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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: SCIENZE E PENSIERO
Area: Antropologia


Lesioni autoprovocate scarificazioni tatuaggi: un'indagine sulle testimonianze

Franca Pezzoni(1), Giacinto Buscaglia(2), Giovanni Del Puente(3)


"Non c'è dubbio che la più famosa, fra le cicatrici della letteratura occidentale, sia ancora quella che la serva Euriclea, esterrefatta sino alle lacrime, scopre praticando a un oscuro viandante il bagno prescritto dall'uso ospitale; ed è il segno che le svela - dopo un lungo itinerario di raggiri e di travestimenti - l'identità del reduce Odisseo (Od. XIX 467-475). ...Di qualsiasi storia, vicenda o peripezia sia la traccia, il segno corporeo - cicatrice o ferita - tradisce con la sua iscrizione il passato recente o remoto del soggetto: ne rinvia la presenza a una trama di accadimenti che condizionano la sua identità, che complicano la sua apparente 'datità'. Lungi dall'essere il segno di un'ipotetica trasparenza dell'individuo a se stesso la cicatrice ... violando l'ideale o idealizzata semplicità del corpo, restituisce ad esso tutto il suo peso e il suo spessore." F. Condello, Corpus loquens. Marchi, ferite, tatuaggi (e altri promemoria) in Grecia antica


Introduzione

Questa ricerca si propone di indagare l'esistenza di possibili legami o comunque l'eventuale presenza di un continuum tra i tatuaggi e le altre forme di modificazioni corporee e l'entità psicopatologica rappresentata dalle lesioni autoprovocate. A tale scopo abbiamo esaminato un certo numero di testimonianze di persone che hanno effettuato tatuaggi e un certo numero di testimonianze di persone che hanno effettuato scarificazioni, riportate sul sito http://www.bmezine.com . Abbiamo deciso di esaminare tutte le testimonianze (54, suddivise in due gruppi di 28 tatuati e 26 scarificati). Le persone erano quasi tutte provenienti dagli Stati Uniti, dal Canada o dal Regno Unito (1 polacco, 2 cileni). Quasi tutti gli scritti erano in lingua inglese, a parte due in lingua spagnola.
L'indagine, oltre a evidenziare una sorta di punto di cut off o di discrimine tra modificazioni corporee compiute da un tatuatore (rientranti più o meno nella normalità culturale) e scarificazioni compiute dal soggetto su se stesso (legate in modo più evidente alla patologia), ha permesso inoltre di mettere in dubbio, se non di smentire, alcuni stereotipi vigenti in tema di tatuaggi, come si vedrà dal seguito.


GRIGLIA

Età: 16- 20 20-30

Sesso: M F
Professione: studente altro n.n

Dipende economicamente dalla famiglia: sì no

Quanto tempo fa: appena successo < 1 anno > 1 anno

Quanto tempo pensato: impulso < 1anno > 1 anno

Avvenimenti precedenti: maggiore età difficoltà-depressione lutti- separazioni matrimonio malattie n.n

Atteggiamento genitori: favorevole contrario n.n

Scelta disegno: scritta figura umana animale altro

Parte del corpo: nascosta visibile a sé visibile a altri

Parlato con altri prima: sì no

Parlato prima col tatuatore: sì no - consigli ridisegno

Rapporto con il tatuatore: buono cattivo - musica parlare spiegazioni

Con chi andato: da solo amici-partner genitori-parenti

Chi ha pagato: da solo genitori

Reazioni dopo: dolore cure commenti (neg. pos.)

Ancora soddisfatto: sì no

Lo rifarebbe: sì no

Ambiente adulti: favorevole contrario n.n

Ambiente coetanei: favorevole contrario n.n.

Appartenenza gruppo: normale alternativo

Precedenti automutilazioni: sì no

Interventi chirurgici: sì no

Precedenti: piercing tatuaggi nessuno

Soggetto erotico: sì no

Richiamo identità lavorativa: sì no

Richiamo identità culturale: sì no

Nazionalità: Usa UK Canada Polonia Sudamerica

Motivazioni: ribellione /somigliare a qualcuno/ esprimersi/ messaggio/ dominare/ dolore/ mettersi alla prova/ forza-tolleranza/ estetica

controllo ricordare:
- persone/avvenimenti
- compimento età
- morti
- anniversari
- periodo vita

Problemi psichiatrici sì no

Le obiezioni che si possono sollevare rispetto al metodo usato sono varie; tra queste:
1) il campione non è rappresentativo dell'intera popolazione dei tatuati e/o scarificati, perché le testimonianze possono provenire da persone particolarmente portate ad autoesporsi, oppure particolarmente introspettive e riflessive, capaci di pensare in qualche modo all'esperienza fatta;
2) i dati inferiti dalle testimonianze non sono così "numerici" o così attendibili come quelli ricavabili da questionari, scale di valutazione, interviste strutturate ed altri strumenti standardizzati. A queste obiezioni, molto valide, si può anche rispondere che le testimonianze sono molto più complete, spontanee, fresche e libere rispetto ai dati raccolti con tali strumenti, in quanto le persone non hanno alcuna remora né alcun limite prefissato a raccontare la loro esperienza, sottolineando gli aspetti per loro più significativi con abbondanza di particolari.
Per quantificare i dati emersi, le testimonianze sono state esaminate utilizzando la griglia allegata, che mirava a evidenziare le caratteristiche demografiche (età, sesso, professione, dipendenza o indipendenza economica dalla famiglia), le modalità più o meno impulsive di decisione, la presenza di avvenimenti precedenti in qualche modo importanti, l'atteggiamento degli adulti e del gruppo di appartenenza, la scelta del disegno da tatuare o scarificare, l'aspetto economico (se aveva pagato il soggetto in prima persona o qualcun altro), le motivazioni della scelta di tatuarsi e/o scarificarsi, le tappe dell'esperienza stessa (preparativi, rapporto con il tatuatore, cure successive, commenti e reazioni dell'ambiente), precedenti esperienze di modificazioni corporee e di lesioni autoprovocate. L'intera testimonianza è stata anche esaminata rispetto alla presenza di patologia psichiatrica nel soggetto; è stato deciso di considerare presente una patologia solo quando il soggetto stesso diceva esplicitamente di essere affetto da qualche disturbo e non in base a impressioni soggettive dell'esaminatore. Anche l'esperienza di precedenti o concomitanti esperienze di automutilazioni naturalmente è considerata solo se riferita esplicitamente dal soggetto (come ovviamente tutti gli altri dati).


Esame dei risultati

Gruppo dei tatuati (28 soggetti)

Le persone con patologia psichiatrica evidente sono due donne sopra i 20 anni con grave depressione, che vivono per conto proprio e hanno una professione. Solo una persona riferisce precedenti o attuali esperienze di automutilazione (tagli) e si tratta di uno dei soggetti con depressione.
I maschi sono 5, le femmine 23. La predominanza femminile tra le testimonianze fa sorgere alcuni interrogativi che andrebbero indagati con ricerche epidemiologiche rigorose. Esiste una maggior propensione delle femmine a riflettere e a descrivere verbalmente le proprie esperienze? Nella popolazione generale le femmine tatuate sono in numero maggiore rispetto ai maschi? Entrano in gioco componenti di tipo masoschistico, erotico o di altro genere? E' in ogni caso un fatto che negli studi relativi alle lesioni autoprovocate la maggioranza dei pazienti siano donne, anche se il dato di solito si riferisce a pazienti in trattamento o ospedalizzati e non ad altri contesti, come ad esempio le carceri.
Le età sono state suddivise in due gruppi: tra i 16 e i 20 anni (16 soggetti) e tra i 20 e i 30 anni (12). La suddivisione è stata operata seguendo l'ipotesi che il tatuaggio potesse essere un'espressione di ricerca di indipendenza e autodeterminazione in giovani ancora dipendenti economicamente e psicologicamente dalla famiglia, se non di ribellione verso il mondo adulto (ipotesi di fatto non verificata né da questo né dai dati successivi).
Per quanto riguarda la professione, 13 soggetti sono studenti, ma il dato è incompleto in quanto in 9 casi le testimonianze non fanno riferimento all'attività lavorativa.
Rispetto allo stato civile, 13 non sono sposati e dipendono economicamente dalla famiglia, anche se materialmente vivono lontano perché frequentano il college, 4 hanno una famiglia propria o vivono soli, di 11 non si hanno informazioni su questo punto. Il dato, seppur incompleto, è stato investigato sempre nell'ipotesi che il tatuaggio fosse in qualche modo un mezzo per rafforzare o definire un'identità non ancora sanzionata da scelte e da ruoli sociali.
Un notevole interesse rivestono le domande che riguardano i tempi di elaborazione, per dir così, rispetto alla scelta di tatuarsi. In 5 casi l'esperienza è appena avvenuta, 15 dicono di essersi tatuati da meno di un anno e 8 da più di un anno. E' da sottolineare che questa domanda è l'unica a cui rispondono tutti, perché è posta dal sito stesso. La grande maggioranza, più del 70%, parla di un fatto rilevante accaduto almeno qualche mese prima e perciò non si esprime sull'onda del momento o sotto l'effetto immediato dell'esperienza.
Il dato significativo è che nessuno afferma di aver agito per impulso, 3 hanno pensato di tatuarsi meno di un anno prima di farlo e ben 21 ci hanno "pensato sopra per più di un anno" (di 4 manca questo elemento). Le storie narrate, se si vuole seguire l'impressione generale, si somigliano, nel senso che descrivono un periodo di riflessione lungo o molto lungo, anche di anni, durante il quale la decisione è maturata lentamente.
Esaminando le testimonianze si è cercato di evidenziare un altro aspetto potenzialmente significativo e cioè la presenza di avvenimenti di una certa importanza che hanno preceduto in qualche modo la decisione di farsi tatuare. In 6 casi tale decisione è stata presa per commemorare in qualche modo il raggiungimento della maggiore età, in 5 casi per celebrare l'uscita da un periodo di difficoltà personali (tristezza, scarso adattamento alla vita scolastica ecc.), in 3 casi si è trattato di un modo per concludere psicologicamente un momento infelice seguito a una separazione sentimentale, in 3 casi invece si è trattato di ricordare un matrimonio (un tatuaggio è stato fatto in coppia durante il viaggio di nozze), in 2 casi le persone erano state sottoposte a gravi interventi chirurgici o erano affette da malattie gravi. Quest'ultimo aspetto è stato indagato seguendo l'impressione clinica che i soggetti vogliano trasformare certe esperienze da passive in attive, vale a dire vogliano superare la sofferenza e il senso di impotenza connesso a ripetute operazioni o altre terapie con un gesto scelto volontariamente e in qualche modo padroneggiato, che lascia una cicatrice -é vero - ma decisa in prima persona invece che subita. In 6 casi non emergeva nessuna esperienza particolare.
Un altro punto studiato è stato l'atteggiamento dei genitori, per verificare l'ipotesi che il tatuaggio fosse in qualche modo un atto di contrapposizione o di ribellione rispetto all'ambiente familiare. Al contrario è emersa una maggioranza di genitori favorevoli (9 contro 3 contrari). In 16 casi il dato mancava, segno forse di indifferenza o tolleranza. Colpiva una situazione in cui il tatuaggio era addirittura un regalo di compleanno per la figlia minorenne. Ovviamente da un campione così poco numeroso non si possono trarre conclusioni generali, ma si ricava l'impressione che la carica di trasgressione o di contestazione presente nel tatuaggio qualche anno fa sia molto diminuita e che non rappresenti più un fattore determinante nella scelta. Anzi paradossalmente in alcuni casi sembra in atto (come in altri ambiti) una specie di "espropriazione" da parte degli adulti di una pratica che potrebbe essere invece un'occasione di autonomia e di ricerca personale. Nella intenzione buona di agevolare il giovane e di evitargli difficoltà i genitori inavvertitamente possono privarlo della possibilità di un'esperienza gestita in modo indipendente.
Venendo al soggetto scelto per il tatuaggio, si deve notare preliminarmente che l'esperienza in molti casi si svolge in più fasi successive, distanziate a volte da anni. La prima fase è la decisione di tatuarsi, la seconda quella della scelta del disegno, la terza quella della scelta della parte del corpo. Questa sequenza è seguita da quasi tutti i soggetti (chiaramente può variare in altri campioni) ed esprime una modalità di elaborazione 'meditata' e non impulsiva della scelta stessa.
I disegni si dividono in scritte (8), figure umane o parti del corpo (10), animali (4), altri motivi (4). Le scritte sono tutte in lingua straniera o in lingua morta, a volte anche in caratteri non occidentali ed esprimono valori della filosofia di vita del soggetto. Un caso molto interessante è una poesia in inglese antico, che riguarda la malattia, la vecchiaia e la morte, che la persona ha scelto per significare la sopportazione e il superamento del dolore e per ricordare un'esperienza di studio particolarmente positiva. Le figure umane sono sia protettive che spettrali (fate, robot, maschere con espressioni enigmatiche, teschi), a volte rappresentano una forma di rispecchiamento di sé o al contrario sono immagini molto diverse rispetto a quella comunemente mostrata al proprio ambiente di appartenenza.
La parte del corpo prescelta poteva:
* essere nascosta sia a sé che agli altri (spalla, schiena, orecchio: 12 casi)
* visibile a sé (torace, pube: 2 casi)
* visibile a sé ed altri nella normale vita sociale (avambraccio, caviglia: 9 casi).
Naturalmente la scelta spesso dipendeva dalle dimensioni del soggetto scelto o dal desiderio di evitare un'impressione negativa in circostanze lavorative. Oltre a motivazioni strettamente erotiche (2 casi), sembra che in certi casi la scelta di parti non visibili fosse legata al fatto che il tatuaggio rappresentava un'esperienza compiuta in un certo senso tra sé e sé, più per motivazioni individuali che per dare un messaggio all'esterno.
Quindici soggetti si erano consigliati con altre persone prima di tatuarsi, 13 avevano deciso da soli. I consiglieri erano quasi sempre amici o fratelli, appartenenti alla stessa generazione, non necessariamente già tatuati.
Molto importante nella descrizione delle esperienze appare il rapporto con il tatuatore, che figura spesso come una specie di mediatore tra le intenzioni del soggetto e la realtà. Anche in questo caso la vicenda avviene in più tempi: 23 persone sono state a parlare con il tatuatore giorni o anche mesi prima dell'esperienza, smentendo anche sotto questo aspetto la credenza che si tratti di una decisione impulsiva. In 18 casi il tatuatore ha esaminato il disegno portato dal cliente o ha discusso con lui il soggetto già prescelto e lo ha aiutato a ridisegnarlo se non era adatto per il tatuaggio o non era abbastanza accurato esteticamente oppure ha dato comunque consigli sull'argomento. Solo 2 soggetti non hanno giudicato buono il rapporto con il professionista.
Una caratteristica comune delle testimonianze è la grande quantità di dettagli con la quale viene descritta l'esperienza del tatuaggio in sé e per sé - dettagli che si incontrano spesso anche in altri racconti di esperienze in qualche modo impressionanti (incidenti, interventi chirurgici, morti di persone care) e che sembrano servire alle persone per superare il trauma narrandolo anche ripetutamente nei particolari. Viene riferito l'arredamento dello studio, è analizzato il dolore provato, insieme con la comparsa del sangue, anche se la ricerca della sofferenza in quanto tale non sembra mai la motivazione prevalente. Dopo un certo tempo al dolore succede una sorta di euforia, probabilmente per il rilascio di endorfine, come ipotizzano i soggetti, evidentemente documentati sul tema. Il tatuatore, sia detto ironicamente, sembra comportarsi meglio della maggioranza dei medici, perché dà spiegazioni dettagliate di tutto quello sta facendo, parla con la persona per distrarla, fa trovare un ambiente accogliente con musica e altro, istruisce sulle cure da prestare al tatuaggio una volta a casa e sulle possibili reazioni successive.
Otto soggetti sono andati nello studio da soli, 16 accompagnati da partner o da coetanei, 4 dai genitori o da altri parenti adulti (quest'ultimo dato va nella direzione già accennata di una maggior approvazione se non appropriazione dell'esperienza da parte del mondo adulto). In 3 casi i genitori hanno pagato il tatuaggio, negli altri sono stati i soggetti a pagare con soldi propri (il dato è stato preso in considerazione per valutare la ricerca dell'autonomia presente o meno nella motivazione dell'esperienza).
Il terzo atto (per così dire) del tatuaggio è rappresentato dalle cure successive, anche queste descritte con grande dovizia di particolari: l'aspetto del dolore successivo è messo in evidenza solo da 3 soggetti, mentre 24 si dilungano molto sulle fasciature, i disinfettanti, gli unguenti adoperati, in una sorta di cura un po' regressiva prestata al proprio corpo e alla ferita. Dal punto di vista quantitativo e qualitativo questa terza parte ha un peso perlomeno uguale rispetto alle due precedenti (decisione e tatuaggio), sia nella lunghezza della descrizione che nel numero dei dettagli. I commenti degli altri non rivestono apparentemente una grande importanza, nessuno riporta reazioni negative né degli adulti né dei coetanei.
Le persone spontaneamente danno poi una valutazione generale dell'esperienza attraversata, che spesso è avvenuta anche a molti anni di distanza. Ventisei soggetti dichiarano di essere ancora soddisfatti e il dato sembra abbastanza attendibile, perché emerso da testimonianze volontarie offerte senza pressioni particolari. Si è cercato di indagare per capire se il tatuaggio compiuto è sentito come 'sufficiente', vale a dire se il soggetto si ritiene appagato da un'unica esperienza o se avrebbe intenzione di farne un altro:
* 16 persone dichiarano di volere un altro tatuaggio
* 8 non si pronunciano al riguardo
* 4 sembrano soddisfatti di una sola modificazione corporea.
L'indagine mirava a capire se si tratta di una sorta di prova iniziatica che dà la sensazione di aver superato un ostacolo e di aver raggiunto una maggiore maturità, o se al contrario si instaura una escalation, se non una coazione a ripetere un'esperienza che non basta per raggiungere o mantenere un equilibrio emotivo.
Le testimonianze spesso si riferivano anche alla mentalità dell'ambiente di appartenenza: in 17 casi gli adulti non erano contrari ai tatuaggi, in 6 erano contrari, in 5 indifferenti, tra i coetanei nessuno era apertamente contrario. Rispetto al gruppo di appartenenza, 16 soggetti dimostravano di far parte di gruppi di giovani 'normali', mentre solo 3 erano membri di gruppi 'alternativi' o devianti.
Solo un soggetto riferiva precedenti automutilazioni, intese come tagli inferti agli avambracci in momenti di rabbia e disperazione, mentre erano numerosi i soggetti con precedenti piercing (6) e tatuaggi (9). In 2 casi il disegno scelto richiamava l'identità lavorativa della persona e in 1 caso la provenienza etnica (soggetto giapponese che significava "forza e costanza").
Sono state individuate alcune categorie in cui inserire la motivazione espressa dai soggetti rispetto alla decisione di tatuarsi. Per prima cosa si nota che alcune ipotesi rimangono non verificate: nessuna persona dichiara di aver voluto manifestare ribellione o inviare un messaggio. Ciò sembra escludere le spinte più strettamente trasgressive o connotate in termini politici o di appartenenza a gruppi organizzati. Assenti sono inoltre le motivazioni incentrate sulla ricerca del dolore in quanto tale (farsi male) o di tipo strettamente psicopatologico (eliminare qualcosa - motivazione presente in casi di mutilazione compiuta da soggetti psicotici). Non è presente la ricerca di miglioramento estetico, tranne in un caso in cui il tatuaggio serviva per coprire le cicatrici di lesioni autoprovocate, mentre in un solo caso lo scopo era l'imitazione di un'altra persona tatuata. Motivazioni 'iniziatiche' quali mettersi alla prova e controllare il dolore erano pressoché nulle, mentre i due scopi essenzialmente prevalenti erano esprimere la propria personalità (6 casi) e ricordare persone e/o avvenimenti importanti (18 casi). Emerge in sostanza una tendenza diretta più verso l'interno che verso l'esterno, più al dialogo con se stessi che alla comunicazione, erotica o sovversiva, verso gli altri.


Gruppo degli scarificati (26 soggetti)

Per scarificazioni vengono intese varie modificazioni corporee: ustioni o branding, incisioni nella cute e asportazione di lembi di pelle.
Le persone con patologie psichiatriche sono 9, sempre usando come criterio espliciti riferimenti a gravi disturbi fatti dalle persone stesse (depressione, dipendenze da sostanze, disturbi alimentari ecc.). Per quanto riguarda le età, 13 soggetti hanno dai 16 ai 20 anni, 13 dai 20 ai 30 anni.
I maschi sono 10, le femmine 16. Per quanto riguarda la professione gli studenti sono 12, le altre professioni sono 8 (6 n.n.). Dodici soggetti dipendono ancora economicamente dalla famiglia, 6 vivono per conto proprio, su altri 8 non si hanno dati. La nazionalità in 24 casi è anglosassone (USA, Inghilterra, Canada), in 2 casi è sudamericana (testimonianze in lingua spagnola). Complessivamente il campione appare leggermente diverso rispetto a quello dei tatuati, con un'età più elevata e una maggiore percentuale di maschi. E' soprattutto maggiore la percentuale di persone affette da disturbi psichici.
Altra importante differenza riguarda i tempi di elaborazione rispetto alla decisione di subire o compiere una scarificazione: 6 persone dicono che il fatto è appena successo, 16 che è avvenuto meno di 1 anno prima e 6 da più di 1 anno. Questi dati non differiscono molti da quelli dei soggetti tatuati, ma il discorso è diverso rispetto all'impulsività: 7 persone dicono di aver agito per impulso, 14 di aver pensato per meno di 1 anno e solo 5 per più di 1 anno (contro i 21 tatuati che hanno riflettuto più di un anno e l'assenza di tatuati che avessero agito d'impulso).
Anche gli avvenimenti precedenti hanno una connotazione più patologica, per così dire, o almeno più legata al disagio piuttosto che a tappe significative della vita. Solo 1 soggetto vuole ricordare la maggiore età, 12 non esprimono una motivazione individuabile, 8 si riferiscono a periodi di difficoltà e depressione.
Come è prevedibile l'atteggiamento dei genitori è più sfavorevole: 16 sono contrari e solo 3 accettano la scarificazione.
Rispetto alla scelta del disegno va premesso che motivi strettamente tecnici limitano la possibilità di eseguire soggetti complessi. Data questa premessa, 9 scelgono una scritta, 8 figure geometriche o motivi comunque dotati di un significato per la persona, 2 parti del corpo umano, 2 animali (di cui uno, forse non a caso, è l'Araba Fenice), mentre 5 non danno alcuna informazione.
Per quanto riguarda la parte del corpo, anche per ragioni di accessibilità (quando si tratta come vedremo di scarificazioni compiute su se stessi), la maggioranza sceglie parti visibili anche ad altri (15), soprattutto avambraccio, piede e gamba), mentre 6 scelgono parti visibili a sé (torace, addome).
Il campione si divide nettamente quando si passa ad esaminare la modalità di esecuzione della modificazione corporea, perché 9 si sono rivolti a un tatuatore e 17 hanno agito da soli. Le differenze sono molto grandi, perché il primo gruppo ricalca sostanzialmente come modalità di rapporto, motivazioni, rapporti con il mondo esterno le caratteristiche del campione dei tatuati, mentre il secondo gruppo appare notevolmente più isolato, meno disposto al confronto con la realtà esterna e di fatto più patologico.
Esaminiamo il primo gruppo: 8 hanno parlato prima con il tatuatore e definiscono come buono il rapporto con lui. Anche in questi casi ci sono stati consigli, spiegazioni, cambiamenti e miglioramenti del disegno (come dice spiritosamente il soggetto l'araba fenice in origine, quando il disegno era stato fatto da lui, sembrava un pollo spiaccicato). Cinque persone sono andate da sole nello studio, nessuna ovviamente con i genitori. La maggioranza di questo campione sono uomini e le descrizioni della scarificazione abbondano con un certo compiacimento di particolari truculenti. Sembra maggiore, come si vedrà più avanti, la motivazione di mettersi alla prova e di dominare il dolore; anche qui si incontrano esperienze di euforia o di confusione mentale che hanno fatto seguito durante la scarificazione alla sensazione del dolore fisico. Uno di questi casi deve essere distinto dagli altri, perché la persona, una ragazza, narra un'esperienza estremamente negativa di una scarificazione subita da un partner sadico quando era minorenne, della quale le è rimasta una cicatrice indesiderata e attualmente quasi cancellata.
Il secondo gruppo descrive esperienze fatte in casa propria, a volte con un equipaggiamento accuratamente predisposto. In 10 casi la scarificazione è compiuta dopo una specie di rituale (e cioè non impulsivamente), che comprende meditazione, ascolto di musica o lettura di poesie.
Entrambi i gruppi sostanzialmente si somigliano quando passano a descrivere le cure prestate alla ferita, anche in questo campione descritte con molti particolari, soprattutto perché a quanto pare per ottenere un risultato permanente è necessario irritare la ferita spazzolandola e asportando la crosta quando si forma. Tutti parlano del dolore provato e del tipo di medicazioni e di sostanze usate, anche qui con abbondanza di particolari.
Ventidue soggetti si dichiarano ancora soddisfatti della scarificazione, mentre 4 sono insoddisfatti e dicono di disapprovare l'azione compiuta, in 1 caso perché la partner è rimasta colpita e addolorata. Quindici rifarebbero la stessa scelta, mentre 6 dichiarano di non voler ripetere l'esperienza (soprattutto quando si tratta di scarificazioni autoprovocate vissute in modo conflittuale). Una persona compie quella che ritiene e desidera sia l'ultima scarificazione per mettere fine a una pratica di lesioni autoprovocate che dura da molti anni.
L'ambiente degli adulti circostanti è prevalentemente contrario (16 su 3 favorevoli e 6 n.n.), a volte reagisce portando il soggetto dallo psichiatra e comunque la pratica di solito è nascosta ai familiari, a volte con compiacimento del segreto.
E' maggiore il numero di persone appartenenti a gruppi alternativi (12 rispetto ai 3 tatuati) e molto maggiore è la presenza di pregresse automutilazioni (12 rispetto a 1), anche se in 14 casi non ci sono tali precedenti. Una situazione è molto specifica, perché riguarda una persona sottoposta a numerosi interventi chirurgici per una grave cardiopatia, che con la scarificazione esprime il tentativo di controllare la situazione e di rifiutare ulteriori operazioni vissute come di dubbia utilità.
Rispetto all'identità lavorativa, in 2 casi le scarificazioni in qualche modo si richiamano alla professione della persona, in 1 caso (soggetto sudamericano) hanno un riferimento all'identità culturale.
Passando ad esaminare le motivazioni, si nota che 3 soggetti vogliono esprimere ribellione contro la società a cui appartengono, 1 vuole copiare una persona con scarificazioni, mentre è piuttosto alta la percentuale di motivazioni relative al dolore (dominio sulla sofferenza, mettersi alla prova, forza/tolleranza), tenuto conto anche della natura molto più dolorosa di certe pratiche, quali l'asportazione di lembi di pelle con bisturi. Nessuno vuole in qualche modo ricordare la maggiore età, mentre una persona commemora un parente morto e 4 la fine di un periodo di vita negativo.


Conclusioni

Il gruppo dei tatuati sembra compiere soprattutto una specie di viaggio interiore alla ricerca della propria identità, con l'assistenza di compagni e amici e l'intervento di mediazione del tatuatore, che più che suggerire modelli sembra contribuire a dar forma alle immagini portate dai soggetti (a volte tenute nel portafoglio per anni, oppure trovate, perse e ritrovate su Internet). L'irreversibilità e la dolorosità in una certa misura sanzionano l'importanza dell'esperienza, che da un lato appare privata e individuale, dall'altro è comunque attuata attraverso un confronto con le varie agenzie del mondo esterno (gruppo dei coetanei, limitazioni imposte dalle modalità tecniche della modificazione corporea). La decisione matura nel corso di anni, ed è una delle poche situazioni moderne in cui sono richiesti una meditazione e un differimento rispetto allo scopo da raggiungere.
Il gruppo degli scarificati sembra differire soprattutto per la mancanza dell'adattamento e del modellamento della decisione, che si svolge tutta all'interno del soggetto e nel suo stesso ambiente domestico. Le componenti più evolutive legate alla comunicazione con i compagni/amici/partner e con la figura mediatrice del tatuatore mancano spesso totalmente, e tutta l'esperienza sembra differire spesso ben poco dall'automutilazione in senso stretto, gesto quasi del tutto privo di significato simbolico condiviso, sfogo della tensione più che tappa di un percorso maturativo.


Bibliografia

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A. Van Gennep, I riti di passaggio, Boringhieri, Torino, 1981

Film:
La pianista, di M. Haneke, 2001

Note sigli autori:

1 Psichiatra, DSM N. 3 Genovese
2 Psichiatra, DSM N. 2 Savonese
3 Psichiatra, Clinica Psichiatrica di Genova

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