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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: SCIENZE E PENSIERO
Area: Antropologia


Diventare adulti a Camporosso: prevenzione naturale in una comunità del Ponente Ligure

G. Buscaglia°, F. Pezzoni°°, A. M. Rosso°°


Presentiamo alcune considerazioni sulle attività di una confraternita di giovani non sposati che ogni anno da secoli organizza una festa religiosa, San Sebastiano, nel paese di Camporosso, una piccola comunità della Riviera Ligure. A nostro parere, si tratta di un vero proprio rito di iniziazione, che ha profondi effetti sullo sviluppo psicologico dei partecipanti e che possiede fattori di prevenzione naturale almeno in parte esportabili anche in contesti diversi.

Descrizione della festa

La confraternita è composta esclusivamente da giovani, maschi e femmine, di età diverse e tassativamente non ancora sposati, che gestiscono in modo autonomo, senza alcun intervento da parte degli adulti, la preparazione della festa. Ogni anno viene nominato priore il ragazzo che fa parte da più tempo della confraternita, in base a un criterio cronologico. Ci sono anche un sottopriore, quattro massari, un maestro dei novizi che si occupa di seguire e di proteggere i più piccoli. Le ragazze hanno una prioressa e una sottoprioressa, anche loro in base a criteri di anzianità di partecipazione. Chi ha fatto il priore per un anno offre alla fine della festa un pranzo a tutti ed esce definitivamente dalla confraternita, per lasciare il posto al sottopriore. Coloro che hanno lasciato il gruppo per i tre anni successivi fungono da consiglieri, a cui i membri possono rivolgersi per aiuto e informazioni sulle tradizioni e sul modo di svolgere i riti.
Nelle attività della confraternita si possono distinguere le tre fasi che van Gennep ha individuato come struttura fondamentale dei riti di passaggio.

1) Allontanamento dall'ambiente familiare
I giovani circa tre mesi prima della festa di San Sebastiano, che si tiene la 3a domenica di gennaio, cominciano a riunirsi tra loro alla sera, fuori dalle case dei genitori, in locali scelti appositamente e che per le loro caratteristiche rappresentano luoghi appartati e in qualche modo riservati a loro (cantine, fienili, case abbandonate, stanze del campanile della chiesa non utilizzate). I genitori, che dimostrano grande partecipazione e tolleranza nei confronti delle attività legate alla festa, lasciano che i figli escano molto più spesso e permettono anche ai più piccoli di stare fuori la sera per prendere parte a tali lavori.

2) Vita in comune, insegnamenti e prove
Durante le riunioni i giovani, che vanno dai 9 ai 20 anni di età circa, preparano le ostie o papette, che servono a decorare l'alloro, tagliato appositamente a questo scopo, che verrà portato in processione. Le ostie sono di vari colori, soprattutto rosse e bianche; in antico erano preparate utilizzando uno stampo di ferro. I ragazzi portano da mangiare e da bere, parlano tra loro delle loro esperienze e dei loro problemi, scambiandosi idee tra età diverse. Se non hanno qualcosa da portare, lo rubano negli orti, per lo più quantità molto piccole di verdura o frutta. Gli adulti del paese sanno che i giovani compiono questi furti e li tollerano, lasciando a volte loro stessi nei campi qualche ortaggio perché venga portato via. Poco prima della festa i ragazzi organizzano una questua in tutto il territorio del paese. Il priore ha l'autorità indiscussa di decidere la composizione dei gruppi e di stabile come e dove mandare i vari membri a chiedere i soldi, da lui raccolti e amministrati. Gli abitanti del paese aspettano i sebastianetti (come vengono chiamati i membri della confraternita) e anche i più poveri danno qualcosa, li ospitano in casa e offrono da mangiare e da bere. Come raccontano i partecipanti, si tratta di un'occasione per conoscere e farsi conoscere dalla comunità. I soldi raccolti, accuratamente registrati e depositati, servono per le attività della confraternita, per restaurare l'altare e la statua del santo.

3) Processione finale davanti a tutta la comunità
Al mattino della festa, almeno in passato, i giovani salivano sul campanile (si deve tener presente che era freddo, buio e con scale sconnesse e pericolose) e il campanaro li istruiva sul modo di suonare la campana, distribuendo i compiti a suo criterio tra i vari ragazzi. Durante la funzione in chiesa, il priore dava lettura pubblica dei nomi dei nuovi membri e del nuovo priore, con grande emozione di chi veniva nominato e anche dei genitori. L'elezione a priore non è del tutto automatica, nel senso che chi tiene comportamenti scorretti sia a scuola che nella comunità può anche non essere nominato. La processione consiste nel portare per le strade del paese sia la statua del santo, soldato romano martirizzato a venti anni e considerato il protettore dei giovani, sia l'alloro decorato con le ostie. I portatori sono sia i giovani che gli anziani, eletti soprattutto per la robustezza e l'esperienza, essendo di solito l'albero molto pesante, scelto qualche mese prima e appositamente potato e curato in vista della festa. Gli abitanti, quando nasce un figlio maschio, piantano un alloro, pensando che gli servirà quando diventerà priore. I rami sono poi messi all'asta tra gli abitanti, che li conservano nelle loro case durante l'anno. Dopo la processione i giovani si riuniscono in un locale pubblico per una bevuta, che per i nuovi membri costituisce una sorpresa e una prova. Chi ha partecipato riferisce che i genitori tollerano di buon grado questa usanza e accettano che il figlio possa tornare a casa un po' brillo. E' da sottolineare che le autorità adulte, sia civili che religiose, non entrano nell'organizzazione e nella conduzione della festa, che non è sentita come particolarmente legata alla Chiesa, ma soprattutto come attività autonoma della comunità, a cui partecipano persone di convinzioni politiche e religiose molto diverse.


Storia e significato della festa

Non è nostro scopo esaminare gli aspetti antropologici e storici della festa, quanto piuttosto cercare di metterne in evidenza i risvolti significativi per lo sviluppo psicologico dei singoli partecipanti. A quanto sappiamo, le confraternite di giovani risalgono al Medioevo, come risulta da vari studi (Ariès, Pola Falletti, Giardelli): erano organizzate appunto con priori e massari, si occupavano della gestione di varie feste e, a quanto pare, avevano anche la funzione di dare in qualche modo un'espressione ma anche un contenimento a vari comportamenti antisociali quali risse, ubriachezza, furti, vere e proprie insurrezioni di studenti e di apprendisti ecc. Non vogliamo fare ipotesi sull'origine della festa, ma solo evidenziare gli aspetti simbolici più o meno consapevoli che può assumere per i giovani che vi prendono parte. A nostro parere il rito ha un ruolo facilitatore nella gestione dei conflitti di separazione/individuazione, di assunzione del potere e della responsabilità, di violenza/masochismo o passività e di gestione della propria identità.
Come dice Winnicott, il diventare adulto maturo implica la capacità di identificarsi con le figure genitoriali e con alcuni aspetti della società senza che ciò comporti un sacrificio troppo grande delle pulsioni personali; o, in altri termini, implica la capacità di essere se stessi senza dover essere perciò antisociali. Il ragazzo sano diventa capace di assumersi responsabilità e di aiutare a conservare, o modificare, o perfino trasformare completamente l'eredità della generazione precedente. Per raggiungere questa meta è necessario in qualche modo gestire il conflitto tra aggressività e sottomissione Secondo Winnicott crescere è implicitamente un atto aggressivo, perché significa prendere il posto dei genitori e perciò portargli via qualcosa. Nella pubertà il gioco popolare in Gran Bretagna "io sono il re del castello", diventa una condizione di vita, un'affermazione dell'identità personale e implica la morte dei rivali e lo stabilirsi di un predominio. L'attacco compare nelle parole successive della filastrocca: "Giù, volgare plebeo"(1). Il volgare plebeo a sua volta butta giù il re, mettendosi al suo posto Nella fantasia inconscia, anche se nella realtà non c'è alcuna manifestazione di ribellione e un buon accordo con i genitori, c'è morte e trionfo personale come qualcosa di intrinseco nel processo di maturazione e nell'acquisizione della condizione di adulto. Tale trionfo può essere vissuto con ritrosia dai singoli adolescenti, che possono manifestare invece impulsi suicidi. D'altra parte - sempre parole di Winnicott - la situazione manca della sua ricchezza se si evita troppo facilmente e con troppo successo lo scontro delle armi.
Il rito di iniziazione nella forma che abbiamo descritta si presta ad esprimere questo conflitto e in qualche modo a facilitarne il superamento, cioè ne riconosce l'esistenza e lo affronta, senza negarlo o cercare di evitarlo. Ciascuno dei giovani che entrano nella confraternita sa che prima o poi diventerà anche lui priore, vale a dire capo o re, e che comanderà sugli altri; sa altresì che il suo regno sarà solo temporaneo e che altri subentreranno dopo di lui. Il rito concilia la gradualità con l'irreversibilità: riconosce l'immaturità degli adolescenti e il loro bisogno di una moratoria, cioè di dover rimandare fino a un momento psicologicamente opportuno l'assunzione di responsabilità adulte; nello stesso tempo prepara all'effettivo ruolo di comando, dando da gestire autonomamente la festa ai giovani e soprattutto marca nettamente il momento di ingresso nel ruolo adulto. In questo modo fin dall'inizio è presente a tutti l'idea di termine, perdita e lutto, cioè di uscita dallo stato di dipendenza infantile, uscita considerata come definitiva. D'altra parte, per elaborare tale lutto, si può contare su anni e soprattutto sul sostegno rappresentato dagli altri e dalla loro esperienza vissuta. Il tempo piuttosto lungo passato a preparare le decorazioni, in un'attività solo apparentemente lenta e monotona, dà modo di parlare e di scambiare storie ed esperienze, dà uno spazio alla "bonaccia" adolescenziale, al periodo di attesa e appunto di preparazione in cui spesso non sembra che stia avvenendo nulla. E' importante anche la presenza contemporanea di età diverse, , per cui i più piccoli possono accedere alle conoscenze dei più grandi e questi ultimi sono investiti di un ruolo di protezione e di insegnamento nei loro confronti.
Come si è già detto, il priore "regna" per un anno e poi esce dalla confraternita, restando però a disposizione nelle nuove funzioni di consigliere. Muore ma sopravvive. E' possibile che gli aspetti violenti e cruenti delle fantasie adolescenziali trovino in qualche modo espressione in vari aspetti del rito: 1) la figura del santo, che è un giovane martire, trafitto con frecce e morto per i suoi ideali (che può rappresentare simbolicamente gli aspetti passivi o forse meno correttamente masochistici del conflitto). Il colore rosso delle ostie può evocare il sangue, così come lo stesso nome di "ostia" che significa "vittima"; 2) l'albero di alloro tagliato che, per la facile trasposizione pianta - uomo, può rappresentare una vittima sacrificale uccisa (con un taglio netto) e fatta crescere appositamente in vista della festa collettiva; 3) i furti "rituali" rappresentano bene l'idea di portar via qualcosa con la violenza o con la destrezza - gli adulti d'altro canto si rendono perfettamente conto dell'esistenza di tali fantasie o pulsioni e di fatto, più che reprimerle, danno loro un modo di manifestarsi all'interno di un contesto rituale; 4) la stessa questua, che ha uno svolgimento del tutto pacifico, può evocare non consapevolmente, sia nei giovani che negli adulti, rapine e minacce, invasioni del paese da parte di esseri estranei, selvaggi o liminari, o da parte dei morti (come avviene in altri riti molto simili dei Morti o del Carnevale). Come ha osservato Barillari a proposito del rito della questa, gli adulti, dando il loro contributo, dimostrano con le loro azioni di ratificare il rito, di coinvolgersi e di partecipare attivamente anche loro anche tangibilmente mediante il denaro dato ai "sebastianetti". Se, molto aleatoriamente, si vede la festa come un sacrificio collettivo, si può dire allora che anche gli adulti si assumono la loro responsabilità e la loro parte, nel bene e nel male (inconsciamente), e non si tirano affatto indietro. Va sottolineata infatti la forte dimensione conviviale e, se si può dire, orale della festa, in cui le stesse ostie hanno anche un significato alimentare e molta parte, anche a livello di "prova" di iniziazione, viene data al bere, con i suoi aspetti di momentanea trasgressione.
Un aspetto importante può essere considerato lo spazio che, come dice Jeammet, si presta più del tempo ad esprimere e in qualche modo a contenere i conflitti dell'adolescenza. Vediamo che nella prima fase del rito prevale lo spazio segreto, se non selvaggio, liminare, fuori dalle case delle famiglie, trovato e gestito dagli stessi giovani in campagna, nelle cantine, nelle case vuote. Nella seconda fase, quella della questua, si assiste, come ha osservato Barillari, ad un'appropriazione dello spazio del paese, percorso circolarmente durante i giri dei sebastianetti, che se lo dividono quasi militarmente e a una definizione del territorio sociale, in cui è molto importante conoscere ed essere conosciuti. Nella terza fase, quella della processione, si ha uno spazio pubblico, un percorso lineare che si snoda fino alla chiesa, all'edificio più importante, durante il quale tutta la comunità assiste e dà il suo assenso alle azioni e ai progressi dei giovani. All fine l'albero è portato insieme dai giovani e dagli anziani. Durante le varie fasi i giovani esistono come gruppo distinto e indipendente, con una gerarchia e un'attività propria, ma in costante comunicazione e confronto con il gruppo degli adulti, che si astengono dall'intervenire direttamente ma fanno da interlocutori delle varie azioni, illecite e lecite, e raccolgono in qualche modo la sfida dell'immaturità (Winnicott). I furti, la questua e l'asta sono tre modi diversi con i quali i giovani interagiscono e negoziano il rapporto con gli adulti, passando da una situazione esterna e quasi clandestina, a una fase di richiesta un po' minacciosa, fino alla vendita finale, che ha connotazioni quasi trionfali e in cui il rapporto di marginalità o di dipendenza è quasi rovesciato.


Le interviste

Abbiamo intervistato alcuni abitanti di Camporosso, che hanno fatto parte, come priori o massari, della confraternita. Sono state scelte persone di età differenti, con lo scopo di valutare l'impatto che l'esperienza ha avuto sui partecipanti in diversi periodi storici.
Il questionario da noi somministrato si compone di 29 domande, divise nelle tre fasi dell'esperienza (il prima, il durante e il dopo), che indagano i vissuti dei membri della confraternita, l'atteggiamento della comunità e della famiglia, il ruolo che l'esperienza ha avuto nella crescita personale e nell'integrazione sociale.
Nella totalità dei casi gli intervistati hanno richiesto attivamente di entrare nella confraternita e sono stati favoriti dall'appoggio e dalla approvazione della famiglia, trovando del gruppo dei coetanei e in genere del tessuto sociale un incondizionato consenso. La maggioranza dei soggetti ha considerato come momento più significativo ed emozionante dell'esperienza la lettura da parte del prete, durante la cerimonia religiosa, della lista dei sebastianetti per l'anno successivo, che avveniva davanti a tutta la comunità.
L'età di ingresso ha oscillato notevolmente (dai 9 ai 20 anni), anche in relazione ai diversi periodi storici. Come già sottolineato, nel corso del tempo le regole della confraternita hanno subito delle modifiche, che lasciavano inalterato il senso profondo, pur adattandosi alle situazioni contingenti che si venivano a creare.
Negli anni quaranta, ad esempio, la confraternita era composta da un priore, un sottopriore e quattro massari, anche se intorno ai pochi membri gravitavano un numero rilevante di giovani, che aspiravano ad entrare e partecipavano, seppur dall'esterno, alle varie attività. In questo secolo il numero più alto di sebastianetti si è avuto all'inizio degli anni settanta, periodo in cui era molto alto l'investimento emotivo della comunità locale sull'evento religioso e sulla sua preparazione. Va detto che negli ultimi anni c'è stato un periodo di estrema difficoltà e di minor partecipazione dei giovani, con il rischio concreto che la tradizione secolare si perdesse. La comunità ha dovuto mobilitarsi per salvare la sopravvivenza della confraternita, minacciata dal predominare nel gruppo dei giovani di stili di vita e abitudini omologate ai modelli standardizzati imposti dai mass-media. Di fatto la tradizione è stata mantenuta soprattutto da giovani immigrati, che vedevano nella partecipazione alla confraternita un'occasione per rivendicare il loro senso di appartenenza alla comunità.
Occorre sottolineare come gli intervistati, indipendentemente dall'età, si siano trovati concordi nel considerare il gruppo della confraternita come accogliente e tollerante, piuttosto che aggressivo o discriminatorio soprattutto nei confronti dei membri più giovani. Esistevano certamente scherzi, spesso anche piuttosto pesanti, fatti agli ignari novizi, ma in un clima molto positivo, che stemperava i momenti vissuti come penosi o angoscianti. La trasgressione riguardava soprattutto il bere alcolici, tra l'altro in un'occasione unica e ben ancorata alla tradizione condivisa dal resto della comunità. Non sono emersi elementi riferibili ad un'iniziazione sessuale, anche se il sesso era uno degli argomenti più trattati durante le lunghe serate trascorse insieme, occasione per i più piccoli di confrontarsi con le esperienze di compagni più "esperti".
Appare del tutto evidente che l'esperienza della confraternita sia stata considerata da tutti gli intervistati come di grande importanza sia per il processo di crescita e di ingresso nel mondo degli adulti, sia per il senso di coesione con il tessuto sociale. Indubbiamente l'aver fatto parte della confraternita ha conferito un titolo di merito agli occhi della cittadinanza, segnando in modo rilevante e durevole nel tempo il rapporto che il sebastianetto ha avuto con la comunità.
Crediamo sia importante annotare, pur senza avere la pretesa di correlarlo con gli effetti di questa antica tradizione, il dato che vede Caporosso come il Comune della Liguria con la percentuale di giovani più alta rispetto alla popolazione totale. Questa informazione, che non abbiamo potuto verificare in termini oggettivi, ci è stata fornita con un certo orgoglio dagli abitanti del paese, che ci tenevano inoltre a sottolineare come Caporosso sia all'avanguardia in ambito regionale nell'allestimento di centri sociali.


Conclusioni

Chiaramente non è proponibile una riproduzione del rito in altri contesti culturali. Però si può dire che, dove esistono sotto qualsiasi forma attività rituali anche soltanto simili, queste andrebbero mantenute e incoraggiate per il loro significato di sostegno all'identità culturale e per la loro ricchezza simbolica, di solito non ancora del tutto compresa e valorizzata. In molte regioni si è avuta la ripresa di feste lasciate cadere anche da anni e che hanno riacquistato una nuova vitalità, fino alle situazioni paradossali in cui celebrazioni "artificiali" nate da due decenni sono ormai sentite dai giovani come tradizionali e "sempre esistite". La stessa festa di San Sebastiano si è dimostrata molto adattabile e flessibile, superando durante il Novecento due guerre, un periodo di forte immigrazione proveniente dall'Italia del Sud e il cambiamento del ruolo sociale delle donne, che ultimamente sono state inserite a tutti gli effetti nelle varie attività. Più specificamente si possono individuare alcuni aspetti che hanno una rilevanza come fattori di prevenzione nella festa descritta: 1) autonomia dei giovani nella gestione e nella gerarchia, all'interno però di un'attività tradizionale e socialmente riconosciuta; 2) carattere pubblico del momento finale, che implica accettazione, riconoscimento ed "esibizione" dei risultati raggiunti; 3) significati simbolici multipli e polivalenti, soprattutto non espliciti e non prefissi a priori (probabilmente è inevitabile che qualsiasi gruppo umano che organizzi un'attività comune la carichi di significati inconsci più o meno ricchi); 4) inserimento delle attività all'interno della tradizione della comunità locale. In un momento come l'adolescenza, in cui l'identità personale vacilla ed è particolarmente forte la dipendenza dall'ambiente esterno, il fatto che ci sia una continuità culturale può fungere da sostegno, da arricchimento e da aiuto nel superare conflitti individuali, anche se sicuramente non può essere sufficiente ad affrontare situazioni di tipo patologico.


Note:

1. I'm the King of the Castle...and you're the dirty rascal

° Dipartimento Salute Mentale ASL 2 Savonese
°° ISAD Genova


Bibliografia

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