© PSYCHOMEDIA - Psicologia e Psicopatologia della Perinatalità Cure materne e sviluppo del futuro individuo

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PSYCHOMEDIA
GRUPPALITA' E CICLO VITALE
Periodo Perinatale


Università degli Studi di Brescia
Facoltà di Medicina e Chirurgia

Dipartimento Materno-Infantile e Tecnologie Biomediche
Direttore: Prof. Francesco Castelli

Cattedra di Psicologia Clinica
Direttore: Prof. Antonio Imbasciati


ATTI DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE
ABSTRACT DEI POSTER
A cura di Imbasciati A., Dabrassi F., Manfredi P.


Psicologia e Psicopatologia della Perinatalità
Cure materne e sviluppo del futuro individuo

Con la partecipazione straordinaria della
prof.ssa Monique Bydlowski (Parigi)



SEGRETERIA SCIENTIFICA
Prof. Antonio Imbasciati
Dott.ssa Francesca Dabrassi
Prof.ssa Paola Manfredi

Cattedra di Psicologia Clinica
Facoltà di Medicina
Università degli Studi di Brescia
Tel. 030 3717647
Fax 030 3717207
dabrassi@med.unibs.it

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
Symposia srl
Via R. Psaro 17 - 25128 BRESCIA
Tel 030 3099308
Fax 030 3397077
Mobile 334 2000512
e-mail: lazzari@symposiacongressi.it
www.symposiacongressi.it



Si ringraziano per la loro collaborazione: dott.ssa Chiara Benedini, dott.ssa Laura Mainardi, sig.ra Daniela Ferraboli, sig.ina Alice Monti, sig.ina Francesca Buffoli.

SESSIONE POSTER

Moderatori: prof.ssa Paola Manfredi*, dott.ssa Francesca Dabrassi**
* Professore Associato di Psicologia Clinica - Università di Brescia
** Dottore di ricerca in Psicologia Clinica, Assegnista di ricerca - Università di Brescia

Da una lettura trasversale dei contributi proposti in questa sessione possiamo mettere in luce come elemento comune sia la proposta di uno spazio di informazione/elaborazione intorno alla nascita e al suo desiderio. Destinatari di questo spazio sono, nei vari lavori proposti, le madri, le coppie (sia in percorsi distinti per uomini e per donne che in incontri con entrambi i genitori). Più sullo sfondo e come ipotesi di lavoro rimane l’idea di una rete più allargata di sostegno alla genitorialità. Rispetto ai contenuti colpisce il poco spazio accordato alla sessualità nella sua dimensione fisiologica di componente coniugale. L’accesso a questo spazio avviene a partire da due percorsi molto differenti: in una dimensione di benessere come può essere quello delle gestanti che frequentano i corsi di preparazione al parto, o in una condizione di patologia, quale espressa nei disturbi del bambino (come in caso di disabilità) o in disturbi somatici legati a situazioni di infertilità, marcati disturbi gravidici. Rimane aperto l’interrogativo su come poter raggiungere una popolazione più ampia, portatrice di bisogni differenti, sia nella forma di disagi più sfumati (e.g., psicologici) o di prevenzione primaria a più largo spettro che in quella di più marcati disturbi (e.g., marginalità sociale). Un altro quesito che ci si può porre a partire da un’utenza diversificata è se la proposta di uno spazio di informazione/elaborazione basato sul canale verbale (narrazione) sia proprio l’unica e più efficacia proposta o se non vadano pensati progetti differenti e innovativi, fermo restando che per le persone in grado di utilizzare lo strumento narrativo, esso risulta assolutamente rilevante.
Per quanto riguarda gli operatori coinvolti nei progetti presentati sono presenti un ampio spettro di professionalità: ostetrica/o, ginecologo, neuropsichiatra infantile, neonatologo, pediatra, infermiere, assistente sanitario, psicologo/psicoterapeuta, educatore, assistente sociale. La pluralità dei soggetti coinvolti rende ragione della complessità dell’area perinatale che forse richiederebbe - per gli operatori e per gli utenti - la costruzione di un’immagine maggiormente condivisa e rispettosa delle diverse professionalità. Siamo convinti che per raggiungere questo obiettivo la via maestra sia quella della formazione degli operatori, una formazione che prenda in considerazione anche la dimensione affettiva di chi opera in questo settore.


Prevenire la psicopatologia e i comportamenti aggressivi nelle mamme - Alessandra Bramante*, Antonino Calogero**
* Centro di Scienze Cognitive, Università degli Studi di Torino; Centro Psiche Donna, Ospedale Fatebenefratelli e Oftalmico Milano
** Direttore Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castigliane delle Stiviere

“Quando nasce un bambino il mondo non è mai pronto…”
Wislawa Szymborska Nel 1980 Elizabeth Badinter nel suo libro “L’Amore in più, Storia dell’Amore Materno”, sosteneva che non esiste un istinto che guida la donna alla cura di un figlio, ci può essere ma anche non essere un amore, un sentimento che si manifesta e si sviluppa nei confronti della prole. Tesi questa “sposata” anche da Sarah Blaffer Hrdy nel suo libro del 2001 intitolato “Istinto Materno”. E forse si deve partire proprio da qui per capire quelle madri che faticano ad accettare il nuovo nato così come quelle che, in casi estremi, arrivano a togliere la vita ai loro figli. Esiste, infatti, una resistenza collettiva ad accettare che l’amore materno non è innato e tantomeno incondizionato.
Non si deve sopravvalutare la maternità, non è vero che fare la mamma è un’attitudine innata anzi si impara ad allevare un figlio, a conoscerlo e ad amarlo. E’ importante sapere che avere un figlio può essere spiazzante e che non c’è nulla di male o di sbagliato nell’ammetterlo.A portare avanti tale filosofia la Francia è sicuramente più avanti dell’Italia, dove si crede ancora troppo che essere madre sia esclusivamente fonte di gioia e felicità.
Secondo Delassus non si nasce madre ma lo si diventa attraverso un lungo percorso interiore. La maternità riporta la donna ad uno stato primario in cui il bambino diventa teatro delle mancanze e delle paure della propria infanzia. Ecco che il bambino può diventare suo malgrado “il persecutore”, quello che con le sue richieste, le sue lacrime e le sue grida va a risvegliare l’esperienza traumatica di abbandono, negligenza e solitudine della madre. Credo che il problema dell’istinto materno non sia quanto esista o quanto sia potente ma che da solo non è sufficiente a produrre un comportamento materno accudente ed adeguato.
Un comportamento materno accudente ed adeguato deriva, infatti, da una sufficiente integrazione tra quel istinto e tutte le altre istanze di vita. A questo punto il problema dell’adeguatezza della maternità diventa un problema da leggersi in termini di capacità di integrazione nelle persone che hanno un figlio, non di potenza del loro istinto materno. Qui si inserisce molto bene la teoria dell’attaccamento perché, come sostiene Ruberti, le capacità di integrazione della coscienza sono fortemente legate al grado di sicurezza dell’attaccamento, dato scientificamente validato. Allora capiamo anche perché in molti disturbi psicopatologici troviamo una frequenza maggiore di comportamenti lesivi della propria prole rispetto all’assenza di tali disturbi. Probabilmente non perché questi disturbi ledono l’istinto materno ma perché ledono le capacità di integrazione delle persone che ne sono affette.
Diversi studi in letteratura parlavano del periodo della gravidanza come una epoca “protettiva” nei confronti dei disturbi psichiatrici, contrariamente studi recenti condotti da Nonacs (2004) pongono in evidenza come la gravidanza risulti un periodo ad “alto rischio” per disturbi affettivi. Si capisce allora quanto sia importante agire preventivamente e, al fine di poter fare prevenzione, è necessario sapere quale comportamento vogliamo evitare e quali sono i segni premonitori, i fattori di rischio.
La prevenzione è lo scopo primario della ricerca, nella convinzione che, cercare di anticipare i comportamenti omicidiari o individuare gli stati di sofferenza cui una donna può andare incontro durante la maternità, potrebbe “salvare” non solo una relazione tra mamma e bambino ma forse anche la vita stessa di un bambino.
Tale convinzione nasce dallo studio di 50 anni di neonaticidio e figlicidio materno in Italia e dallo studio approfondito di 80 casi di figlicidio materno tra i quali vi erano storie in cui, per evitare la tragedia, qualcosa si sarebbe potuto fare, altre in cui qualcosa si sarebbe dovuto fare ed infine altre ancora in cui è incomprensibile come nulla sia stato fatto, casi in cui la cecità ambientale è stata davvero sconcertante.
Dallo studio di 80 casi di figlicidio materno (studio dei fascicoli processuali con particolare attenzione al materiale clinico) emerge che il movente primario che spinge una madre ad uccidere il proprio figlio è la presenza di una patologia psichiatrica (61% dei casi). Ecco che la fonte del rischio su cui ci dobbiamo maggiormente concentrare è quella individuale, in particolare la condizione emotivo psicologica della madre (disturbo dell’umore nel postpartum, psicosi nel postpartum, familiarità psichiatrica, abuso di sostanze, storia di tentativi di suicidio e/o ricoveri psichiatrici).
Infatti se la maternità felice, spontanea e senza problemi esiste, il suo rovescio è quel lato oscuro e lasciato volontariamente nell’ombra perché troppo ci spaventa e preoccupa. Una madre può restare insensibile davanti alla culla del suo bambino, provare solo freddezza, disgusto ed angoscia nel relazionarsi con lui. Una madre può rimanere paralizzata davanti al proprio bambino ed essere incapace di rispondere anche ai suoi più semplici bisogni, può non codificarne le lacrime, le grida e la mimica. Può rimanere così turbata da sentimenti che non si immaginava che potessero esistere ed ancora meno che possano manifestarsi proprio verso il suo piccolo. Queste donne, poiché non sono state avvertite, visto che si preferisce tacere questo lato oscuro della maternità, si sentono morire dentro in silenzio, abbandonandosi alla depressione o alla follia, i due sintomi della difficoltà materna. Perché molto spesso la depressione è la conseguenza di un disturbo relazionale tra mamma e bambino, della sofferenza e delle difficoltà del non riuscire ad essere e a sentirsi madre.
Da tutto ciò si evince dapprima l’importanza di iniziare a vedere la maternità come una condizione psicologica specifica e non solo come un processo fisico di competenza ostetrica, di individuare i principali fattori di rischio sia del figlicidio che della psicopatologia nelle madri. Questi sono gli scopi principali della ricerca nazionale che stiamo svolgendo, ponendo anche molta attenzione a tutto il “mondo relazionale” che gravita intorno alla donna (partner, famiglia d’origine, etc.).


Il sostegno psicologico in gravidanza: dalla narrazione all’intervento - Virginia Federico
Psicologo, dottore di ricerca in Psicologia di Comunità e Modelli Formativi, Università degli Studi di Lecce

Il periodo della gravidanza e la preparazione al parto sono eventi che concorrono a dare vita non solo a un nuovo essere umano ma anche a un’altra nascita, di natura più psicologica, riguardante la nuova identità della futura madre. Da un punto di vista evolutivo, la gravidanza si configura come un processo fondamentale nella formazione dell’identità femminile e, nello specifico, ne segna un punto di svolta importante. All’interno del life span questa fase può essere reputata non soltanto una semplice “fase di sviluppo” ma anche un’esperienza di “crisi”. Questa visione viene rinforzata dal concetto di crisi maturativa proposto da Bribing (1959, cit. in Ammaniti et al., 1995) secondo cui la gravidanza porta a un livello evolutivo più elevato che implica una ristrutturazione della propria identità. Quindi, come tutte le fasi che mettono fortemente in discussione la propria identità anche gestazione e maternità non sono esenti da conflitti e nodi problematici in cui la donna dovrà far fronte a nuove richieste psicologiche e sociali rispolverando e integrando, in un continuum evolutivo, il passato ruolo di figlia alla luce di quello nuovo di madre. L’intera personalità della futura madre viene messa in gioco e si espone a continui aggiustamenti e adattamenti, in un incessante processo di valutazione e trasformazione delle componenti psichiche che si sono sviluppate durante le esperienze precedenti. In questa fase intermedia la donna comprende che per raggiungere un’immagine più definita di sé deve necessariamente integrare queste due componenti; per cui se da un punto di vista fisico è chiamata ad affrontare cambiamenti repentini, psicologicamente deve metabolizzare la nuova situazione. Ciò spiega anche la comparsa di alcuni meccanismi psichici che accompagnano il periodo della gravidanza. Uno di questi riguarda la concentrazione verso il mondo interiore. Infatti, la gestante si trova assorbita dal proprio spazio interno, verso una dimensione più intima e, intenta a salvaguardare ciò che avviene in lei, si mostra piuttosto distaccata verso le attività esterne. Ne consegue che cominciano a sorgere nuove fantasie, aspettative, nuove immagini mentali che spingono la donna a proiettarsi verso un nuovo ruolo; iniziano a crearsi, soprattutto dal terzo a settimo mese, immagini mentali sul bambino che nascerà e, soprattutto, su come verrà impostata la relazione con lui. Oltre alle fantasie e alla produzione di immagini mentali, i cambiamenti fisici favoriscono la nascita di stati d’ansia e un forte senso di responsabilità per le condizioni di salute del bambino e soprattutto il timore che i propri comportamenti, stati d’animo e le situazioni di stress possano avere ripercussioni e arrecare danni al feto. Si consideri inoltre, che nel tempo, è notevolmente migliorata la qualità dell’intervento medico che ha portato a esiti molto meno rischiosi sia per la madre che per il bambino. D’altro canto, però, lo sviluppo delle conoscenze mediche e l’aumento di controllo tramite tecniche più o meno invasive hanno trasferito il potere dalla donna al medico (cfr. Scopesi, 2003). Spesso, infatti, l’intervento è focalizzato solo sulle componenti fisiologiche mentre la gestante, che necessita di un “contenitore” per dare voce ad ansie e bisogni, si trova ad essere considerata solo una “paziente”.
Date queste premesse, la presente ricerca si è proposta di evidenziare le aspettative, le ansie, le emozioni e soprattutto le reali esigenze delle gestanti; il tentativo è di dare la giusta importanza e analizzare attentamente i vissuti al fine di offrire uno spazio in cui il confronto, il supporto emotivo e cognitivo facciano vivere l’esperienza della maternità pienamente e serenamente, dando voce sia alle esigenze della madre che alle emozioni della donna. Tra le domande di ricerca ci si è posti la necessità, inoltre, di comprendere se vi sono differenze, sul versante emotivo, tra coloro che hanno frequentato e coloro che non hanno frequentato un corso di preparazione alla nascita; infine è stata considerata anche l’ipotesi di estrapolare direttamente dalla narrazione delle gestanti precisi indicatori per la creazione di servizi e la realizzazione di interventi efficaci.
È stata utilizzata una metodologia qualitativa, che ha previsto l’utilizzo di interviste semi-strutturate. Il modello teorico cui ci si è riferiti è, infatti, quello narrativo in quanto, come Stern (1985) ha evidenziato, la narrazione si lega, in una prospettiva evolutiva, al costituirsi di un Sé narrativo che consente di tradurre in termini linguistici la propria esperienza personale, sedimentata nel mondo rappresentativo. Sono state coinvolte 53 primipare incontrate in tutti gli ospedali della città di Palermo. L’analisi dei dati, che metodologicamente va ricondotta all’approccio qualitativo della grounded theory, si è concentrata sul contenuto delle interviste attraverso il supporto informatico ATLAS.TI e ha consentito di appurare che la gestazione è attraversata da una miscellanea di emozioni e sentimenti che oscillano da condizioni di intensa preoccupazione per qualsiasi cosa potenzialmente nociva per la salute del nascituro a momenti di gioia e tenerezza dovuti alle fantasie e le rappresentazioni sul proprio bambino. Non mancano certamente le differenze tra chi frequenta e chi non partecipa invece ai corsi di preparazione alla nascita; in generale la possibilità di analizzare direttamente “sul campo” i bisogni di chi vive la gravidanza in prima persona ha permesso di tracciare in maniera certamente più puntuale le linee guida per l’implementazione di servizi in grado di accogliere sotto più aspetti le esigenze delle future madri, sia dal punto di vista informativo e di sensibilizzazione che sul versante emotivo e psicologico.


Il corpo della donna e la “medicina del desiderio”. Una riflessione storico-culturale - Rubén Araya Krstulovic*, Elena Garritano**
* Dottorando presso il Laboratoire de “Psychopathologie Clinique et Psychanalyse”, Université de Provence Aix-Marseille I
** Dottoranda in “Studi di Genere”, XXIII ciclo, Scuola di Dottorato in “Scienze Psicologiche e Pedagogiche”, Università degli Studi di Napoli “Federico II”

Negli ultimi anni, le tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) hanno conosciuto un rapido sviluppo, che ha radicalmente modificato il senso simbolico profondo della procreazione umana (Nunziante Cesàro, 2000). L’inserimento all’interno di una cornice più ampia che tenga conto delle recenti trasformazioni culturali e storiche della società occidentale potrebbe aiutare a capire “come mai solo ora sia divenuta intellettualmente pensabile e moralmente accettabile l’estensione di tecniche veterinarie alla specie umana.” (Vegetti Finzi, 1997).
In un’epoca post-illuminista e post-moderna, la scienza della società capitalista occidentale è l’espressione di un desiderio di onnipotenza e di eternità. L’uomo è il nuovo dio, sistemico, complesso (Haraway, 1985) e disperso (Braidotti, 1994) in una realtà virtuale e relativa, che prova a penetrare a fondo nella natura, fino all’origine della vita, grazie alla “medicina del benessere e del desiderio” (Frydman, 1986).
Il controllo biopolitico (Foucault, 1984) agisce principalmente sul corpo femminile: come giustificare allora “l’arrendevolezza delle donne alla domanda dei medici e la disposizione masochistica a compiacerli” (Fiumanò, 1996)? In verità, esiste un legame importante tra i movimenti femministi e il successo della medicina della procreazione (Atlan, 2007). Per liberarsi dalla propria alienazione, infatti, la donna del secolo scorso ha rivendicato i suoi diritti, a cominciare dallo spazio privilegiato della maternità (Chatel, 1993; Nunziante Cesàro, 1996). La medicina della procreazione sembra aver dato, in modo perverso, una mano a questa ideologia del progresso, fornendo gli strumenti per favorire la realizzazione individuale, dalla contraccezione all’aborto, fino alle tecniche di procreazione assistita. Il prezzo di questa libertà, comunque, si è rivelato considerevole per la donna: il senso di consapevolezza e responsabilità del proprio corpo che si è trasformato in colpa; la riduzione della gravidanza a una sorta di malattia, altro esempio di un’estrema medicalizzazione dell’esistenza (Gori e Del Volgo, 2005); infine, le tecniche di PMA, che appartengono ad una logica “mercantile e veterinaria” (Testart, 1986; 1993) dove è l’offerta di una medicina soggettivamente sterilizzante a incoraggiare la domanda.
L’identità individuale scompare, come è tipico di una società liberale e virtuale (Preta, 1999), mentre in un’ottica collettiva, il sintomo dell’infertilità può essere considerato un’espressione del disagio della civiltà, cioè della riduzione alla responsabilità individuale di esigenze comuni un tempo condivise attraverso riconoscimenti rituali e mitici. Qualunque malattia, infatti, combina singolo e cultura, storia personale e sovradeterminazione storica e la maternità, “grande rimosso della contemporaneità” (Vegetti Finzi, 2005, in Di Pietro e Tavella, 2006), chiama in causa anche le dinamiche economiche e politiche (la libertà femminile è fortemente caratterizzata dalle logiche del mercato neoliberale).
Sarebbe allora auspicabile che la donna, con la sua esperienza particolare del limite, il pensiero libero e la parola aderente all’organismo, divenisse capace di scoprire il sintomo come portatore di un sapere che la riguarda, e si rendesse responsabile di una riflessione nuova, capace di dar voce all’altro (Irigaray, 1974), opponendo dialetticamente la differenza non all’uguaglianza ma all’identità.


La gravidanza in Procreazione Medicalmente Assistita (PMA). L’esperienza oltre lo strumento - Elena Garritano*, Nicole Miriam Scala**, Anna Tramontano***, Riccardo Galiani****
* Dottoranda di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Relazionali “G. Iacono”, Università degli Studi di Napoli “Federico II”
** Psicologa dei Processi Cognitivi e del Recupero Funzionale
*** Psicologa Clinica e dello Sviluppo
**** Professore Associato di Psicologia Dinamica, presso il Dipartimento di Psicologia, Seconda Università degli Studi di Napoli

Se la gravidanza si configura come un momento cruciale nella vita di una donna (Bibring, 1959; 1961; Ferraro e Nunziante Cesàro, 1985), comportando una serie di cambiamenti profondi che coinvolgono anche il partner e le rispettive famiglie d’origine, cosa succede quando la gravidanza è l’esito di un percorso di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA)? La nostra ricerca ha tentato di confrontare le rappresentazioni consapevoli di 60 gestanti primipare al 4°-5° mese di gravidanza, equamente suddivise per il tipo di fecondazione (30 naturale e 30 PMA), mediante la somministrazione di un’Intervista semi-strutturata sulle Rappresentazioni Materne in Gravidanza, l’IRMAG (Ammaniti et al., 1990; 1995). I risultati ottenuti dalle indagini statistiche hanno evidenziato che in generale le gestanti focalizzano le loro descrizioni più su di sé che sul nascituro. In particolare, per le donne in PMA tale dato tende ad ampliarsi, risentendo anche di una maggiore influenza esterna esercitata dal contesto sociale. Nonostante le analisi statistiche abbiano fornito spunti utili e ricchi su cui riflettere, la natura quantitativa delle analisi non permette di valorizzare quegli elementi psicologici che solo l’esperienza diretta del colloquio con le gestanti può fornire. Questa comunicazione allora, diventa l’occasione da un lato per dar voce alle dirette parole delle donne incinte, dall’altro per riflettere sulle reazioni delle stesse psicologhe intervistatrici.
Ciò che ci ha maggiormente colpiti, in questa singolare esperienza, è stato un coinvolgimento delle gestanti dai toni spesso negativi, che lascia trasparire le ansie (McMahon et al., 1997) e le paure che accompagnano la specifica modalità di concepimento, al di là del suo successo concreto. La gravidanza viene considerata non solo più faticosa ma anche eccezionale (Van Balen et al., 1996), come se fosse un “dono di Dio”, che giunge per opera del ginecologo, un “uomo speciale” nei confronti del quale le donne sembrano avere quasi un inconsapevole senso di sottomissione. Altre volte la gravidanza appare inaspettata: l’accento frequentemente posto sulla “speranza”, sembra voler attenuare il peso del lungo iter sostenuto con impegno, quando non con fatica e sofferenza.
In tale dinamica, il parto assume il valore non solo di unica dimostrazione certa delle indagini ecografiche e di risposta ad interrogativi angosciosi, ma anche di evento in grado di annullare il periodo di gravidanza, vissuto in alcuni casi come un prolungamento del vuoto aperto dall’infertilità. Appare però, con gran evidenza, il bisogno di raccontare il percorso personale che ha visto protagonista il corpo, prima rappresentato come malato e disprezzato e poi offeso da cure dolorose ed invadenti. La centralità dell’iter terapeutico, lascia poco spazio alla sfera psichica, impoverendo i contenuti rappresentativi della maternità: il basso livello di vita fantasmatica potrebbe essere specchio di un vuoto rappresentativo rispetto al feto e all’immagine genitoriale (Andreotti et al., 1999). I sogni delle intervistate, ad esempio, sono rari e per lo più rivelano ansie e paure, appaiono, infatti, confusi e spesso si configuravano come veri incubi.
Un altro aspetto emerso dai colloqui è il forte bisogno di appoggio delle gestanti in PMA nei confronti del partner e dei genitori ed, infine, il fatto che dietro un apparente desiderio, singolo o di coppia, di avere un bambino, si nasconda talvolta la forte pressione esercitata dal contesto, in primis dalla famiglia di origine, che chiede un erede che continui a tessere il proprio “romanzo familiare” (Aulagnier, 1975).


La sterilità quale interdetto psicosomatico a generare - Adele Nunziante Cesàro*, Elena Garritano**
* Professore Ordinario di Psicologia Clinica, Università degli Studi di Napoli “Federico II, Direttrice del Dipartimento di Scienze Relazionali “G. Iacono”, Via Porta di Massa 1, 81033, Napoli
** Dottoranda in “Studi di Genere”, XXIII ciclo, Scuola di Dottorato in “Scienze Psicologiche e Pedagogiche”, Università degli Studi di Napoli “Federico II”

Negli ultimi decenni, la messa a punto delle tecniche di procreazione assistita ha aperto importanti riflessioni che intrecciano medicina e psicoanalisi. La mutazione culturale prodotta dalla diffusione delle biotecnologie, introduce nell’immaginario sociale la de-simbolizzazione della sessualità. Ciò accade con il contributo di una pratica medica oggettivante e asettica, che misconosce la soggettività (Preta, 1999) e riduce l’essere umano ad un corpo-macchina, alimentando l’illusione che tutto sia possibile (Bayle, 2003). Sostiene posizioni radicalmente diverse la psicoanalisi: la filiazione, in quanto discendenza simbolica, è irriducibile alla sua dimensione biologica (Aulagnier, 1975) e l’enigma della propria nascita e delle proprie origini è una componente evolutiva essenziale (Freud, 1905; Ciambelli, 1999; Nunziante Cesàro, 2000).
Se la medicina asseconda la richiesta ufficiale di un figlio cercando di reprimere l’infecondità come un ostacolo, la psicoanalisi, consapevole del senso comunicativo del sintomo, può evidenziare che dietro la domanda ufficiale di un bambino à tout prix (Delaisi de Parseval-Janaud, 1983), c’è spesso un desiderio che non le somiglia affatto. Il concepimento non è una questione puramente meccanica, che può escludere il desiderio e la soggettività, ma va inserito nella storia personale e di coppia, in particolare nel percorso di crescita della donna. Le donne, infatti, considerano spesso inscindibili femminilità e maternità (Fiumanò, 2000). Lo dimostrano bene i casi di infecondità resistenti alla cura, in cui il corpo sembra porsi come scenario che la mente sceglie per le sue rappresentazioni (Nunziante Cesàro-Palmisano, 2001).
Quando una donna progetta di avere un figlio, riattiva i fantasmi sulla propria nascita e ripercorre le tappe della sua crescita e sessuazione, soprattutto la relazione con la madre entra in primo piano (Ferraro e Nunziante Cesàro, 1985). La gravidanza, infatti, costituisce per le donne un’esperienza psicofisica del tutto particolare che unisce un bisogno primario di procreazione all’irriducibile opposizione al proprio destino, ed essa, peraltro, non rappresenta necessariamente un percorso evolutivo, nella costruzione dell’identità femminile. Se, quindi, la componente biologica (lo spazio cavo quale dato originario della femminilità) risulta fondante, è nella relazione con la propria madre prima e con il futuro bambino poi, che si sperimenta quella condizione narcisistica che può spingere a ripristinare in modo coatto, sul registro del bisogno piuttosto che del desiderio, l’indistinzione originaria (Ferraro e Nunziante Cesàro, 1985). La nostalgia dell’esperienza fusionale, la fantasia di autarchia, il fantasma del Doppio, il lavoro del lutto per il nuovo stato, colorano in modo ambivalente l’esperienza gestazionale, mentre il fatto che l’identità femminile sia segnata dalla possibilità fattuale e perenne di ripristino della relazione primaria può contenere un rischio, uno scacco implicito verso altre modalità evolutive e creative con gli oggetti (Nunziante Cesàro, 1996).
La nostra ipotesi, costruita negli anni, in una stretta relazione tra teoria psicoanalitica e esperienza clinica, è che l’infecondità, in particolare quella psicogena, esprima un interdetto psicosomatico a generare, un conflitto, cioè, radicato nel soma e che simbolizza il non-desiderio/paura di maternità, latente e incistato nel corpo, in presenza di un desiderio manifesto di filiazione (Nunziante Cesàro, 2000). L’infecondità potrebbe essere un campanello di allarme che segnala la difficoltà della donna a collocarsi in termini evolutivi e creativi nel percorso di crescita individuale: l’impossibilità a staccarsi dal rapporto fisico e parassitante con la madre, fatto di un senso di rapimento e insieme di inevitabile rovina (Chatel, 1993), l’assenza della trasmissione di un debito di vita (Bydlowski, 1997), che la collochi nella sequenza generazionale, una disfunzione affettiva di coppia, la problematicità di lasciarsi fecondare dal desiderio dell’Altro, riconoscendo l’esistenza del terzo, la difficoltà di investire l’interno del proprio corpo sconosciuto e perturbante, affidandosi alla possibilità che non sia mortifero, ma creativo. Sono queste solo alcune delle ipotesi possibili, ricavate da un lungo lavoro clinico con coppie sterili dove le donne erano le principali portavoci del desiderio di genitorialità.


Dal corso di psicoprofilassi al parto al sostegno nel puerperio: un utile intervento con madri e padri, di educazione alla salute e prevenzione primaria nella continuità del percorso nascita - Fagliano Cristina*, Giacosa E.**, Angilletta C.***
* Psicologa Psicoterapeuta Dirigente I liv. c/o S.C. Psicologia ASL To5 Chieri (To) cristinafagliano@alice.it
** Medico Pediatra, Dirigente I liv. c/o S. C. Pediatria, U.O.A. Nido Presidio Ospedaliero di Chieri ASL To5
*** Psicologa Borsista, Specializzanda in Psicologia della Salute c/o S.C. Psicologia ASLTo5 Chieri (To)

Introduzione
La gravidanza ed il puerperio sono tra i più importanti e significativi momenti del ciclo di vita e rappresentano un’esperienza emotiva intensa per la donna, il partner, il neonato. La gravidanza è un periodo di cambiamento fisico e psicologico, che determina vissuti emotivi ambivalenti sia nella madre, che nel futuro padre (Ammaniti, 1995). Daniel Stern indica come ‘costellazione materna’ una nuova organizzazione psichica, caratterizzata, durante la gravidanza e il primo anno di vita, da azioni, fantasie, paure e desideri. Nell’uomo, con l’annuncio della gravidanza, la prima fase di coinvolgimento è di natura sostanzialmente mentale. Fa seguito un periodo in cui il padre, pur continuando a rimanere uno spettatore, compartecipa alla gravidanza condividendo gli stati mentali della sua partner. Con l’imminenza del parto, sente decisamente più concreto il proprio coinvolgimento, che interpreta nei termini di nuove responsabilità da assumere verso il bambino, che sta per arrivare. Osserviamo, dunque, una vera e propria ‘costellazione genitoriale’.
Riteniamo che la possibilità per la madre ed il padre di esprimere, all’interno di un gruppo condiviso, sia in coppia che individualmente, nel gruppo dei pari, le proprie emozioni, fantasie e pensieri, relative al parto, alla nascita ed al puerperio, permetta di costruire uno spazio mentale per pensare alla genitorialità, favorendo un valido ed adeguato rapporto con il nascituro.
Contesto
Presso la ASLTo5, sede di Chieri, si tengono incontri di preparazione alla nascita, che prevedono l’intervento di vari operatori sanitari. Da circa due anni, per iniziativa del Servizio di Psicologia, si effettua inoltre, un incontro individuale con le neomamme, durante il ricovero e un incontro con il gruppo di coppie genitoriali, nel puerperio. Da un anno, nel puerperio, alla figura della psicologa si è affiancata la pediatra del Nido, garantendo, un intervento più ampio e completo.
Recentemente si è cominciato a proporre una serie di incontri per soli padri, che ha l’obiettivo di: agevolare organizzativamente la loro presenza, valorizzare il loro ruolo ed il loro coinvolgimento nella gestione del figlio, far superare eventuali sentimenti di estraniazione e gelosia rispetto alla coppia esclusiva madre-bambino, prevenire problematiche di depressione post-partum, riprendere e trasmettere nozioni di prevenzione rispetto alla sicurezza domestica.
Metodologia
Durante l’incontro antecedente il parto ed in quello del puerperio, viene somministrato alle coppie un questionario rivolto a valutare alcune tematiche relative alla gravidanza e al puerperio e il grado di soddisfazione all’incontro.
1. (Questionario pre-parto): condizioni psico/fisiologiche della coppia in gravidanza, il cambiamento dello stile di vita della coppia, la rappresentazione del dolore del parto, le aspettative rispetto all’incontro.
2. (Questionario post parto): la percezione emotiva del parto, il dolore esperito, la degenza nei reparti dell’ostetricia e del nido, la dimissione e l’allattamento.
Risultati
Dai questionari del corso pre - parto emerge:
q La rappresentazione del dolore è diversa nell’uomo e nella donna; tale percezione risulta maggiore nella donna sia nell’immaginario che nell’esperienza vissuta.
q I cambiamenti dello stile di vita delle future mamme sono relativi all’alimentazione, l’attività fisica; nei papà si riferiscono all’attività fisica, le relazioni sociali e l’orario di lavoro.
q Le coppie risultano essere soddisfatte rispetto all’incontro con la psicologa, verbalizzando l’esigenza di altri momenti di incontro.
Dai questionari del corso post - parto emerge:
q Un vissuto positivo rispetto alla degenza in ospedale.
q Un senso di ‘inadeguatezza’ relativamente alle dimissioni.
q La soddisfazione relativa all’incontro risulta essere alta. A conferma di ciò le mamme partecipano a più incontri.
Negli incontri relativi al puerperio, le coppie: “raccontano” il parto, esprimono i propri vissuti rispetto al dolore durante il travaglio, e ciò pare un modo di mettere in parole un’esperienza significativa, ed indicativa per favorire la cogenitorialità.
I temi più affrontati sono l’allattamento, il ritmo sonno-veglia del bambino, lo sviluppo psicomotorio e sociale del bambino, sino allo svezzamento ed alla ripresa del lavoro della mamma.
Conclusioni
Riteniamo fondamentale, a conferma delle recenti ricerche, in un’ottica di prevenzione primaria, accompagnare la coppia, valorizzando individualmente anche la figura paterna, durante la fase di gravidanza, parto e puerperio per promuovere il benessere bio-psico-sociale della famiglia. Il periodo gestazionale, la nascita, e l’esogestazione devono essere considerati come un continuum di crescita, in cui hanno luogo svariati processi di apprendimento, nei genitori e nel figlio. Inoltre favorire la base di un attaccamento sicuro, risulta indispensabile per costruire nuovi legami da interiorizzare ed assumersi in futuro il proprio ruolo genitoriale.


Quando il sogno del bambino immaginato s’infrange. Consulenza e sostegno alla relazione fra genitori e bambini con deficit visivo con eventuale pluridisabilità presso la Fondazione Robert Hollman - Gloriana Bartoli*, Monica Soni**, Roberta Ceroni***
* Psicologa – Psicoterapeuta
** Psicologa
*** Tirocinante Psicologa. Fondazione Robert Hollman
e-mail: cannero@fondazioneroberthollman.it

Introduzione
Quando il sogno del bambino immaginato s’infrange i genitori si trovano ad affrontare l’incertezza del futuro dello sviluppo del proprio bambino. La comunicazione della diagnosi viene vissuta con profonda angoscia, rabbia e confusione. In questa fase i genitori reagiscono a tali sentimenti attraverso la ricerca di risposte concrete per recuperare o salvare il bambino “immaginato”, così diverso da quello “reale”.
La Fondazione Robert Hollman, nelle sue sedi di Cannero Riviera (VB) e Padova, si occupa di consulenza e sostegno allo sviluppo del bambino con deficit visivo con eventuale pluridisabilità, problematiche che compromettono l’instaurarsi di uno scambio relazionale genitori-figlio nella sua espressione più comunicativa, affettiva e spontanea.
Metodologia
L’approccio proposto è quello dell’“intervento precoce”, che si sviluppa attraverso un percorso di accompagnamento durante le prime fasi dello sviluppo che aiuti i genitori a individuare nel proprio bambino le potenzialità e le risorse, accanto ai limiti, individuando per questi gli interventi abilitativi/riabilitativi più indicati.
La modalità di lavoro prevede interventi ambulatoriali e/o residenziali di valutazione/monitoraggio dello sviluppo, attraverso l’azione di un’équipe multidisciplinare, coordinato dallo psicologo, che ha anche il ruolo di sostenere i genitori attraverso colloqui individuali e incontri di gruppo.
Nella fascia di età 0-4 anni l’intervento elettivo presso la sede di Cannero Riviera (VB) è quello residenziale, che prevede un primo soggiorno di tre settimane, rivolto contemporaneamente a sette bambini con rispettivi genitori, seguito da successivi incontri più brevi. Il contatto con le strutture territoriali di provenienza delle famiglie permette la condivisione degli obiettivi di lavoro concernenti il bambino e il suo nucleo familiare.
Risultati
La residenzialità offerta dal soggiorno consente ai genitori di sentirsi accolti ed ascoltati. Attraverso la partecipazione in prima persona alle attività proposte si creano spazi adeguati per “fermarsi a pensare”, promuovendo un processo di elaborazione in cui si attiva un’immagine genitoriale capace e funzionante, partendo dalla consapevolezza della propria sofferenza.
Inoltre, la condivisione con altri genitori facilita il confronto ed il sostegno reciproco, soprattutto rispetto al forte vissuto di solitudine e di diversità legato alla situazione del bambino.
Il lavoro integrato dell’èquipe permette invece al bambino di far emergere le sue potenzialità e nel contempo di sentirsi compreso nelle sue difficoltà. La collaborazione con le realtà territoriali facilita la creazione di una rete di professionisti che supporta e sostiene la famiglia.
Conclusioni
L’approccio proposto dalla Fondazione Robert Hollman ai bambini con deficit visivo con eventuale pluridisabilità ed ai loro genitori prevede l’attivazione di un “intervento precoce” inteso come la costruzione di un sostegno ai genitori per aiutarli a comprendere i bisogni del bambino e sostenere così la relazione genitori-bambino e favorire il suo sviluppo.


La depressione pre e postpartum: analisi e valutazione del trattamento integrato ospedale-territorio in una ricerca-intervento - Paola Lombardo*, Alessandra Maghini**, Manuela Fontana***, Marina Farri****
* Dirigente Psicologo, SC Psicologia ASLTO5 Piemonte
** SC Psicologia ASLTO5 Piemonte
*** SC Psicologia ASLTO5 Piemonte
**** Direttore f.f. SC Psicologia ASLTO5 Piemonte

Introduzione
In un’ottica di presa in carico dell’individuo nella sua globalità, la ASL TO5 ha in attivo una rete all’interno del Percorso Nascita tra gli operatori della fisiologia (Punto Nascita e territorio) e gli specialisti,mirante all’individuazione precoce, al sostegno e alla presa in carico delle situazioni di disagio psichico. L’esemplificazione presentata testimonia un modello assistenziale di attivazione della rete attraverso un caso clinico con trattamento integrato tra operatori dell’Ospedale S. Croce di Moncalieri e Servizi Consultoriali e territoriali.
Scopo
Illustrare l’efficacia del modello operativo multidisciplinare e multi professionale nell’ottica della continuità assistenziale ospedale-territorio. In un’ottica di prevenzione secondaria, la descrizione del percorso psicologico effettuato da Luisa, puerpera trentenne, segnalata per un disturbo organico insorto durante l’avvio dell’allattamento (candida al seno resistente al trattamento farmacologico) evidenzia l’importanza dell’intervento integrato precoce ai fini del contenimento del disagio psicologico e della remissione del sintomo fisico.
Metodologia
Coordinamento periodico tra gli operatori della rete di sostegno al disagio psichico nel percorso nascita, iniziale sostegno all’allattamento presso il Consultorio Pediatrico, sostegno psicologico individuale e di coppia, osservazione madre-bambino.
Risultati
Attraverso la presa in carico psicologica della signora si è osservata la completa e sorprendente remissione della sintomatologia organica, a fronte di una progressiva presa di coscienza del disagio intrapsichico con risvolti depressivi tali da inibire l’avvio della relazione madre-bambino, mettendo in crisi la coppia genitoriale. Nel corso dell’anno di trattamento si è osservato il buon avvio della relazione madre-bambino, con conseguente attivazione del processo di attaccamento e di allattamento al seno, che tuttora prosegue, insieme al lavoro psicologico sulla coppia genitoriale.
Conclusioni
Il caso illustrato mostra l’efficacia del modello assistenziale integrato in rete, che ha permesso l’emergere di contenuti conflittuali pregressi della signora, attraverso i quali ha avviato una migliore individuazione di sé, prevenendo disfunzioni relazionali relativi alla genitorialità.


Elaborazione e sviluppo di iniziative preventive di riconosciuta efficacia per individuare e prevenire la depressione post partum. Studio esplorativo con griglia di codifica. - Lorenza Donati, Tania Busetti, Tiziana Carmellini, Francesco Reitano
Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari della Provincia Autonoma di Trento U.O. Psicologia N.2

Introduzione
Il presente lavoro è relativo a un Progetto Ministeriale di Ricerca più complesso e articolato dal titolo “Elaborazione e sviluppo di iniziative preventive di riconosciuta efficacia per individuare e ridurre il rischio di suicidio, tentato suicidio e di depressione post partum”. Del Progetto fanno parte l’Agenzia di Sanità Pubblica del Lazio, che lo coordina, l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, i quali si occupano della parte sull’individuazione e la prevenzione del rischio di suicidio e tentato suicidio e l’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento alla quale compete l’individuazione e la prevenzione della depressione post-partum. Il coordinatore istituzionale è il dr. Francesco Reitano e il coordinatore scientifico la dr.ssa Lorenza Donati dell’Unità Operativa di Psicologia N.2. I lavori di tale progetto hanno preso avvio nell’anno 2008 e termineranno indicativamente all’inizio del 2010.
La depressione post partum, generalmente riconosciuta come uno dei disturbi più comuni nelle donne durante la gravidanza e nel primo anno dopo il parto. Le stime di prevalenza e incidenza variano in letteratura dal 5 per cento a più del 25% tra le donne gravide e le neomamme (Gaynes, 2005).
La depressione nel post-partum non differisce dalle forme depressive che si presentano in altri periodi della vita; essa, tuttavia, ha evidenti conseguenze sul neonato e sulla relazione madre-bambino (Poobalan et al. 2007). Spesso non è riconosciuta né dalla madre, né dal partner, né dal medico e quindi non è trattata, come risulta da precedenti ricerche e sperimentazioni cliniche:
&Mac183; nel 50% dei casi non è diagnosticata e solo il 49% dei soggetti che ne avvertono i sintomi cerca aiuto (Ramsay, 1993);
&Mac183; i sintomi che compaiono in questo periodo sono frequentemente sottovalutati e trascurati sia dalle pazienti sia dai clinici (Evins et al, 2000);
&Mac183; i ginecologi diagnosticano solo una parte delle depressioni post-partum (16%-22%) e non riconoscono adeguatamente le depressioni a rischio suicidario (Morris, Rush et al, 2003).
Similmente, la depressione puerperale è spesso sottodiagnosticata. L’ansia o lo stress materno prima della nascita possono rappresentare un rischio significativo per la futura madre e per lo sviluppo del bambino. L’ansia è frequentemente in comorbidità con la depressione, ma viene trascurata negli studi riguardanti la gravidanza e il periodo post-natale pur risultando spesso associata a depressione post-partum (Austin, 2004), disturbi di sviluppo e attività fetali, basso peso alla nascita, difetti fisici nel bambino e problemi comportamentali ed emozionali (Brockington, 2004).
Obiettivo
1. Creare e valutare l’appropriatezza organizzativa di un percorso assistenziale rivolto all’assistenza della donna in gravidanza e nel periodo post partum, diretto alla prevenzione e al riconoscimento tempestivo della depressione post partum.
2. Fornire agli operatori del SSN gli indicatori immediatamente valutabili del rischio di insorgenza della DPP nelle donne in gravidanza e nel periodo post partum.
3. Valutare sul campo l’efficacia di trattamenti psicologici prima e dopo il parto nella riduzione dell’insorgenza del rischio e dell’instaurazione di una DPP vera e propria.
Metodo
Si sono reclutate una coorte di circa 326 donne in gravidanza e nel puerperio che non presentassero: a) problematiche psichiatriche di tipo psicotico o gravi disturbi di personalità o tossicodipendenza/alcolismo in atto; b) gravi limitazioni di comunicazione verbale o scarsa conoscenza della lingua italiana; c) eventuali complicanze ostetriche.
La raccolta dei dati è avvenuta in modo prospettico ed è stata condotta da personale psicologo presso le sedi dei Consultori, delle Unità Operative di Psicologia e delle Unità Operative ospedaliere di Ostetricia e Ginecologia coinvolte.
Una volta individuati in letteratura strumenti di screening e terapeutici idonei, è stato realizzato un intervento volto al miglioramento della diagnosi precoce dei casi di depressione puerperale in cui sono stati applicati sia strumenti per la valutazione del rischio in chiave clinica (definizione di livelli di gravità prognostica), sia per la valutazione dell’esistenza di aspetti di vulnerabilità (predittori, mediatori e moderatori di esito) familiare, sociale, culturale ed economica in cui la coppia madre-bambino si inserisce, tenendo pur sempre presente che spesso i segni di depressione post-partum si manifestano a distanza dal parto.
Per effettuare lo screening sono stati definiti protocolli di collegamento tra i diversi Servizi e gli operatori per attivare gli spazi di informazione/reclutamento delle partecipanti al Progetto.
Nel disegno del percorso assistenziale proposto alcuni spazi/interventi per sensibilizzare e raccogliere le adesioni sia in fase pre-parto sia in fase post-parto, secondo il seguente schema.
PRIMO ACCESSO:
Spazio di informazione/reclutamento pre-parto dall’ottava alla dodicesima settimana (prevalentemente ambulatoriale condotto da medico/ostetrica).
SECONDO ACCESSO
Spazio di informazione/reclutamento pre-parto dalla ventottesima settimana, in occasione della partecipazione ai Corsi di preparazione alla nascita e genitorialità (condotto prevalentemente dallo psicologo o da personale ostetrico/ginecologo).
TERZO ACCESSO
Intervento di carattere informativo, in ospedale subito dopo il parto, dove viene ulteriormente presentata l’opportunità di partecipare al Progetto (da parte delle psicologhe borsiste).
Per le donne reclutate, che hanno dato l’adesione, nelle tre fasi d’accesso sono previsti anche due incontri nel post-partum:
ß al secondo mese di vita del bambino;
ß dal nono al dodicesimo mese di vita del bambino.
Le donne sono contattate dalle psicologhe borsiste.
Lo screening è stato condotto su tutte le donne che hanno accettato la proposta di partecipazione. Esso è consistito in un colloquio psicologico in cui è stata somministrata un’intervista semi-strutturata creata ad hoc basandosi sull’analisi dei fattori di rischio individuati da Cheryl Tatano Beck (2001, “Revision of the Postpartum Depression Predictors Inventory”) e sulla auto somministrazione dell’EPDS (Cox et al. 1996) nel pre e nel post-parto e il PDSS (Beck e Gable) nel post parto. Tutto questo nel rispetto delle norme sulla privacy.
Alla luce degli esiti dell’intervista e della presenza di indicatori raccolti nella revisione sistematica, alle donne risultate “a rischio” prima e/o dopo il parto, è stato offerto un ciclo di psicoterapia breve individuale.
Tutte le donne sono state contattate e informate dalle psicologhe borsiste sugli esiti dell’incontro avuto.
Si intende con questo progetto valutare se uno screening precoce sui sintomi ansiosi e depressivi con una seguente offerta di supporto psicologico (quattro incontri) possa migliorarne gli esiti (Gaynes et al. 2005). Per la valutazione degli esiti degli interventi è stato utilizzato uno strumento, proposto in fase d’accesso e dopo i quattro incontri, validato nella popolazione italiana, che misura l’ampiezza dello stress psicologico in maniera trasversale rispetto ai costrutti “benessere”, “sintomi” e “funzionamento”, il CORE-OM (Evans 2003 – Palmieri et al. 2006). Dal punto di vista metodologico, il sottogruppo delle donne a rischio che non hanno accettato (sia nel pre che nel post parto) la proposta di trattamento psicologico, è stato trattato come una sorta di coorte parallela o “comparison-group” per verificare l’efficacia degli interventi.
Risultati
Ci si aspetta di individuare nel campione di donne studiato i valori di incidenza del disturbo pari a quelli attualmente presenti in letteratura. Si attende, inoltre, che indicatori di depressione pre partum, individuati attraverso l’intervista semistrutturata e l’EPDS, siano predittivi di depressione nel post partum, se non efficacemente trattati. Infine, per le donne, individuate positive alla depressione peri-parto che hanno accettato un intervento di supporto psicologico, ci si aspetta un miglioramento del loro stato di salute psicologica nel dopo parto.
Per avere i risultati definitivi del lavoro bisognerà attendere sino agli inizi del 2010, quando il Progetto terminerà.
Conclusioni
Allo stato attuale della ricerca sono state reclutate 326 donne delle quali: 17 in ‘primo accesso’, 103 in ‘secondo accesso’ e 206 in ‘terzo accesso’. Il percorso di valutazione è ancora in corso per la maggior parte delle donne, pertanto non si possono ancora fornire i dati sull’andamento del Progetto.
L’individuazione, attraverso l’intervista semistrutturata, dei fattori di rischio per lo sviluppo della depressione post partum, specifici per ogni donna, permette di offrire alla puerpera o neomamma un intervento efficace e mirato per la promozione della sua salute psicologica. In particolare, data la presenza di depressione prenatale come uno degli indici predittivi più forti della depressione post partum, si inviteranno le donne a cogliere l’opportunità di avere un percorso di supporto psicologico prima della nascita dei loro bambini.
L’importanza di uno screening precoce dei fattori di rischio legati alla depressione post partum, risulta di fondamentale importanza nella prevenzione e promozione della salute psicologica della puerpera e del suo bambino, per un sano sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo dello stesso.


Un intervento di ricerca-formazione-azione per l’umanizzazione e l’accompagnamento della famiglia nel percorso territorio-ospedale-territorio della nascita e del puerperio: il progetto “Il filo di Arianna” - Pasquale Fallace
Psicologo psicoterapeuta - Responsabile Educazione alla Salute ex ASL NA 2

Il presente lavoro descrive un progetto d’intervento per la tutela della salute della madre e del bambino e di sostegno alla genitorialità in senso più ampio attraverso il miglioramento dei percorsi di integrazione territorio-ospedale–territorio con i seguenti obiettivi generali:
- stimolare e valorizzare le risorse emotivo/intellettuali proprie della donna e della coppia
- sollecitare una riflessione sulla possibilità di creare un diverso modello assistenziale dell’evento nascita volto all’umanizzazione delle diverse fasi del percorso: accoglienza/ricovero, travaglio, parto/nascita, dimissione e successiva accoglienza nei servizi territoriali.
La fragilità e le difficoltà della famiglia esigono un’adeguata azione di sostegno da parte della comunità. Ma l’attuale abbandono dell’ottica consultoriale dei percorsi “procreazione”, non sempre consente di fornire una risposta efficace agli individui e alle coppie. Di contro il territorio dell’ASL NA 3 è caratterizzato da fenomeni di sessualità molto precoce, scarse conoscenze dei più basilari presidi di contraccezione per una procreazione consapevole, ecc. Fenomeni che vengono registrati solo quando giungono ai servizi sociali sotto forma di disagio sociale. La tipologia delle richieste emergenti indica la necessità di presidiare l’intero circuito cognitivo-affettivo che conduce alla costruzione e alla “conduzione” della famiglia. Questo è un ambito in cui si avverte una forte esigenza di moltiplicare interventi di promozione della salute che favoriscano l’acquisizione di una maggiore consapevolezza della propria vita sessuale ed affettiva ed una maggiore capacità di gestire le proprie relazioni interpersonali, quale che sia la propria fascia sociale di appartenenza. I bisogni informativo-educativi sono quelli di costruire individualità solide nell’autostima e serene nei rapporti, consapevoli del proprio corpo e delle sue funzioni, informate sui Servizi che il territorio mette a disposizione.
È un complesso sistema di possibili ambiti di intervento. Ogni fenomeno di disagio espresso rappresenta il frutto di tutto ciò che lo ha generato e alimenta l’intera catena a valle. Un sistema in cui ogni momento richiede interventi ad hoc in un circuito in cui la scelta di dove sia più opportuno iniziare l’intervento è solo una questione di punteggiatura.
Questa consapevolezza ha indotto la scelta di fissare la nascita del nostro intervento di ricerca- formazione-azione sul momento nascita con l’intento di poter favorire l’avvio di più funzionali circuiti volti, in primo luogo, a migliorare le conoscenze dei vissuti emotivi delle coppie genitoriali reclutate in occasione del ricovero ospedaliero e, successivamente, di poter influire positivamente sulla creazione di un percorso di salute inerente l’evento parto/nascita che prosegua anche dopo la dimissione con la consegna al territorio.
Il Progetto prevede tre azioni correlate:
un’azione di ricerca rivolta ad un campione di coppie genitoriali con la finalità di migliorare la conoscenza:
a) dei bisogni informativi/educativi che emergono nelle diverse fasi del percorso gravidanza/post-nascita;
b) dei loro vissuti emotivi nelle varie fasi di tale percorso;
c) del grado di soddisfazione degli interventi ricevuti con particolare riferimento ai bisogni informativi/educativi e di natura emotiva.
la realizzazione di un corso di formazione rivolto agli operatori dei Distretti e del Punto Nascita coinvolti nel progetto. Il corso si prefigge di restituire i risultati della ricerca e migliorare le capacità operative in merito agli aspetti di:
a) integrazione tra operatori/strutture
b) comunicazione tra operatori e coppia genitoriale
c) lettura dei bisogni di natura informativa/educativa ed emotiva/affettiva della coppia genitoriale e la qualità delle risposte.
l’attivazione di interventi, nell’ottica di promozione e educazione alla salute:
a) una campagna di comunicazione sui diritti delle donne/coppie relativi alla maternità/paternità, con particolare attenzione alle coppie in formazione, alle donne in particolari condizioni di marginalità sociale, alle donne immigrate e alle nuove generazioni per promuovere una sessualità responsabile, attraverso la produzione di strumenti e percorsi informativi ad hoc;
b) incontri informativo/educativi, sia individuali che rivolti a gruppi di donne/coppie, corsi di accompagnamento alla coppia, organizzati nei contesti territoriali e nei punti nascita, per rafforzare le capacità/competenze dei genitori a saper effettuare scelte consapevoli nell’adottare idonei comportamenti genitoriale.
Partner del progetto è l’Università Federico II di Napoli - Dipartimento di Scienze Relazionali “Gustavo Iacono” che garantisce qualificata consulenza e supporto metodologico per:
- elaborazione e realizzazione dell’azione di ricerca;
- elaborazione della metodologia e degli strumenti di valutazione;
- elaborazione del programma e attività didattica del corso di formazione.


Attaccamento prenatale e fattori psicosociali - Anna Della Vedova*, Benedetta Ducceschi**, Nicoletta Pelizzari***, Antonio Imbasciati****
* Ricercatore Confermato di Psicologia Generale - Università di Brescia
** Psicologa – Università di Brescia
*** Psicologa
**** Professore Ordinario, direttore della Sezione di Psicologia - Università di Brescia

Introduzione. Con il termine “attaccamento prenatale” (Cranley, 1981; Condon, 1993; Muller, 1993) ci si riferisce a quel particolare investimento affettivo che i genitori sviluppano nei confronti del loro bambino durante il periodo della gravidanza. Muller (1993) ha definito l’attaccamento prenatale come “unica e affezionata forma di relazione che si sviluppa tra la madre e il suo feto”. E’ noto in letteratura che la relazione tra una madre e il suo bambino si origina ben prima della nascita ed influenza la qualità della relazione post natale (Muller, 1996; Siddiqui et al., 2000). L’attaccamento prenatale è inoltre considerato un indicatore della competenza della madre nel prendersi cura del proprio bambino e della sua sensibilità nell’interazione (Della Vedova, 2005, 2007). Poiché l’attaccamento prenatale materno è definito come la misura di quel particolare investimento emotivo e immaginativo che una madre sviluppa verso il proprio bambino non ancora nato, è interessante valutare come tale processo psicologico si associ a diverse caratteristiche relative alla personalità della donna, al suo benessere psicologico, alla qualità delle sue relazioni affettive del presente e del passato, a fattori di contesto, al supporto sociale ed eventuali fattori di stress.
Obiettivo. Scopo dello studio è di esplorare la relazione tra attaccamento prenatale materno e depressione, ansia, alessitimia, qualità del supporto sociale e aspetti significativi del contesto di vita della donna.
Metodo. Si tratta di uno studio trasversale su di un campione consecutivo di donne, primipare, maggiorenni, tra la 28esima e 36esima settimana di gestazione, con gravidanza a basso rischio, individuate presso i corsi di accompagnamento alla nascita degli Spedali Civili, Ospedale S. Orsola, consultori ASL e Civitas di Brescia. Strumenti: questionario appositamente costruito per la rilevazione di variabili sociodemografiche, relative alla gravidanza, alla salute, stress e life events; CES-D (Radlof, 1977; Fava, 1981); S.T.A.I. forma Y (Spielberger, 1983; O.S. 1989); TAS-20 (Bagby et al. 1994; Bressi et al. 1996); PBI (Parker, et al., 1979; Scinto et al. 1999); PAI (Muller, 1993; Della Vedova et al. 2008); MSPSS (Zimet et al. 1988; Prezza, Principato, 2002). Analisi statistiche: hanno compreso il calcolo della statistiche descrittive, statistiche Mann-Whitney, Chi-Quadro e l’analisi della correlazione Spearman’s rho.
Risultati. Le scale applicate hanno evidenziato una buona consistenza interna e statistiche descrittive sovrapponibili ai valori riportati in letteratura. L’analisi della correlazione evidenzia che il totale PAI correla positivamente con il totale MSPSS (p=.004) e rivela una moderata correlazione negativa con il totale STAI ansia di stato (p=.024). Non si sono evidenziate altre associazioni significative con le altre variabili in studio.
Conclusioni. Questo studio evidenzia come la versione Italiana del Prenatal Attachment Inventory mantenga le caratteristiche dello strumento originale e risulti affidabile. Il dato che emerge è la rilevanza dei fattori psicosociali nello sviluppo dell’attaccamento prenatale. In accordo con la letteratura recente si rileva una correlazione positiva tra attaccamento prenatale e supporto sociale, sembra inoltre evidenziarsi una moderata relazione inversa tra attaccamento prenatale ed ansia. Tale risultato mette in evidenza l’importanza delle relazioni affettive e del supporto emotivo e pratico che il contesto fornisce alla donne nel delicato periodo della gravidanza. In particolare, in situazioni di diminuito supporto sociale, un aumento dell’ansia potrebbe interferire con quanto previsto dal costrutto dell’attaccamento prenatale ovvero la possibilità della madre di sintonizzarsi affettivamente con il bambino che attende, attraverso l’emergere di aspetti psicologici, in particolare fantasie e sentimenti rivolti al bambino immaginato, che sono la base del lavoro psichico della maternità. Dal momento che alcune ricerche hanno mostrato una correlazione tra attaccamento prenatale e qualità della relazione madre-neonato, i risultati del presente studio sembrano ribadire l’importanza di verificare la qualità del supporto sociale sul quale la gestante può contare e di implementare gli interventi di supporto alla donna non solo nel post partum ma anche nel periodo della gravidanza.


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