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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: SCIENZE E PENSIERO
Area: Antropologia


Le due grandi aree della Antropologia della Comunicazione

Antonella Gramigna


Lo scibile o scienza cosiddetta della "Antropologia della comunicazione" antropologica comprende un settore scientifico di conoscenze che normalmente non viene quasi mai divulgato nel suo insieme, se non che nelle sue specifiche intromissioni e sinergie con le altre scienze dell’uomo che, come tali, recano il termine qualificativo “antropo”, in quanto considerato come qualcosa di “esterno e diverso”.

Nell’universo delle scienze, riferite al vissuto umano, la comunicazione viene sempre, o quasi sempre, identificata e definita come “il mezzo con cui …” o, più generalmente come “ le tecniche con le quali ..” i soggetti , le persone, in breve, i nostri simili interagiscono tra loro.

Questo è vero nella misura in cui noi possiamo identificare una scienza per quello che può realizzare in un dato momento e in un dato contesto. Ma tale spiegazione non appare né esaustiva, né comprensibile in quanto non potremmo, ad esempio, mai definire la matematica unicamente come la scienza che contiene la "tavola Pitagorica".

Ecco perché il termine “comunicazione”, senza il necessario ed immancabile aggettivo qualificativo relativo alla “antropologia”, non consente di comprendere appieno la dimensione di realtà entro la quale questa scienza agisce, cioè attraverso l’osservazione e lo studio dei fenomeni che a questa dimensione di realtà sono legati .

Occorre innanzi tutto, allo scopo di definire in modo puntuale l’essenza stessa di questo sapere, suddividerne le sue sfere di influenza e quindi di studio.

Si deve quindi parlare di due macro aree di interesse nelle quali si ripartisce la Antropologia comunicazionale , o della Comunicazione :

Endo-comunicazione ed Eso-comunicazione , intendendo, con i due suffissi all’inizio del termine “comunicazione”, due aree. Più specificatamente: 1)la comunicazione “interna” laddove essa viene indirizzata, cioè all’interno del nostro essere, sia da un punto di vista psichico, che fisiologico (cellulare, neuronale ecc.).

2) la comunicazione “esterna” attraverso la quale ci relazioniamo con i nostri simili e con l’ambiente che ci circonda nella sua totalità.

Queste due realtà (eso-comunicazione ed endo-comunicazione ) devono intendersi come continuamente interrelate tra loro senza soluzione di continuità. Per fare un esempio, possiamo definirle come stelle binarie di un sistema stellare formato da due corpi celesti che orbitano intorno al loro comune centro di massa; cosi facendo si influenzano vicendevolmente e continuamente. Nel suo insieme quindi, l’antropologia della comunicazione, si pone allo studio e all’osservazione dell’essenza del nostro esistere, in quanto esseri senzienti, ricollegandosi al principio cartesiano “Ego cogito, ergo sum”.

Possiamo asserire che la parte comprendente la eso-comunicazione comprende tutto l’universo verbale, paraverbale, gestuale, corporeo ecc. che costituiva, sino a poco tempo fa, tutto quello che si conosceva della comunicazione , o che si riteneva (a ragione) tutto quello che c’era nel mondo della comunicazione.

La parte della Endo-comunicazione , la parte “immersa” della stessa, è stata per molto tempo non indagata in quanto ritenuta non interagente con la comunicazione primaria identificata come “verso..”

Sono occorsi decenni di osservazioni, di studi e di approfondimenti per prendere in considerazione che una comunicazione verbale conduce, per esempio, a quello che in psicologia e in medicina si definisce genericamente come “effetto placebo” ! Ma basterebbe citare l’esempio, sicuramente più conosciuto delle metodologie ipnotiche, per rendersi conto della misura in cui la Endo-comunicazione può interferire con la comunicazione in generale e più ancora con il comportamento che essa è in condizioni di produrre. Scendendo più in profondità in questi due mondi intercorrelati si scoprono interazioni importanti e ramificate che , trasversalmente, interessano altri compi di conoscenza solo apparentemente lontani da quello che normalmente viene identificato generalmente come “comunicazione” in senso lato.

I due modelli comunicativi generali,appena menzionati, si intrecciano spesso con esiti impensabili a seconda delle culture, dei luoghi e dei tempi in cui questo avviene .

Nelle antiche culture dell’Africa sud- Sahariana, ad esempio, antropologi come Levy Bruhl, verso la fine degli anni venti del secolo scorso, iniziarono uno studio osservativo sul campo circa il comportamento di diverse culture totalmente sconosciute all’epoca ( come le etnie Bantù) che avevano la costante di vivere i due modelli comunicativi Endo/Eso come assolutamente interdipendenti e quotidiani.

I Bantù all’epoca si esprimevano in circa 400 diversi gruppi etnici nei quali, Rruhl , ebbe modo di osservare i Najakiusa (attualmente estinti). Essi avevano una struttura sociale di tipo animistico/teocratico, potremmo dire oggi , basata sul potere sciamanico di colloquiare con le potenze ultraterrene. In caso di delitto grave, ad esempio, come l’uccisione volontaria di un abitante del villaggio lo sciamano puniva il colpevole indirizzandogli una maledizione verbale davanti al villaggio del tipo : “tu domani morirai.!” L’individuo colpito da questa maledizione si auto esiliava in un luogo isolato del villaggio e, accovacciato a terra, cominciava un soliloquio con se stesso . L’indomani, all’alba, molto spesso gli abitanti trovavano il soggetto, colpito dalla maledizione orale dello sciamano, ormai defunto. In questo caso estremo, in una dimensione estrema, abbiamo una delle combinazioni della stretta interrelazione tra "eso" ed "endo" comunicazione in una particolare situazione temporale, culturale e psicologica che produce effetti di carattere generale capace di interagire trasversalmente con l’intera realtà di una persona.

La dimostrazione che i mondi comunicazionali antropologici travalicano i tempi e le civiltà appare chiaro dagli studi di numerosissimi antropologi del secolo scorso che parlarono dilungatamente di pensiero pre-logico parlando proprio di popolazioni definite primitive rispetto alla visione europeo centrica del 900’ .Lo stesso Levy Bruhl ebbe a dire che : “… le rappresentazioni collettive dei primitivi - a differenza di quelle dell'uomo colto occidentale, dominate dal principio dell'identità personale rigorosamente distinta dalle altre individualità e dal mondo fisico- sono dominate dal concetto di labilità, di fluidità, e hanno alla base quella che si può definire "legge di partecipazione". Secondo tale legge, lo stato mentale dei primitivi è caratterizzato da un'estrema intensità emozionale che induce ad una costante partecipazione mistica con l'universo. Il primitivo "sente" ciò che lo circonda come attraversato da una forza luminosa fluida, fisica e psichica. I confini che nel nostro mondo isolano nettamente l'uomo dall'ambiente esterno, la natura dalle forze soprannaturali, lo stato di veglia dallo stato di sogno, nel mondo primitivo sono estremamente labili o inesistenti. La mentalità primitiva,più che rappresentare l'oggetto," lo vive e ne è posseduta...” ( Levy Bruhl “L’anima Primitiva”)

Queste ricerche/osservazioni posero le basi, in modo sostanziale, a quella che,poi, sarebbe stata la riflessione sulla dimensione antropologica della comunicazione che comprendesse il concetto “atropo” nel suo insieme e nella sua grande complessità.Per molti decenni del secolo scorso la antropologia culturale e gli studi generalmente riconducibili ad essa si sono rivolti alle popolazioni primitive dei vari continenti nello scopo di conoscere le nostre radici o quello che eravamo in un tempo assai remoto.

Come qualcuno ebbe a considerare, probabilmente viviamo in una realtà e su di un pianeta in cui l’aborigeno australiano e il pilota dello Shuttle convivono nello stesso tempo anche se appartenenti a civiltà lontane decine di migliaia di anni. E' per questo strano andamento della nostra storia e della nostra evoluzione che a noi è data la possibilità (sempre che si riesca a comprenderla) di studiare la nostra storia evolutiva praticamente “in diretta”. Ed è con questa ottica che le osservazioni degli antropologi del secolo scorso vanno interpretate e comprese. Il concetto, quindi,di comunicazione non è ascrivibile unicamente all’uso che di questa scienza si fa, oggi,nella nostra cultura occidentale e non solo. Essa va compresa in una dimensione immensamente più ampia: non si può utilizzare la Comunicazione cosi,sic et simpliciter, per reclamizzare un dado per il brodo o un computer di ultima generazione, perché sarebbe un pò come utilizzare una centrale termonucleare per accendere un fornellino da capo per un caffè ! La stessa dicotomia che vede nella scuola di Palo Alto la sola in grado di analizzare e studiare la Comunicazione unicamente sotto l’aspetto più superficiale, come una tecnica per contattare gli altri suddivisa in “verbale” e “non verbale” appare immensamente riduttiva.

La comunicazione è un universo strettamente ed intimamente legato all’ambiente umano nella sua totalità. Essa rappresenta la chiave di accesso alla comprensione dell’Uomo intesa come accesso antropologico per eccellenza. Basti pensare come nella endocomunicazione esistano gli infiniti modi con cui si esprime la comunicazione tra cellule del nostro corpo. Di fatto, una delle realtà che la Epigenetica assume come base di comprensione generale di se come scienza, è la visione di “comunità cellulare”.In effetti, quando ci specchiamo, l’immagine che lo specchio ci rimanda è quella di una persona nella sua unicità. Occorre ricordare che noi siamo composti da cinquantamila miliardi di cellule collegate tra loro e governate da una entità sovra ordinata chiamata Mente. Per cui noi siamo di fatto una comunità, e non una “unicità” come parrebbe nella rappresentazione della realtà speculare. Va da se' che se il “governo” di detta comunità, e la comunicazione tra mente e cellule è lineare e non distorta o disturbata, l’intera dimensione “comunità cellulare-Mente” risulta sana e compatta . Se, viceversa, la simbiosi tra questi due dimensioni è alterata l’intero universo si ammalerà o comunque risulterà ampiamente disarmonico. Contrariamente a quello che può apparire questa riflessione non ha nulla di metafisico o filosofico in senso generale, basti pensare alla comunicazione tra neuroni attraverso le loro infinite sinapsi per rendersi conto della realtà elettrobiochimica della endocomunicazione tra popolazioni cellulari della stessa specie.

La Endocomunicazione risulta quindi una delle due espressioni immensamente complessa e largamente inesplorata sotto questo aspetto, delle due che compongono la scienza della Antropologia della Comunicazione che studia il complesso di questi fenomeni.

Come appare chiaro da questi primi presupposti, lo studio, e l’osservazione di questo insieme fenomenologico è di gran lunga più complesso e vasto di quell’insieme di tecnologie definita genericamente “scienza della comunicazione” che non prendeva in considerazione la radice etiologica e la genesi complessiva e profonda di questo scibile.

L’altra parte di questo binomio , cioè la esocomunicazione , viceversa, appare come la logica conseguenza delle dinamiche a cui obbedisce la prima. In effetti non esisterebbe, tra queste due realtà, nessun reale confine di separazione essendo che esse, come si diceva in apertura, risultano interrelate tra loro. Il sinergismo tra queste due grandezze (o forze) determinano il comportamento umano nel suo insieme e nelle sue caratteristiche peculiari. Come è accettato dalla scienza, il termine “comportamento”, si può spiegare o definire come : “ lo studio di quei fenomeni che non hanno carattere di stazionarietà..” ( Petter “Manuale di psicologia” 1990 ) all’interno di questa spiegazione e' contenuto il tutto di cui la scienza si occupa perché è comportamento : il mercendaising delle merci, la psicologia di vendita, il Marketing di un qualsivoglia prodotto , la relazione politica e i suoi modi di esprimersi, la rappresentazione psicoanalitica della realtà, l’arte della recitazione in tutte le sue forme, le anomalie linguistiche tra etnie diverse, i messaggi delle posture del corpo, il linguaggio aulico, il processo delle emozioni e i suoi effetti, i simbolismi oggettuali, i simbolismi verbali, le arti grafiche, la scrittura, la trasmissione con mezzi elettrici, la preghiera interiore, l’elucubrazione personale …. e quanto di più si possa immaginare come la psicosomatizzazione di alterazioni patologiche del nostro organismo, l’effetto placebo o nocebo relativo al modo endocomunicativo con il quale si possano produrre percorsi di guarigione o di distruzione ….

Tutto questo, e moltissimo altro ancora, è contenuto nella Antropologia della Comunicazione nelle sue due grandi aree di Endo ed Esocomunicazione. L’obbiettivo che la scienza antropologica comunicativa si pone, iniziale e basilare, è quello di studiare, osservare, misurare e comprendere, onde poter prevedere i momenti disarmonici che possono prodursi nella dimensione umana . Momenti che, osservati da quest’ottica, possono collegarsi in modo sinergico con altre scienze e saperi, onde ampliare la conoscenza, o spostare in avanti i confini di queste conoscenze. L’universo, di cui noi facciamo parte integrante, “comunica” in ogni sua parte e con ogni mezzo possibile , forse molti sono ancora sconosciuti. Adesso resta solo a noi comprenderne l'importanza , ascoltatore e “rispondere”……all'intero Universo. Già......ma chi è l'Universo ?

BIBLIOGRAFIA

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  • Stigma. L'identità negata, traduzione di Roberto Giammanco, collana «Psicologia sociale e clinica della devianza», Giuffrè, 1983



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