strutture di degenza in cui effettuare i TSO, contano una ventina di anni di esperienza. Inizialmente, essi vennero istituiti in fretta, con l'obbligo di entrare in funzione prima ancora di essersi potuti organizzare. La istituzione a tutt'oggi di un discreto numero di SPDC non realizza le condizioni necessarie a un reale intervento di diagnosi e cura per le acuzie psichiatriche nell'ospedale generale.
Nessuno infatti degli attuali presìdi consente la corretta gestione dell'episodio acuto per tutta la sua durata, data l'assoluta inadeguatezza della struttura a una gestione della crisi in condizioni valide, oltre che sul piano medico, sul piano psicoterapico. Inoltre ai SPDC solo in minima parte afferiscono le situazioni cliniche di stretta competenza, fungendo gli attuali presìdi come meri servizi di pronto soccorso ed emergenza per una eterogenea miriade di situazioni clinico- sociali, in massima parte di competenza di altri presìdi ospedalieri ed extra ospedalieri pubblici e privati. Si può a ragione osservare che mentre una rilevante fetta di patologia psichiatrica acuta continua ad afferire alle Case di cura neuropsichiatriche, come per il passato, l'utenza dei SPDC è in prevalenza costituita dai casi d'impatto clinico-sociale più drammatico (TSO e situazioni di emarginazione varie).
Inoltre, il SPDC è stato e rimane l'unico punto di riferimento per molti pazienti psichiatrici. Il fatto di non trovare risposte efficaci sul territorio ha probabilmente alimentato fenomeni come quello della "porta girevole", con un progressivo coinvolgimento di queste strutture, in realtà programmate per l'acuzie, nella gestione della cronicità. Oggi molti operatori dei SPDC chiedono una maggiore attenzione per il polo ospedaliero. La richiesta è quella di strutturare il servizio in modo tale che possa rappresentare una risposta alla crisi acuta, e che possa realizzare un'attività diagnostica e di impostazione dell'intervento terapeutico secondo standard paragonabili a quelli di altri paesi europei e occidentali.
Uno dei principali ostacoli è rappresentato dal divieto di istituire divisioni psichiatriche simili a quelle di altre specialità mediche. Ci si chiede se tale divieto sia giustificato. L'istituzione di divisioni, tra le altre cose, consentirebbe un abbattimento dei costi di gestione e una possibilità di competere con il privato.
La questione dei SPDC si lega all'esigenza di rivedere le procedure per il TSO psichiatrico. In particolare per quanto riguarda la durata, che è stabilita in 7 giorni. Sul TSO torneremo oltre.
Un altro serio problema è quello della urgenza/emergenza in psichiatria. Sono in molti a richiedere l'istituzione di un pronto soccorso psichiatrico a cui demandare l'intero problema dell'urgenza che, in quanto tale, dovrebbe comunque legarsi alla situazione psicopatologica della crisi acuta e alla sede ospedaliera, anche per motivi di costo.
Al polo ospedaliero va ricondotta poi la questione della strutturazione di day hospital per controlli di carattere medico, onde assicurare la collaborazione con altre specialità e con i poliambulatori.

5) L'Università
Un'altra problematica causata dalle prescrizioni e dai divieti della legge 180/833 è quella relativa all'Università, che ha risentito della proibizione di istituire reparti di psichiatria e affini. Riteniamo che le università che posseggono scuole di specializzazione debbano gestire uno o più DSM. Nel caso di personale universitario insufficiente, la Regione è obbligata a mettere a disposizione personale del SSR. Ci sembra ovvio che questo punto rappresenti una ineludibile necessità per la formazione degli psichiatri.
La questione della formazione diventa di estrema importanza nella prospettiva di rivalutare la figura dello psichiatra, sia per quanto riguarda il corso di laurea in medicina, sia per la specializzazione in psichiatria, sia per la formazione continua e permanente che attualmente è principalmente demandata alle case farmaceutiche.
L'università deve inoltre essere chiamata in causa per lo stato attuale della ricerca clinica e psicopatologica. Si tratta di un enorme problema culturale. Lo stato attuale della ricerca è infatti un punto controverso. Come del resto quello del modello di malattia e di cura.
Le Scuole di specializzazione in psichiatria debbono costituire un punto di riferimento e di confronto nell'ambito della psicoterapia e dei metodi di valutazione
di qualità ed efficacia degli interventi, in concorso con i DSM e con le scuole private.
E' necessario inoltre attivare la collaborazione con discipline affini, in primo luogo con la Psicologia a indirizzo clinico.
Sempre all'Università andrebbe demandata la ricerca sulla tutela degli operatori psichiatrici. Il lavoro degli operatori è nell'attuale assetto organizzativo fortemente condizionato in senso negativo, con una soglia troppo bassa di rischio psicofisico di varia natura. La migliore prevenzione e tutela è costituita da una azione di formazione e aggiornamento permanente, contestualmente al miglioramento nella organizzazione e funzionalità delle strutture. Si prospetta inoltre la possibilità di istituire forme di consulenza e sostegno nei casi di deterioramento delle capacità professionali.


6) Le strutture per subacuti e cronici
Il divieto di approntare strutture che potessero in qualche modo evocare il fantasma del manicomio, segna in modo significativo anche la questione delle cosiddette "strutture intermedie". Tali strutture rappresentano un nodo centrale per un reale superamento dell'OP. In quest'area oggi si registra, accanto a una esigua presenza nel pubblico, una situazione di stallo nel privato, determinata da un lato dal mancato decollo delle procedure di accreditamento, dall'altro dalla farraginosità delle procedure di accesso alle strutture autorizzate. Occorre deburocratizzare e liberalizzare al più presto tale settore.
La malattia mentale comporta un coinvolgimento di tutta la vita quotidiana del paziente e di chi convive con lui, per periodi lunghi. La malattia mentale peraltro comporta diversi gradi di compromissione delle capacità di un individuo, generando situazioni diverse secondo la sua personalità premorbosa e le risorse individuali e ambientali di cui dispone. E' comunque evidente che nelle psicosi, in ogni fase della malattia, può rendersi necessaria la permanenza di un paziente in una struttura durante il giorno e anche la notte, anche perché generalmente il malato di mente non lavora e non è in grado di provvedere al proprio sostentamento, e la permanenza in famiglia non può essere data per scontata. Uno degli equivoci della cultura della 180 consisteva in una sorta di inversione dei meccanismi causa-effetto. Il malato mentale per la sua malattia è asociale e non lavora, invece veniva detto: "E' malato perchè non lavora e non ha rapporti sociali: diamogli un lavoro, diamogli un contesto sociale e starà meglio". L'equivoco su questo punto ha prodotto non pochi fallimenti. Il fatto è che il malato di mente pone simultaneamente problemi di cura e problemi, spesso gravosi, di assistenza. La difficoltà è di fare interagire questi piani, mettendo al primo posto l'intervento terapeutico che dovrebbe comunque indirizzare l'operato delle strutture psichiatriche.
Le attuali proposte di revisione della legge 180/833 prevedono un ampio ventaglio di possibilità che vanno da strutture semiresidenziali e residenziali a netta impronta terapeutica a strutture con impronta più assistenziale. Nelle sedi di discussione sulla riforma della legge si sente spesso affermare che il numero dei posti letto in sé sarebbe qualificante: esso scongiurerebbe il verificarsi di situazioni di abbandono e incuria. A nostro avviso, il punto qualificante è invece quello dell'impostazione dei programmi terapeutici che definirebbero le strutture come strutture con gradi più o meno elevati di terapeuticità. C'è l'esigenza di stabilire parametri diversi da quello del numero dei posti letto, legati al tipo di personale impiegato e al tipo di intervento praticato. Andrebbe poi realizzato un coordinamento con il CSM, nel rispetto della continuità terapeutica.
Non bisogna dimenticare che il capitolo delle strutture intermedie comporta la soluzione del problema del superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, nonché quello di malati che rifiutano persistentemente le cure e negano la loro malattia e presentano comportamenti auto o etero lesivi.

7) Gli ex OOPP
L'ultimo divieto da sottoporre a verifica e contestazione è quello relativo agli ex OOPP. E' attualmente prescritto che i locali una volta occupati dai manicomi non possano venire utilizzati per la Psichiatria. Ferma restando la volontà di non permettere il ricostituirsi della realtà manicomiale, le strutture degli ex OOPP debbono costituire risorsa economica aggiuntiva esclusivamente destinata alla Psichiatria.

8) Il TSO psichiatrico
Le attuali modalità di attuazione del TSO, avallate dalle ambiguità e carenze del dettato legislativo, non tengono in considerazione la realtà clinica del paziente, e, in molti casi, del suo rifiuto persistente della terapia, con i danni che ne conseguono.
A differenza di altre situazioni di TSO non psichiatrico (cfr. art.33 della L.833/78) nel malato psichiatrico il consenso alle cure non è l'espressione di una libera volontà. La negazione di malattia e la negazione dell'esigenza di cure è legata alla stessa patologia psichiatrica. Il consenso del paziente pertanto rappresenta una conquista del terapeuta e spesso non è dato in anticipo. E' dunque il medico che, intervenendo in una situazione in cui questo consenso non c'è, deve valutare se lasciare il malato senza cura può o non può essere di pregiudizio ulteriore al suo stato di salute. E' il medico altresì che deve valutare quanto la situazione di distruttività che connota sempre la malattia mentale, lasciata a se stessa, può produrre danni al paziente stesso o ad altri. Un concetto dunque di pericolosità non sociale ma di carattere psicopatologico, non solo: tale pericolosità, o meglio distruttività, il più delle volte non comporta manifestazioni di tipo aggressivo o sadico, ma spesso consiste in forme di inerzia e negativismo di per sè non aggressive, comunque di pregiudizio al paziente. Tali valutazioni, come si può ben vedere, non possono essere fatte da qualcuno che non sia medico. Chiunque è in grado infatti di evidenziare e denunciare un comportamento che si stacchi dalle comuni convenzioni sociali, ma solo un medico può dire se quel comportamento fa capo a una malattia. Inoltre solo un medico può decidere se in tali situazioni il ricorso al TSO ha valenza terapeutica.
Venti anni di pratica psichiatrica in regime di 180 hanno poi evidenziato la necessità di strumenti di TSO più agili e flessibili che consentano di far fronte al problema della negazione della malattia e del rifiuto delle cure anche nei pazienti cronici e dunque di effettuare trattamenti sanitari obbligatori in ambito extraospedaliero.
Infine resta aperto il problema della introduzione sistematica dell'accertamento sanitario obbligatorio (ASO).

Fin qui per quanto riguarda il superamento delle attuali limitazioni e divieti, poi ci sono problematiche di carattere più propositivo che riguardano:

9) Servizi ambulatoriali (CSM) e continuità terapeutica
La risposta del DSM alle esigenze dei pazienti deve essere rappresentata da un complesso coordinato di interventi di diagnosi-cura-riabilitazione, da iniziare sin dal primo contatto con una delle strutture. Tali interventi costituiscono il Progetto Terapeutico, elaborato, condiviso e gestito dalle varie figure professionali della équipe curante, sotto una specifica responsabilità medica. Per l'attuazione del Progetto è fondamentale l'organizzazione integrata unitaria dei diversi presìdi del Dipartimento, per garantire la "continuità terapeutica", in ogni fase della malattia nell'ambito dei diversi servizi. Concordiamo che la sede in cui si attua tale progetto e in cui viene depositata la documentazione di tutti gli interventi sia il CSM.
Al CSM altresì va demandata l'organizzazione degli interventi di Prevenzione primaria in collaborazione con le altre istituzioni interessate. Prevenire è da sempre la modalità più economica e pagante rispetto alla cura (prevenzione secondaria). La prevenzione primaria deve attuarsi a livello di quelle istituzioni come la scuola, i luoghi di lavoro, ecc., non certamente con una tendenza a psichiatrizzare le situazioni di disagio psichico, bensì a sensibilizzare il personale impegnato a queste problematiche.
La prevenzione primaria è attività di sensibilizzazione e di cultura rispetto ai problemi della salute mentale. La prevenzione primaria richiede il coinvolgimento di varie figure professionali; poiché riteniamo che il primo filtro rispetto ad eventuali problematiche psicopatologiche sia costituito dal medico di base , è necessario che questi abbia un'adeguata e specifica formazione in campo psichiatrico.
Le attuali sollecitazioni a una maggiore apertura dei servizi ambulatoriali -qualcuno parla di 24 ore su 24- non ci trovano invece d'accordo. Esse sembrano dettate dall'esigenza di porre riparo a un malcontento piuttosto che da reali esigenze terapeutiche. Il Pronto Soccorso Psichiatrico, così come il Day Hospital, dovrebbero invece essere pensati in stretto collegamento con strutture ospedaliere.

10) Tutela degli utenti
Se da una parte va rifiutato che da parte degli utenti, singoli o associati, venga attuata qualsiasi facile forma di colpevolizzazione e processo del servizio e degli operatori per le carenze strutturali dell'assistenza sanitaria, dall'altra va riconosciuto il diritto dovere degli stessi utenti alla partecipazione consapevole a ogni livello decisionale che non sia di stretta natura tecnico-professionale. Occorre a tale fine attivare canali di comunicazione e partecipazione come base per una reciproca conoscenza di bisogni e aspettative realistiche da una parte e della disponibilità di risposte dall'altra (sportelli per l'utenza). Così come vanno istituzionalizzate forme di partecipazione alla gestione dell'applicazione della legge ai vari livelli.


Chiosatura del Pdl Burani Procaccini

Art.2 punto 3
"I DSM (...) e hanno la responsabilità della cura del malato e del suo recupero sociale...."
Bisogna definire e distinguere nettamente i due ambiti: medico e sociale.
Bisogna indirizzare i compiti del DSM (perché non denominarlo direttamente Dipartimento di Psichiatria?) sugli aspetti sanitari specialistici, che dovrebbero comprendere tutte le fasce di età.
Per gli interventi a carattere sociale, invece, il riferimento dovrebbe essere ai servizi sociali, ovvero alle agenzie degli enti locali già deputate a fornire assistenza materiale ai bisogni dei cittadini.
"Il responsabile del DSM (...) previo parere, non vincolante, di appositi organismi rappresentativi dell'utenza"
Ci sembra una proposta non giustificata. Quanto contenuto in articoli successivi, in cui è prevista un'adeguata rappresentanza delle associazioni (in commissioni nazionali e regionali di controllo, nel tribunale del malato) ci sembra sufficiente.
Il ruolo degli utenti non è quello di svolgere compiti: 1) attinenti alle specifiche responsabilità professionali, 2) attinenti alle specifiche competenze istituzionali. Un eccessivo allargamento dei poteri di assemblee degli utenti, costituite per un'esigenza apparente di maggiore partecipazione, in realtà determinerebbe una perniciosa confusione dei ruoli e un conflitto permanente.
Nell'ambito delle istituzioni psichiatriche il tecnico, per poter esercitare in maniera metodologicamente corretta il proprio programma di trattamento, che non è limitato ai pazienti ma comprende strutturalmente la famiglia, non deve subire condizionamenti di carattere politico.

Art.2 punto 3 a)
"centro salute mentale (CSM): ha la responsabilità del malato in tutti i suoi aspetti sociali, legali e terapeutici "
Confronta quanto detto sopra a proposito del DSM.
Ci sembra che il CSM dovrebbe piuttosto coordinare gli interventi terapeutici al livello dei vari presìdi secondo un progetto terapeutico svolto sotto una responsabilità medica ben individuata (presa in carico). Tale presa in carico deve sempre avvenire all'inizio del percorso terapeutico e rimane comunque come punto di riferimento per ogni ulteriore tappa, anche nei casi in cui è effettuata da parte di strutture residenziali pubbliche o private.
Più avanti: "centro salute mentale (...) svolge attività anche di urgenza, ha un'apertura parziale di 24 ore su 24..."
Per lo svolgimento degli interventi domiciliari non di urgenza è sufficiente e funzionale un'apertura di 12 ore (8-20) per i giorni feriali e di 6 ore (8-14) per il sabato, in piena analogia con tutti gli altri servizi sanitari. Non siamo d'accordo, anzitutto per ragioni di spesa, ma soprattutto di opportunità.
Pensiamo che per le situazioni di emergenza debba funzionare un servizio di Pronto Soccorso, collocato in sede ospedaliera, dotato di un'equipe mobile di secondo livello che, in caso di necessità, può supportare il 118.
Più avanti, quando vengono elencati i compiti specifici del CSM:

Art.2 punto 3 a) 1) al suo posto, introdurremmo come primo compito del CSM l'intervento ambulatoriale, sia psicofarmacologico che psicoterapico, che non è menzionato e anzichè "curare il malato al suo domicilio" diremmo: "intervenire, se necessario, con visite domiciliari con e senza medico";

Art.2 punto 3 a) 2) : "assicurare al malato un'attività lavorativa e sociale", diremmo invece: "attivare tutti gli strumenti idonei ad assicurare un inserimento etc.".
Le due aree costituenti la normalità della vita quotidiana, al di fuori della famiglia, sono il lavoro e il tempo libero. Si tratta di istanze sociali valide per ogni persona inserita nella società, malati e non, e quindi da programmare e gestire il più possibile fuori da contesti sanitari, fermo restando il ruolo di appoggio e consulenza delle strutture sanitarie specialistiche.
Bisognerebbe inoltre introdurre tra i compiti del CSM quello di tenere una cartella clinica informatizzata che consenta di archiviare tutti gli interventi che si fanno sul malato. Andrebbe altresì programmata l'istituzione di un libretto sanitario elettronico. Tali ausilii costituiscono strumenti indispensabili di base per la presa in carico permanente del paziente.

Art.2 punto 3 a) 3) dedicato al Day-hospital, andrebbe eliminato e riformulato a proposito del polo ospedaliero. Riteniamo che il Day-hospital debba essere annesso al polo ospedaliero per favorire il rapporto con altre specialità mediche.

Art.2 punto 3 a) 4) proponiamo di cancellare la parola "obbligatorio". La libertà di scelta del medico vale a nostro avviso per le situazioni di ricovero volontario, mentre per i ricoveri obbligatori si rimanda la questione alla trattazione del TSO psichiatrico.

Art.2 punto 3 a) 6) Anche questo va cancellato e fatto rientrare nella situazione di Day-hospital in collaborazione con poliambulatori.

Art.2 punto 3 a) 7) Come già detto, va al Pronto Soccorso ospedaliero.

Art.2 punto 3 b) 1) 2) 3)
Troviamo che ci sono troppi dettagli superflui e non pertinenti a una legge quadro.
a) La complessità del dibattito sui diversi modelli alternativi (nessuno di essi va proposto in maniera dogmatica, tutti comunque vanno vagliati alla luce dell'esperienza);
b) l'attuale radicale mutamento del contesto normativo, che assegna alle Regioni la responsabilità principale di legiferare in campo sanitario
suggeriscono, per una nuova legislazione nazionale, la forma di legge quadro.
In secondo luogo, non vediamo menzionata la terapia tra le varie funzioni.
In terzo luogo, non pensiamo sia utile definire i posti letto secondo un massimo, suggeriamo di parlare di "moduli da un minimo di dieci a un massimo di 20 posti", ovviamente accorpabili, in modo da lasciare alle Regioni e alle ASL piena libertà di programmazione e sperimentazione.
Suggeriamo inoltre una suddivisione non per fasce di età, ma a seconda del grado di terapeuticità della struttura, definito attraverso vari criteri di qualità e con riferimento al personale impiegato.
Siamo d'accordo che in queste strutture vada previsto spazio per ex OPG e per "pazienti difficili", proponiamo di studiare una formula che non comporti il criterio di pericolosità sociale. Una formula legata principalmente alla gravità della patologia e fondata sulla valutazione clinica.
Quanto ai soggetti più giovani, il nostro punto di vista è che tra 0 e 8 anni non si parli di interventi terapeutici diretti in strutture specifiche (se non per i casi più gravi, in carico alla NPI), bensì di prevenzione nell'ambito della famiglia, della scuola, o di terapia in ambito sanitario generale. Tra i 12 e i 20-24 è invece di massima importanza la diagnosi e l'intervento terapeutico integrato, che prevede il contatto con le famiglie. Tenere poi conto di problematiche specifiche (diagnosi precoce della schizofrenia, prevenzione del suicidio, disturbi alimentari).
Andrebbe pensato un articolo specifico per l'età evolutiva.

Art.2 punto 3 b) 4) Non siamo d'accordo perché asseconda un principio di massificazione esposto a rischi di confusione e regressione.

Art.2 punto 3 b) 5) Da inserire in un articolato sulla prevenzione.

Art.2 punto 3 b) 6) Siamo d'accordo in linea di massima, pensiamo che però tutta la questione dell'Università vada affrontata più organicamente, soprattutto per la formazione del medico di base in psichiatria e dello psichiatra.

Art.2 punto 3 b) 7) Siamo d'accordo, ma va inserito in una trattazione organica delle competenze del polo ospedaliero.

Art.2 punto 3 b) 8) Da inserire nel comma riguardante la centralizzazione della cartella clinica e il libretto sanitario elettronico.

Art.3
Pensiamo sia stato dato troppo spazio alle modalità di TSO. Il TSO è uno strumento terapeutico e come tale deve essere a giudizio del medico.
Visto poi che il TSO priva momentaneamente il paziente della libertà, ci devono essere regole che evitino ogni abuso. Comunque non bisogna dimenticare che attualmente la legge e il codice deontologico tutelano, in maniera a volte eccessiva, l'autonomia-libertà del paziente.
Proponiamo di sostituire l'intero articolo così:
"Art. X (Accertamenti e Trattamenti sanitari obbligatori per malattia mentale)
1. Gli Accertamenti Sanitari Obbligatori (ASO) per malattia mentale sono disposti, con Ordinanza, dal Sindaco nella sua qualità di Autorità Sanitaria Locale, con le modalità di cui all'Art. 34 della Legge 23 dicembre 1978, n. 833, su proposta motivata di un medico, previa convalida della stessa da parte di un medico del Presidio del Dipartimento di Psichiatria competente per territorio, o su proposta formulata direttamente dallo stesso medico del Dipartimento. L'Ordinanza, salvo rinnovo, ha validità per un periodo massimo di un mese. L'Ordinanza va trasmessa, a cura del Sindaco, entro le 48 ore dalla sua emissione, al Giudice Tutelare che, espletati gli accertamenti ritenuti opportuni, entro 48 ore dal suo ricevimento emette provvedimento di convalida o annullamento, notificato al Sindaco.
Gli ASO, disposti per accertamenti ritenuti necessari dal sanitario proponente, in assenza del consenso del paziente, sono effettuati a cura del Dipartimento di Psichiatria competente per territorio con la collaborazione, ove necessario, delle Forze dell'Ordine Pubblico, a domicilio del paziente o in qualunque altra sua sede.
2. Il Trattamento Sanitario obbligatorio (TSO) per malattia mentale si effettua con le procedure di cui al punto precedente (ASO), per l'effettuazione di interventi terapeutici ritenuti necessari dal medico proponente, in mancanza del consenso del paziente. Il TSO si distingue in:
2.1. TSO Ospedaliero, se effettuato nel SPDC del Dipartimento di Psichiatria.
2.2. TSO Extra ospedaliero, se effettuato fuori dal SPDC, a domicilio del paziente o in qualunque altra sede.
3. Il Trattamento Sanitario Obbligatorio di Urgenza (TSOU) si effettua, al di fuori delle procedure sopraindicate, sulla base della certificazione di un medico nei casi di grave urgenza, con rischio di danni per il paziente o altre persone, con l'obbligo di convalida da parte di un medico del Dipartimento di Psichiatria e di successiva notifica al Sindaco entro il termine di 24 ore.
4. Il TSO, nelle modalità sopraindicate, deve costituire un ausilio terapeutico necessario in quei casi ove l'incapacità del paziente di rendersi conto della propria patologia rende inevitabile una momentanea restrizione della libertà, finalizzata esclusivamente all'interesse del paziente.
5. Il personale del Dipartimento direttamente impegnato nell'effettuazione di TSO rientra a pieno titolo nella categoria di figure professionali del SSN a rischio."
6. In caso di TSO decade il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura.

Art.4 punti 2 e 3
Vale quanto espresso precedentemente (Art.2 punto 3 a) 2)). Il lavoro è un'istanza sociale comune che deve essere garantita dalle istituzioni sociali deputate a questo. Quanto all'assimilazione ai portatori di handicap, ci sembra una valutazione non corrispondente alla clinica che distingue nettamente malattia e handicap.

Art.4 punto 5
Superfluo e arbitrario specificare in dettaglio, una volta fatto salvo il principio di una regolamentazione individualizzata definita dal programma terapeutico.

Art.4 punto 6
L'aiuto ai familiari che integrano il paziente psichiatrico, ove questo si riveli positivo secondo il profilo clinico, va erogato esclusivamente sotto forma di servizi.

Art.4 punto 7 Ci sembra un'aggiunta superflua, rispetto a quanto già detto altrove.

Art.5 punto 1
Va superato radicalmente il tabù della contrapposizione tra pubblico e privato (va garantita all'opposto la piena equiparazione a parità di criteri di accreditamento) da verificare da parte delle istituzioni pubbliche.

Art.5 punto 2
Il termine "ispettore" sembra configurare un ruolo burocratico a una funzione che invece è eminentemente tecnica.

Art.6
L'Art.6 nel suo insieme appare troppo dettagliato e quasi superfluo. Sarà la Regione a darsi un'organizzazione per la programmazione e la verifica.

Art.7
Siamo d'accordo con il contenuto, anche se lo troviamo fin troppo dettagliato.

Art.8
Pensiamo non sia opportuno esplicitare la questione in questi termini, ma limitarsi a vincolare l'utilizzo delle risorse economiche derivanti dal patrimonio immobiliare degli ex OOPP non utilizzabili territorialmente a favore della Psichiatria.

Art.9
Aggiungeremmo che le Università con Scuola di specializzazione hanno l'obbligo di istituire e gestire almeno 1 DSM. Va dato più spazio alla questione della prevenzione.

Art.10
Ci trova d'accordo, tranne che per il termine di due anni che porteremmo a uno.

Art.11
Porteremmo il vincolo di spesa al 7% per le spese correnti.



NUOVA PSICHIATRIA - Gruppo Direttivo

Sandro Casini - Psichiatra, Primario Casa di Cura "Villa Armonia Nuova"
Paolo Di Benedetto - Psichiatra, Responsabile Area Riabilitativa DSM Rieti
Giorgio Guerani - Psichiatra, Responsabile Servizio Psich. Ospedaliero DSM RM/D
Giovanni Inzerilli - Psichiatra, già Direttore DSM Latina
Nicola Lalli - Psichiatra, Primario Dipartimento Psichiatria Università "La Sapienza"
Carlo Lucarelli - Membro Direttivo ARAP (associazione Riforma Assistenza Psichiatrica)
Albertina Seta - Psichiatra
Giuseppe Tropeano - Psichiatra, Responsabile Area ospedaliera DSM RM/D

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