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PSYCHOMEDIA
GRUPPALITÀ E CICLO VITALE
Adolescenza


Il corpo adolescente tra esibizione e fobia del desiderio

Arturo Casoni


Relazione presentata al Congresso I.R.E.P. "Corpo e Psicopatologia"
Roma 24-25-26 Febbraio 2012
24 Febbraio 2012 - Simposio "Corpo ed Emozioni"



Corpo e psicopatologia

Il binomio corpo-psicopatologia mi riporta alla mente – quasi automaticamente – uno scenario antico, che risale alla fine dell’800: il giovane Freud, all’inizio del suo percorso scientifico, si reca alla Salpêtrière attratto dalle lezioni che Jean-Martin Charcot sta portando avanti sull’isteria. Lì Freud incontra il binomio corpo-psicopatologia, attraverso i segnali che gli arrivano dalle isteriche, corpi parlanti di una sofferenza incomprensibile per quei tempi. Lì nasce la psicoanalisi, anche grazie a quei corpi che non ricevevano ascolto. Freud, dandogli ascolto, ha prodotto insieme a loro una sorta di rivoluzione nella cultura dell’Occidente.

In questo lavoro tenterò di ‘leggere’ la psicopatologia contemporanea che si radica sul corpo – meglio dire sulla rappresentazione che i soggetti hanno del loro corpo in relazione con il corpo dell’altro - facendo riferimento a una fascia sociale particolare: l’adolescenza. Cercherò quindi di creare una connessione di senso tra l’adolescente contemporaneo e l’isterica dell’800, tra questi due corpi sociali che sembrano così radicalmente diversi, persino agli antipodi.

Perché parlare di adolescenza a proposito di corpo e psicopatologia?

Sappiamo bene quanto l’adolescenza sia un’età fondata sul corpo, sul corpo che cambia e che afferma una riorganizzazione del proprio essere al mondo, e quindi quanto anche la psicopatologia dell’adolescenza sia radicata sul corpo. Ma la mia riflessione dà per scontata questa relazione corpo-adolescenza, e osserva la psicopatologia ‘corporea’ dell’adolescente contemporaneo per comprendere qualcosa di ciò che sta cambiando nel sottofondo della nostra cultura, del nostro funzionamento psichico più in generale. In qualche modo scelgo l’adolescente come soggetto dichiarante, colui che, in forme estreme e inconsapevoli, si fa carico di ‘mettere in scena’ i disagi che i nostri corpi sono chiamati ad affrontare in questa epoca storica. Di conseguenza mi occuperò anche di adulti, tratterò di psicopatologia generale, utilizzando come paradigma interpretativo il soggetto adolescente.

La psicopatologia, da sempre, segue e si adatta alle trasformazioni che l’organizzazione societaria e la cultura le impongono, modificando le forme che la caratterizzano. Se proviamo ad assumere uno sguardo epidemiologico, ovvero poniamo l’attenzione sulla psicopatologia come fatto collettivo, sociale, e proviamo a cogliere i fenomeni in trasformazione che la caratterizzano, ci accorgiamo che la cosiddetta psicopatologia emergente sta assumendo delle caratteristiche che fino a qualche tempo fa riguardavano prevalentemente gli adolescenti e i giovani adulti. Quindi, si potrebbe dire che anche riguardo alla psicopatologia la nostra società si sta ‘adolescentizzando’.

Ne è un esempio, negli ultimi decenni, l’affermarsi e il diffondersi delle diagnosi di Disturbo Narcisistico di Personalità (H. Kohut) e di Disturbo Borderline (O. Kernberg). Queste forme nosografiche, di derivazione psicoanalitica, hanno una caratteristica specifica: portano in sé le tematiche e le conflittualità tipiche dell’adolescenza, ovvero le dialettiche tra identità e alterità, estendendole alla vita adulta. Si potrebbe dire che sono l’altra faccia dell’adolescentizzazione della società. Se un Disturbo Narcisistico/Borderline di Personalità è, per lo meno in parte, fisiologico in età adolescenziale, esso diviene entità nosologica più avanti, quando si manifesta un’impossibilità per il suo tramonto, un impossibile accesso ad una personalità diversamente strutturata. Il prolungamento di una fase di crisi ‘stagionale’ diviene stabile e si organizza come tale, creando una non soluzione di continuità tra il ‘normale’ e il ‘patologico’1.

Le contraddizioni e i paradossi di questa tendenza della psicopatologia li possiamo reperire nelle difficoltà da parte della task force dell’American Psychiatric Association che si occupa della stesura del futuro DSM V a proposito dei Disturbi di Personalità2. Se da un lato l’enorme diffusione farebbe pensare alla necessità di espungere la voce dall’elenco delle patologie e farlo rientrare nell’alveo di una modalità fisiologica di reazione all’ambiente circostante, dall’altro la sofferenza soggettiva e oggettiva degli individui affetti obbliga a prendersene cura.

Una delle variabili da verificare è appunto la diagnosi differenziale tra sviluppo normale e disturbo della personalità stabile3.

Tra le ‘antiche’ e rassicuranti classi nosografiche di nevrosi e psicosi il cuneo dei disturbi di personalità ha creato prima un’incrinatura, poi una crepa, ormai un’enorme voragine che rischia di risucchiare e inglobare tutta la psicopatologia. Questo spazio è occupato da ciò che io definirei normosi, riprendendo la definizione di Christopher Bollas: seppur connotato da elementi di sofferenza e di incapacità a gestire la relazione con il prossimo, il normotico è coerente con le attese - spesso perverse - dell’ambiente sociale circostante. Al soggetto si offre la possibilità di trovare una qualche soddisfazione o appagamento delle sue istanze desideranti senza per questo dover usare il pensiero critico, il giudizio, la riflessione etica ed estetica su di sé e su ciò che si sta facendo, ma mirando più semplicemente al ‘consumo’ dell’esperienza gratificante. L’attività di pensiero sembra essere divenuta una funzione inessenziale e superflua se non dannosa4.

La descrizione di ‘normotico’, a me sembra, si attaglia molto bene a molti degli adolescenti che mi capita di incontrare e di cui mi prendo cura.

Il luogo della generazione

Ci sono segnali nel sottofondo della società i quali ci fanno capire che qualcosa di sostanziale sta cambiando riguardo agli organizzatori mentali che governano la nostra vita di relazione: i garanti metasociali e metapsichici secondo la terminologia di René Kaës5 o l’inconscio sociale secondo Sandro Gindro6 stanno cambiando, sono cambiati. Questo fenomeno ci obbliga a ri-organizzare le categorie anche teoriche con cui leggere il funzionamento psichico dei soggetti, l’organizzazione delle loro interazioni sociali, il funzionamento delle società più in generale.

Lungo questa linea di riflessione l’adolescente contemporaneo ci apparirà in qualche modo accostabile se non simile all’isterica della fine ’800. Ma non certo per la fenomenologia psicopatologica presentata, bensì per il ruolo di segnalatore di un cambiamento intervenuto nella cultura e nella società che si manifesta appunto anche nelle forme della sofferenza psichica. Se è vero che il nostro mestiere – la psicoterapia – si è costituito grazie all’incontro tra Sigmund Freud e il corpo dell’isterica, oggi, nella nostra contemporaneità, ci dobbiamo confrontare con il corpo dell’adolescente per capire cosa sta succedendo.

Torniamo quindi alla nostra riflessione sull’adolescente.

L’adolescente è già adulto per ciò che inerisce al funzionamento psichico, ma non lo è ancora per ciò che riguarda il suo funzionamento sociale: è ancora ‘figlio di’.

Uno dei luoghi dove si è generato questo cambiamento del funzionamento psichico dei soggetti è sicuramente la famiglia, istituzione che negli ultimi decenni ha subìto delle trasformazioni enormi in particolare per ciò che riguarda le interazioni e i ruoli all’interno del triangolo padre-madre-figlio. Affrontare il disagio adolescenziale inevitabilmente ci obbliga a indagare quel luogo nel quale quegli adolescenti si sono costituiti. Le famiglie – e in particolare i ruoli genitoriali – si sono straordinariamente trasformate negli ultimi decenni, tanto da richiederci nuovi ‘attrezzi’ teorici e nuove prassi cliniche per comprenderle e potervi intervenire. Il tema è antico, è il centro della riflessione psicoanalitica per ciò che riguarda la formazione della soggettività individuale: Freud lo ha chiamato Complesso di Edipo.

Ecco quindi che lo scenario si allarga dal figlio al genitore, dalla famiglia alla società e alla cultura che la sostiene. Comprendere i cambiamenti intervenuti nella mente dell’adolescente ci porta a indagare le trasformazioni accadute entro il ‘triangolo edipico’. Questo tema sconfinato ci porterebbe lontano dal focus specifico da affrontare, ma è considerato da chi scrive il cuore della questione. Basti pensare a quel fenomeno che si può definire come la rarefazione o la scomparsa della funzione paterna. Rinvio quindi a una precedente trattazione sull’argomento7.

Solo per segnalare un allarme, a proposito dei destini trasformativi del complesso di Edipo come struttura interpretativa efficace per la psicoanalisi, segnalo ciò che Jacques Lacan già nel 1955 scriveva: “entro due o tre generazioni non si capirà indubbiamente più nulla o, come si dice, una gatta non ritroverà più i suoi piccoli, ma per il momento, nell’insieme, il fatto che il tema del complesso di Edipo permanga, presume la nozione di struttura significante, così essenziale per orientarsi nelle nevrosi”8. Forse le due o tre generazioni sono passate e noi – addetti ai lavori per ciò che riguarda la cura dei soggetti pensanti – siamo chiamati a fronteggiare il cambiamento, a capirci qualcosa, a evitare il caos, a far ritrovare al gatto e alla gatta i loro piccoli, seppur in forme che non siano un’assurda e malaugurabile ‘restaurazione’ dell’ordine precedente.

Il corpo desoggettivato

Ma torniamo al nostro focus: il corpo.

Il corpo è uno dei mediatori fondamentali della relazione che il soggetto ha con il mondo, oltre a essere il luogo dove le emozioni trovano la loro origine. Il corpo – la sua rappresentazione mentale – è l’interzona tra il ‘dentro’ (io) e il ‘fuori’ (realtà, l’altro, tu). Nella mia prospettiva il corpo è il ‘luogo’ dell’interazione sociale, ed è quindi il luogo dell’inconscio: l’inconscio è nella relazione, nell’io-tu. Non siamo proprietari neanche del nostro inconscio, siamo parlati e agiti da quella cosa che sta a metà strada tra noi e l’altro, il nostro corpo. Potrei dilungarmi su questo tema tanto caro a Sandro Gindro9, potrei evidenziare le connessioni che vi sono con la prospettiva lacaniana, dove si identifica la struttura dell’inconscio nel linguaggio, nel dialogo tra l’io e il tu. Ma ciò ci porterebbe di nuovo lontano e io voglio parlare di adolescenti contemporanei e del loro corpo come mediatore della relazione con l’altro.

L’adolescente è il soggetto sociale che più d’ogni altro manifesta attraverso il suo corpo il disagio della modernità, interpretandolo con drammaticità e spregiudicatezza, oltre che con inconsapevolezza. Tentare di comprendere e dare senso alla gestione del corpo e delle conseguenti emozioni così come ci vengono presentati dagli adolescenti ci illumina sugli aspetti di disagio e de-umanizzazione che segnano alcuni fenomeni della nostra cultura e società, nel suo insieme10.

Quindi gli adolescenti ci possono ‘insegnare’ qualcosa su ciò che noi siamo ora, oggi, riguardo al corpo e alle emozioni. Di questo si intende parlare: di adolescenti, di corpi, di sessualità, di desideri.

Come si diceva all’inizio, in qualche modo, mutatis mutandis, gli adolescenti contemporanei svolgono il ruolo di stimolo alla riflessione sulle miserie del corpo sessuato che le isteriche della fine ‘800 hanno prodotto allora, attivando – insieme con la genialità del loro interprete – una sorta di rivoluzione del pensiero scientifico. Lì è nata la psicoanalisi, grazie anche a loro, alle loro miserie e al loro inconsapevole coraggio nel voler cambiare gli organizzatori mentali di quella cultura.

Forse si può dire che il corpo, nella sua estrinsecità riguardo allo psichico, manifesta le sue urgenze sempre attraverso i due registri dell’esibizione e della fobia. Così facevano le isteriche, così fanno gli adolescenti d’oggi.

Ma vi sono delle differenze strutturali profonde tra come le isteriche dell’800 segnalavano attraverso il loro corpo il disagio e la conseguente psicopatologia e il ruolo e senso del disagio della modernità segnalato dal corpo dell’adolescente contemporaneo.

Sigmund Freud formula attraverso le sintomatologie dell’isterica il suo concetto di psicopatologia, e inaugura lo scenario teorico che lo porterà alla psicoanalisi, al concetto di inconscio come organizzatore della psicopatologia. Al centro della sua osservazione vi è il desiderio sessuato espresso dal soggetto isterica: il corpo parla di sessualità negata, rimossa. Di lì inizia la riflessione freudiana che porterà alla lettura del sintomo psichico come prodotto del conflitto intra-psichico, fondamento dell’edificio psicoanalitico. Da lì veniamo tutti noi che ci occupiamo di psicoterapia dinamica.

L’adolescente contemporaneo è collocato in un contesto sociale, culturale, mentale ben diverso da quello della Vienna dei primi ‘900 o della Salpêtrière della fine ‘800. Non è più il conflitto tra il desiderio sessuale e la morale civile che organizza il disagio della civiltà e la psicopatologia. La sessualità, nelle sue manifestazioni polimorfe, sembrerebbe essere stata ‘digerita’ dalla civiltà contemporanea. Ma forse è stata ‘sbranata’.

A me sembra che il corpo rimanga il luogo entro il quale trova spazio il disagio e la psicopatologia, ma in forme e con contenuti diversi dalla tradizionale psicopatologia classica. Provo a spiegarmi affidandomi al dialogo con il corpo adolescente.

Il corpo adolescente, nella nostra cultura, è il canone ideale della bellezza e ciò carica di iperinvestimento sessuato la gestione dello stesso, fin da età che un tempo erano pensate come pre-sessuate. E’ lo sguardo dell’adulto – che sia madre o padre, oppure l’estraneo che passa – che obbliga quella ragazzina (e quel ragazzino!) a sentirsi oggetto d’attrazione sensuale. Loro eseguono attraverso il loro corpo il compito che gli viene demandato da noi. Le prime esperienze sessuali si collocano spesso attorno ai 13-14 anni, le libertà sono accelerate e moltiplicate, eppure, per maschi e femmine, la sessualità o rimane un luogo problematico, negato, di solitudine mediata da Internet, oppure si pratica ma non si desidera, si fa perché “così fan tutti” ma lo si vive in forme straniate, senza desiderio autentico, caratterizzate più dal bisogno della conferma sociale o dal timore di indegnità riguardo alla propria immagine corporea. Forse si può dire che il corpo va esibito e usato, ma non lasciato agire.

Le frigidità e le impotenze continuano a dominare lo scenario, apparentemente liberalizzato e pacificato. Non trovo sostanziali differenze statistiche nel confronto tra le generazioni di adolescenti attuali e quelle di cinquant’anni fa. Come mai?

Con apparente paradosso, la nostra epoca che dichiara il trionfo del corpo esibito e liberato dai vincoli del limite, manifesta una profonda fobia nei confronti di ciò che sta dentro quella cosa che chiamiamo ‘corpo’. Tutto ciò che ha a che fare con la carnalità, con le profondità del turbamento sensuale, il sentimento che è generato dalle viscere e ci lega all’altro corpo, al corpo dell’altro, viene ridotto a bisogno di ammirazione e uso del corpo dell’altro. Il corpo è ridotto a oggetto da esibire, da usare, da consumare, da collezionare.

Rimango spesso turbato quando, ascoltando i racconti delle ‘gesta’ sessuali compiute da ragazzi e ragazze, mi accorgo che le descrivono ‘da fuori’, raccontano ciò che hanno fatto e gli è stato fatto, ma non ciò che sentivano. Lo fanno con parole crude e fredde, semplici, neutrali, talvolta distratte.

Verrebbe di pensare appunto a ciò che Pierre Janet definiva la “belle indifférence” a proposito di isteria. Ma questo è il loro modo di chiedere aiuto, di trovare un appiglio per dare senso a quel loro corpo.

Psicopatologia: la melanconizzazione del corpo

“L’epoca delle passioni tristi”11: questo è il titolo di un libro che racconta l’esperienza di alcuni adolescenti contemporanei. Gli autori – riprendendo un termine di Spinoza - non potevano trovare titolo più pregnante per ciò che sto tentando di descrivere.

Come si diceva all’inizio, se assumiamo uno sguardo epidemiologico sulla psicopatologia dell’adolescente contemporaneo, ci accorgiamo che si manifesta una tendenza delle varie sintomatologie nella direzione della melanconizzazione della sofferenza. Tutte o quasi le sindromi più diffuse hanno in comune una valenza distimica – quindi anche con la sua variante maniacale, con la ricerca di un’eccedenza di stimoli – che riconosce nella condizione di rinuncia alla relazione col mondo il suo punto di fuga.

Le varie sintomatologie – crisi di panico, acting sul corpo, dipendenze, esordi psicotici, disturbi di personalità, e così via – hanno come effetto comportamentale un ritiro dal mondo di relazione, il richiudersi in casa, la fobia sociale.

Possiamo prendere come paradigma estremizzato di ciò di cui vi sto parlando quella sindrome caratterizzata dal ritiro sociale definita Hikikomori12, inizialmente descritta dai giapponesi come specifica degli adolescenti di quella cultura. L’Hikikomori mi sembra il rappresentante estremo di una tendenza generalizzata anche nel nostro Occidente. Hikikomori significa “stare in disparte, isolarsi” e sta ad indicare un fenomeno comportamentale riguardante gli adolescenti e i giovani post-adolescenti nel quale si tende ad evitare qualsiasi coinvolgimento sociale, chiudendosi nella propria casa e interrompendo ogni genere di rapporto con gli altri, inclusi i familiari. L’hikikomori (il termine può essere utilizzato sia per definire il fenomeno in sé, sia i soggetti che manifestano questo comportamento) si ricovera nella propria stanza, trascorre il suo tempo con videogiochi, Internet e televisione durante tutta la sua giornata, per periodi che possono durare anche molti anni. L’unico mezzo di comunicazione con il mondo è Internet, con cui si crea un vero e proprio mondo ‘privato’, con amici conosciuti on line. Secondo una stima del Ministero della Sanità giapponese il 20% degli adolescenti maschi giapponesi sarebbero hikikomori. Come arginare il ‘contagio’?

L’Hikikomori è appunto la sparizione dell’incontro tra corpi. E’ la forma contemporanea di melanconia, ammorbidita dall’illusione di una relazione con il mondo filtrata dai media elettronici. La relazione con il mondo diviene virtuale, incorporea.

In un mio lavoro precedente13, prendendo l’abbrivio dall’Hikikomori, tento un’analisi delle varie sintomatologie che caratterizzano la clinica contemporanea dell’adolescenza identificando un punto di fuga nell’esperienza melanconica. Le varie sindromi - noia, panico, attacchi al corpo, dipendenze, disturbi di personalità, esordi psicotici - vengono interpretate come stazioni verso una discesa che ha la melanconia al fondo. Lì si fa riferimento ad un’intuizione di Sandro Gindro che descrive appunto la nosografia psichiatrica come “discesa agli inferi”14. Nella sua interpretazione delle varie forme in cui si può manifestare la sofferenza psichica coglie una linea di continuità che va a comporre una sorta di ‘scala’ composta da gradini (positure psichiche) di progressiva gravità. L’ultima ‘stazione’ di questo percorso verso l’allontanamento dallo stato di salute è la depressione, e tutte le altre forme psicopatologiche, dall’ansia al delirio, sono “tentativi di guarigione”15 dalla positura depressiva, in quanto condizione massima di impossibilità del desiderio, dell’incontro con l’altro. Le altre figure psicopatologiche molto gravi e angosciose - come il delirante, l’allucinato, il folle, lo psicotico, tradizionalmente considerate il punto massimo di gravità psichiatrica - sono ‘maschere’ che forse ci spaventano di più, sono più perturbanti per l’osservatore, ma sono il segnale di un tentativo di riemersione dalla depressione.

La fobia del desiderio

Come interpretare tutto questo? Perché, se adottiamo uno sguardo epidemiologico sulla psicopatologia dell’adolescenza, ci appare questa tendenza alla melanconia?

Una risposta possibile riguarda una sorta di disordine dell’esperienza del desiderio, l’impossibilità a trovare uno spazio-tempo per il desiderare. E la depressione è tradizionalmente (S. Freud16) la forma più vicina all’annullamento del desiderio, al suo azzeramento. Il depresso tenta di non desiderare, ma non può riuscirvi. Rimane quella ‘macchina desiderante’ che lo obbliga alla relazione, alla ricerca dell’altro.

Su una linea di riflessione molto vicina a ciò che sto descrivendo si sviluppano i lavori di Massimo Recalcati17 e Franco Lolli18 che, a proposito di un contemporaneo disordine del desiderare, ci ricordano la lezione di Jacques Lacan. Nella riformulazione concettuale che Lacan propone alla fine degli anni ’50, a proposito della nuova ‘legge’ che governa i legami collettivi, si afferma il “discorso del capitalista”19 come nuovo schema del Super-Io sociale nell’epoca del trionfo del consumismo assurto a legge di funzionamento della società. Se il Super-Io freudiano esigeva la rinuncia, il sacrificio pulsionale, la castrazione per raggiungere l’accesso alla realtà civile (il Super-Io kantiano, produttore del disagio della civiltà), nell’epoca iper-moderna che ci abita il dover-essere afferma l’obbligo del godimento senza desiderio (Super-Io sadiano) che ci mette al riparo dalla frustrazione, dall’elaborazione del lutto, dall’accettazione della propria finitezza. Se prima il conflitto pulsionale era tra desiderio e Legge-del-Padre, oggi l’imperativo superegoico ci chiama al soddisfacimento narcisistico del bisogno che si deve riferire a oggetti di godimento e non a soggetti di desiderio. Al posto della mancanza prodotta dal desiderio per l’Altro si è generato un vuoto di desiderio. In questa prospettiva la depressione (melanconia) si rappresenta come un quadro clinico ‘fondante’ per tutta la psicopatologia. “Il postulato fondamentale della melanconia è il postulato di indegnità. L’esperienza clinica ci insegna che se esiste un fenomeno elementare nella melanconia è il fenomeno della colpa come manifestazione dell’indegnità del soggetto20.

Per tentare di dare senso a questo scenario caratterizzato da questa sorta di fobia del desiderare, viene utile descrivere la declinazione del desiderio che Sandro Gindro era solito ricordare. Si tratta di una formula – semplicissima in apparenza - che ha una struttura speculare, con una simmetria complementare barocca. Me la rappresento come due scale sinuose che si incontrano al vertice e danno accesso al ‘palazzo’ umano. La formula è questa: il desiderio si compone di desiderio di piacere e piacere del desiderio.

Il primo si riferisce al puro cercare la soddisfazione: ho fame, mangio, sono soddisfatto. Il cerchio si chiude rapidamente, è una sorta di ‘arco riflesso’ che segnala un’attività umana che potremmo definire sottocorticale. Non ha nulla di distruttivo in sé, anche se – da sola – non è pienamente umana.

Il secondo è ciò che, si potrebbe dire, dà umanità e cultura al desiderio: desidero quella persona, cerco di capire le sue caratteristiche, i suoi gusti, mi coordino al suo desiderio, mi propongo, la ascolto, godo del mio desiderarla, la aspetto creando la situazione di un incontro d’amore. Il tempo diviene il luogo del desiderio. Il desiderare richiede la necessità di rappresentarsi un tempo e uno spazio entro i quali poter collocare il possibile: il desiderio è una possibilità oltre che una mancanza, che ci espone al rischio del fallimento riguardo al suo soddisfacimento. Eppure il desiderio è il generatore della vita. Desiderare è accettare la possibilità del fallimento, l’impossibilità possibile: “amor che a nullo amato amar perdona” ci ricorda Dante. E’ l’attraversamento del rischio che costruisce la profondità dell’esperienza di piacere. Il desiderare, l’attendere, il fantasticare il godimento, è pensiero che dà ‘cultura’ al desiderio.

Tornando alla domanda iniziale, possiamo ipotizzare una ragione che sostiene la radice depressiva delle ‘nuove’ sintomatologie adolescenziali: l’impossibilità di uno spazio-tempo per il piacere del desiderio obbliga ad assumere una positura depressiva, a tentare di negare il desiderio e accontentarsi di oggetti di compenso. A me sembra che ciò che caratterizza la nostra contemporaneità sia l’impossibilità del piacere del desiderio. Che il disagio e la sofferenza degli adolescenti abbiano una loro radice in questa impossibilità. E che la via d’uscita da questo vicolo cieco sia una cultura del piacere del desiderio.

Da più parti sentiamo ripetere la formula vacua tanto cara a coloro che dovrebbero occuparsi di crisi adolescenziale: la causa è “la perdita di valori” negli adolescenti. Non ci si accorge che questa crisi appartiene anche a noi - adulti, genitori, insegnanti, operatori della salute, psichiatri, psicoterapeuti. E non si riconosce che il valore più assoluto che tutti noi ci portiamo dentro sono i nostri desideri.

Bisogna ritrovare la via per riconsegnare ai corpi la loro sostanza: il desiderio dell’altro.


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Note:

1 Una interessante revisione dei fondamenti teorici della psicoanalisi di derivazione americana è quella portata avanti da Morris N. Eagle, a partire dalla concettualizzazione di Kohut riguardo ai disturbi di personalità. Cfr. ad es. Eagle M. N., I cambiamenti clinici e teorici in psicoanalisi: dai conflitti ai deficit e dai desideri ai bisogni, in: POL.it

2 Cfr. M. Biondi, Disturbi di Personalità nel DSM-IV e DSM-V: luci e ombre, in web: www.uniroma3.it/bersani_biondi_pancheri/Resources/Diagnosi...pdf

3 Cfr. Lingiardi V., La personalità e i suoi disturbi, Il Saggiatore 2004

4 Bollas Ch., L’ombra dell’oggetto, Borla 1999

5 Kaes R. (2005), Il disagio del mondo moderno e la sofferenza del nostro tempo, in: Psiche 2005, 2, Il Saggiatore, Milano; Kaes R. (2007), Un singolare plurale, Borla, Roma

6 Gindro S., L’oro della psicoanalisi, A. Guida 1993

7 Nel percorso di riflessione che si sta tentando di sintetizzare qui è bene segnalare due libri che ne hanno scandito i passaggi. Un primo volume, nato da un convegno, è stato Adolescenza liquida. Nuove identità e nuove forme di cura, a cura di A. Casoni, EDUP 2008; un secondo, sempre nato da un convegno, è Il complesso del piccolo Hans. Nuove costellazioni edipiche?, a cura di A. Casoni, EDUP 2010, che ha dato seguito alla riflessione dall’adolescente alla sua famiglia, mettendo sotto critica la tradizione interpretativa del triangolo edipico.

8 J. Lacan, Il seminario. Libro III. Le psicosi (1955-56), Einaudi 1955, pag. 378. Ringraziamo Franco Lolli che, con il suo libro Follia, psicosi e delirio (et al./Edizioni 2011) ci aiuta a ‘mettere in luce’ la teoria di Lacan.

9 S. Gindro, L’oro della psicoanalisi, A. Guida 1993

10 A. A. Semi, Verso la disumanizzazione?, in Psiche XIV, 1, Il Saggiatore 2006

11 M. Benasayang, G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli 2004

12 Cfr. C. Pierdominici, Intervista a Tamaki Saito sul fenomeno “Hikikomori”, in: www.psichomedia.it/ciberpatologia

13 Casoni A., Destini del desiderio. Fenomenologia psicopatologica dell’adolescente contemporaneo, in www.psychomedia.it / ciclo vitale / adolescenza.

14 Gindro S., L’oro della psicoanalisi, A. Guida 1993, pag. 83-92

15 S. Freud utilizza il termine “tentativo di guarigione” per interpretare il significato del delirio, in quanto ricostruzione di un possibile rapporto con la realtà (restituzione della libido agli oggetti) attraverso il meccanismo della proiezione. Cfr. S. Freud, Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (Caso clinico del presidente Schreber), Opere, vol VI, Boringhieri 1974

16 Freud S. (1915), Lutto e melanconia, OSF, vol. VIII, Boringhieri 1980

17 Recalcati M., L’uomo senza inconscio, Raffaello Cortina 2010; Recalcati M., Cosa resta del padre, Raffaello Cortina 2011; Recalcati M., Ritratti del desiderio, Raffaello Cortina 2012

18 Lolli F., Follia, psicosi e delirio, et al./edizioni 2011; F. Lolli, La depressione, Boringhieri 2010; F. Lolli, Le depressioni contemporanee, in: M. Recalcati, Il soggetto vuoto. Clinica psicoanalitica delle nuove forme del sintomo, Erickson 2011

19 Lacan J., “Del discorso psicoanalitico”, in: G. Contri, Lacan in Italia, La Salamandra 1978. Cfr. anche: S. Zizek, Leggere Lacan. Guida perversa al vivere contemporaneo, Bollati Boringhieri 2009

20 Recalcati M., Glaciazione del soggetto: dalla melanconia freudiana alla melanconia lacaniana, in: F. Lolli, Follia,Psicosi e Delirio, et al./edizioni 2011, pag. 22


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