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PSYCHOMEDIA
GRUPPALITÀ E CICLO VITALE
Età adulta



Psicoanalisi dell'adolescente e dell'adulto

Arnaldo Novelletto



Nel 1996 ho pubblicato su Psicoterapia Psicoanalitica, il periodico della SIPP, un lavoro intitolato "L'adolescenza nella psicoanalisi dell'adulto". Nel 1998 sono tornato su questo argomento con un testo non pubblicato che prendeva in considerazione sopra tutto l'aspetto transferale e controtransferale della questione. Da allora ad oggi sono usciti due libri che non possono essere ignorati. Entrambi riguardano il posto che l'adolescenza occupa nella teoria e nella prassi psicoanalitica.
In particolare quello di R. Cahn ("L'adolescente nella psicoanalisi") che sarà quanto prima pubblicato in versione italiana, contiene un capitolo dedicato proprio a "L'adolescenza nell'adulto in analisi". Non è solo questa coincidenza, però, che mi induce a citare queste due opere, quanto piuttosto la tesi che entrambe sostengono, e cioè la specificità della psicoanalisi dell'adolescente rispetto a quella dell'adulto e del bambino. Man mano che il numero degli adolescenti trattati con una cura psicoanalitica propriamente detta è andato crescendo, le conoscenze psicoanalitiche su questo periodo dello sviluppo psichico si sono precisate e arricchite. Corrispondentemente si sono differenziati i tipi possibili d'intervento psicoanalitico sull'adolescente (oltre alla psicoanalisi anche la psicoterapia psicoanalitica, l'analisi di gruppo e lo psicodramma). Tutto ciò è naturalmente evoluto verso una formazione dello psicoterapeuta d'adolescenti meglio differenziata rispetto a quella dell'analista di bambini o d'adulti.
Oggi parlare del posto che l'adolescenza occupa nell'analisi dell'adulto non significa soltanto soffermarsi su ricordi isolati di giovinezza dei nostri pazienti, né sui tratti caratteriali o sui comportamenti che essi possono manifestare nel corso dell'analisi e nemmeno su momenti del transfert che possono farceli sentire come ragazzi più o meno provocatori, fatui o irresponsabili. Si tratterà invece, per l'analista, di staccare più prontamente e agilmente il proprio ascolto da quello di un paziente dato per adulto sul piano cronologico e sintonizzarsi con una sua situazione interiore che in tutto o in parte, per un tempo più o meno lungo, dovrà essere da noi razionalmente valutata, controtransferalmente sentita ed eventualmente interpretata secondo parametri metapsicologici diversi, quelli - per l'appunto - che oggi sappiamo valere nel periodo dell'adolescenza psichica.
Insomma si tratta, per lo psicoanalista, di tener conto dei progressi verificatesi nella conoscenza della psicologia psicoanalitica dell'adolescenza e di farne un uso diverso da quello delle risorse interpretative estemporanee, da applicare sporadicamente in momenti o episodi particolari di qualche paziente.
Queste nuove conoscenze dovrebbero invece rappresentare secondo me, un apporto globale al funzionamento mentale dell'analista e alla coesione del suo Sé, un apporto che, una volta integrato in modo formativo (anche autoanalitico) lo metta in condizione di sfruttare le esperienze adolescenziali rivissute nella propria analisi come altrettante ricche potenzialità ai fini della ripresa e facilitazione della crescita psichica (che del resto è la caratteristica precipua dell'adolescenza).
Ma allora chiediamoci: come si è potuto verificare un tale ritardo nell'utilizzazione dell'adolescenza rispetto ad altri periodi dello sviluppo psichico?
Il libro di Ladame che ho appena citato ("Adolescenza e psicoanalisi: una storia") ripercorre appunto la storia di questo misconoscimento.
Freud aveva trattato "giovinette" fin dai tempi degli Studi sull'isteria (1893-95).
Nel Progetto di una psicologia del 1895 e in particolare nel capitolo intitolato Il proton pseudos isterico (cioè la prima bugia) si era soffermato su un episodio dei dodici anni, ("poco dopo la pubertà") che la sua paziente Emma aveva ricordato in analisi. Tuttavia la data di nascita della psicoanalisi del bambino e dell'adolescente viene fatta convenzionalmente risalire al 1905, anno di pubblicazione dei Tre saggi sulla teoria della sessualità.
Infatti come si ricorderà il secondo dei tre saggi era dedicato alla sessualità infantile e il terzo alla pubertà e alle sue conseguenze psichiche. Ciascuna di queste due fasi dello sviluppo psichico suscitò però nei seguaci di Freud un interesse che ebbe un corso nettamente diverso. Sebbene il riconoscimento di una sessualità infantile fosse per quell'epoca scandaloso, esso detronizzò la pubertà dal ruolo centrale che aveva avuto fino ad allora in ambito culturale, legale e medico. Grazie ai lavori di Anna Freud e di Melanie Klein questo spostamento di attenzione ebbe come effetto un progresso immediato e sensazionale sulla ricerca teorica e clinica. La controversia teorica che si sviluppò tra le due regine della psicoanalisi infantile (ancora non del tutto estinta) non fece che alimentare il fascino della scoperta.
E' probabile che l'importanza accordata alla psicoanalisi infantile abbia svolto un ruolo di copertura rispetto alla sessualità adolescente. La sessualità infantile, per quanto tacciata di polimorfo-perversa, si nutre essenzialmente di fantasmi inconsci, laddove la sessualità adolescente è inscritta nella realtà di un corpo sessuato, ormai adulto ed essendo dotata di una certa misura di libertà d'esercizio pratico ha perduto quell'innocuità che è propria dell'immaturità biologica.
Gli autori che per primi affrontarono l'adolescenza dal punto di vista psicoanalitico, come A. Aichhorn e Helene Deutsch (siamo negli anni '30-'40) non arrivarono a mettere in dubbio la convinzione diffusa che fosse molto imprudente trattare adolescenti con la cura analitica classica. Nel 1958 Anna Freud ribadiva ancora la convinzione che l'adolescenza fosse il periodo meno adatto all'impiego della psicoanalisi.
Si dovette giungere al 1960 perché J. Lampl de Groot dichiarasse che, "nelle fasi più avanzate" dell'analisi di due suoi pazienti sulla trentina (un uomo e una donna) era emersa "una grande quantità di esperienze adolescenziali, eventi reali, fantasie e pulsioni". All'inizio del trattamento il materiale relativo all'adolescenza era stato presentato come semplice resoconto della storia della vita del paziente, come è abituale nella maggior parte delle analisi. La reviviscenza degli affetti collegati a quello stesso materiale, invece, non si rese possibile che nelle fasi più avanzate dell'analisi, dopo che l'infanzia dei pazienti era stata rivelata e ricostruita. La Lampl de Groot ne deduceva l'ipotesi che l'insuccesso o il successo solo parziale di altri casi potesse essere imputato alla mancata reviviscenza delle esperienze adolescenziali. Questo a sua volta - argomentava l'autrice - poteva dipendere dalle resistenze dello stesso analista verso le forme adolescenziali dell'aggressività del paziente, legate in gran parte a un ideale arcaico di onnipotenza proiettato sui genitori e poi difensivamente reintroiettato.
Da allora in poi molti analisti inglesi, americani, francesi e svizzeri hanno fatto progredire decisamente, sulla base di una pratica analitica vera e propria con pazienti adolescenti, la conoscenza dei processi psichici propri di questa fase dello sviluppo psichico.
Nomi come quelli di Blos, Novick, Moses ed Egle Laufer, Cahn, Jeammet, Ladame ecc. vi saranno probabilmente già noti. In Italia Senise, Giaconia, Giannakoulas, Giannotti e il sottoscritto si sono mossi nella stessa direzione. Ne è risultata una letteratura psicoanalitica sull'adolescenza ormai abbondante, così come la nascita di periodici scientifici specificatamente dedicati alla psicoanalisi dell'adolescenza o largamente permeati da essa.
Alla luce di questo excursus sull'evoluzione recente della psicoanalisi dell'adolescenza possiamo tornare con maggiore pertinenza al posto che l'adolescenza può assumere nell'analisi degli adulti.
Poiché tutti gli analisti di adolescenti continuano a trattare anche adulti, sono stati sopra tutto loro a chiedersi quale potesse essere la ricaduta delle esperienze terapeutiche con adolescenti sul proprio ascolto, sulla propria capacità di cogliere aspetti nuovi, sulla propria teorizzazione del lavoro con gli adulti.
Alcuni di loro hanno cercato di sistematizzare le loro osservazioni in proposito, però prima di passare ad esaminarle ritengo necessario darvi qualche esempio pratico di ciò che si può intendere come ritorno dell'adolescenza nell'analisi di un paziente adulto, in modo da poterci riferire agli stessi punti di repere clinici.

L'immagine dell'adolescenza che emerge dall'analisi di un adulto può essere molto diversa da quella di un ragazzo o ragazza che la stia vivendo, per così dire, in contemporanea con il proprio processo analitico.
L'adolescenza che l'adulto può rivivere in analisi è il prodotto dell'elaborazione che due apparati psichici (quello del paziente e quello dell'analista) stanno conducendo a partire essenzialmente da un'esperienza passata. Però questa esperienza non consiste soltanto in ricordi. Proprio come accade nell'adolescenza naturale, l'investimento istintuale connesso ai ricordi è tale da non poter essere contenuto nella dimensione rievocativa della parola, del racconto, che tutto sommato è una dimensione a fine inibito. L'investimento quindi deborda e si traduce in impulsi che possono essere espressi nel quadro ancora abbastanza contenitivo del transfert, oppure essere agiti sul piano della realtà esterna, per esempio nei cosidetti transfert laterali.
A questo punto qualche nozione, sia pure generica, su certi aspetti psicologici dell'adolescenza va forse ricordata per meglio intenderci. Intendiamo per adolescenza il periodo contrassegnato dall'integrazione psichica del corpo sessuato e quindi dell'orientamento sessuale adulto, con tutto ciò che ne consegue sotto forma di rielaborazione dell'edipo e di evoluzione delle istanze costitutive dell'apparato psichico (sistema Io/Sé, Super-Io e ideale dell'Io). Ebbene l'adolescenza può svolgersi "a tempo", cioè in modo proporzionato per durata e per risultati alle fasi che la precedono e la seguono nella successione dello sviluppo, ma può anche essere anticipata o ritardata. Se le difficoltà che il processo evolutivo incontra nel suo svolgimento sono maggiori, essa può addirittura essere saltata, oppure può perdurare indefinitamente come tale, anche per tutto il resto della vita. Nel teorizzare le condizioni dello svolgimento normale di questo processo Freud è ricorso al concetto di posteriorità (Nachträglichkeit), che riguarda il rapporto di tempo che intercorre tra un'esperienza vissuta e il senso che essa assume nella mente del soggetto. Il bambino può vivere esperienze senza essere ancora in grado di trarne contemporaneamente un significato soggettivo. E' soltanto in adolescenza che si raggiunge la simultaneità dei due processi: l'esperienza si carica di senso e come tale dovrà essere integrata nel Sé.
Ma questa nuova capacità psichica dell'adolescente non si limita all'esperienza presente: essa si applica retroattivamente anche a tutte le esperienze passate, che quindi sono rimaneggiate in funzione di quelle nuove e, implicitamente, dell'accesso ad un livello più evoluto. Allora le esperienze antiche vengono ad assumere, insieme ad un significato nuovo, una maggiore efficacia psichica. Freud dice testualmente: "Ogni adolescente ha tracce mnestiche che possono venire comprese solo con la comparsa delle proprie emozioni sessuali" (Progetto di una psicologia in Opere, vol. 2o pag. 256). Con ciò egli si riferisce all'esempio più tipico di posteriorità, cioè alla rielaborazione (che normalmente avviene in adolescenza) della nevrosi infantile alla luce della integrazione del corpo sessuato nell'immagine di sé.
Fin qui la posteriorità per così dire fisiologica, cioè quel processo di autointrospezione intuitiva, più o meno avanzato in ciascun individuo, nella misura in cui può emergere dal conosciuto non pensato, accedere nel preconscio alle rappresentazioni di parola fino ad affiorare, eventualmente, a livello cosciente, compatibilmente con il gioco dei controinvestimenti difensivi.
Vi è però una seconda posteriorità, quella che viene messa in moto dall'analisi. Ogni adulto in analisi è indotto dalla regressione analitica, a riprendere in considerazione il proprio passato. Tornando a quanto abbiamo detto prima sugli sviluppi tecnici che seguirono ai Tre saggi sulla teoria della sessualità, la posteriorità analitica si è applicata fin dall'inizio alla sessualità infantile più che a quella post-puberale, e quindi sopra tutto alla nevrosi infantile. La nevrosi infantile è stata considerata la grande matrice della nevrosi di transfert del nevrotico adulto. La Klein ha avuto l'enorme merito di ampliare la nevrosi infantile dal semplice (si fa per dire) complesso d'edipo, alla vita istintiva pregenitale, ma non per questo la tecnica dell'analisi dell'adulto ha cambiato il suo terreno d'indagine preferito: essa è rimasta fondamentalmente ancorata alla ricostruzione interpretativa delle esperienze infantili. L'adolescenza è stata praticamente ignorata dalla corrente kleiniana (Ladame, 1998).
Potremmo quindi chiederci, oggigiorno, se la posteriorità analitica non debba rivolgersi più adeguatamente alla posteriorità adolescenziale. La vocazione degli analisti di adolescenti può anche risalire al fatto che essi abbiano riconosciuto, durante la loro analisi personale, il ruolo effettivo svolto dai conflitti dell'adolescenza nella loro organizzazione psichica. Sta di fatto che essi sono i più convinti nel sostenere che il riemergere dell'adolescenza nei loro pazienti adulti apra considerevoli spazi alle possibilità trasformative.
Uno degli argomenti addotti per corroborare questa tesi consiste nell'equivalenza tra le due condizioni costitutive dell'analisi (il setting e il processo analitico) e gli aspetti più fondamentali della problematica adolescente (Donnet). Ad esempio il setting sta a rappresentare il divieto paterno istitutivo (non agire, sottomettersi), mentre la regola fondamentale, con il suo "dire tutto" suona come un invito all'incesto, in quanto rappresenta l'aspetto materno accogliente.
Ebbene questa riattivazione dei desideri e dei divieti non è forse propria dell'adolescenza? Anche il transfert sull'analista, con la concentrazione su di lui delle pulsioni e dei conflitti, non ha forse un'evidente analogia con il ruolo eccitante ma al tempo stesso inibitore che gli oggetti genitoriali reali assumono in adolescenza? La soluzione che l'adolescente deve trovare per uscire dal confronto obbligato con i propri genitori, (ivi compreso il rischio concretamente possibile dell'incesto e del parricidio, se non altro simbolici), non rimanda forse alla rinuncia all'agire richiesta dalla tecnica dell'analisi, con le relative ripercussioni sul funzionamento mentale del paziente? E infatti l'impulso che l'analisi imprime all'auto-osservazione, il nuovo corso che viene ad assumere il pensiero, lo spazio illimitato che gli viene accordato, in contrapposizione alla concretezza dell'azione e ai limiti imposti dalla realtà e dalla dipendenza, non corrispondono forse ad altrettanti modi di funzionamento della mente adolescente? Sia nell'analisi che negli anni della adolescenza si osserva lo stesso lavoro progressivo di disimpegno dagli oggetti edipici, di rinuncia all'onnipotenza narcisistica e di conseguente riorganizzazione del Super-Io e dell'ideale dell'Io. Lo scopo che Freud ha assegnato alla cura psicoanalitica, di mettere il paziente in condizione di poter amare e lavorare, non è in fondo lo stesso che dovrebbe essere raggiunto grazie all'adolescenza? Insomma da questo punto di vista la cura psicoanalitica potrebbe essere intesa anche per l'adulto come una specie di equivalente dei riti d'iniziazione dell'antichità, caratterizzati dalla sofferenza, dalla morte dell'infanzia e di una certa immagine di sé per accedere a un nuovo modo di vedere se stessi e il mondo.
La ricomparsa di fantasmi, comportamenti o stati d'animo adolescenziali in corso d'analisi, lungi dallo stupire, andrebbe quindi considerata come un fenomeno ovvio, che il privilegio accordato dalla tecnica analitica tradizionale ai ricordi d'infanzia avrebbe ristretto a qualcosa di sporadico. Ciò equivale a dire che se si considera la nevrosi infantile come unico precursore della nevrosi di transfert, l'adolescenza può venire semplicemente saltata da un'analisi scrupolosamente condotta.
Mi rendo conto che stabilire un'antitesi così radicale tra due approcci al passato infanto-giovanile del paziente adulto possa suscitare qualche perplessità. Tuttavia ci sono delle considerazioni di ordine psicopatologico che vengono ad attenuare il carattere solo apparentemente provocatorio.
Se infatti si considera l'organizzazione psichica tipica della nevrosi classica, i due modelli della nevrosi infantile e della nevrosi di transfert appaiono in tutta la loro pertinenza teorica, suffragata del resto da quasi un secolo di esperienza clinica.
Se invece ci si discosta dal funzionamento mentale nevrotico, ci si imbatte in tutta una serie di strutture psichiche che obbligano a prendere in considerazione altri fattori, a loro volta indissolubilmente connessi ad altrettanti eventi oggettivi o soggettivi del passato infantile e giovanile dell'adulto in analisi.
Questi fattori saranno di ostacolo non soltanto alla produzione del materiale analitico e alla sua analisi, ma sopra tutto al riconoscimento delle cause stesse che hanno determinato il disturbo dello sviluppo del Sé, della soggettivazione.
In questi soggetti (che comprendono ad esempio le personalità narcisistiche e borderline) tra nevrosi infantile e nevrosi di transfert è come se mancasse un anello intermedio, che potrebbe forse essere identificato con quello che Ladame definisce il "preconscio funzionante". Mentre nella struttura nevrotica dell'adulto in analisi l'adolescenza tende a restare in secondo piano rispetto alla fanciullezza, nei pazienti nei quali la formazione del Sé è andata incontro a difficoltà essa tende invece a comparire in modo più evidente e prolungato, fino ad occupare a volte periodi considerevoli del trattamento.
Cahn distingue due modi completamente diversi nei quali tale comparsa può verificarsi.
Il primo tipo consiste nell'irruzione massiva e inattesa della problematica adolescente, come se la trasformazione sessuale del corpo non avesse potuto essere integrata a tempo debito, cioè alla pubertà, ma fosse andata incontro a una scissione che viene bruscamente a cadere nel corso del processo analitico.
Il primo caso che vi ho descritto rientra appunto in questa categoria.
Il secondo tipo è invece caratterizzato dalla persistenza di quelle modalità di funzionamento mentale che traducono l'arresto di sviluppo del Sé. Normalmente l'adolescenza dovrebbe essere il periodo in cui la relazione con se stessi si differenzia dalla relazione con l'oggetto, come risultato della lunga dialettica precedente fra legami e distacchi, tra investimenti narcisistici e investimenti oggettuali. Questo processo dovrebbe raggiungere, al termine dell'adolescenza, una sua conclusione, anche se non definitiva (è anzi augurabile che si protragga per tutta la vita). Quando invece il processo di sviluppo si blocca, come ad esempio nelle situazioni definite anche da Laufer come "vicolo cieco", "chiusura prematura" ecc., le stesse difese che ostacolano il formarsi di una nevrosi di transfert (e che perciò stesso minacciano sempre l'interruzione dell'analisi) si costituiscono in altrettanti tratti di carattere che siglano, per così dire, l'incompiutezza, l'immaturità, la disarmonia del Sé. Si tratta di quelle adolescenze interminabili che in certe persone possono diventare egosintoniche, strutturarsi come falso-Sé al punto da essere spacciate come un'identità vera e propria, se non addirittura come un vanto di eterna giovinezza. Il secondo caso che vi ho presentato rientra in questa categoria. Se non si interrompono unilateralmente, le analisi di questi adulti possono diventare altrettanto interminabili della loro fittizia adolescenza.
Strutturazioni caratteriali di questo genere si possono osservare anche nei medio- o tardo-adolescenti in analisi.
Sono quei casi che hanno indotto tanti analisti (tra i quali il sottoscritto) a sottolineare la similitudine clinica e metapsicologica fra le varie forme di narcisismo patologico (stati limite ecc.) e certe crisi adolescenziali (Novelletto, 1985).
Come dice giustamente Cahn, il limite non va inteso tanto tra la nevrosi e la psicosi, bensì come limite tra la capacità e l'incapacità di portare avanti il processo di sviluppo del Sé, la soggettivazione. Gli individui nei quali persistono problemi dell'adolescenza possono presentare nel loro futuro, non solo manifestazioni cliniche di tipo borderline ma anche di tipo perverso o di tipo antisociale che, sempre secondo Cahn, sembrano oscillare tra due poli: la saturazione di senso dell'esperienza da un lato, la ricerca di senso vana e indefinita dall'altra. Nel primo caso si tratta di persone che, progredendo nella vita, non hanno più dubbi sulla propria evoluzione, non si rimettono più in discussione. Nel secondo invece sono quelle che si camuffano dietro adattamenti precari ma che di fronte ad ogni nuova frustrazione o delusione (sopra tutto amorosa o professionale) ricadono nuovamente in crisi, mostrando che dall'adolescenza in poi la difficoltà di approdo ad una integrazione più autentica è rimasta invariata.
Tutto ciò porta a chiedersi una volta di più se l'adolescenza sia caratterizzata da un funzionamento mentale specifico, e da un ruolo esclusivo all'interno dell'arco esistenziale umano. Considerarla soltanto come uno stato psichico, per definizione passeggero, oppure restringerla solo agli aspetti megalomani, impulsivi o provocatori, suscettibili di tornare ad irrompere nei momenti di crisi dell'adulto, anche in analisi, sono risposte che non convincono, anche perché lasciano fuori tutta una serie di altre modalità di funzionamento anche molto costruttive.
Sembra più rispondente alla realtà osservabile in analisi definirla una struttura evolutiva, cioè un assetto nel quale ogni parte dipende dalle altre in una reciproca e continua interrelazione. La sua funzione è quella di organizzare il processo di sviluppo del Sé nel contesto di una dialettica permanente tra permanenza e cambiamento, con lo scopo fondamentale di un'elaborazione della posizione depressiva (cioè dell'angoscia di abbandono) e dell'angoscia di castrazione.


Bibliografia

Novelletto A. - L'adolescenza nella psicoanalisi dell'adulto. Psicoterapia Psicoanalitica, 1/1996.


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