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PSYCHOMEDIA
GRUPPALITÀ E CICLO VITALE
Adolescenza


Laio ripensato da Edipo. Il romanzo paterno in adolescenza

Arturo Casoni


Il testo presentato fa parte del volume a cura di Arturo Casoni
"Il complesso del piccolo Hans. Nuove costellazioni edipiche?", che sarà pubblicato dalla EDUP a febbraio 2010


Il re Edipo regnava su Tebe. Una terribile pestilenza si abbatté sulla città. L'oracolo aveva detto che ciò accadeva perché non era stato punito l'assassinio del re Laio, il predecessore di Edipo. Il re Edipo convocò il cieco indovino Tiresia. Qui incomincia la tragedia di Edipo: Edipo volle sapere.
S. Gindro, A Tiresia

Introduzione

Edipo vuole sapere. Vuole conoscere la ragione, le ragioni, che hanno determinato la sua sofferenza. La sua 'volontà di sapere', per citare Foucault, lo rende simbolo dai molteplici significati. "L'immagine di Edipo che interroga la sfinge è divenuta - per tutto il Novecento - l'allegoria della moderna condizione dell'essere umano. E' con la pubblicazione de L'interpretazione dei sogni (1899), infatti, che Sigmund Freud metaforicamente apre il secolo forse più tragico della storia umana. Si diceva che un'immagine presa dal mito greco definisce meglio di ogni altra la modernità come condizione dell'incertezza. L'uomo è sempre più solo e sempre più estraneo: una sorta di naufrago parzialmente straniero in ogni luogo e in ogni ruolo. Egli è anche straniero a casa propria: come dice Sigmund Freud egli è anche spogliato della certezza del proprio essere, abitato da un inconscio che lo disturba e lo disorienta. La storia di Edipo - e in questo è la sua grande modernità - è la storia della sua origine e identità"[1]. E' di questa volontà di sapere che vorrei occuparmi, proponendo però - a proposito del mito di Edipo come storia dell'origine e dell'identità - un'osservazione che parte da un vertice eccentrico.

Le riflessioni che seguono traggono origine da alcune interrogazioni da me poste nel lavoro precedente - I dolori del giovane Hans, oggi. L'adolescente, la madre, forse il padre - che voleva essere un'occasione di "apertura", di prefazione ai temi posti e da alcune osservazioni che ho raccolto nei lavori degli altri autori a proposito dell'Edipo contemporaneo, anche loro presenti nel volume e quindi nel convegno che ne è stato l'occasione. E' questa quindi una sorta di post-fazione, come presa di stimolo dalle relazioni altrui, ma che certo non vuole proporsi come tentativo di sintesi/conclusione che raccolga i contributi scaturiti dal convegno e li sussuma. Esprime semplicemente la volontà personale di rendere il lavoro che è stato prodotto un'occasione per riprendere la riflessione lì dove il convegno si è concluso e renderlo materia viva, in azione. D'altro canto, a questo dovrebbero servire i convegni e i libri: ascoltare gli altri per far ordine nelle proprie idee e per trarre significati dal proprio lavoro clinico, dalle storie di coloro che ci donano quotidianamente i racconti appassionanti e spesso dolorosi dei propri percorsi di vita. E in effetti questo lavoro nasce principalmente da un'osservazione di carattere clinico sulla funzione paterna, a partire dal materiale 'vivo' che mi viene proposto quotidianamente dagli adolescenti in seduta. Da lì nasce e lì vuole tornare. Do qui priorità e specificità all'ascolto dei racconti degli adolescenti non per un fatto casuale: ritengo che attualmente essi siano i soggetti sociali più esposti e più sensibili ai cambiamenti in atto nella struttura familiare, e che quindi possano essere assunti come testimoni privilegiati in grado di segnalare con straordinaria evidenza le trasformazioni che - come una sorta di fenomeno carsico - stanno producendo delle modificazioni nelle 'radici' della struttura familiare. Per essere il più possibile chiaro fin da subito cerco di sintetizzare il nucleo di interrogazione attorno al quale mi muovo: quale è il senso e il significato del padre nella mente degli adolescenti contemporanei? Ovviamente la domanda è straordinariamente ampia per ricevere una risposta esaustiva. Quindi il percorso che seguo vuole soltanto partire da un'osservazione clinica che scaturisce dalla mia pratica analitica con gli adolescenti, e tentare di dare degli spunti per una possibile risposta che, oltre che clinica, investe temi e funzioni che - secondo me - hanno una valenza teorica e invitano quindi a una riflessione di tipo metapsicologico sulla funzione paterna contemporanea.

La rarefazione della funzione paterna, il padre nudo

Un punto sul quale tutti concordano - sebbene in forme diverse - è ciò che si potrebbe definire la 'rarefazione' della figura paterna nella cultura contemporanea. L'antico adagio pater semper incertus, mater certissima est non si manifesta soltanto nella sua veridicità 'biologica' ma anche simbolica, mentale e sociale. Ci troviamo ad attraversare un'epoca in cui la funzione del padre tende a 'liquefarsi' sia per ciò che attiene all'organizzazione degli apparati sociali e civili, sia per ciò che riguarda la quotidiana gestione degli affari domestici. L'incertezza sulla reale funzione del soggetto-padre si fa evidente, o si rende più evidente di prima. C'è, tra gli autori, chi sostiene che il fenomeno non sia recente ma affondi le sue radici nella storia umana di sempre, e chi invece afferma che ciò è fenomeno della contemporaneità - o della 'post- modernità' - e la connota differenziandola dal passato. A mio avviso è possibile ricostruire un'articolazione dello scenario della paternità lungo il divenire della storia antica e recente che ci permette di integrare le due prospettive. Se da un lato il padre era forse più assente di oggi nell'organizzazione della famiglia cosiddetta 'patriarcale', antica, in quanto più distante dalle relazioni, separato per il suo ruolo dagli altri componenti, dall'altro lato il padre contemporaneo è assente perché disorientato, senza ruolo, o ridotto a sostituto materno. Fiumi di inchiostro sono stati scritti su questo tema e non è il caso qui di tentare di darne una sintesi. Sta di fatto che, per una qualche ragione che può radicarsi nella notte dei tempi o nell'evoluzione recente delle società occidentali, la funzione, il ruolo e il valore simbolico del padre si segnala come 'luogo' di urgenza se non di emergenza. Su un aspetto - forse positivo - voglio però richiamare l'attenzione: il soggetto-padre, quell'uomo in carne e ossa, ha oggi più di ieri l'opportunità di costruirsi una sua 'presenza' e un suo significato per i soggetti-figli. In qualche modo il padre, in questo suo essere divenuto un 're nudo' - sempre più spogliato della sua autorità e significazione simbolica - si trova ora più chiaramente a segnalare la sua vera 'pelle', in senso sensuale e quindi simbolico. Le sovrastrutture che la cultura gli aveva imposto, decadendo per consunzione, lasciano più spazio per la sua comprensione in quanto soggetto e non solo idolo. L'emergenza del valore affettivo del soggetto-padre, ormai formalmente disinvestito del compito normativo-repressivo, è resa evidente dalle descrizioni che i figli ne danno. La calda tenerezza - troppo spesso commista a commiserazione o disprezzo - con cui gli adolescenti talvolta descrivono il padre, disarmato e disarmante nel suo disorientamento, si rende evidente. Si badi bene, non voglio dire che ciò non abbia radici lontane, che sia soltanto emergenza recente. Il fenomeno che si sta descrivendo, il padre nudo, è immagine che ha radici antichissime - qualcuno potrebbe dire in un'epoca miticamente anteriore, caratterizzata dal matriarcato... - ma allo stesso tempo si manifesta come evidenza della contemporaneità. Forse oggi più di prima la crisi del padre fa emergere il bisogno di funzione paterna, imprescindibile per una generatività che sia, oltre che biologica, anche culturale e quindi di civiltà. Forse - per dire un'apparente banalità sulla quale si è poco riflettuto - è pensabile che nella strutturazione della famiglia umana che è giunta fino a noi, così come si è andata costituendo nei secoli della sua storia, ha contato questa scansione dei ruoli maschile/femminile: il padre si allontana per procurare sostegno materiale e la madre rimane vicino ai figli, occupandosi della loro cura e quindi della loro costituzione come soggetti. La sua vicinanza fisica ai 'cuccioli' la carica, oltre che di responsabilità e gravosità, di un peso simbolico che è rappresentato dalla presenza del suo corpo nell'organizzazione psichica dei figli. In fondo la psicoanalisi - che ha nel suo centro l'Edipo - non è altro che un'elaborazione concettuale a partire da questa semplice osservazione. In base a questa vicinanza/distanza corporea si organizzano le due figure di madre e padre, i loro ruoli, funzioni, significati. La prima diviene oggetto di 'attaccamento' (libidico) e il secondo, quando gli eventi maturativi lo permetteranno, diverrà il tertium che - a seconda delle letture possibili - romperà la diade madre-figlio introducendo il principio di governo del desiderio, oppure aprirà l'orizzonte relazionale dell'infante alla presenza dell'Altro. Proviamo ora a pensare che le modificazioni indotte nella strutturazione familiare negli ultimi tempi - di ordine innanzitutto economico, e quindi sociale, culturale, mentale - stanno di conseguenza modificando la 'logica' della vita familiare e i ruoli di maschio/femmina. Cosa succederà - o, meglio dire, sta già succedendo - riguardo ai compiti genitoriali? Se i due soggetti genitoriali, il padre e la madre, sono ambedue obbligati (o motivati) ad allontanarsi per procacciarsi un reddito e quindi il sostentamento, quale elemento strutturale andrà a differenziare i due ruoli? Cosa sta avvenendo nella rappresentazione desiderante del figlio riguardo a quei due corpi? I processi sociali e culturali hanno tempi lunghi nel radicarsi in quello che noi chiamiamo l'inconscio sociale[2], ma la durata dell'attrito che psiche e cultura oppongono ai cambiamenti non deve farci pensare a una loro immutabilità. Forse in questi anni recenti il lento processo di trasformazione ha trovato un suo punto di accelerazione che ha determinato gli aspetti di urgenza ed emergenza di cui si parlava. E anche gli psicoanalisti sono chiamati a interrogarsi sul cambiamento in atto[3].

Pedigree, genealogia

Scendiamo ora da un livello di riflessione di ampiezza forse eccessiva sui fenomeni culturali che riguardano la famiglia e fermiamo l'attenzione su ciò che Sigmund Freud definì una volta, in un dialogo epistolare con Ludwig Binswanger, "i piani bassi dell'edificio umano" [4], ovvero torniamo alla clinica, a partire però da una citazione letteraria. Lo spunto mi è dato da un romanzo di Georges Simenon, Pedigree, nel quale l'autore spiega nella prefazione l'origine inconsueta del romanzo. Così scrive: "Pedigree non è stato scritto né allo stesso modo, né nelle stesse circostanze e nemmeno con le stesse intenzioni degli altri miei romanzi, ed è certo questa la ragione per cui forma nella mia produzione una specie di caso a sé. Nel 1941 ero sfollato a Fontenay-le-Comte quando un medico, in base ad una radiografia sospetta, mi annunciò che mi rimanevano al massimo due anni di vita e mi condannò a un'inattività quasi totale. Allora avevo un figlio solo, di due anni: ho pensato che, una volta adulto, non avrebbe saputo quasi nulla di suo padre e della sua famiglia paterna. Per colmare in parte questa lacuna comprai tre quaderni rilegati di cartone marmorizzato e, rinunciando alla mia solita macchina da scrivere, cominciai a narrare in prima persona, sotto forma di lettera al ragazzo che un giorno mi avrebbe letto, qualche aneddoto della mia infanzia"[5]. Si potrebbe dire che quel medico, sbagliando la diagnosi, ha fatto diventare 'padre' il suo paziente. Simenon non è deceduto di lì a poco, ma ha raccontato la sua storia al figlio, gli ha donato un pedigree. La sua preoccupazione è di lasciare una testimonianza al figlio piccolissimo su ciò che è stato suo padre prima che diventasse marito e padre, dargli una genealogia per poter costruire la propria storia- identità, offrirgli un tessuto di accadimenti che hanno costruito la sua venuta al mondo. Tra l'altro, colpisce il particolare della scrittura manuale, senza il filtro della macchina da scrivere: forse voleva far percepire al figlio la sua mano, il suo corpo. E' quello che i padri di solito non fanno... Mi si rappresenta come una significazione della funzione paterna, come nucleo centrale del lavorio mentale dei miei analizzandi adolescenti quando, in modo spesso inconsapevole, si manifestano alla ricerca di un'immagine del padre prima della propria nascita. Compito del padre - e della madre? - è quindi anche saper raccontare - accettare di raccontare senza infingimenti - la propria storia del 'prima'. Dai racconti degli adolescenti spesso sortiscono tra le righe alcune domande: quando mio padre aveva la mia età, chi era? come era? che tipo di uomo era? Tornando a quell'evidenza sociologica che abbiamo definito "rarefazione della funzione paterna", e che abbiamo connotato come fenomeno di "emergenza", possiamo ora spiegarci forse il percorso mentale di Simenon: di fronte all'emergenza prodotta dall'imminente sua morte egli "scopre" il suo essere padre, "pensa" il figlio. E' ciò che accade molto spesso ai non-padri contemporanei: nel momento della separazione dalla moglie - quindi la loro "sparizione" dallo spazio domestico - vengono portati a scoprirsi padri, d'improvviso si accorgono che quel figlio/figlia ha bisogno di lui, di una sua presenza.

Il romanzo adolescenziale, la rêverie del figlio

"Mai prima d'allora Aharon aveva notato quanto determinanti fossero i tratti dei loro volti, incisi con una mano pesante, monumenti di tristezze e di dure prove, ma da dentro di loro soffiava sempre un vapore tiepido di sconfitta e di desertitudine. E pensare che una volta avevano avuto la sua età. Forse all'inizio anche loro avevano un aspetto come il suo. Lui non sarà mai come loro. La mamma chiamò papà con cortesia forzata..."
David Grossman [6]

Sigmund Freud, non a caso poco dopo aver completato il suo saggio Teorie sessuali dei bambini (1908a)[7], così scrive nell'incipit de Il romanzo familiare dei nevrotici (1908b): "L'emancipazione dall'autorità dei genitori dell'individuo che cresce è uno degli esiti più necessari, ma anche più dolorosi, dello sviluppo. E' assolutamente necessario che tale emancipazione si compia, ed è presumibile che chiunque sia divenuto normale l'abbia in maggiore o minore misura mandata a effetto. Anzi, il progresso della società si basa su questa opposizione tra generazioni successive" [8]. In questo incipit già si manifesta ciò che diventerà poi la vulgata del suo senso: è a causa della 'contrapposizione' tra padre e figlio - fondata sulla rivalità sessuale e sul sentimento del figlio di essere stato messo in disparte riguardo al corpo amato della madre - che nella psiche del giovane si insinua la fantasticheria di essere un figliastro o un figlio adottivo di quella coppia. Attraverso questa fantasia il figlio produce un "incipiente estraniamento dai genitori di rado ricordato consciamente ma sempre dimostrabile"[9], immaginandosi generato da altri e più nobili genitori. Il concetto freudiano di romanzo familiare è forse un 'contenitore' più prezioso e carico di risonanze metapsicologiche di quanto la letteratura psicoanalitica gli abbia tradizionalmente riconosciuto. Scrive appunto Assoun: "E' strano che la teoria del 'romanzo familiare' sia stata trattata come una sorta di breve allegato della Psicopatologia della vita quotidiana, sotto forma di una sorta di 'sogno a occhi aperti', di una fantasticheria abbastanza anodina"[10]. A questo riguardo Luchetti ci propone una preziosa ricostruzione storica del concetto e una sua articolazione teorica, affermandone la centralità nella genealogia e formazione dell'apparato psichico. Così scrive: "In realtà, Freud sottolinea che in questo modo il kleine Phantast, il 'piccolo fantasticone' come lo definisce in questo scritto, non si disfa davvero del padre, giacché 'tutte queste immaginazioni, apparentemente così ostili, non sono poi animate da intenzioni tanto cattive', e sotto il leggero travestimento è facile riconoscere i tratti dei genitori. Cosicché il romanzo familiare risulta essere 'solo espressione della nostalgia del bambino per il felice tempo perduto, nel quale suo padre gli appariva come l'uomo più nobile e più forte e sua madre come la più bella e cara delle donne (...) e del rimpianto che questo tempo sia svanito'. Dunque con il romanzo familiare il soggetto si crea una famiglia, o se la ricrea, negoziando il proprio posto nella linea delle generazioni che in lui convergono, modificando in modo immaginario i suoi legami con i genitori"[11]. Mi sembra appunto fondamentale riconoscere a questa attività di pensiero fantasticante - di "messa in storia" o meglio "messa in romanzo" - la funzione di ordinamento mediante il quale il giovane si colloca tra i sessi, come maschio o femmina, e nell'ordine delle generazioni. Non è fatto di poco conto. E' attraverso questo faticoso tentativo di ricostruire la proto- storia del padre e della madre - dei due soggetti prima della formazione della coppia genitoriale -, che l'adolescente giunge a confrontarsi con il suo genere - maschio/femmina - oltre che con la sua genealogia. E' una sorta di rêverie filiale sul padre e la madre prima della loro 'nascita' in quanto genitori. Forse si può dire che, attraverso questa rêverie, il figlio fa diventare pienamente genitori i due soggetti generativi. Ciò accade, ovviamente, nel periodo adolescenziale, ovvero quando il figlio ha il compito di affrancarsi - psichicamente e fattualmente - dai suoi genitori, dalle loro imago, per trovare una propria soggettività che lo faccia sentire diverso ma 'consequenziale' con la propria storia. E' straordinario quanto la letteratura di tutti i tempi abbia identificato l'adolescente come soggetto letterario, rendendolo quindi personaggio rappresentato, e forse ciò è ancora più evidente nella letteratura contemporanea. E' pensabile che una causa di questo fatto stia proprio nel bisogno che quell'epoca della vita ha di "mettersi in romanzo" e della difficoltà che questo lavoro mentale richiede. Monniello scrive: "L'adolescente è chiamato a raccontarsi e a legare gli eventi che lo hanno portato a essere quello che sta diventando. Molto spesso, però, per l'adolescente è difficile trasformare le esperienze che sta vivendo in eventi psichici, quindi suscettibili di essere rappresentati, ricordati e infine rimossi. La mente dell'adolescente sembra resistere in modo quasi fisiologico 'a costruire' l'evento personale (...) Poter poi raccontare una successione di eventi personali come caratterizzanti la propria storia, scoprire le radici, i riferimenti identificatori, i gruppi di appartenenza, le proprie fantasie o prospettive per il futuro implica la presenza di basi narcisistiche sufficientemente buone per avventurarsi nell'incontro con l'alterità"[12]. Soltanto così l'analizzando può trovare lo spazio mentale per costruire la sua soggettività con una sufficiente ampiezza e saldezza.

L'ante dell'Edipo, non l'anti-Edipo

Il Complesso di Edipo è stato per Sigmund Freud - e per la psicoanalisi che lo ha seguito nelle sue prime fasi - una sorta di concetto passe-partout in grado di spiegare, almeno in parte, quasi tutti i fenomeni psichici umani: dal sintomo fobico del piccolo Hans alla strutturazione delle società civili esso diveniva il fulcro esplicativo in grado di dare senso a ciò che si segnalava come sorgente di disagio psichico. Tutto da lì partiva e lì doveva essere ricondotto. Per molto tempo i clinici hanno centrato le loro interpretazioni dei vari sintomi e delle varie sindromi sul triangolo mamma-figlio-papà. Poi, ad un certo punto, in un tempo che non saprei collocare con precisione e comunque in modo progressivo, la psicoanalisi ha cominciato a sentire la "formula" edipica troppo stretta, in qualche modo riduttiva, e si è mossa altrove. Forse si può dire che la psicoanalisi, rivolgendosi alle patologie più gravi e non solo occupandosi di nevrosi, è stata spinta verso le fasi più precoci dell'esperienza psichica, in quell'area che viene normalmente definita "pre-edipica" e, di conseguenza, ha abbandonato il luogo del triangolo edipico. Quel triangolo, quello spazio teorico, era in qualche modo sentito come angusto, inadatto a spiegare. Il triangolo diveniva un recinto costrittivo, si percepiva il bisogno di 'sconfinare'. Nel 1972 - in piena epoca di sovvertimento delle logiche 'borghesi' - esce un libro che diviene subito emblema della rivolta contro Freud come teorico difensore della concezione borghese e capitalista della società. Gilles Deleuze e Félix Guattari scrivono L'anti-Edipo. La psicoanalisi, per farsi strumento di liberazione dell'uomo, deve uscire dal ripiegamento su mamma-papà, sulla famiglia nucleare, sullo "sporco segretuccio", come loro lo definiscono. "...non è tanto la famiglia borghese ad aver generato l'Edipo, ma è piuttosto, al contrario, un dispositivo complesso, penale, medico, giuridico, ad aver tagliato il sociale dal privato, ad aver isolato la famiglia dal corpo sociale, ad aver innestato il corpo dei genitori sul corpo dei bambini nella crociata anti masturbazione (famiglia borghese), ad aver separato il corpo dei bambini da quello dei genitori (campagna anti incesto nella famiglia proletaria), ad aver medicalizzato e psicologizzato i rapporti genitori-bambini (teorie delle perversione, della degenerazione e dell'anormalità), ad aver infine codificato tutto questo nei dispositivi raffinati, ontogenetici e filogenetici, dell'Edipo"[13]. Lo stile estremo - tipico di quegli anni - ci può oggi far sorridere, ma ritengo che in quel tentativo di 'sovvertimento' delle logiche familiari ci sia qualcosa da raccogliere. E' senza dubbio vero che l'Edipo della psicoanalisi è un 'abito' che spesso sta stretto e non aiuta nella comprensione delle complesse e articolate dinamiche psichiche del figlio, ma il triangolo figlio-mamma-papà - si badi bene, è la madre che sta al centro, che funziona da trait d'union tra gli altri due soggetti in gioco, altrimenti separati - non può essere negato come teatro altamente significante per l'organizzazione psichica del soggetto. Si tratta, a mio avviso, di allargarne l'ambito, di dare spazio teorico all'ampliamento delle interazioni, di completare il quadro. André Green è molto chiaro a questo proposito, e ci consegna una rappresentazione geometrica della triangolazione edipica in cui un lato è mancante: "Faremo notare soltanto che questo modello è rappresentato non tanto da un triangolo chiuso quanto da un triangolo aperto. In effetti se vi è una relazione completa tra i genitori e una relazione pulsionale a metà inibita tra la madre e il bambino, questo non ha equivalenti tra il padre e il bambino. E arriviamo ora a un'osservazione capitale: dei tre poli di questa triangolazione, la madre è la sola ad avere una relazione carnale con gli altri due, con il padre e il bambino stesso, benché differente nella sua espressione" [14]. La mia ipotesi, molto semplicemente, è quella di fare in modo che il triangolo si chiuda, si completi, che si trovi la via per poter mettere in comunicazione il figlio con il padre. Il difetto non sta nell'essere un 'recinto' dal quale non è possibile uscire - come direbbero Deleuze e Guattari -, ma dal suo essere incompleto, mancante di un lato. Paradossalmente, per poter andare oltre il 'recinto' edipico bisogna chiuderlo. Solo così il figlio può avere una base sicura e stabile da cui partire per andare 'oltre'. Tornando alla mia ipotesi, si può partire appunto da ciò che è ante, che sta prima della coppia generativa, ma non cercando altrove, non nel non-edipico né nell'anti-Edipo. Ciò che è prima del triangolo permette di andare oltre. Il padre 'ante' è un soggetto che non ha legami - nella fantasia del figlio -, che non obbliga alla distruzione della coppia per invidia-gelosia. E' 'altro' pur rimanendo 'quel' padre. Le fantasie sul padre del prima allargano l'orizzonte dell'ambito familiare, pur restando aderenti ai due soggetti - padre e madre - che con i loro corpi, odori, sapori e profumi hanno abitato quell'iniziazione alla presenza desiderata dell'altro che ogni bambino ha attraversato e con la quale ogni adolescente si deve confrontare. Il padre, prima di essere padre, quale uomo era?

Una lettura del mito edipico: la maledizione di Laio

Sandro Gindro, in A Tiresia, ci offre un'ampia riflessione sulla teoria psicoanalitica che - nel suo stile tra lirismo e colloquialità espositiva, e sempre denso di riferimenti culturali alti - centra il tema dell'Edipo. L'indovino Tiresia è colui al quale Edipo chiede di aprire lo spazio di conoscenza per poter accedere ad una possibile soluzione del dramma tragico. Il suo ruolo, il suo senso, hanno qualcosa in comune con la funzione che lo psicoanalista è chiamato ad assolvere: permettere di governare gli eventi della propria esistenza attraverso la conoscenza. Il luogo del mito 'fondativo' della psicoanalisi freudiana viene indagato e scavato alla ricerca degli spazi lasciati in ombra dal maestro viennese, nel tentativo di proporre nuove prospettive che diano linfa vitale al prezioso strumento descritto da Freud. In tal senso la visuale dell'indagine sul mito viene allargata: non più circoscritta all'Edipo re di Sofocle, ma che prende le mosse da Euripide - con il mito del padre Laio - e accompagna l'Edipo sofocleo fino al bosco sacro di Colono, luogo della sua sparizione in compagnia di Zeus. Proviamo a seguire il ragionamento di Gindro attraverso alcuni passaggi del libro, per arrivare al centro di attenzione del nostro percorso: la funzione paterna. "Il mito di Edipo è un mito antico e contraddittorio; la versione di Sofocle è una tra le altre. Sofocle scelse quella chissà perché; forse perché era la più dilavata e semplice, facilmente rappresentabile. La tragedia attica ha come suo materiale il mito, lontano e vicino allo stesso tempo. Sufficientemente lontano da inebriare gli spettatori con il sapore del mistero e sufficientemente vicino per coinvolgerli fino in fondo. La tragedia è un prodotto artistico esplicitamente non scritto per i posteri: il passato diviene presente, perché esprime le contraddizioni, le paure, le speranze di quel gruppo sociale. La tragedia attica dovrebbe essere quanto mai incomprensibile alla società di uomini nati duemilacinquecento anni dopo; come mai, invece, non è così? E' perché sono raccontati in modo sublime dai grandi tragici? Indubbiamente anche per questo. Sofocle, Eschilo, Euripide hanno dato alla nostra cultura opere di teatro di perfetta bellezza, forse mai più raggiunta. Questa è la loro vitalità? E' per questo che tuttora si è turbati e scossi di fronte alle storie di Edipo, di Agamennone, di Antigone? Io non credo che sia soltanto per l'abilità dei tre grandi tragici. Il mito è prima della tragedia e vive parallelamente alla tragedia e continua a emozionare. I miti greci, e non solo quello di Edipo, sono come un humus su cui ha attecchito un'infinita quantità di opere d'arte della nostra cultura" [15]. Fatta questa premessa, si entra nel merito della storia di Edipo, e inevitabilmente la ricerca del 'senso' del mito stesso - o per meglio dire del punto di fuga che dà pregnanza a quella storia in quanto di valore collettivo, mitopoietica appunto - porta l'autore al tema del 'destino' come supposto organizzatore dell'esistenza individuale. "La versione del mito narrata da Sofocle è una delle tante, e, soprattutto, non dice una cosa fondamentale: nell'Edipo re si sa che l'oracolo di Apollo ha detto a Laio che se avesse avuto un figlio questo lo avrebbe ucciso. Ma di dove viene la maledizione di Apollo? E' la manifestazione dell'oscura e ineluttabile volontà del destino? Così lascia intendere Sofocle (...) Tebe è flagellata da un morbo a causa del sovrano parricida e incestuoso, ma perché è toccata tal sorte al figlio di Laio? Nella tragedia di Sofocle, Tiresia non lo dice: non lo dice perché non lo sa. Per ragioni teatrali Sofocle fa scaturire il dramma di Edipo da un misterioso dettame divino e fatale (...) Lo spettatore si chiede: perché tutto questo? Freud stesso cade nell'inganno che Sofocle ordisce agli spettatori: pensa che non vi sia un perché alle azioni di Edipo. Tanto è vero che definisce l'Edipo re una tragedia del destino: il destino è una forza imperscutabile espressa dall'oracolo di Apollo (...) Il mito invece è ben più ampio: Edipo non ha colpa, questo è vero, però subisce gli effetti di una maledizione scagliata contro suo padre. Può non essere giusto che le colpe dei padri ricadano sui figli, ma quante volte, in quante storie, ciò è accaduto? La vicenda di Edipo è la conseguenza necessaria di una causa prima, non oscura, ma chiara e precisa. L'imperscrutabilità del destino, una volta tanto, non c'entra. Il padre di Edipo, Laio, trovandosi per un periodo a Pisa, su cui regnava Pelope, ne sedusse il figlio Crisippo e lo rapì. Pelope scagliò una maledizione su Laio: 'se avrai un figlio questi ti ucciderà'. Gli dèi sottoscrissero questa maledizione. Il mito di Laio è molto intricato. Tutte le versioni parlano di questo amore omosessuale, ma le sue vicende sono raccontate in modi assai diversi. Un racconto dice che Laio fuggì con il giovinetto, poi entrambi furono ripresi e riportati a Pisa dagli altri due figli di Pelope, Atreo e Tieste. Un'altra narrazione dice che Laio portò Crisippo a Tebe e dimentico dei doveri coniugali con Giocasta si interessò sessualmente soltanto a Crisippo. Ecco: la maledizione potrebbe essere venuta da Era, protettrice della famiglia e dell'eterosessualità. Questo amore tormentato conosce altre versioni e altri intrighi; però la tragedia di Edipo è lo sbocco originato dalla maledizione per l'amore di Laio verso Crisippo; perciò nulla di misterioso. Laio sfidando la maledizione genera ugualmente un figlio con Giocasta. Tutto è chiaro: tutto è originato da una colpa, che consiste o nel rapimento di un giovinetto, tradendo l'ospitalità o nel dispregio palese dei vincoli coniugali"[16]. La complessità e la polisemia del mito si manifestano qui con evidenza. Il mito è un tessuto, una trama di storie che si intrecciano, e non un filo narrativo che segue una sua linearità univoca. In qualche modo il mito ha nelle sue versioni - variazioni su un tema, in senso musicale, come le definisce Kerényi[17] - la struttura che ne definisce il suo essere una sorta di 'sinfonia'. La versione del mito che Gindro ci propone aggiunge una caratterizzazione a ciò che finora abbiamo definito come uno dei centri del lavorio mentale dell'adolescente riguardo alla sua storia delle origini: Edipo interroga l'indovino Tiresia per conoscere la colpa del passato del padre che ora pesa su di lui. La suggestione proposta da Gindro ci riporta alla figura di Edipo che si interroga sulle cause che hanno prodotto il suo destino. E' nel 'prima della sua nascita' la ragione della sua disperazione. Se Edipo avesse saputo, avrebbe potuto evitare la sua sorte. Ciò che libera dalla sofferenza è la conoscenza della propria storia delle origini, la propria genealogia. Edipo non ha avuto un padre da cui essere nutrito affettivamente, da cui ricevere la storia delle sue origini: è questa la ragione della sua sofferenza.

Separiamoci ora dalla lettura del mito e torniamo ai "piani bassi dell'edificio umano", ovvero alla clinica. Lo spunto che traggo dal mito - così declinato - non può non farmi venire alla mente le tante storie, fantasticherie e sogni che sento narrare dagli adolescenti in analisi: fantasie e sogni girano spesso attorno ad un fulcro, un personaggio misterioso, che riguarda un soggetto maschile, un uomo adulto, ma ancora molto giovane, connotato in forme molteplici dalla stranezza, nel suo compiere gesti incomprensibili, apparentemente senza senso. Lo 'strano' - estraneo, straniero - finisce spesso per collegarsi nelle associazioni mentali con frammenti di racconti che il padre gli aveva fatto a proposito della sua storia passata. Molto spesso l'analizzando, nel riferire i frammenti di storia paterna, conclude con: "ma io non so...". Edipo è di fronte alla sfinge. La bramosia di una presenza paterna si rende manifesta, appena al di sotto di uno strato di indifferenza, disprezzo, ignoranza, noia. C'è bisogno di un padre, ma questo desiderio è indichiarabile, indicibile. Seguendo la reverie del figlio sulla storia del padre, in quel 'prima' del congiungimento con la madre, essa viene quindi a caratterizzarsi come ricerca della verità sul padre 'omosessuale'. Omosessuale può significare molte cose, anche ma non unicamente e chiaramente sessuali: un padre presente fisicamente, disponibile, con un corpo non 'proibito'. Un padre caldo e affettuoso, con il quale giocare. Un padre non spaventato dalla sessualità del figlio maschio. Un'altra corporeità diversa da quella materna. Un corpo 'altro' ma simile al proprio, necessario per appropriarsi di un'identità di genere maschile, e quindi poter accedere all'alterità senza i turbamenti che sono determinati dal timore di perdersi nel simile, nel rispecchiamento dell'identificazione-proiezione. Forse è stata la proverbiale e ignobile omofobia degli psicoanalisti ad aver sottratto questo pezzo di realtà edipica alla sua declinazione compiuta: come è possibile che la dichiarata bisessualità degli esseri umani (S. Freud) non abbia trovato luogo nell'Edipo, ovvero nel centro teorico della psicoanalisi?[18] Il romanzo familiare che l'adolescente fantastica e tesse riguarda, anche, un suo pensare al padre in compagnia di un giovinetto, prima di incontrare la madre. Il ragazzo Edipo vorrebbe essere, in qualche modo, Crisippo.

Una geometria tridimensionale dell'Edipo

Sigmund Freud ha sottolineato più volte la necessità di dare una lettura bisessuale dell'Edipo, ma di fatto la ha lasciata 'dietro le quinte'. O forse sono stati i post-freudiani a farlo? Il nostro debito di gratitudine nei confronti del viennese non si estingue nell'andare a cercare ciò che egli non ha fatto. Ha aperto una strada che talvolta i suoi continuatori hanno smarrito. Compito clinico è quindi quello - tra gli altri ovviamente - di accogliere e favorire questa funzione autobiografica paterna, generatrice per il figlio della propria genealogia. E qui mi riferisco ai due soggetti in gioco, sia il padre sia il figlio: clinicamente vi si può lavorare sia avendo di fronte il genitore, che così ha l'accesso al suo divenire 'padre' in senso pieno, sia con l'adolescente alla ricerca delle origini della sua identità di genere. Attraverso questo lavoro che - centrandosi sulla triangolazione edipica ne costruisce una geometria multiforme, potremmo dire tridimensionale, dell'avventura affettiva ed emozionale del bambino- adolescente - si offre al soggetto figlio lo spazio mentale per costituirsi come individuo 'pieno'. Genealogia, generazione e genere vengono a legarsi in un unico 'romanzo'. L'accesso al prima permette di elaborare la polidirezionalità delle varie triangolazioni, di elaborare la figura del padre 'omosessuale' - ovvero affettivamente disponibile nei confronti del figlio maschio - . L'identità di genere - specialmente in adolescenza, momento della sua piena costituzione - inevitabilmente comporta un'elaborazione dei propri desideri omosessuali. Il 'compito' che la società e la cultura consegnano è quello del raggiungimento dell'eterosessualità come unica via di realizzazione-normalizzazione. Bisogna prendere le distanze dagli innamoramenti precedenti, permessi soltanto in quanto 'infantili'. La mia domanda è: per quanto tempo ancora? La risposta dei benpensanti è: ancora per molto tempo, forse per i secoli a venire...

Il diniego della femmina, l'enigma della femminilità

A conclusione di queste riflessioni non posso non sottolineare un limite evidente: nella 'migliore' tradizione psicoanalitica da Sigmund Freud in avanti, occupandomi del complesso di Edipo, ho fatto sparire la soggettività femminile dall'orizzonte teorico della psicoanalisi. Si tratta quindi di un vero e proprio diniego. Ciò che Freud ha definito "enigma della femminilità" continua a rimanere tale. Ho parlato del figlio maschio che fantastica sul padre, e ho lasciato sullo sfondo o dietro le quinte le altre due figure, la figlia e la madre. Il soggetto-femmina, definito appunto da Freud come "umbratile, misterioso", dovrebbe rientrare nel alveo edipico o secondo la vulgata psicoanalitica in quanto 'oggetto del desiderio' dei due maschi in conflitto tra loro, oppure per omologazione speculare al destino maschile dell'Edipo: ovvero, tutto ciò che è stato detto per il figlio maschio e il padre è valido anche per la figlia e la madre. E quindi la madre, come il padre, nel suo collocarsi in quel 'prima della forma eterosessuale', dovrebbe assumere su di sé gli stessi oneri e onori. Anche lei è chiamata a descriversi ed essere descritta nel suo essere disponibile al rapporto con la figlia? Quali sono le differenze? Furbescamente mi ritiro e ripropongo la frase 'finale' che pronunciò Sigmund Freud di fronte a tale tema: "Questo è tutto quanto avevo da dirvi sulla femminilità. E' certo incompleto e frammentario e non sempre suona gentile. Non dimenticate però che abbiamo descritto la donna solo in quanto la sua natura è determinata dalla funzione sessuale. Questo influsso, per la verità, giunge molto lontano, ma teniamo presente che ogni donna è anche un essere umano che può avere aspetti diversi. Se volete saperne di più sulla femminilità, interrogate la vostra esperienza, o rivolgetevi ai poeti, oppure attendete che la scienza possa darvi ragguagli meglio approfonditi e più coerenti"[19].

Bibliografia

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R. Bracalenti, Questioni di identità, in corso di stampa

G. Deleuze, F. Guattari, L'anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi 1975

J. Derrida, E. Roudinesco, Quale domani? Bollati Boringhieri 2004

M. Foucault, La volontà di sapere, Feltrinelli 2001

S. Freud, 1908a, Teorie sessuali dei bambini , OSF vol. 5, Boringhieri 1976

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S. Gindro, A Tiresia, Edizioni Psicoanalisi Contro 1983

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K. Kerènyi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Garzanti 1981, 2° volume (Gli Eroi)

A. Luchetti, Il romanzo familiare, in: Centro Psicoanalitico di Roma, Genealogia e formazione

dell'apparato psichico, F. Angeli, 2007

G. Monniello, Adolescenza romanzata, in "Adolescenza e Psicoanalisi", III n. 1, 2008, Magi

G. Simenon, Pedigree, Adelphi 1987.

Note:

[1] R. Bracalenti, Questioni di identità, in corso di stampa [2] S. Gindro, L'oro della psicoanalisi, A. Guida, 1993

[3] Ricordo qui il richiamo che J. Derrida e E. Roudinesco chiaramente pongono alla psicoanalisi in Quale domani? (Bollati Boringhieri 2004) a proposito delle trasformazioni della famiglia che obbliga la psicoanalisi a trasformare se stessa.

[4] S. Freud, L. Binswanger (1908-1938), Correspondance, Calmann- Lévi, 1995

[5] G. Simenon, Pedigree, Adelphi 1987

[6]D. Grossman, Il libro della grammatica interiore, Mondadori 2008, pag. 175.

[7] S. Freud, 1908a, Teorie sessuali dei bambini , OSF vol. 5, Boringhieri 1976

[8] S. Freud, 1908b, Il romanzo familiare dei nevrotici , OSF vol. 5, Boringhieri 1976

[9] Ibidem

[10] P.-L. Assoun, Introduzione alla psicoanalisi, Borla, 1999

[11] [11] A. Luchetti, Il romanzo familiare, in: Centro Psicoanalitico di Roma, Genealogia e formazione dell'apparato psichico, F. Angeli, 2007

[12] G. Monniello, Adolescenza romanzata, in "Adolescenza e Psicoanalisi", III n. 1 2008, Magi, pag. 9

[13] G. Deleuze, F. Guattari, L'anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi 1975

[14] A. Green, Idee per una psicoanalisi contemporanea, Cortina 2004

[15] S. Gindro, A Tiresia, Ed. Psicoanalisi Contro 1983

[16] Ibidem

[17] Si confronti al riguardo, di Kàroly Kerènyi, Gli dei e gli Eroi della Grecia, Garzanti 1981, nel cap. 10 del 2° volume (Gli Eroi), interamente dedicata a Edipo. Qui, tra l'altro, l'autore fa riferimento alla tragedia Crisippo di Euripide, in cui si narra che Laio, il figlio di Labdaco, sarebbe stato l'inventore dell'amore omosessuale (pag. 96).

[18] Bassi F., Galli P.F., L'omosessualità nella psicoanalisi, Einaudi 2000. Nell'introduzione si legge: "Il lettore potrà constatare che la storia del rapporto tra psicoanalisi e omosessualità sia, in larga misura, la storia di un pregiudizio. In questo senso essa non si discosta di molto dalle tante altre situazioni nelle quali il pregiudizio ha dominato il campo sfruttando la copertura di ipotesi considerate scientifiche" (p. XXI).

[19] Freud S., Introduzione alla psicoanalisi (Nuova serie di lezioni) - Femminilità (1932), OSF, vol. XI, Torino, Boringhieri 1979.


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