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PSYCHOMEDIA
TERAPIA NEL SETTING GRUPPALE
Psicodramma



Campo immaginario e campo ludico

di Donata Miglietta

(articolo tratto dal n. 1 della Rivista Areanalisi, 1987)



Una premessa etologica

Il principio evoluzionistico costituisce una guida permanente all'organizzazione del mondo e alla sua gerarchia funzionale. La complicazione delle situazioni che viviamo risulta dalla combinazione attraverso il tempo di elementi primari che è importante scoprire. La traccia dei dinamismi elementari va dunque ricercata in tutti i momenti e in tutti i livelli delle combinazioni secondarie che possiamo incontrare, combinazioni che presentano una molteplicità infinita.
Il più complesso offre lo spettacolo del più semplice che si ripete, e il più semplice nasconde i germi del più complesso. Nasce da qui, oltre che dal fatto che la ricerca sul gioco cominciò ad ampliarsi e a progredire per merito dell'etologia, la ragione di questa premessa. Fu infatti la scoperta che la selezione della capacità ludica potrebbe avere un'importanza cruciale nell'evoluzione e determinare una svolta decisiva nelle ricerche sul gioco.

I ricercatori furono indotti a pensare che il gioco nei primati non abbia tanto lo scopo di abituare gli istinti al comportamento, quanto piuttosto quello di rendere possibile l'esercizio ludico di sequenze di atti che solo più tardi potrebbero combinarsi in modo tale da risultare utili alla soluzione dei problemi. La madre, con la sua presenza, funge da stimolo al piccolo per indurlo, giocando, a montare, smontare e rimontare sequenze comportamentali nel gioco.
Come per l'uomo così per i primati la capacità ludica si sviluppa e si esprime solo in un'area libera: l'istinto entra in funzione di fronte alla necessità, il gioco, per nascere, ha bisogno di libertà.

Per quanto concerne la struttura del gioco bisogna ricordare che non c'è gioco senza regole e che la prima regola del gioco è quella che consente appunto il riconoscimento della situazione ludica. A questo proposito è di fondamentale importanza il fatto che nei primati il gioco prende avvio a partire da segnali che vengono emessi per comunicare il carattere ludico dei comportamenti. Il segnale "questo è un gioco" ha un valore metacomunicativo, designa cioè la "cornice della relazione" tra un animale e un altro e permette di differenziarla da altre forme di relazione con cui potrebbe essere confusa; è noto che in certe specie i comportamenti ludici assomigliano a quelli di combattimento, perciò l'incapacità negli animali a leggere il segnale dà luogo ad un combattimento vero e proprio, mentre la corretta lettura produce il gioco, cioè il far finta di darsi battaglia. Lo stesso fenomeno è ben noto nel gioco umano, dove il riso e il sorriso segnalano che un comportamento normalmente aggressivo è invece privo di intenzioni aggressive, è un gioco, una finzione.

Si può quindi dire che l'evoluzione della specie, accompagnata dall'aumento del numero di anni di prematurità, comprende la selezione delle capacità ludiche, il che significa che il gioco è fuori da ogni dubbio una delle manifestazioni filogeneticamente ed ontogeneticamente di maggiore rilievo nella storia evolutiva degli animali e dell'uomo. In concomitanza ad un più ampio campo di gioco si sviluppano le strutture attenzionali che servono all'imitazione di un modello, ma prima di tutto, affinché compaia il gioco, deve essere acquistata la capacità di comprendere ed emettere metasegnali. Inoltre, affinché la struttura attentiva produca l'effettiva capacità di imitare un modello, deve essere acquisita quella che in linguistica si denomina "deissi" e cioè la capacità di vedere se stessi e i propri atti come nettamente distinti da quelli di un altro.

La discriminazione tra gioco e non gioco implica ugualmente l'esistenza di un embrione di ego, ovvero una forma primitiva di distinzione tra processi puramente primari e processi puramente secondari. La cornice psicologica che rende possibile il gioco è la capacità di distinguere tra messaggi costituiti da emozioni-segni e messaggi costituiti da simulazioni di emozioni-segni. Il gioco ha le sue regole e potremmo comparare la funzione e la comprensione dei metasegnali del mondo animale alla capacità nascente di distinguere tra realtà e fantasia senza la quale non sarebbe possibile entrare in una situazione ludica. Infine se il gioco si fonda su sequenze strutturate che fanno da cornice alla produzione e al riconoscimento di metasegnali, il campo ludico si sovrappone al campo immaginario, ma ne inizia anche un, distanziamento proprio perché esisterebbe, da quanto abbiamo visto, una parallelismo tra la struttura normativa del gioco e quella che sarà la struttura normativa del linguaggio. Si può dunque affermare che è nel campo ludico che la vita immaginaria e la fantasia iniziano a costruire la loro grammatica il che equivale al dire che il gioco è già una langue.

Gioco e linguaggio. Genesi dell'io e identificazioni immaginarie.

Il gioco venne introdotto nella psicoanalisi dei bambini contemporaneamente alla nascita dello psicodramma. Dal 1919 in poi l'utilizzazione del gioco ha permesso alla teoria psicoanalitica uno sviluppo teorico e clinico di eccezionale portata. Dirà infatti la Klein che la maggior parte dei suoi contributi alla teoria psicoanalitica derivano dall'applicazione della tecnica del gioco sviluppata con bambini, alla quale essa dice di essere debitrice delle principali intuizioni sul funzionamento primitivo della mente.
Bruner ha avanzato recentemente l'ipotesi che nei bambini l'uso del linguaggio segua l'azione: solo dopo che nell'azione si padroneggia qualcosa, questo qualcosa fa la sua comparsa nel linguaggio. Il gioco può allora fungere da veicolo di acquisizione linguistica. Le strutture del pensiero originerebbero quindi nell'azione e in meccanismi sensomotori più profondi di quelli linguistici e solo successivamente il linguaggio si libererebbe dal contesto dell'azione per divenire progressivamente un mezzo di trasmissione della conoscenza.

Vygotsky, criticando l'ipotesi di gioco come forma di soddisfazione allucinatoria, aveva chiarito che nel gioco il bambino è libero, ma che si tratta di una particolare forma di libertà poiché non esiste gioco senza regole e le regole del gioco derivano dalla situazione immaginaria stessa.
Vygotsky osserva come il gioco venga inventato nel corso dello sviluppo quando si manifestano desideri irrealizzabili di fronte ai quali però si sia attenuata l'esigenza all'appagamento immediato: allora il gioco può comparire come realizzazione immaginaria e illusoria dei desideri irrealizzabili.

L'immaginazione che non è possibile nel bambino molto piccolo compare nel corso dello sviluppo. Il gioco farebbe la sua comparsa per la necessità di accedere alla situazione immaginaria e la capacità di creare una situazione immaginaria è possibile sulla base della separazione del campo della visione e del significato.
Nel bambino molto piccolo vi è una fusione totale tra la parola e l'oggetto, tra ciò che viene visto e ciò che viene significato e in questa situazione di fusione una divergenza tra campo visivo e campo del significato risulta impossibile.

E' nel corso dell'attività ludica che il pensiero comincia a separarsi dagli oggetti e che le azioni cominciano a prendere le mosse dalle idee invece che dalla visione. Nell'attività ludica i significati delle parole si sostituiscono agli oggetti, attraverso il gioco, alla visione della realtà si sostituisce la capacità di vedere mentalmente. Perciò lo studio del gioco mostra come proprio nell'area ludica si crei un rapporto nuovo tra campo semantico e campo visuale, vale a dire tra pensiero e realtà.
Così come dice Lacan la maggior parte della vita passa in un mondo immaginario, su un'apparenza che ha rapporti lontani con la realtà. Il libero arbitrio è alienato nell'illusione, un'illusione necessaria che gioca un ruolo difensivo.

Nel 1908, molto prima che Moreno inventasse lo psicodramma, Freud trattò il caso del piccolo Hans attraverso la mediazione del padre. Hans eseguiva dei giochi che il padre raccontava a Freud, il quale lo aiutava a decifrarne il significato. Dirà Anzieu che questo lavoro è la prima descrizione di uno di uno psicodramma con il padre come Ego Ausiliario e Freud come direttore del gioco, un direttore a distanza.
Per Freud il desiderio di giocare è il risultato del desiderio infantile di esprimere impulsi proibiti e il gioco è possibile sinché questi impulsi possono emergere attraverso un mascheramento simbolico.

Sarà a partire dal gioco del rocchetto che Freud chiarirà il problema della formazione del simbolo.
Il rocchetto viene usato da Ernst per accettare il trauma della separazione senza esserne distrutto: il rocchetto può essere fatto sparire e riapparire a volontà, è controllabile in modo assoluto. Così attraverso il gioco del rocchetto il bambino controlla tutti i personaggi della scena primaria: ma una tale operazione, se presa alla lettera, implica la confusione del rocchetto con la madre e con il padre. Occorre allora che il bambino sappia che il rocchetto rappresenta la madre, ma non è né la madre né il padre, occorre, perché ci sia gioco e non esperienza allucinata, che sia accettata una perdita che può solo essere riparata dal gioco, ma non annullata.

Nel 1919 l'analisi di Fritz segnò l'origine della tecnica psicoanalitica del gioco nella quale M. Klein cominciò ad interpretare non solo le parole ma anche le attività di Fritz nel gioco. Fin dall'inizio la Klein ci tenne a precisare che i giocattoli non erano l'unico mezzo di espressione e che l'interpretazione era anche sul gioco come tale, come gioco in cui, ad esempio, il bambino può assegnare delle parti all'analista. Il principio dell'interpretazione rimane lo stesso se le fantasie sono espresse mediante giocattoli o con la finzione scenica.
A partire da questo modello l'inconscio verrebbe rappresentato come un luogo dentro la mente, luogo della realtà psichica abitato da parti del Sé, dove, come dirà Meltzer, "si crea una scena su cui può svolgersi un dramma. Questo dramma può essere usato come il teatro della creazione di quel significato che viene poi infuso nelle forme del mondo esterno" (1981).

Con l'utilizzazione del gioco la Klein ha dunque introdotto nel campo analitico la drammatizzazione. L'apporto di questa innovazione permette ad una scena interna di svilupparsi protettivamente in uno spazio esterno. Dove non esiste la parola, come nel caso di Dick, la Klein inventa qualcosa che anima in modo apparentemente magico le emozioni e gli impulsi del piccolo paziente, apre le porte del suo inconscio - dice Lacan - innestando le prime simbolizzazioni della situazione edipica. Da qui il bambino potrà riprendere l'uso della fantasia che personifica nello spazio del gioco, << la locandina del mondo interno >>, quello che l'analista gli ha aperto.
Ma la Klein fa qualcosa di più accettando di decostituirsi dalla posizione parentale nel transfert, accetta nel gioco di scambiare il suo posto con quello del bambino, entra cioè in quel rovesciamento delle parti che è l'accesso al mondo della psicosi, accetta di fare come in uno psicodramma, offrendosi per impersonare quel che il bambino ha bisogno.

Occorre ancora sottolineare come con Freud prima e con la Klein dopo il gioco e il teatro siano considerati come dispositivi che permettono lo svolgersi del discorso analitico e sono dispositivo strettamente legati tra loro.
E' il discorso che affronteremo con lo psicodramma: non c'è teatro senza gioco, né gioco senza teatro, poiché ambedue si fondano sulla capacità di entrare in una finzione consensuale, in quell'area dell'illusione che sarà il discorso sviluppato con Winnicott: lo spazio potenziale che sta tra l'oggettivo e il soggettivo.
Mentre infatti l'oggetto piccolo "a" sembra segnare una separazione e una distanza insormontabile, l'oggetto transizionale, come oggetto soggettivo, colma questa distanza in un terreno dove si può giocare senza rischi. Noi sappiamo abbastanza sullo stato di separazione mentale, dal momento che il nostro linguaggio dipende da esso, ma il fatto è che dobbiamo vivere con uno stato mentale di separazione e paradossalmente anche con quello di non separazione dato che il superamento della separazione è oggettivamente un'illusione.

Campo immaginario e campo ludico

Lo psicodramma analitico è per lo più considerato ancora oggi un'eterodossia e spesso il gioco viene ancora confuso con il passaggio all'atto. Credo che su questo gli psicodrammatisti abbiano il compito di fare chiarezza. Perché questa posizione di diffidenza circola in alcuni paesi e non in altri? Perché non in Francia dove viene utilizzato nell'ambito della corrente più ortodossa della psicoanalisi? Perché non in America dove Pichon Rivière ha scritto e lavorato con lo psicodramma?
Elena Croce ha recentemente pubblicato un libro che fa luce sul tema dell'acting e del gioco. Ottavio Rosati nel suo cammino ha lavorato per anni con la Rivista "Atti dello psicodramma" nella direzione di inserire il gioco psicodrammatico in una cornice che si chiama "Setting". Così hanno fatto altri psicoanalisti allievi di Paul e Gennie Lemoine.
Con le notazioni che seguono vorrei portare il mio personale contributo a questo problema.

Il gioco fa la sua comparsa nel setting di gruppo e dal gioco non ci si devono attendere risultati immediati, in altre parole non è la catarsi quello che ci interessa nel mettere in scena il discorso. Il gioco viene introdotto come apertura di uno spazio rappresentativo, di un'area ludica o di illusione nel senso etimologico del termine (in lusum, l'essere in gioco deriva dal latino ludere).
Perché ci sia gioco ci devono essere regole, come abbiamo visto in precedenza, e la prima regola è appunto la cornice o setting che permette il riconoscimento della situazione ludica come tale, distinguendola da altre con cui potrebbe essere confusa. Senza distinzione tra luogo della realtà e luogo della fantasia non c'è accesso alla situazione ludica. Nello psicodramma lo spazio del gioco si apre come spazio e luogo transizionale dove la scena rappresentata mostra alternativamente la sua faccia reale e quella immaginaria: in mezzo alle due si apre una fessura dove si può guardare. Il gruppo certo può essere utilizzato per le identificazioni proiettive e introiettive dei partecipanti. Lo psicodramma permette tuttavia qualcosa di più e cioè di rivelare, delimitare ed acuire le personificazioni immaginarie, trasformandole in scene, lo psicodramma costituisce dunque innanzitutto uno spazio scenico potenziale intermedio tra reale e immaginario e acquista la sua dimensione specifica mediante l'uso del gioco che modifica radicalmente le dimensioni spaziali e temporali del gruppo.

Nei pazienti molto gravi che sempre più oggi chiedono aiuto alla psicoanalisi ci si trova di fronte ad una disintegrazione strutturale e al gravoso problema di provare a ricostruire, partendo da una catastrofe, quelle identificazioni essenziali sulle quali è fondato il sentimento di identità.
L'idea di Winnicott di una conoscenza possibile in un'area transizionale permette di guardare a questo problema con un taglio innovatone che fa riferimento all'ipotesi di uno spazio mentale le cui componenti possiedono una ampiezza e una dimensionalità maggiori di quelle derivanti dalla concezione classica di uno spazio tridimensionale.
In "L'Io e l'Es" Freud afferma che il narcisismo dell'Io si presenta come secondario proveniente cioè dal ritiro della libido dagli oggetti. La costituzione dell'Io sorge dalla scoperta del mondo degli oggetti e dalla crescente distinzione tra quelli e il proprio Sé fisico e mentale. Tuttavia le immagini del Sé corporeo e psichico emergono dalle primitive esperienze istintuali, emozionali e funzionari.

Lo psicodramma chiama in causa prima di tutto il corpo e non la sola parola, il corpo che è la sede dei precursori dei processi emozionali e di pensiero, il corpo che parla anzitutto un linguaggio affettivo organico, il quale - come fa notare Schur (1955) - sopravvive anche nella vita emozionale dell'adulto normale.
Come nel bambino molto piccolo così nello psicotico vi è una fusione totale tra parola e oggetto, non c'è separazione tra campo della visione e campo del significato, tra parola e cosa.
Il gioco apre invece una fessura tra il nome e la cosa, tra il blocco compatto della realtà e quello imperscrutabile dell'universo inconscio. Il gioco sta tra la terra e il cielo, in quel mondo altro dove il tempo non è rettilineo e lo spazio non ha solo tre dimensioni.
In psicodramma alla condizione di essere in un gruppo analitico si aggiunge la condizione di poter usare del gioco. E se il gioco è, come si è visto, un elemento fondamentale per la nascita del pensiero, allora il ritorno alla condizione del gioco può permettere di indagare alla radice l'alterazione della funzione di pensiero.

L'isomorfismo tra il prodursi del gioco nell'ontogenesi e il prodursi del pensiero è dato dal fatto che l'uno e l'altro sono possibili quando è tollerato il differimento dell'appagamento pulsionale. Il gioco non dà infatti appagamento anche se nasce dal desiderio, cosi come non conferma l'immaginario: si limita ad aprirgli uno spazio rappresentativo.
Il desiderio utilizza l'occasione offerta dal presente per proiettare, secondo il modello del passato, un'immagine sull'avvenire.
Dice Freud ne << Il poeta e la fantasia >> che l'occupazione preferita e più intensa del bambino è il gioco. Forse si può dire che il bambino impegnato nel gioco si comporta come un poeta in quanto si costruisce un suo proprio mondo, o meglio, dà a un suo piacere un nuovo assetto alle cose, del suo mondo.

Nel gioco psicodrammatico convergono e si intersecano due campi, campo immaginario e campo ludico, l'immaginario si materializza per qualche istante e il gioco lo fa apparire e scomparire. Quel che è racconto del passato si presentifica: c'è questa quarta dimensione nel campo. 1 personaggi assenti possono rivivere conservando al tempo stesso la loro assenza.
Tutto può attualizzarsi e ritornare ma solo nella finzione. Come nella scena finale di "Orfeo Nero", l'Orfeo che si volta non rispettando l'ordine del rituale perde l'illusione della presenza di Euridice e non avrà più né il suo corpo, né la suo voce, ma solo la presenza della vecchia invasata, così nello psicodramma non bisogna volere confermare l'illusione inverandola, pena la confusione tra immaginario e reale, il che significa incontrare davvero la follia.
La fantasia e il gioco contengono per l'intensità dell'uso che se ne può fare l'accesso a due mondi: quello del pensiero analogico, creativo e poetico e quello della caduta nella malattia.

Il gioco rappresenta, ma non è quello che rappresenta, il gioco non significa solo quello che mostra. Appunto per questo aprire la dimensione ludica è anche aprire al pensiero la via per differenziarsi dalle cose.
Cosa facciamo dunque quando introduciamo il gioco nel setting gruppale?
Prima di tutto possiamo descriverlo attraverso una metafora mitica: noi introduciamo Ipnos e i suoi tre figli. Ipnos, trasformazione benigna di Thanatos, induce al sonno i mortali o li mette nella condizione di restare sospesi tra la vita e la morte; Morfeo, il primo figlio di Ipnos, è colui che dà una forma alle figure che popolano i sogni; lkelos, il secondo, porta gli incubi sotto forma di mostri; il terzo è Fantasos che invia al dormiente "le sue creazioni: scene, luoghi, situazioni, paesaggi o case. Costruisce in sostanza lo scenario del sogno... resta dietro le quinte, non appare ma mostra, non agisce ma rappresenta" (Riolo F., 1980).

Introdurre Ipnos è però anche introdurre la possibilità di sognare ad occhi aperti come mostra la leggenda di Endimione. Questa possibilità è nello psicodramma.
Dice Freud che la fantasia ondeggia tra tre tempi: i momenti temporali della nostra ideazione, e nella fantasia passato, presente, futuro sono come infilati dal filo del desiderio che li attraversa.
Fantasos non agisce ma rappresenta. Così è il gioco in psicodramma: rappresentazione che oscilla tra l'incantesimo di Ipnos, Morfeo, lkelos e Fantasos. Ancora possiamo stabilire che la condizione scenica della rappresentazione in psicodramma introduce una regressione cronologica: avanti e indietro nel tempo; una regressione topica: sospensione temporanea delle funzioni dell'Io e del Super-Io; una regressione formale: ritorno ai modi arcaici di espressione.

Il problema del gioco è che esso non mostra la verità o la menzogna, ma delle immagini. Dunque non si tratta di contrapporre realtà e gioco, verità e illusione, si tratta di introdurre una funzione semíotica che precisa la cornice dove la rappresentazione si iscrive.
Un universo senza illusioni sarebbe triste, piatto e ripetitivo.
Lo psicodramma, costruito sulla possibilità dell'illusione è tuttavia il metodo che permette di rivelarne gli errori, lo psicodramma penetra nell'illusione, la approfondisce, la supera, la rovescia. Come si giunge a questo è in fondo molto semplice: l'illusione è un doppio della realtà e può arrivare a confondersi con essa o al contrario creare scissioni tra territori senza comunicazione.
Noi tutti abbiamo bisogno di vivere nell'illusione, dentro ad un certo grado di misconoscimento di noi stessi. La memoria è a doppio senso e noi la ricostruiamo ad ogni istante della nostra vita. Ma a partire da questa ricostruzione può divenire impossibile riattraversare lo specchio.

La semplicità del senso che ha lo psicodramma è di rivelare che il vero errore che fa l'illusione è proprio quello di pretendere di essere confermata. Con lo psicodramma noi prendiamo esattamente il cammino inverso: l'illusione può imparare a rinunciare ad essere confermata dal reale, perché, come dice Freud, "ciò che caratterizza l'illusione è di essere un derivato dei desideri umani".
Lo psicodramma entrando nell'illusione la può trasformare da errore della percezione sensoriale, o da rappresentazione allucinata di un contenuto puramente immaginario di cui il soggetto è prigioniero come di un demonio, in una illusione che, come paradosso della realtà, può essere accettato o restare irrisolto, un paradosso che richiede la contemporanea presenza di due cose contraddittorie: credere ad una certa realtà dell'illusione e sapere ad uno stesso tempo che quella non è la verità.
L'accettazione di questo paradosso è sufficiente per stabilire distanza e contatto ludico con l'immaginario.

La scena che si rappresenta in psicodramma, è il luogo della funzione rappresentativa e richiede un va e vieni dall'adesione magica alla posizione metarappresentativa critica.
Il gioco in psicodramma è infatti una metarappresentazione. Per questo non ci si pone mai la questione della rispondenza di una scena alla realtà, né ci si chiede se chi parla o chi gioca stia parlando di se stesso o di altri. Gli esseri umani sono i romanzieri della loro vita e - come dice Fowles - tutti i romanzieri hanno in comune la ragione di creare mondi reali quanto quello che esiste, ma diversi. Ognuno di noi agghinda, diffama, indora, censura o rattoppa la sua storia e la sua immagine. La nostra visuale del mondo contiene facili distorsioni e trasferimenti su altri degli aspetti non accettabili in noi stessi.

Certamente lo psicodramma apre una scena dove la parola può animarsi e prendere corpo e dove, attraverso il cambio di ruolo, si può rientrare senza alcun rischio nelle parti scisse del Sé. Può così avvenire che queste parti non vengano più sentite così inaccettabili.
Questa è una delle vie che il setting dello psicodramma offre.
Ma la caratteristica dello psicodramma è che il cammino della cura avanza attraverso la possibilità di costruire una scena che è il ponte di comunicazione tra reale e immaginario, una scena dove la metarappresentazione delinea un territorio intermedio tra l'interna scena mentale e la scena della vita: è in questo che lo psicodramma offre un luogo dove il simbolo può mettere le sue radici e percorrere un tragitto analogo a quello che Engels descrive, dicendo che la storia della scienza è la storia dell'eliminazione progressiva dell'errore nel senso della sua sostituzione con un errore nuovo, ma sempre meno assurdo.

Vorrei concludere citando un passo dell'introduzione di "Attraverso lo specchio" esso dice tra l'altro che il vero "significato di "Attraverso lo specchio" ci rimarrà forse ignoto per sempre. La vera storia di Alice e di noi tutti, sospesi senza saperlo tra il sogno e la veglia, non è quella che abbiamo letta; sta chiusa nel sogno del Re Rosso che dorme profondamente disteso sull'erba umida, con il capo nascosto da una cuffia da notte. Mentre noi tutti stiamo giocando la nostra partita, egli non gioca. Chi può escludere che proprio lui sia l'ignoto, oscuro, inattivo e sonnolento creatore e signore del mondo?".

BIBLIOGRAFIA

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CARROLL L., Attraverso lo specchio, Mondadori, 1978. Borla, 1985. CROCE E., Acting out e gioco in psicodramma analitico, Borla
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