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Il "caso" omosessualità

Jack Drescher

(Jack Drescher," Il "caso" omosessualità", KOS n.174 (marzo 2000), pp.60-65. Traduzione di Elena Fossati dell'originale "Psychoanalysis and homosexuality at the postmodern millennium". La rivista KOS e l'Autore autorizzano la riproduzione del testo)

Jack Drescher, M.D.
Analista didatta e Faculty Member,
William Alanson White Psychoanalytic Institute, New York City,
Presidente della New York County District Branch dell'American Psychiatric Association



Attraverso l'intera sua opera Freud è tornato spesso sul tema dell'omosessualità e per questo il suo pensiero è complesso e spesso contradditorio: l'unica cosa certa è che non la considerava una malattia. Oggi l'obiettivo centraledel trattamento non implica necessariamente una risposta alla ricerca delle cause di un determinato comportamento.


Sigmund Freud pubblicò il suo primo lavoro psicoanalitico, L'interpretazione dei sogni, nell'anno 1900. L'anno 2000 rappresenta quindi un importante anniversario: i primi cento anni della psicoanalisi. Gli anniversari sono sempre un'occasione per riflettere, ricordare e forse addirittura rivalutare il cammino percorso. Il significato simbolico di questo anniversario, già particolare in sé, viene però ulteriormente rafforzato dalla coincidenza con l'inizio di un nuovo millennio. Negli ultimi venticinque anni, l'interesse della psichiatria per le teorie di Freud si è notevolmente affievolito. Questo disinteresse è in parte dovuto alla mancanza di una valutazione scientifica e psichiatrica delle prime teorie e ipotesi della psicoanalisi attraverso il confronto con fonti extra-analitiche. Al tempo stesso, e in modo abbastanza sorprendente, gli scritti di Freud sono diventati un importante argomento di studio da parte dei ricercatori nel campo delle scienze umane. Attualmente, sembra che Freud goda di maggior successo tra gli studiosi della cultura e i professori di lettere piuttosto che tra gli psichiatri. Questo, probabilmente, non solo perché Freud era un grande scrittore, ma anche perché le sue riflessioni teoriche hanno posto le basi della moderna critica letteraria. Anche se gli psichiatri a orientamento biologico ritengono che la psichiatria moderna sia innanzi tutto una scienza che si occupa del cervello, la psicoanalisi e le terapie psicodinamiche derivate dalla teoria della mente di Freud continuano a rappresentare un aiuto per molte persone. La psicoanalisi, tuttavia, ha vissuto un profondo processo di evoluzione rispetto alle prime teorie freudiane e ai relativi metodi. In realtà, la perdita d'interesse da parte dei medici nei confronti delle "regole psicoanalitiche" delle origini è stata un fatto salutare per tutto il settore. Nei primi anni di vita della psicoanalisi, le discussioni sorte attorno al "dogma psicoanalitico" hanno prodotto scismi politici e movimenti scissionisti. Più recentemente, il minor condizionamento da parte di una leadership psicoanalitica rigidamente arroccata sulle proprie posizioni ha favorito il fermento intellettuale del settore e mutamenti non ipotizzabili nel periodo in cui la psicoanalisi era dominata dall'egemonia psichiatrica.

La psicoanalisi è cambiata contemporaneamente all'evolversi, nei paesi occidentali, dei valori culturali, delle opinioni e delle identità, in base a dinamiche che Freud non avrebbe mai potuto immaginare. Nel periodo del dogmatismo, invece, la psicoanalisi faceva di tutto per non farsi condizionare dai cambiamenti esterni, come se fosse una setta religiosa che si era ermeticamente isolata dal resto del mondo. Un caso che illustra molto bene questo atteggiamento è quello delle teorie psicoanalitiche sviluppatesi nel peroiodo post-freudiano sull'omosessualità. Al lettore contemporaneo, quelle convinzioni scientifiche e culturali sembreranno lontane non solo dalla visione biologica e sessuologica moderna, ma anche dalle esperienze soggettive degli omosessuali di entrambi i sessi. L'ingresso della psicoanalisi nel suo secondo secolo di vita vede gli analisti della nostra generazione dedicare un'attenzione sempre maggiore alle informazioni che provengono da fonti esterne alla psicoanalisi stessa. Questo processo comporta l'integrazione delle informazioni cliniche e psicoanalitiche con le scoperte e gli studi più recenti di altre aree di ricerca, quali ad esempio le neuroscienze o la psicologia evolutiva. Altri teorici della psicoanalisi, per esempio gli studiosi di scienze umane, affrontano questo settore in modo totalmente diverso. Il loro lavoro, supportato da studi culturali e dai cosiddetti Gender Studies, si concentra sul significato personale e culturale di ciò che accade nel trattamento psicoanalitico. La psicoanalisi "narrativa" si occupa del significato dell'omosessualità per gli psicoanalisti del passato, e di come la psicoanalisi si è oggi adeguata alla mutata valenza culturale delle relazioni tra individui dello stesso sesso.


L'inconscio psicoanalitico di Freud: il significato come causa

La formazione di Freud era squisitamente medica e neurologica in un'epoca in cui la neurologia era un settore nuovo, ma in rapida espansione. Prima di dedicarsi alla psicoanalisi, egli scrisse infatti diversi saggi sulle tecniche di colorazione del tessuto nervoso. Per completare la propria formazione medica post universitaria andò a Parigi, dove studiò le teorie di Charcot sull'ipnosi come trattamento dei pazienti isterici. Freud faceva parte, insomma, dell'avanguardia medica del XIX secolo, e le sue successive ricerche cliniche e terapeutiche erano riconducibili al modello medico. Con la collaborazione di un collega medico del tempo, Josef Breuer, Freud introdusse il "metodo catartico" pre-psicoanalitico. Il presupposto teorico si basava su un'analogia con la depurazione fisica del blocco intestinale a scopo terapeutico. I due studiosi ipotizzarono la possibilità di "depurare" i pazienti isterici dalle memorie traumatiche, solitamente di tipo sessuale, che si riteneva fossero la causa dei loro sintomi. In base a questo modello, il medico creava le condizioni che potevano aiutare il paziente a parlare di memorie dimenticate, provocando a quel punto ciò che poteva definirsi metaforicamente una "catarsi psicologica". Questa situazione dava al paziente la possibilità di "scaricare" le energie psichiche, e di conseguenza provocava la scomparsa dei sintomi. Nella loro opera, Studi sull'isteria, Breuer e Freud ipotizzano un legame tra la causa di una malattia e il suo significato, sostenendo che "i pazienti isterici soffrono soprattutto di reminiscenze" (1893). L'evoluzione di quello che poi sarebbe diventato il suo modello psicoanalitico di trattamento, spinse Freud a ritenere che i sintomi dell'isteria fossero disturbi fisici che scaturivano da conflitti inconsci, ossia lotte psicologiche completamente al di fuori della consapevolezza del paziente. Freud sosteneva, per esempio, che un soggetto isterico con una paralisi alla mano può nascondere un desiderio latente e inconscio toccare in modo sessuale qualcuno. Questo desiderio si scontra con i divieti morali relativi alla sessualità, operanti anch'essi a livello inconscio. Incapace di risolvere questo conflitto a livello razionale, "vorrei toccare, ma non devo", il soggetto lo trasferisce a livello fisico, dove si manifesta attraverso la paralisi isterica. Il trattamento psicoanalitico, attraverso un processo di libere associazioni e interpretazioni analitiche, potrebbe permettere al significato di questo conflitto inconscio di raggiungere la consapevolezza: il conflitto diventa conscio quando il paziente percepisce il desiderio sessuale e il relativo divieto. La necessità di risolvere il conflitto psichico attraverso un suo spostamento a livello fisico scompare, e così anche il sintomo. In altre parole, la mano dovrebbe riacquistare la normale mobilità. In quest'ottica, il significato del sintomo ("Ho un conflitto sessuale") viene considerato la causa del sintomo ("Non riesco a muovere la mano perché ho un conflitto sessuale"). L'azione psicoanalitica che permette di acquisire la consapevolezza del significato di un sintomo corrisponde alla ricerca della causa del sintomo. Attraverso un ragionamento analogo, Freud ha ipotizzato la possibilità di spiegare anche altre condizioni, oltre all'isteria, in termini psicologici: per esempio la schizofrenia, la depressione, i disturbi bipolari (maniaco-depressivi), le ossessioni e le compulsioni. Tutte queste condizioni avrebbero un significato psicologico inconscio che provoca i sintomi. Insomma, l'opinione centrale della teoria psicoanalitica di Freud era che i sintomi fisici (o i comportamenti) hanno un significato: la sua scoperta, grazie alla collaborazione tra paziente e terapeuta, avrebbe portato alla scomparsa dei sintomi, o quantomeno a una loro riduzione.


Freud e la teoria non conflittuale dell'omosessualità

Il modello conflittuale freudiano contemplava un'eccezione: la teoria delle perversioni, e in particolare l'omosessualità. Freud riteneva che gli esseri umani sono intrinsecamente bisessuali e che le pulsioni omosessuali rappresentano un fenomeno normale. Una volta sublimate, queste pulsioni, secondo Freud, andavano a costituire la base dell'amicizia tra persone dello stesso sesso e di quegli atteggiamenti "camerateschi" della vita di tutti i giorni: ne consegue, secondo lo psicoanalista viennese, che un certo grado di omosessualità è necessario per lo sviluppo di una normale personalità eterosessuale. Freud non considerava l'omosessualità come un sintomo di malattia. Al contrario, poiché era convinto che l'istinto omosessuale fosse un dato biologico naturale, il fatto che alcuni individui esprimessero attivamente le proprie pulsioni omosessuali significava che le vivevano in modo non conflittuale. Poiché l'omosessualità non scaturiva da un conflitto, non si trattava di una malattia, quanto meno nell'accezione psicoanalitica del termine. Se l'omosessualità, in quanto parte costitutiva della natura umana, non era l'espressione di un conflitto, l'interpretazione psicoanalitica non era in grado di eliminarla. Questa considerazione offriva una motivazione all'atteggiamento pessimista di Freud nei confronti della possibilità di trasformare gli omosessuali di entrambi i sessi in eterosessuali. <<L'omosessualità non è certo un vantaggio, ma non è qualcosa di cui vergognarsi, non è un vizio né una degradazione, e non può essere classificata come malattia: noi la consideriamo come una variante della funzione sessuale causata da un certo arresto dello sviluppo sessuale. Molti grandi personaggi antichi e moderni erano omosessuali, e tra loro anche alcuni degli uomini più celebri (Platone, Michelangelo, Leonardo da Vinci, ecc.) [Posso] forse abolire l'omosessualità e sostituirla con la normale eterosessualità? La risposta, a livello generale, è che non possiamo promettere il conseguimento di questo risultato. In alcuni casi è possibile che si sviluppino le sopite tendenze eterosessuali presenti in ogni omosessuale, ma nella maggior parte delle situazioni questo non è possibile>> (Freud, 1935, in Jones, 1953, 236). Freud non ha mai organizzato le sue teorie sull'omosessualità in un'opera sistematica. Tuttavia, il suo interesse per l'argomento è durato circa vent'anni, e di conseguenza il suo pensiero sull'omosessualità è complesso e spesso contraddittorio. Egli riteneva, per esempio, che l'omosessualità in età infantile fosse una fase di transizione da superare per raggiungere l'(etero)sessualità tipica dell'età adulta. Pur sostenendo che l'omosessualità era una componente intrinseca e non avesse una "causa" in senso psicoanalitico, Freud ugualmente ipotizzò l'esistenza di una "causa" che motivasse la persistenza di quest'istinto nell'età adulta: l'omosessualità era la conseguenza di un rapporto troppo stretto tra il bambino e la madre durante l'infanzia.


I cocchi di mamma

Sono le madri le responsabili dell'omosessualità dei figli? Sembra che molti psicoanalisti lo pensino, sebbene le loro teorie non documentate non abbiano alcuna validità scientifica. Si fondano semplicemente su stereotipi culturali relativi al significato dell'omosessualità. Il caso del "cocco di mamma" è un esempio calzante. Ritenere che la non conformità sessuale sia dovuta a un'eccessiva vicinanza alla madre è una convinzione diffusa a livello popolare. Gli psicoanalisti, tuttavia, riferendo i racconti dei loro pazienti, hanno cercato di trasformare queste credenze culturali in fatti pseudoscientifici. Bieber et al. (1962, p. 313), ad esempio, hanno condotto uno studio su uomini gay seguiti in analisi, sostenendo di aver scoperto le "cause" dell'omosessualità attraverso l'interpretazione analitica dei racconti dei loro pazienti: <<La maggior parte dei genitori-H (parents of homosexual patients, ossia genitori di pazienti omosessuali) considerati nel nostro studio, viveva una relazione coniugale insoddisfacente. La maggioranza delle madri-H (madri di pazienti omosessuali) intratteneva con il proprio figlio-H una relazione troppo intima e vincolante. Nella maggior parte dei casi, si trattava del figlio preferito... in due terzi dei casi, la madre affermava chiaramente di preferire il figlio al marito, e si alleava con il figlio in caso di opposizione al coniuge. Nella metà delle situazioni analizzate, il paziente era il confidente della madre>>. In questo studio, il gruppo di Bieber ha preso in considerazione le informazioni ottenute dai pazienti, racconti da considerare fatti inconfutabili per quanto riguarda le cause dell'omosessualità. Sostenevano che, nel caso dei loro pazienti, il fatto di sminuire l'autorità paterna da parte della madre costituisse un fattore che contribuiva a provocare l'omosessualità maschile. Secondo il parere di questi studiosi, le <<migliori relazioni intergenitoriali>>, ossia quelle che presentavano minori probabilità di portare all'omosessualità, corrispondevano alla situazione delle famiglie dei loro pazienti eterosessuali in cui <<il padre domina senza per altro sminuire il valore della madre>> (p.158). Nell'evocare lo stereotipo del "cocco di mamma", Bieber avalla con il supporto dell'autorevolezza medica la credenza culturale che vede nel padre il capo indiscusso della famiglia. Foucault (1978) avrebbe potuto obiettare che tali conclusioni conservatrici spesso servono a sostenere obiettivi sociali che hanno ben poco a che vedere con la medicina, la scienza o la sessualità. Gli psicoanalisti di quel primo periodo, infatti, erano spesso accaniti sostenitori della famiglia nucleare tradizionale. Per quanto una simile posizione fosse ammirevole dal punto di vista etico, essa non aveva nulla a che fare con la scienza. Peraltro, non esistono molte prove scientifiche che possano confermare le teorie di Bieber da parte di fonti non psicoanalitiche. Uno studio decisamente più vasto condotto su 979 omosessuali di entrambi i sessi non sottoposti a trattamento psicoanalitico, per esempio, non ha evidenziato alcuna correlazione tra le dinamiche familiari durante l'infanzia e un atteggiamento omosessuale nell'età adulta (Bell, Weinberg, Hammersmith, 1981). Il gruppo di Bieber semplicemente utilizzò il linguaggio della scienza per sostenere e rinforzare opinioni culturali estremamente radicate sul significato dell'omosessualità. Sembra chiaramente una banalità, poiché non è necessario essere psicoanalisti per ritenere che un ragazzo troppo attaccato a sua madre corra il rischio di minare la propria mascolinità futura. Indubbiamente, molti dei pazienti maschi omosessuali osservati dallo studio di Bieber si consideravano dei cocchi di mamma. Dopo tutto, l'opinione che la figura della madre possa avere effetti demascolinizzanti è presente in tutte le culture, sebbene il problema venga poi affrontato in modi diversi in base alla cultura di appartenenza. Anche una tribù della Papua Nuova Guinea si preoccupa dell'eccessiva vicinanza dei ragazzi alle madri. Diversamente da quanto sostiene il gruppo di Bieber, i Sambia offrono una soluzione di tipo "omosessuale-iniziatico" al problema dello sviluppo di un'identità maschile (Herdt, 1994, pp. 2-3).


I neofreudiani ridefiniscono l'omosessualità come malattia

Per gli psicoanalisti di quegli anni, limitarsi a definire gli omosessuali come "cocchi di mamma" non era comunque sufficiente. Per dare valore scientifico a una teoria è necessario un linguaggio tecnico e i neofreudiani, come del resto Freud, scelsero il linguaggio della medicina e della malattia. Come ho ricordato, lo stesso Freud non riteneva che l'omosessualità rappresentasse una malattia ed era scettico sulla possibilità di mutare l'orientamento sessuale di pazienti adulti. I neofreudiani, però, modificarono la loro posizione e definirono <<l'omosessualità come un adeguamento biosociale e psicosessuale patologico dovuto a paure incontrollate relative all'espressione di impulsi eterosessuali. Dal nostro punto di vista, ogni omosessuale è, in realtà, un eterosessuale 'latente'>> (Bieber, et al., 1962, p.220). Alla ricerca di un linguaggio tecnico che si adattasse a questa teoria, i neofreudiani si rifecero al primo modello freudiano del conflitto. Sostennero che l'omosessualità non nasceva da un'intrinseca bisessualità, di cui negavano l'esistenza, ma che l'attrazione per persone dello stesso sesso, così come succedeva per i sintomi isterici, traeva origine da un conflitto nevrotico. Fu semmai l'opera di Charles Socarides che alla fine fissò gli standard neofreudiani per i tentativi psicoanalitici di inquadrare nuovamente l'omosessualità come prodotto di un conflitto, e quindi come problema suscettibile di interpretazione, trattamento e "cura" psicoanalitica. <<L'azione perversa (per esempio un atto omosessuale) - scrive Socarides (1968, pp.35-36) - così come accade nel caso di un sintomo nevrotico, nasce dal conflitto tra l'ego e l'id e rappresenta una formazione di compromesso che deve al tempo stesso essere accettabile per le richieste del superego ... la gratificazione istintuale si realizza in una forma mascherata mentre il suo reale contenuto rimane inconscio>>. Poiché Freud non fu poi in grado di applicare la sua teoria del conflitto psichico come causa determinante anche ad altri disturbi importanti, desta stupore la scelta dei neofreudiani di ricorrere a questo modello. Una possibile spiegazione, tuttavia, è data dal fatto che queste teorie sull'omosessualità si sono sviluppate in un periodo in cui la psicoanalisi si era trasformata in una disciplina estremamente dogmatica che non si atteneva alla prassi di verificare scientificamente le proprie teorie attraverso il ricorso a fonti esterne all'analisi. Nonostante le pretese dei neofreudiani, nessuno è mai riuscito ad affermare in modo definitivo che l'omosessualità nasce da un conflitto inconscio, intrapsichico. Tali conflitti, infatti, si basano su concetti quali "ego", "id", e "superego" e sono astrazioni metaforiche prive del sostegno di dati clinici. Gli psicoanalisti dovrebbero in primo luogo provare l'esistenza di ego, id e superego, dimostrazione che non hanno mai fornito, prima di sostenere che i conflitti tra questi elementi conducono all'omosessualità. L'attività cui invece si dedicarono fu l'elaborazione di un contesto significativo dal punto di vista psicoanalitico per la loro particolare visione della natura umana e i presunti obiettivi della sessualità dell'uomo. Tale visione era caratterizzata da un'eterosessualità idealizzata e dalla condanna delle pratiche sessuali meno convenzionali. Insomma essi fecero propria la riprovazione culturale per il comportamento omosessuale che associarono idealmente al concetto medico di malattia.


La psicoanalisi si occupa delle cause o dei significati?

Con l'avvicinarsi del nuovo millennio, gli psicoanalisti sono sempre più interessati a chiarire la natura della ricerca cui si rivolgono. La psicoanalisi è una scienza o una disciplina ermeneutica? Tratta di fatti reali recuperabili o riguarda la comprensione o l'interpretazione dei significati? Spence (1982), tra gli altri, ha ipotizzato che il lavoro congiunto degli psicoanalisti e dei loro pazienti crei racconti assimilabili a costruzioni narrative, piuttosto che a ricostruzioni di dati reali. In altre parole, l'analista e il suo paziente elaborano una storia che possiede un significato per loro due, più che scoprire una storia oggettiva tramite il ricordo di eventi reali. Gli analisti, influenzati dalle loro stesse teorie e convinzioni personali, sono in grado di condizionare l'espressione di tali racconti attraverso domande mirate e sottolineando determinate risposte del paziente. I pazienti, a loro volta, sono esperti nell'apprendere la teoria clinica, gli atteggiamenti e il linguaggio dei loro terapeuti. L'analisi "riuscita" è quella che, grazie a questa azione congiunta, porta a un racconto condiviso che risulta convincente sia per il paziente sia per il terapeuta. La storia degli atteggiamenti della psicoanalisi nei confronti dei pazienti omosessuali sembra avallare questa visione. Più che ricercare le "cause" dell'omosessualità, le due parti coinvolte nella seduta psicoanalitica instaurano un dialogo che riguarda i significati che entrambi attribuiscono all'attrazione e ai comportamenti relativi alle relazioni tra persone dello stesso sesso. Le teorie psicoanalitiche di Bieber e Socarides sono state le più seguite dagli anni '40 agli anni '60, periodo in cui la cultura americana disapprovava con forza l'omosessualità. In quegli anni, il punto di partenza di un trattamento era costituito dalla condivisione, tra terapeuta e paziente, della convinzione che l'omosessualità rappresentasse un problema da superare, e l'attenzione di entrambi si concentrava sulla ricerca dei motivi che avevano provocato la deviazione del comportamento del paziente rispetto a un normale atteggiamento eterosessuale. Quando l'atteggiamento culturale nei confronti dell'(omo)sessua-lità diventò più tollerante, verso la fine degli anni '60, anche l'atteggiamento degli psicoanalisti cambiò. Gli analisti contemporanei, rifiutando la teoria neofreudiana del conflitto, dichiararono che l'omosessualità in sé non poteva essere ricondotta a fattori conflittuali e, riprendendo un aspetto del discorso freudiano, tornarono a considerare i sentimenti e i comportamenti omoerotici come espressioni di una normale sessualità umana. Se la ricerca scientifica non è ancora riuscita a scoprire le cause dell'omosessualità, né dell'eterosessualità, è possibile che ci riescano "due persone che parlano in una stanza"? Più che considerare l'analisi come una ricerca delle cause dell'omosessualità, gli psicoanalisti contemporanei si occupano della "teoria dell'omosessualità" del paziente (o del terapeuta) come di una storia del significato dell'omosessualità composta da una visione personale e da un condizionamento culturale. (Domenici and Lesser, 1995; Magee and Miller, 1997; Drescher, 1998). Un paziente, quando riferisce al proprio analista di ritenere che l'omosessualità sia una malattia che deve essere trasformata in eterosessualità, compie un'azione di adeguamento a un preciso contesto sociale. Una simile convinzione è il prodotto di un condizionamento culturale che interagisce con il profilo psicologico e individuale del singolo paziente. Il paziente convinto che l'omosessualità sia una malattia comunica al proprio analista ciò che egli stesso (il paziente) pensa di sé, e cioè che è "cattivo" e allo stesso tempo chiede al proprio analista, mettendolo nel ruolo di guaritore, di renderlo "buono". In quella che assomiglia sempre più a una "psicoanalisi postmoderna", i significati delle convinzioni personali sono trattati come le comunicazioni significative del trattamento. Non è più possibile sostenere che le cause risiedano necessariamente nei significati, almeno non nell'accezione dell'isteria formulata per la prima volta da Freud. Ne consegue che l'obiettivo centrale del trattamento, per gli psicoanalisti contemporanei, si è allontanato dal motivo favorito di Freud della detective story. Il trattamento non implica necessariamente una risposta alla ricerca delle cause che hanno spinto il paziente a comportarsi in un determinato modo. Piuttosto, può essere considerato una forma di espressione e di critica letteraria in cui le fonti personali, familiari e culturali delle argomentazioni e delle teorie del paziente su se stesso/a vengono decostruite e quindi riconsegnate al paziente perché le analizzi. Quest'approccio narrativo al trattamento psicoanalitico sposta inevitabilmente l'attenzione lontano dalla discussione sulle teorie eziologiche. I racconti, in fondo, devono essere convincenti, ma non necessariamente "basati su prove". La consapevolezza di questo limite psicoanalitico solleva un'interessante domanda: "che cosa c'è di terapeutico nel saper fare un buon racconto"? Forse, nel prossimo millennio, gli psicoanalisti giungeranno a qualche conclusione in questo senso.


Bibliografia

Bell A., Weinberg M., Hammersmith S. (1981), Sexual Preference: Its Development in Men and Women. Bloomington, Indiana University Press.

Bieber I., Dain H., Dince P., Drellich M., Grand H., Gundlach R., Kremer M., Rifkin A., Wilbur C., Bieber T. (1962), Omosessualità. Il
Pensiero Scientifico Editore, Roma, 1977.

Breuer J., Freud S (1895), Studi sull'isteria. Opere di S.Freud, vol.1. Bollati Boringhieri, Torino.

Domenici T., Lesser R. (1995, Eds.) Disorienting Sexuality: Psychoanalytic Reappraisals of Sexual Identities . New York:
Routledge.

Drescher J. (1998) Psychoanalytic Therapy and The Gay Man. Hillsdale, NJ: The Analytic Press.

Foucault M. (1976) Storia della sessualità, I. La volontà di sapere. Feltrinelli, Milano, 1978.

Freud S. (1900) L'interpretazione dei sogni. Opere di S.Freud, vol.3. Bollati Boringhieri, Torino.

Freud S. (1935), Lettera a Mrs. N.N. In: E.Jones (1953) Vita e opere di Freud, Il Saggiatore, Milano, 1995, vol. 3.

Herdt G. (1994) Guardians of the Flutes: Idioms of Masculinity. Chicago, University of Chicago Press.

Magee M., Miller D. (1997) Lesbian Lives: Psychoanalytic Narratives Old and New. Hillsdale, The Analytic Press.

Socarides C., (1968) The Overt Homosexual. New York, Grune & Stratton.

Spence D., (1982) Narrative Truth and Historical Truth. Meaning and interpretation in Psychoanalysis, New York,Norton.


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