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PSYCHOMEDIA
TERAPIA NEL SETTING INDIVIDUALE
Psicoanalisi in America Latina


Su emigrazioni e traslazioni

Marcio de Freitas Giovannetti

E’ vero che l’uomo come specie completò la sua evoluzione già da migliaia d’anni; ma l’umanità, come specie, appena l’ha iniziata”
(W. Benjamin, 2006)

 

  1. In uno stimolante articolo intitolato “Che cos’è il contemporaneo?”, Giorgio Agamben pone due questioni centrali per tutti gli psicoanalisti: “Di chi e di che cosa siamo contemporanei? E, innanzitutto, che cosa significa essere contemporanei?”. Punti focali per tutti gli psicoanalisti, dico io, poiché la nostra prassi solo si può dare uno scopo nel contemporaneo, in quello che classicamente chiamiamo il “qui ed ora”. In Passagens (N. 3,1), Benjamin scrisse che “Tutto il presente è determinato da quelle immagini che gli sono sincroniche: ogni ora è l’ora della conoscibilità. In essa la verità è caricata di tempo fino al punto di esplodere … Non è che il passato lancia la sua luce sul presente o che il presente lancia la sua luce sopra il passato; ma l’immagine è ciò che l’accaduto incontra ora in un lampo, formando una costellazione”. Ed è giustamente nella scia del pensiero di Benjamin che Agamben va proponendo la sua riflessione sulla contemporaneità. Suggerendo che “contemporaneo è colui che tiene fisso lo sguardo nel suo tempo, per percepirne non le luci, ma il buio” e che, sapendo vedere questa oscurità, “ è in grado di scrivere intingendo la penna nella tenebra del presente”; e dicendo che “contemporaneo è colui che percepisce il buio del suo tempo come qualcosa che lo riguarda e non cessa di interrogarlo …” (pag. 23, 24), egli mostra che “l’appuntamento che è in questione nella contemporaneità non ha luogo semplicemente nel tempo cronologico: è, nel tempo cronologico, qualcosa che urge dentro di esso e lo trasforma: E questa urgenza è l’intempestività, l’anacronismo …” “Chi può dire – il mio tempo – divide il tempo, iscrive in esso una cesura e una discontinuità; e, tuttavia, proprio attraverso questa cesura, questa interpolazione del presente nell’omogeneità inerte del tempo lineare, il contemporaneo mette in opera una relazione speciale fra i tempi …, fa di questa frattura il luogo di un appuntamento e di un incontro fra i tempi e le generazioni” (pag. 30).

  2. Quando scrisse il “Frammento di un’analisi d’isteria” (1905), Freud si mostrò un uomo contemporaneo, dentro la prospettiva fissata da Agamben: non è il caso Dora giustamente quello che introdusse una frattura nel tempo lineare, permettendo la creazione del concetto centrale della clinica psicoanalitica - ossia del transfert? Concetto questo che solo può essere articolato in un “solo dopo”, quando gli incontri tra Freud e Dora già erano stati intempestivamente interrotti e che, denunciando la complessità del tempo e dello spazio per il soggetto, che egli si trova sempre inserito nella sua contemporaneità, stabilì le basi della clinica psicoanalitica. Vienna, 1900, passaggio da un secolo all’altro, erano stati il luogo e il momento storico nel quale si consumò quel “primo” incontro psicoanalitico. Momento e luogo questi, esaltanti e precisamente tradotti nei due sogni di Dora, attraverso le metafore in “una casa c’è un incendio” e “mi aggiro per una città che non conosco”. Immagini queste che acquisiscono tutto il potenziale rappresentativo di uno stato di emergenza nel ricordarci che dalla casa lei doveva uscire – ma solo dopo il recupero dello scrigno dei gioielli – e che, nella città sconosciuta, lei chiedeva ad ogni anonimo passante che incontrava “dov’è la stazione?”, ottenendo sempre la stessa risposta “a cinque minuti”. Uno stato di transito urgente per un luogo in via di estinzione che si trasforma, in un secondo momento, in un nuovo luogo sconosciuto da dove anche è necessario uscire: rappresentazioni emblematiche del qui ed ora della trasferenza per un lato, e, per l’altro, del momento storico nel quale si faceva quell’analisi.

3. In un momento storico nel quale si intensificavano le migrazioni, fossero dal campo alla città, fossero dal Vecchio per il Nuovo Mondo, fu giustamente in una metropoli – Vienna era allora la sesta o settima città del mondo – che sorse la psicoanalisi come a sottolineare che il soggetto psicoanalitico è quello che è sempre in emigrazione, in trasferimento, sotto il segno di una casa in fiamme, tentando di recuperare in un regime di urgenza i suoi oggetti preziosi minacciati o perduti; in transito nell’anonimato di una città sconosciuta e sempre a 5 minuti da dove dovrebbe o desidererebbe stare. Perciò essendo sempre “in-fans”, senza parola, o meglio, sempre parlando della sua “in-fanzia” in un luogo e in un tempo che già non sono quelli del suo passato, egli è sempre in ritardo e in un stato di fretta … Da qui l’uscita intempestiva di Dora e il ritardo, o l’anacronismo di Freud nel prendere conoscenza del transfert. Egli stesso, il primo a dare voce e parola a quello che chiamò inconscio, era “in-fans”, senza parola, davanti alla velocità atemporale dei movimenti di un soggetto in un mondo che non si ferma dall’emigrare, sia esso all’interno o all’esterno. Poiché è pulsionale il movimento che trascina, inesorabilmente, la roccaforte umana.

4. Come non considerare il fatto che sia Freud come Dora erano, i due, emigranti di piccole città del territorio, che vivevano in quel momento nella metropoli? Campagna e città, natura e cultura. E’ giustamente questa alternanza fra un luogo per sempre perduto e uno nuovo e sconosciuto luogo esistenziale che dà inizio alla cifra del soggetto psicoanalitico. Cifra questa già presente in quello che io vedo essere una delle pietre di contatto del pensiero freudiano, la tragedia edipica: un luogo che non era né nel territorio né nella città – perché “le porte di Tebe” - ci segnala che da più di due mila anni il luogo della sfinge e, pertanto, un enigma umano. Nel 1900, come nei mitici tempi di Edipo, il soggetto continuava la sua migrazione con i suoi inevitabili incidenti di percorso. .

  1. Se nel 1900, alle porte di Tebe, c’erano i sogni – l’immagini – singolari e proprie di una giovane dell’interno dell’Austria che si era trasferita nella metropoli, essendo la sua decifrazione il cuore della clinica psicoanalitica, cento anni dopo il sogno – la immagine – che vedo occupare questo stesso luogo fu soltanto una. Non per coincidenza, anche se mostrava una casa in fiamme, un enorme scrigno di gioielli. Così smettono di essere dei valori ciò che era conservato nelle Torri Gemelle, centro mondiale del commercio globalizzato, situato non più in una metropoli, ma nella megalopoli simbolo di tutte le migrazioni del sec. XX, New York City, una città in qualche forma conosciuta e sconosciuta da tutti noi. Le immagini reiterate attraverso il ciberspazio che fecero riunire tutti gli abitanti di questo pianeta, psicoanalisti e non, non erano stati prodotti da un soggetto singolare ed unico né furono i prodotti di un cronaca o di un racconto fatti nel privato di un incontro con un altro soggetto singolare. Non si trattava più di decifrare un sogno. Non essendo più il sogno di ognuno, era la rappresentazione mediatica di un “eccesso di mondo” che, oltrepassando tutto lo spazio soggettivo, vedo che esige una testimonianza e una ospitalità urgente da parte della massa umana in un mondo globalizzato e perplesso, enfatizzando che soggettività e città, soggetto e cultura per così dire, sono una amalgama unica. Fatto questo che, per noi che esercitiamo la psicoanalisi, rimise all’ordine del giorno i così famosi testi culturali di Freud: Il Malessere nella Cultura, Il Futuro di una illusione, Psicologia delle masse e Analisi dell’Io, Totem e Tabù. Confermando altresì l’aforisma benjaminiano che “ C’è sempre un momento particolare nel quale si può veramente intendere un testo”, poi se il suo intendimento è legato sempre al momento storico nel quale venne prodotto e dal momento e dalle condizioni nel quale viene letto, il suo reale significato solo si rivela, nella maggior parte delle volte, nell’effetto di una contemporaneità, a partire da un avvenimento che lo rende, per così dire, leggibile.

  2. Non si sa come permettersi di rileggere i sogni di Dora alla luce o, parafrasando Agamben, all’oscurità in essi lanciati nel percorso che l’umanità prese poco più di cento anni orsono che da loro ci separano. Né come permettersi di rileggere in questa prospettiva l’opera freudiana, osservando che essa inizia con un concetto di soggetto singolare e familiare e cammina in direzione di una espansione di questo concetto verso un soggetto amalgamato con la massa, frutto anche del suo tempo. Non sarebbe stata gruppale la prima soggettività come egli la pensa in Totem e Tabù? Idea questa che viene sottolineata anche nel suo ultimo lavoro, Mose e il Monoteismo, in qualche modo un testamento e un avviso per i suoi seguaci che non si trasformassero in un gruppo religioso. Non sottostimare le forze totemiche a vantaggio di tutto il lavoro civilizzatore (e di tutta la psicoanalisi) erano le sue ultime parole. Così la “in-fanzia” di ognuno di noi e di tutta la umanità mai lascia di esistere. Il che significa che le forze transferali esistenti in ognuno di noi e nel nostro gruppo di inserimento sopravvivono ad ogni parola e a tutto il pensiero. Da qui la impossibilità di educare, governare e psicoanalizzare. La nostra casa ancora è in fiamme e le nostre città ancora sono sconosciute e, nonostante tutti i nostri monumenti, il nomadismo atavico si attualizza adesso in un nomadismo globalizzato. E la stazione, continua ad essere a cinque minuti da qui ...

  1. Quasi che a metà del cammino di Dora e dell’11 settembre del 2001, il gruppo psicoanalitico venne devastato da due accadimenti traumatici, di ordine e magnitudine differenti senza dubbio, ma che lasciarono segni significativi nella clinica e nella conseguente teorizzazione. Alla fine degli anni trenta, in una sincronia altamente significativa, il gruppo come un tutto rimane orfano del fondatore e vive gli accadimenti della 2ª Grande Guerra. Era “ la mezza notte del secolo” nella testuale espressione di Victor Serge. La grande parte dei suoi componenti è lanciata verso l’esilio involontario. Con Vienna occupata dal nazismo, la casa era di nuovo in fiamme. E la città più sconosciuta che mai. Un nuovo campo, quello di concentramento, era intanto creato dalla paranoia umana nel suo più alto grado e da esso esalava un fumo che, impregnava tutto il continente europeo, lasciando segni indelebili in tutto il secolo XX. E, come non potrebbe lasciare di esistere, nel pensiero e nella pratica psicoanalitica. Perdita del padre, della patria, della famiglia furono fattori che influirono sia nell’ascolto sia nella concettualizzazione teorica degli psicoanalisti in quel momento. E la comprensione del “setting” e della trasferenza si irrigidì, cristalizzandosi in una forma reattiva e melanconica. Terribile e spaventoso di più il mondo esterno, fosse quello o del Vecchio o del Nuovo Mondo, è comprensibile che le analisi si ritraessero per un “qui ed ora” ristretto e difeso, con una enfasi eccessiva per il “mondo interno”, distanziandosi dal suo naturale luogo, o di transito tra l‘un e l’altro. Edipo rimase senza Tebe ... Destituito dalla sua città, il soggetto psicoanalitico come se fosse migrato per una clausura nella quale la sua patria e la storia erano impediti di entrare. La cultura era intanto, per sue emanazioni traumatiche, o non raccontabili, l’irrappresentabile per eccellenza. E l’analizzando, per così dire, stava male nella cultura, dunque i resti diurni erano oltremodo portati all’ascolto dello psicoanalista in quel tempo che s’incontrava, orfano, espatriato .

  2. Fu solo nel “solo dopo”, che lo scrigno di gioielli lasciata da Freud può essere, poco a poco, riaperta e ricollocata in un uso definitivo per il nostro gruppo. I contributi di Winnicott e Lacan negli anni cinquanta e sessanta vennero in qualche modo ad arieggiare sia il setting sia l’ascolto dello psicoanalista. Non senza provocare molto clamore e anatemi dentro la comunità. Ma i concetti di spazio e oggetto transazionali da parte di uno, e del Simbolico, Immaginario e Reale e il tempo logico, da parte dell’altro, vanno a riaprire il percorso freudiano, e ri-problematizzando l’idea del qui ed ora. Altresì per questa epoca, il concetto di “reverie” di Bion, nonostante sia centrato sul modello madre-bambino, va rintroducendo il modello del sogno con tutti i suoi resti diurni nella pratica clinica. Nel nostro continente, la coppia Baranger concettualizza “il campo psicoanalitico”, ampliando anche la concezione di quello che sarebbe una interpretazione transferale. E, a seguire, negli inizi degli anni 80, Fabio Herrmann andò formulando i suoi concetti di campo transferale e rottura del campo che rendono utilizzabili le sue considerazioni sulla clinica in generale, praticamente nello stesso tempo nel quale Marcelo Viñar va dimostrando, con i suoi lavori, una clinica compromessa con il contemporaneo e con la storia. Sono passati sessanta anni dalla morte di Freud e, il mondo già nell’era cibernetica, la nostra clinica incassa, in maggior o minor grado, la città.

  3. Che cosa è il qui in un contesto di deterritorializzazione del pianeta di reinvenzione del nomadismo? Che cosa è ora quando è evidente che l’accelerazione del tempo si ha in sincronia con il prolungamento della vita umana che decorre conseguentemente alla sviluppo tecnologico? Che cosa è con me quando lo spazio cibernetico tende a sostituire quello che tradizionalmente intendiamo come spazio, avendo la possibilità di nuovi tipi d’incontri? Se la base della nostra professione vennero edificate all’inizio del secolo XX, come farlo camminare nell’inizio del secolo XXI? Il problema diventa più ampio se consideriamo il fatto che la parola latina “seculum” significava, nella sua origine, il tempo della durata della vita di un umano. Solamente più tardi, venne ad acquisire il significato di cento anni. Solamente più tardi, venne ad acquisire il significato di cento anni.

  4. Nel 1786, all’età di 37 anni e già un uomo famoso, Goethe inizia il suo viaggio che durerà due anni in Italia. Tre mesi dopo la sua partenza da Weimar, già era in Roma, egli scrive “ Seguo ad essere sempre la stessa persona ma credo di essere mutato fino alle ossa” e alcuni mesi dopo, da Napoli, “sembro a me stesso una persona totalmente differente. Ieri ho pensato con me stesso: o tu eri pazzo prima o lo sei diventato adesso”. Parole altamente significative per pensare l’impatto che il passaggio delle frontiere e il contatto con un’altra cultura provocano in ognuno di noi. Sono poco o meno due secoli addietro, la frontiera in questione era quella che separava la Prussia dall’Italia, abbiamo bisogno di un nuovo Goethe per articolare l’impatto vissuto da ognuno di noi quando tutte le frontiere sembrano essere state oltrepassate e la cultura occidentale si contende o si confronta con l’orientale. .

  5. Il 16 gennaio 1787, Goethe scrive che tutti gli artisti di Roma sono in lutto, in quanto il re di Napoli, legittimo erede dei Farnese, porterà nel suo palazzo l’Ercole Farnese, copia romana in bronzo di un originale greco del sec. VI a. C., ritrovato nel sec. XVI negli scavi delle Terme di Caracalla. Ma, aggiunge Goethe, “l’occasione ci permetterà di vedere qualcosa che i nostri antenati giammai hanno potuto vedere”. Quando la scultura era stata trovata nel terreno di proprietà dei Farnese, di essa mancavano le gambe, le due ginocchia fino alla caviglia, esistendo però i piedi e il piedistallo sulla quale essa era appoggiata. Per rifare le parti mancanti, era stato convocato Guglielmo della Porta, riposando la statua sulle parti restaurate fino ad ora. Nel frattempo, le gambe antiche e vere furono ritrovate, in un secondo momento, nel terreno dei Borghese, rimanendo fino a quel momento esposte nella Villa Borghese. E solo in quel momento, alla fine del sec. XVIII, il principe Borghese si liberava di quelle gambe, donandole al re di Napoli: infine la statua poteva essere restaurata. L’originale greco in marmo del sec. VI a. C., copia romana in bronzo dell’inizio dell’era cristiana, possibilmente saccheggiata e persa nelle invasioni barbariche, ricomparsa e restaurata parzialmente nel sec. XVI, restaurazione finale nel sec. XVIII, quando il suo trasferimento da Roma nel regno di Napoli: in una statua, sono condensate e documentate i fatti che fecero la storia della cultura occidentale, o per così dire, le gambe della nostra cultura, del nostro pensiero. In Psicoanalisi, tutti lo sappiamo che non brighiamo con statue. Ma ciò che non pare essere a conoscenza di tutti gli psicoanalisti è che il nostro bagaglio teorico più che definire ciò che sia un essere umano non è più di un documento, estremamente importante senza dubbio, dei fatti storici avvenuti dalla creazione del primo documento, l’originale. Nello stesso modo che l’Ercole Farnese annota la riproduzione dell’essere umano dentro la sua storicità è necessario guardarci nel nostro corpo teorico e pratico da questa stessa prospettiva. O come teorizzò Fabio Hermann, a partire dai campi transferali nei quali ogni teoria venne creata. E’ verso questo che ci indirizza anche il libro di Green, “Per una psicoanalisi Contemporanea”, nel mostrare che il movimento psicoanalitico è fatto da persone comuni, soggette a tutte le vicissitudini dell’inserimento politico - gruppale … E è per questa riflessione che la clinica contemporanea ci convoca...

  6. Se nel 1900, l’enfasi della clinica freudiana era collocata nella decifrazione e nella interpretazione del significato represso - quello che Freud chiamò dell’infantile – a partire dagli anni venti esso va trasformandosi in conseguenza delle sue proprie teorizzazioni e già nel 1919, a partire dalle considerazioni di “Al di là del Principio di Piacere”, il compito dell’analista, l’interpretazione, così come il sogno, passa ad avere una funzione riparatrice del proprio tessuto psichico, del proprio Io, traumatizzato e lacerato che si incontravano coi resti diurni. Il qui ed ora si approssima pertanto più ad una ricerca per la rappresentazione possibile di un soggetto in sfacelo a partire dalle sue proprie rovine, di ciò che deve essere decifrato di un passato storico localizzato in un tempo lineare e omogeneo. Dunque a seguire, il suo concetto di “Verleugnung”, denegare, viene a denunciare un soggetto reificato e feticizzato. Non sono giustamente queste le questioni essenziali della clinica contemporanea? Non sono il crollo delle Torri Gemelle la migliore allegoria per il soggetto che frequenta oggi i nostri consultori, come a segnare nelle stesso qui ed ora la presenza sincronica di cultura e barbarie, di tecnologia e “arché”? Le fiamme civilizzatrici sempre crearono le immagini delle nostre tante rappresentazioni.

  1. Ho due certificati di nascita, il primo solo con il nome di mia madre, il secondo, ricevuto anni dopo, anche con il nome di mio padre”. Fu così che un giovane ragazzo mi si presentò in quella prima intervista, tre anni orsono. Sebbene, stesse soltanto di passaggio a São Paulo, in quanto dopo due giorni sarebbe tornato nel continente dove lavorava, egli stava cercando un analista perché non sopportava più quello che chiamava uno dei “suoi molti momenti di depressione”. Il suo lavoro l’obbligava a spostarsi per paesi diversi nel periodo di una stessa settimana, ciò gli impediva di incontrarsi con un analista, di persona, con una determinata frequenza. In questo modo iniziarono i nostri incontri, per la maggior parte delle volte attraverso Skype, e, quando di passaggio per il Brasile, in un modo tradizionale, nel mio consultorio. “non vada via da qui” fu quello che lui mi rispose quando discutevo la validità e l’efficacia di queste sedute, più o meno un mese dopo l’intervista iniziale, avendone la certezza che io rappresentavo l’esistenza di un luogo di riferimento per chi viveva in una costante emigrazione. Toccava a me sostenere l’esistenza di questo luogo. Per chi viveva in aeroporti e stanze d’albergo, il luogo della transferenza non era “un altro luogo” ma sì “il luogo stabile” , un “qui” specifico che permetteva un’esistenza non anonima. “Dr. Marcio, ho completato oggi il mio 87ª viaggio internazionale di questi ultimi 10 mesi”. Lo sconforto che io vivevo per il fatto di attenderlo via Skype, esperienza assolutamente nuova e trasgressiva per me, solo si attenuava nel pensare il quanto scomodo doveva essere per lui attraversare tante frontiere in tanto poco tempo; e per il fatto di essere “presente” sempre, negli orari stabiliti nonostante le differenze del fuso orario esistente tra noi. E delle interruzioni occasionali della rete durante le nostre conversazioni.

  2. Poco a poco, mi sono reso conto che se io non interpretavo, dal punto di vista di quello che tradizionalmente io facevo con i miei altri pazienti, ma anche se enfatizzavo alcuni punti del suo parlare, chiedeva chiarimenti su altri, faceva associazioni proprie a partire da alcuni dei suoi racconti, sollecitava descrizioni della città dove egli si incontrava in quel momento, era chiaro per me che il mio parlare avesse fondamentalmente la funzione di favorire e ancorare il potenziale narrativo di una esperienza di vita tanto differente dalla mia. Se dalla mia parte, io avevo una casa con un indirizzo fisso, un consultorio fatto a modo mio per attendere i miei pazienti, lavoravo nella mia lingua nazionale, da parte sua, tutto era diverso, molto vicino a quello che Marc Augé concettualizzò come “non luoghi”. In una delle nostre conversazioni gli suggerì che lo leggesse. Alcuni giorni dopo, egli esclama: “Dr. Marcio, io sono un non-luogo”. E continua associando che intendeva adesso il perché collezionava le chiavi di tutte le stanze degli hotel dove era alloggiato e tutti i biglietti di imbarchi degli aeroporti dove passava. “E’ un modo di avere qualche cosa di mio, qualche cosa che mi dia la sensazione che tutto sia esistito veramente”, egli concluse.

  3. Sognava frequentemente i suoi amici brasiliani: “ Niente di speciale, soltanto che stiamo sempre in gruppo, conversando, partecipando a un churrasco, cose così”. Il “niente” che era “speciale”, io gli dissi, era mai sentirsi riconosciuto, sentirsi sempre anonimo. La sua risposta fu rapida e certa: “ E’ per questo che rimango sempre male quando, nel passare la dogana, saluto con un sorriso pieno il funzionario che già lo avevo visto lì innumerevoli volte ed egli mi guarda come chi non sta neanche lì”

Non stare lì”, “non esca da lì”: la reiterazione dell’avverbio di luogo mi va rassicurando che un percorso storico-esistenziale si sta tracciando. E come un nuovo sogno, un anno dopo del nostro primo incontro, appare una bella rappresentazione del nostro lavoro assieme. “Ho avuto un sogno così gradevole questa notte. Io stavo in São Paulo e andavo a mangiare cappelletti”. Il “lì” è definitivo, São Paulo, ammettendo e denunciando l’esistenza di teste, la sua e la mia, rimanendo in “etti” – ricostruzione di dietro verso avanti del nome transferale del padre, Giovannetti, diventando capaci di approdare ad un segreto. “mai parlai con nessuno, né con il signore, ma adesso bisogno dirlo. Nella maggior parte dei fine settimana, il sentimento è insopportabile e devo staccare da tutto. Mi approvvigiono di fumo e passo tre giorni chiuso, fumando una dopo l’altra. Voglio mutare questo, ed ho bisogno del suo aiuto”.

  1. Nel dire queste parole, egli mi convoca a testimoniare l’inenarrabile, il suo non-luogo, quello che fino ad adesso non ha una rappresentazione altro che “una certificazione di nascita senza il nome del padre” e il “neanche lì”. Un anno dopo: “Sono incazzato con lui, dunque mi disse che invece di stare nella sua casa in Parigi, egli riservò un hotel cinque stelle, dicendo che così io starei più comodo. Sarà che egli non capisce che solo vado lì per stare con lui?” Nel luogo di quel nome mancante, quello del padre, aveva collocato per un buon tempo il nome di una multinazionale conosciuta da tutti, dandole un supporto per il “riconoscimento” necessario per l’esistenza di tutta e qualsiasi soggettività. Da ciò l’importanza del suo impiego nonostante tutte le vicissitudini in esse vissute. .

  1. In “Cosa resta di Auschwitz”, Agamben parla di due parole latine che diedero origine alla parola testimone, “testis” con il significato di quello che si pone come terzo in un litigio o in un processo. E “superstes” come quello che ha vissuto qualcosa, che ha attraversato fino alla fine un avvenimento e perciò può dare testimonianza di questo (pag. 15). Ed è giustamente in questo ultimo significato che penso quello che chiamo “la funzione testimonianza” dello psicoanalista.

Differentemente dalla funzione interpretante e della funzione del contenere, la funzione della testimonianza è quella che si dà senza che l’analista abbia uno stato della coscienza, benché non significhi in alcun modo che sia una funzione passiva, cioè, qualcosa che viene data interamente e in qualsiasi analisi. Essendo allo stesso tempo causa e conseguenza tanto della funzione interpretante quanto della funzione del contenere, essa occupa, per così dire, un terzo spazio, uno spazio di confine tra l’una e l’altra, lo spazio dell’attraversamento dell’avvenimento sperimentato nel qui ed ora transferenziale. Per questo essa rende possibile la conoscenza ed anche la ri-conoscenza di tutti i tempi che sono presenti nella parola viva e contemporanea dell’accadere psicoanalitico. Essendo sospensione della interpretazione, essa agisce giustamente nel punto di incrocio dell’esistente con il distrutto, i resti del passato e la potenziale costruzione del futuro, in un ora che non è soggettiva né oggettiva, né intra-psichico né extra-psichico ma che, proprio per questo, un adesso, simultaneo, storico e rivoluzionario. Tanto per l’analizzando quanto per l’analista dunque ri-significando tanto il luogo di un quanto o di un altro mirato all’esistenza dei “due certificati di nascita” ciascuno, uno che si fece nel passato e l’altro che si fa nel presente, nel momento stesso di ogni seduta.

Fu solo dopo un certo tempo dell’attraversamento congiunto con questo mio analizzando che io presi conoscenza di questa mia funzione di testimonianza, essenziale a mio vedere per tutta l’analisi. Una buona forma di esprimerla mi venne data da lui: “stare qui”, in questo luogo di frontiera, al di qua di qualsiasi interpretazione e al di là del contenuto, luogo originario di quello che ancora verrà ad essere la transferenza, luogo della transferenza ancora in uno stato potenziale. Un luogo e un tempo, per così dire, nei quali tutti noi analisti succeduti a Freud siamo adesso liberati di tutta la transferenza che abbiamo avuto dalla sua opera e dai suoi seguaci.

  1. Noi tutti gli psicoanalisti abbiamo un certificato di nascita originario dall’incontro di Freud con Dora. Ed altri che adottammo lungo il nostro percorso professionale, negli incontri con i nostri clienti, con i nostri maestri, inclusi anche i capi delle scuole psicoanalitiche. Ma è essenziale che nessuno di essi sia preso come definitivo in quanto questo impedirebbe l’ascolto della parola viva che giunge oggi fino ad ognuno di noi. Poiché solo essa è portatrice della contemporaneità che sfugge a noi analisti, abituati e costretti in un setting costruito lungo un secolo e per questo, come Ercole Farnese, caricato e ombreggiato da tutto questo percorso storico … Quello che il nostro giovane analizzando ci dice oggi, sia per i nuovi codici digitalizzati, sia per le nuove figure cliniche presentate, se bene ascoltato, è la parola che può liberarci dalla muffa di una eccessiva patologizzazione dello psichismo umano, mettendo in discussione molte delle nostre frettolose concettualizzazioni che hanno molto più a che vedere con un modo di pensare dei nostri maestri in un determinato momento storico che con una preoccupazione attenta e atemporale di ciò che caratterizza l’umano. Il fatto è che non possiamo prescindere dai nostri concetti ma considerarli come fissi e stabili è, come minimo, dispregiare il più fondamentale degli insegnamenti di Freud che, lungo la sua opera, mai lasciò di sottolineare il carattere transitorio e migratorio della sua teoria.

  1. Quando parliamo del mondo piatto e liquido del soggetto contemporaneo, stiamo incorrendo nello stesso appiattimento e restringimento che pretendiamo denunciare. Un giovane paziente, alcuni anni fa, mi diede una descrizione paradigmatica della nascita di questo nuovo soggetto nascente. Studente di medicina, egli faceva il tirocinio in Ostetricia, quando venne chiamato per un parto. “Separare quella che era la testa del feto da quello che era un immenso condiloma vaginale della madre fu molto difficile”. Quello che noi dobbiamo guardare in faccia in quanto analisti è che ancora non sappiamo con chiarezza cosa è la testa umana e quanto di essa è separabile dal corpo e dal condiloma materno, Questo è il difficile e immenso compito a cui siamo chiamati.

  1. Quale è il soggetto, o quale è la soggettività dei nostri nuovi pazienti, quelli nati dopo la rivoluzione cibernetica, per i quali “gli avvenimenti sfilano come un travelling, il tempo della riflessione subisce un cortocircuito e lo schermo infrange la distanza tra l’accadimento, l’immagine e la percezione … (dove) la proliferazione delle immagini è grande che già oltrepassammo una soglia critica che impedisce una reale decodificazione” (Baudrillard), è il nostro compito di oggi. Ed ancora, come stabilire un processo analitico, quando il tempo diventa così ristretto e la permanenza, un concetto assolutamente estraneo alla velocità delle trasformazioni del mondo?

21.Non so se riusciremo a rispondere a queste domande. Ma sicuramente non riusciremo per lo meno a farcele se noi ci aggrappiamo in maniera malinconica a molte delle nostre cristallizzazioni pratiche e teoriche. Ricevere sul nostro viso il fascio di oscurità lanciato da ciò che è contemporaneo, sapendo anche che ci troviamo nella frattura di due secoli, è ciò per il quale la clinica contemporanea ci convoca. Visto che, come nel sogno di Dora, la casa continua a bruciare, la città continua ad essere sconosciuta e la stazione è ancora a qualche tempo da qui. .

São Paulo, marzo 2011

 

Bibliografia

1-Agamben, G. - Che cosa è il contemporaneo; in G. Agamben, Nudità. Nottetempo, Roma 2009

2----------------- Quel che resta di Auschwitz, l’archivio e il testimonio, Bollati Boringhieri, TORINO 2010

3-Augé,M. - Nonluoghi; Elèuthera, Milano, 2009

4-Baudrillard ,J. Os limites do fotojornalismo, entrevista publicada no Caderno Mais, pag. 5, da Folha de São Paulo il 02/11/2003.

5-Benjamin, W. - I < Passages> di Parigi, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2010

6----------------Strada a senso unico, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2006

7-Freud, S. - Frammento di un’analisi d’isteria (1905). SE vol. IV

8------------ Totem e Tabu (1913). SE vol. XIII

9-----------O Mal-estar na civilização (1930). SE vol. XXI

10----------Psicologia de grupo e Análise do Ego (1921). SE vol. XVIII

11------------Moises e o Monoteísmo (1939). SE vol XXIII

12 - Giovannetti, M. de Freitas - Hospitalidade na clínica psicanalítica; in Revista Brasileira de Psicanálise; (tradotto in italiano in http://psychomedia.it/pm/indther/ptm/giovannetti.htm)

13----------------- Inquietações na Clínica psicanalítica hoje; in IDE, (tradotto in italiano, “INQUIETITUDINI NELLA CLINICA PSICOANALITICA: SOGGETTIVITA’, CITTA E FONDAMENTALISMI”, in ARGONAUTI, n. 116)

14- Green, A. (2008). Orientações para uma psicanálise contemporânea: desconhecimento e reconhocimento da incosciente. P.C. Sandler (Org.), Ana Maria Rocca Rivarola; Beatriz da Motta Pacheco Tupinambá; Claudio Castelo Filho; Giselle Groeninga; Ilana Waingort Novinsky; Ligia Todescan Lessa Matos; Vasco Moscovici da Cruz (trads), São Paulo, Imago.

15 Herrmann, Leda - Andaimes do Real: Psicanálise do quotidiano. Casa do Psicólogo, 2001

16---------------, Fabio - A clínica extensa. In L. M. C. Barone (Coord.) A psicanálise e a clínica extensa (pp. 17 – 31). São Paulo: Casa do Psicólogo, 2005.


Marcio de Freitas Giovannetti

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Traduzione dal portoghese di Mario Giampà


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