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PSYCHOMEDIA
TERAPIA NEL SETTING GRUPPALE
Psicoterapia di Gruppo


Fasi del processo terapeutico gruppale viste attraverso l'analisi dei sogni

di Fiora Pezzoli *

* Psicologa, psicoterapeuta APG




In questo lavoro mi riferisco ad un gruppo di nuova costituzione che avrebbe dovuto essere formato da sette persone (tre maschi e quattro femmine) ma che, proprio all'ultimo momento, ho trovato decisamente ridimensionato. Infatti, alla prima seduta mi trovo a dover affrontare una situazione assolutamente inaspettata.
Circa un'ora prima dell'inizio del gruppo ricevo due messaggi sulla segreteria telefonica. Nel primo Paolo dichiara di volersi ritirare dalla partecipazione all'esperienza di gruppo, nel secondo Piera mi comunica la decisione di rimanere al capezzale di una sua amica morente e questo fatto la porterà a mancare alle prime due sedute.
Al mattino dello stesso giorno, Giorgia, che fino alla seduta precedente, sembrava pronta ad iniziare il gruppo, ha dei ripensamenti ed entra in un grave stato di angoscia paranoide per cui ci vorranno due settimane prima di poterla inserire.
Così, alla prima seduta, ci sono quattro persone anziché sette.
Nella fase di costituzione di un gruppo terapeutico è inevitabile dover attraversare un periodo in cui esso appare "un miraggio". Si alternano infatti momenti in cui sembra prendere forma ed altri in cui, improvvisamente, sembra dissolversi, ma questo esordio mi ha colto molto di sorpresa.
Confesso che non è stato per me facile superare questi imprevedibili cambiamenti che sono andati ad accrescere gli ovvii timori relativi all'esperienza nuova.
Il timore molto intenso che mi ha accompagnato durante le prime quattro sedute è stato quello della dissoluzione del gruppo. Ricordo come fosse ora la sensazione rasserenante che ho provato quando, finalmente, alla quinta seduta ho visto tutti e sei i partecipanti riuniti nella stanza di terapia.
Questi avvenimenti mi hanno fatto pensare a lungo alla questione della preparazione dei pazienti al gruppo. Prima del suo inizio avevo prestato molta attenzione ad interpretare tutti i riferimenti al gruppo che riuscivo a scorgere nei sogni e nelle fantasie dei pazienti, sia nei termini di difese persecutorie, sia nei termini di desiderio di provare l'esperienza di gruppo. Giorgia e Aurelia portavano un grave senso di angoscia legata all'impotenza e alla incapacità di parlare di sé di fronte ad altre persone; Piera, considerandosi influenzabile, temeva di essere contagiata dai problemi degli altri; Giuseppe, in un sogno, aveva trasformato il gruppo in una platea di fronte alla quale cantava, sperando di essere applaudito; Eugenio e Maria, viceversa, sembravano abbracciare con entusiasmo e con una certa tranquillità la proposta del gruppo.
Tale preparazione si è rivelata utilissima soprattutto nel caso di Eugenio e Giuseppe che nel tempo sono riusciti a maturare la convinzione che il gruppo era la risposta più precisa e personalizzata alle loro esigenze, ma non sufficiente ad evitare forti sussulti in Piera e Giorgia che presentavano verso di me un consistente attaccamento di tipo simbiotico e che hanno dovuto combattere contro intensi vissuti di allontanamento e abbandono. Anche la veglia di Piera al capezzale dell'amica morente, come è risultato ad una elaborazione successiva, metaforicamente sta ad indicare il lutto per la separazione dal rapporto duale.
Credo che l'attenta preparazione e il rapporto di estrema fiducia nutrita dai pazienti nei miei confronti siano stati gli elementi che hanno permesso sia a me che a loro di non rinunciare alla nuova esperienza.

Con la tensione derivante dal trovarmi alla prima seduta con il gruppo quasi dimezzato, entro nella stanza di terapia e trovo tutti immersi nella lettura. Mi stupisce che ognuno si sia portato da casa qualcosa da leggere, forse con un significato transizionale ognuno aveva sentito il bisogno di trovarsi un interlocutore scelto come risposta al timore di avere a che fare con interlocutori ignoti. E' evidente che una paura ancora non ben identificata si è impossessata di tutti. Paura della situazione nuova, paura di confondersi con gli altri, paura del giudizio degli altri. La prima cosa che mi viene da fare, sicuramente per contenere la mia ansia e per avviare uno sblocco della situazione di disagio generale, è presentare i pazienti per nome e richiamare brevemente le regole di funzionamento della terapia.
Dopo la presentazione segue un attimo di silenzio, subito spezzato da Eugenio che dichiara la sua curiosità a conoscere gli altri e propone di iniziare dalla professione, la qual cosa, come dice lui, "non dovrebbe essere difficile".
Alla presentazione professionale, in cui tutti si esprimono sottotono come se temessero/desiderassero esibirsi, segue la descrizione dei motivi per cui sono in terapia.
Il discorso volge poi verso fatti esterni e tutti e quattro lamentano la poca presenza del proprio partner nella relazione amorosa, soprattutto nei momenti difficili.
Si direbbe che lo spavento di fronte alla situazione ignota faccia sorgere l'esigenza di una mia presenza più massiccia e anche, evocando i partners, di raddoppiare il numero dei presenti.
Poiché non rispondo alle loro aspettative, cercano di fare da soli esibendo le loro parti adulte ed interrogandosi sul mio ruolo. Giuseppe esprime addirittura il timore/desiderio di dover/voler prendere il mio posto.
Anche se fin dall'inizio ho cercato di adottare uno stile che favorisse la circolarità della comunicazione, non escluderei che durante le prime sedute ci sia stata anche una sorta di annichilimento paralizzante che ha ridotto la vivacità della mia presenza.
Credo che sia probabile, anche se in quel momento non mi risultava comprensibile, che stessi sperimentando quel senso di disorientamento e di difficoltà a pensare che Claudio Neri riferisce allo "Stato gruppale nascente". Solo ora, a distanza di tempo, posso pensare che quello che stavo provando non era riferito solamente all'assenza dei pazienti che avrebbero dovuto esserci, ma anche e, forse, soprattutto alla perdita dei riferimenti abituali. Stavo sperimentando le emozioni legate all'inizio del gruppo. Pur essendo presente nell'hic et nunc della situazione, provavo una sorta di ottundimento delle possibilità di indirizzare in modo volontario e attivo la mia partecipazione
Le successive tre sedute si svolgono con tre pazienti. A turno si assentano Maria e Aurelia. Anche per loro, che pur non hanno fruito di una psicoterapia individuale ma solo di colloqui preparatori, è difficile abbandonare il rapporto duale. Maria non ha ancora informato il marito della sua decisione di fare la psicoterapia, perciò non è riuscita per due volte a trovare la motivazione plausibile per assentarsi e Aurelia è partita per un viaggio di lavoro in oriente per non assistere alla partenza del marito che si trasferisce definitivamente in un altro appartamento.
I presenti disquisiscono per diverse sedute sulla necessità di avere coraggio sia per affrontare la separazione (dalla moglie, dal marito, dal fratello ecc.) vissuta come morte, sia per investire affettivamente le situazioni nuove per timore del rifiuto o della perdita.
E' chiaro che queste fantasie sono legate alla novità dell'esperienza gruppale.
L'assenza di metà dei partecipanti, che è stata una costante delle prime quattro sedute, produce una situazione particolare: i presenti si trovano costretti a fare i portavoce della speranza per controbilanciare gli aspetti spaventosi evocati dagli assenti. Infatti, in queste sedute, grande spazio viene riservato al riconoscimento dei progressi ottenuti nell'individuale e si sente sotteso il grande interrogativo: "insieme ce la faremo in questa impresa?"
Prima, nel rapporto duale, erano note le garanzie che potevo fornire, ora, non sanno più bene cosa posso garantire loro. Emerge anche il timore che io possa non credere nelle possibilità terapeutiche del gruppo (Giuseppe) e che non sia in grado di condurlo dal momento che non sono stata capace di garantire le presenze previste. Ma si tratta di un dubbio che viene subito fugato da Piera la quale dice che "conoscendomi", sa benissimo che non faccio cose in cui non credo.


1 - RICERCA DI MODALITA' RELAZIONALI NUOVE E CONSEGUENTI RESISTENZE

Quando, finalmente, alla quinta seduta ci sono tutti e sei, qualcosa cambia in me e nel gruppo. Io mi rassereno e sento che l'esperienza gruppale può ora veramente avere inizio. Così anche i pazienti sentendo che ho riacquistato le mie consuete capacità di reggere le situazioni, possono ora esprimere tutta la loro aggressività per la perdita della relazione privilegiata con me. Emerge ora con chiarezza la problematica simbiotica con tutte le resistenze ad accettare la confusione iniziale vissuta come regressione negativa e non come caos creativo da cui possono nascere nuovi assetti più soddisfacenti per ognuno. Tutti si lanciano nell'individuazione di categorie: maschi, femmine e nella definizione dei compiti: genitoriali, filiali, del terapeuta, dei pazienti. Il gruppo si divide e nasce un confronto tra le posizioni difensive e quelle evolutive. C'è chi richiede risposte immediate e definitive a quesiti esistenziali (Aurelia e Maria) e chi, avendo già esperienza di lavoro terapeutico, riconosce in sé tale desiderio, ma sa che le risposte non verranno da me e non immediatamente ma nel corso del lavoro terapeutico (Piera e Egidio).
Io sento che il mio lavoro viene facilitato dalla presenza dei "vecchi" pazienti. Aurelia porta materiale che indica il suo timore che l'esperienza del gruppo, vissuta da tutti gli altri come più avanzata rispetto all'individuale, possa essere prematura per lei. Il confronto con i pazienti più vecchi la fa sentire come quando a 16 anni era stata mandata dalla mamma in Inghilterra "alla pari" per apprendere la lingua e si era trovata a dover accudire da sola un bimbo di sei mesi e uno di tre anni quando lei si sentiva tanto bisognosa di cure ed affetto. Le mie interpretazioni possono raggiungerla perché i "vecchi", alleati con me, non fanno i "sapientoni", ma espongono tutte le loro difficoltà.
Transferalmente io sento di aver riacquistato sicurezza e mi sento a mio agio. Credo che non sia un caso che da questo momento e per un certo periodo il gruppo sia quasi sempre al completo. Anche per i pazienti, infatti, la presenza di tutti è rassicurante e permette il sorgere di un sentimento di appartenenza.
Nelle sedute successive inizia un'interazione intensa tra i membri del gruppo. Si sviluppa una vera e propria catena associativa gruppale in cui ogni intervento si aggancia a quello precedente con una concatenazione che ha un punto centrale che ne costituisce il fulcro e il raccordo. Il gruppo giunge ben presto alla generale acquisizione di consapevolezza di aver avuto e, forse, di aver ancora bisogno di riconoscimenti da parte delle figure parentali (terapeuta), ma comincia a delinearsi la possibilità di un superamento di questa esigenza attraverso l'elaborazione delle proiezioni reciproche che i componenti del gruppo compiono relative al desiderio di accoppiamento (rapporto duale) che viene, per ora, svalorizzato e colpevolizzato.
A lungo la tematica centrale riguarda la sessualità. Il tono di fondo del discorso è di accusa verso la cultura famigliare che avrebbe impedito loro di sviluppare la libertà e la spontaneità tanto desiderata. C'è un confronto serrato sulle modalità costrittive ambientali contrapposte alla situazione gruppale vissuta come luogo in cui ci si può sentire liberi di affrontare questi temi. Aurelia si apre molto raccontando dell'amore sfortunato per un uomo che non l'ha contraccambiata come lei desiderava e la sua decisione di entrare in terapia dopo il fallimento di questa storia. Dal racconto a me risulta chiaro che il suo bisogno simbiotico viene spostato dalla relazione con quest'uomo alla psicoterapia ma decido di non interpretarlo perché sento che, in quel momento, avrebbe spezzato la circolarità della comunicazione.
Dalla mia esperienza di terapeuta individuale avevo potuto apprezzare quanto fosse importante il "timing" dell'interpretazione. Ma, a partire dalle prime sedute di gruppo, sono andata sempre più convincendomi che la mia attenzione doveva spostarsi, non si trattava solamente di comprendere i fenomeni interpersonali e di interpretarli nei modi e nei tempi più appropriati ma di apprendere l'utilizzo di quella messe di fenomeni, di cui il gruppo mi è fin da subito apparso ricco, per tentare di imprimere le trasformazioni auspicate.
Questa intuizione che molto più tardi ha assunto un significato più compiuto, ha costituito un primo inizio di comprensione esperienziale dell'esistenza del campo gruppale.
Tutto il gruppo, per un certo periodo, mantiene come cultura di fondo la bonificazione dell'area gruppale con la proiezione all'esterno del nemico.
Per dirla con Bion, il gruppo si trova in assunto di base/attacco e fuga e si gode il piacere della condivisione dei problemi fino a quando Maria non introduce il timore che un suo cambiamento possa accentuare la distanza già esistente tra lei e suo marito. Eugenio ribatte che non è così perché per esperienza personale ha verificato che anche il rapporto con sua moglie ha tratto beneficio dalla sua psicoterapia. Piera e Giorgia condividono questa opinione; Giuseppe, invece, si tiene in disparte e mi sembra che il suo atteggiamento interpreti la difficoltà che tutto il gruppo incontra nel buttarsi nella relazione. Infatti, nelle sedute successive, si parla a lungo dei timori di Aurelia di essere diventata sieropositiva e dell'impossibilità di potersi fidare della relazione (non si può fare l'amore con nessuno).
Dopo un periodo di condivisione fusionale intensamente goduta, in cui diverse volte il gruppo di lamentava di quanto il tempo fuggisse oppure qualcuno chiedeva perché gli incontri non potessero durare quattro ore consecutive, riappaiono fantasmi minacciosi.
Si direbbe che l'esperienza della vicinanza abbia messo in crisi il senso di identità dei partecipanti al gruppo per cui si è avvertito imperioso il bisogno di riprendere le distanze attraverso movimenti di individuazione.
Ma si tratta solo di un momento perché subito si verificano situazioni di profonda e intensa emotività. Il gruppo sta lavorando alla ricerca di modalità relazionali nuove anche se difensivamente sorge il timore di desideri sessuali reciproci ed emergono ricordi di esperienze traumatiche (Giorgia, Giuseppe) che si contrappongono al desiderio molto intenso di tenerezza e vicinanza senza maschere (Aurelia - Egidio).
Al desiderio di abbandonare le vecchie modalità megalomaniche, superegoiche, desiderose di riconoscimenti dalle figure parentali sopraffattive ed esigenti si frappone la paura dell'ignoto e la tendenza a ricorrere a vecchi modelli sentiti rassicuranti perché noti anche se riconosciuti ormai come mortiferi e putrescenti.

Esemplificativo di questo stato d'animo del gruppo è il sogno di Aurelia in cui c'è suo cugino morto qualche anno fa. Si tratta di una persona cui era molto affezionata. Nel sogno lei sapeva che era morto però lui era lì con metà corpo in decomposizione e le parlava mostrandole il lato del corpo in putrefazione.
Significativo è anche l'episodio in cui Eugenio, prima di Natale, invita tutti a partecipare alla festa di S. Antonio che al suo paese viene festeggiato tradizionalmente bruciando le cose vecchie di cui ci si intende disfare. Lui dice che ha preparato un falò enorme, tanto grande da rischiare di bruciare la casa. In questo falò ci sono tante cose, anche di legno pregiato, che lui aveva accantonato, nella fantasia un po' confusa di poterle utilizzare un giorno, per costruire qualcosa di fantasticamente ricco e prezioso. Ora si rende conto che sono cose irrealizzabili e che queste parti di sé, rappresentate dall'accantonamento di legno pregiato, ora non gli servono più ed occupano uno spazio che può essere più proficuamente utilizzato: infatti questo legno occupa un capannone che può servire a riparare le auto che sino ad ora ha tenute fuori, provocandone così un precoce deterioramento. Va sottolineato che per la sua professione le auto rappresentano un importante strumento di lavoro.

Al desiderio di rinnovamento si affianca il timore che in questo cambiamento si possa perdere tutto (bruciare anche la casa). C'è il rischio di buttare via il bambino con l'acqua sporca.
Tutto il gruppo risuona sulla stessa lunghezza d'onda e ognuno dà il proprio contributo.
In questa situazione emotiva di grande coesione ci si avvia ormai a grandi passi, dopo due mesi di lavoro, verso la sospensione natalizia.
Il gruppo, molto faticosamente, riesce a riconoscere, tramite Giuseppe (abbandonato nell'infanzia), quanto sia penosa la sospensione che avviene dopo aver assaporato, sia pur per un tempo ancora troppo breve, una situazione emotiva già così profonda e coinvolgente.
Al rientro dalle vacanze vi è un iniziale riacutizzarsi delle resistenze alla fusione e una rinnovata idealizzazione del rapporto duale. Il sogno di Aurelia e le associazioni del gruppo mi sembra esprimano bene l'atmosfera della ripresa post - natalizia.

Aurelia si trova in un paese con tante piccole case di legno, povere e vecchie. Ogni casa è collegata con un viottolo ad una porta situata in un muro di legno e si sa che oltre le porte c'è la spiaggia.
C'è tanta gente, Aurelia si avvia verso il mare ma sprofonda sempre più nella sabbia. La sabbia è scura, di un colore tra il beige e il marrone, come la moquette della stanza del gruppo. Lei giunge a sprofondare fino alla vita e poi si mette a gridare. Ci sono due uomini che le dicono: "rilassati, sdraiati, vedi che noi non sprofondiamo!" Infatti loro sono distesi tranquillamente. Lei prova a distendersi e in effetti non sprofonda. Distesa sulla spiaggia, muove le mani sulla sabbia e trova delle pepite d'oro e una moneta. Arriva un personaggio dello spettacolo assomigliante a Gaber, e lei gli regala la moneta che ha appena trovato. I due uomini, che sono vicino a lei, la rimproverano di aver dato la moneta a quell'uomo. Si alza per tornare indietro e vede il paese pieno di gente disastrata, malata, ricoperta di stracci, lacera, sporca, accasciata a terra, come se fosse in guerra. In quello squallore intravede una mamma con un bambino piccolo in braccio. Il bambino ha occhi vivacissimi. Lei va verso di lui e si sveglia.

A Piera la descrizione del paese evoca l'Inghilterra della rivoluzione industriale. Giorgia mette in rilievo l'elemento della porta che si apre su cose che possono spaventare, ma che non sono negative, infatti c'è una spiaggia. Dopo questo intervento Aurelia si domanda se sono gli altri a non vedere le brutture della vita oppure se è lei a non apprezzare il sole e la spiaggia. Il resto del gruppo la rimprovera ed in particolare Giuseppe ed Eugenio intervengono animatamente sul fatto che Aurelia abbia donato la moneta appena trovata. In questa occasione riferiscono tutta la loro gelosia relativa ad un episodio precedente in cui Aurelia, poco prima delle vacanze, si era data a quell'uomo che amava ma non la ricambiava.
Il sogno descrive molto bene il vissuto del gruppo in cui i componenti passano da un rapporto duale (Ogni casa collegata con un viottolo ad una porta dietro cui si sa che c'è una spiaggia) ad uno di gruppo (c'è tanta gente) e la componente depressiva (la spiaggia è scura, di un colore tra il beige e il marrone) collegata sia a questo cambiamento (rivoluzione industriale) sia alle vacanze. Infatti il gruppo è passato dalla destabilizzante paura della perdita dei propri confini (nella sabbia si sprofonda) alla possibilità di abbandonarsi e trovare elementi preziosi (pepite d'oro e una moneta) che Aurelia non riesce a trattenere durante le vacanze perché la relazione con il gruppo e con me è troppo giovane (dona la moneta ad un personaggio dello spettacolo/l'animatore di cui si è invaghita nel timore della solitudine per le vacanze).
Il resto del gruppo è meno depresso e la redarguisce vivamente. La componente maschile esprime anche la gelosia. Si direbbe che il senso di appartenenza stia iniziando a costituirsi nonostante appaia la fantasia di tornare indietro (di cui Aurelia è la portavoce per tutto il gruppo, infatti, nelle sedute successive vari componenti tornano ad enfatizzare il rapporto duale) e temono di doversi confondere con gli altri in un'atmosfera depressiva (paese pieno di gente disastrata).
Il timore della perdita della propria identità riprende forza e si torna a idealizzare il rapporto duale (in cui i bambini hanno occhi vivacissimi).
L'aver dovuto cavarsela da soli durante le vacanze ha fatto pensare che solo nel rapporto duale (da molti a lungo sperimentato) ogni componente avrebbe potuto avere una risposta ai propri bisogni infantili ed ha riacceso i timori paranoidi di contagio.
Successivamente i bisogni infantili verranno espressi ricorrendo a esempi della vita esterna vissuti in qualità di genitori. Questo però potrà avvenire solo dopo aver di nuovo sperimentato il piacere della condivisione fusionale in occasione della descrizione che Eugenio fa per i festeggiamenti per S. Antonio che possiamo ormai definire "festa del rinnovamento".
Tutto il gruppo partecipa ricordando gli odori del legno bruciato, la cenere, le scintille, quanto sia bello stare a guardare per ore il fuoco sempre vivo e mutevole, molto diverso dalla televisione e, per certi versi, simile (si sta a guardarla in silenzio). Il silenzio di chi sta intorno al fuoco del camino è evocato da Maria che si riferisce a esperienze infantili e parla di come, intorno al fuoco, il silenzio sia comunicazione, una comunicazione molto arcaica in cui non c'è bisogno di parlare per sentirsi capiti. Tutti condividono e Maria dice che sembra quasi che il fuoco del camino sia al centro della nostra stanza.
Sentirsi bisognosi è un sentimento molto doloroso che può venire espresso solo dopo essersi accertati che possa venir accolto.
Il rinnovamento, che non può prescindere dall'accoglimento da parte di ognuno, e dal gruppo nel suo insieme, delle proprie parti infantili può ora avviarsi.


2 - ACCENNO DEL MOVIMENTO D'INDIVIDUAZIONE E REAZIONI TERAPEUTICHE NEGATIVE

Successivamente si alternano sedute in cui sono presenti grande emozione, profondità, circolarità ad altre in cui si verifica un allontanamento.
Il movimento dialettico fusione-individuazione è molto evidente. Anche l'aggressività viene espressa con frequenza; solitamente dopo sedute molto intense.
L'invidia e la gelosia fraterne compaiono massicciamente. Aurelia e Giuseppe si accapigliano frequentemente poiché si riconoscono su posizioni apparentemente antitetiche ma in realtà speculari: per Giuseppe le donne sono tremendamente affascinanti ma false, malvagie e manipolatrici; per Aurelia gli uomini sono forti ma violenti, sopraffattori e maniaci sessuali. Giuseppe ha difficoltà ad accettare che il pianto di una donna possa non essere falso e manipolatorio, è per lui troppo destabilizzante, così come per Aurelia il rendersi conto che il maschio possa essere anche molto dolce, tenero e desideroso di tenerezze.
Allorquando l'esperienza di quanto avviene nel gruppo smentisce questi preconcetti, la rappresentazione che ognuno ha di sé viene messa in crisi e vi è la tendenza a tentare di bloccare il processo di cambiamento con attacchi aggressivi e con l'aumento della conflittualità.
Ho l'impressione che la presenza dei "vecchi" pazienti, se da un lato permette precocemente "comprensioni più psicologiche" mediate da pari d'altro canto tende a imprimere al gruppo un ritmo troppo accelerato.
E' possibile che la spinta al progresso venga avvertita da alcuni in modo troppo pressante tanto da mettere a repentaglio la "mentalità primitiva del gruppo" (vedi Claudio Neri) anche perché rappresenta una fuga in avanti rispetto a problematiche arcaiche vissute come paurose e regressive.
Credo che sia all'interno di questo quadro che Giorgia inizia ad assentarsi. Quando nel gruppo questo le viene fatto rilevare, lei dice:

"Ci sono cose in me che non è possibile modificare: mi sento acida, aggressiva, incapace. Ogni volta che Giuseppe parla di sua moglie in termini così negativi, io temo che anche mio marito possa pensare di me in questo modo e ciò mi fa stare molto male; è per questo che certe volte non ho voglia di venire".

La profondità delle sedute precedenti ha fatto sì che nel gruppo tutti pensassero di dover "buttare via la maschera" come venne poi detto in una seduta. Ma se si toglie la maschera viene fuori la rabbia, l'aggressività, l'invidia e la gelosia ed anche il timore di non farcela.
Questi sentimenti vengono percepiti in modo talmente violento da indurre a pensare che non sia possibile reggerli e affrontarli e che l'unica soluzione sia la fuga reale dal gruppo visto che la fuga in avanti non è riuscita.
L'idea della fuga viene vissuta, con vari livelli di intensità, da tutti i componenti il gruppo. Piera e Giuseppe riferiscono l'intenzione di terminare la psicoterapia con le prossime vacanze estive e fanno confronti tra l'esperienza individuale e la "lentezza" del procedere del gruppo. Aurelia esibisce gravi difficoltà finanziarie.
L'atmosfera è fortemente aggressiva, con pesanti attacchi al lavoro del gruppo, attacchi che spaventano un po' tutti (me compresa) che torno a temere che il gruppo possa sciogliersi.
Eugenio esprime così la sua paura: racconta un episodio del suo lavoro in cui si arrabbia fortemente con un suo cliente che lo accusa ingiustamente ed ha pretese esorbitanti. La rabbia che prova è tale da farlo star male e si paragona al suo cane che, quando sente degli spari ravvicinati, va a nascondersi tra le sue gambe. Maria riferisce un sogno:

E' in una grande piazza, tipo Piazza del Duomo e lei deve ripulirla dalla cacca e dalla pipì dei cani. Non si perde d'animo e spazza con energia.

Anche Giorgia, nella stessa seduta, porta questo sogno:

E' in un prato con l'erba molto alta. Oltre quest'erba c'è un rigagnolo che porta la sua acqua in una fossa quadrata (mentre parla disegna con la mano un cerchio). C'è alle spalle suo marito e lei vede delle grosse pantegane che entrano e escono dall'acqua trovando cibo. Due di queste (che verranno poi identificare con i due maschi del gruppo) le si avvicinano e lei teme che possano morderla.

Si direbbe che le deflagrazioni siano state percepite molto vicine (interne ad ognuno): c'è chi chiede protezione a me e chi si dà da fare personalmente per ripulire il campo. Per Giorgia il rapporto duale (il marito alle spalle) è vissuto come esperienza rassicurante che copre le spalle quando ci si trova ad affrontare il nuovo.
Il movimento di fusione-individuazione, vissuto dal gruppo come l'immergersi e il riemergere dall'acqua, se da un lato è vissuto come esperienza nutriente, dall'altro è temuto. L'aggressività è proiettata negli altri e soprattutto nel sesso opposto (il marito/maschi del gruppo che possono pensare cose negative di lei).
Giuseppe contribuisce ad accentuare il disagio di Giorgia introducendo il tema dell'espulsione di suo figlio da casa perché non fa niente, non studia, non lavora e riesce anche a non fare il militare (si fa congedare per "psicolabilità").
Solo più tardi, ripensando a questa situazione, mi accorgo della spinta perversa esistente nel gruppo ad espellere quel componente che si assume il ruolo dell'"incapace" a reggere il ritmo. In un primo momento, inconsapevolmente, sono connivente con questa spinta.
Anche se i miei interventi sono formalmente corretti, vi è una parte di me infastidita per questa esplosione di aggressività che sento contrastare il progresso e non mi rendo sufficientemente conto del quadro d'insieme. Nel tentativo di contrastare la spinta disgregativa mi confondo e non mi accorgo che il ritmo acquisito dal gruppo è troppo elevato e difensivo.
Il processo di individuazione, sentito da un lato come importante acquisizione, dall'altro produce un doloroso senso di isolamento. A questo proposito, mi sembra utile riportare integralmente una seduta del mese di aprile.

E' una giornata fredda e piovosa, arrivano tutti, tranne Giorgia e si mettono a parlare del tempo. Rilevano che l'inverno è stato caldo e, ultimamente, ci sono stati dei temporali, anche con grandine. Dicono che ora sembra inverno. Ad Aurelia viene voglia di polenta col lardo e aglio. Parte uno scambio tra Eugenio, Aurelia e Maria su piatti tradizionali invernali. Partecipano anche Giuseppe e Piera, ma come se non avessero radici nella tradizione.
Io noto che questo discorso sulle fasi del tempo ha similitudini con le fasi del gruppo. Vi è stato un periodo di grande calore, nonostante fosse inverno, mentre ultimamente ci sono stati temporali (scontri Giuseppe-Aurelia; Aurelia-Giorgia ecc.).
Aurelia dice che lei si ritrova in questa descrizione. Per lei c'è stato un periodo in cui veniva molto volentieri al gruppo e le sembrava che, tutti insieme, si coltivasse un orticello comune, poi ognuno ha cominciato a "tirar su la sua rete" e questa cosa la fa stare male perché è come la caduta dell'ennesima illusione.
Eugenio dice che a lui sembra una cosa positiva aver potuto erigere la sua "rete" e sottolinea che la "rete" permette gli scambi pur definendo qual è il proprio spazio a differenza dal "muro" che divide e isola.
Aurelia dice che dal lato di Giuseppe e Giorgia lei sente che c'è un "muro". Giuseppe ascolta partecipe e ha l'aria un po' attonita quando Aurelia parla di lui.
Piera parla dell'importanza della delimitazione e riferisce come un sogno di Maria l'avesse illuminata: nel sogno si faceva riferimento ad un cane che delimitava il proprio territorio con schizzi di pipì. Dice che lei capisce molto bene Aurelia. Riporta ricordi di momenti fusionali riferiti alla sua esperienza religiosa. Sottolinea come ad un certo punto l'abbia sentita come molto parziale e poco vera. Racconta come questa esperienza l'avesse portata a sentirsi molto potente nella comunità religiosa e, nello stesso tempo, quando era da sola, si sentisse vuota e senza nessuna capacità di affrontare le cose normali come il lavoro. Allora pensava di non essere capace di fare niente. Ora le capita di avere degli attimi in cui le sembra di provare la stessa sensazione, ma poi si accorge che "senza pensarci" ha fatto molte cose.
Eugenio dice che lui, invece, ha proprio bisogno di "pensarci" per riuscire a fare le cose che lui sente importanti e che cambiano il livello del suo modo di essere. Parla ad esempio della possibilità di scegliere i lavori da fare e quelli da rifiutare, parla della possibilità di impiegare molto meno tempo nello svolgimento dei lavori quando se li organizza. Dice di aver trovato il modo di delegare all'operaio alcune operazioni (rese semplici da lui) mentre prima riteneva di essere insostituibile.
Sottolineo la diversità e la complementarietà delle tre posizioni: quella di Aurelia, che sente la diversificazione come ostile e isolante; quella di Eugenio in cui la definizione di sé gli permette una migliore distinzione tra quello che è bene per lui e ciò che non lo è, e quella di Piera, che apprezza la delimitazione del proprio spazio e la contrappone alla sua esperienza religiosa in cui la fusionalità, unita all'idealizzazione e all'onnipotenza, le avevano fatto provare una sensazione di potenza che lei aveva poi considerato illusoria perché non le aveva colmato il senso di vuoto interiore che sentiva e che, come lei in altre occasioni aveva riferito, probabilmente l'aveva spinta verso questa esperienza. Piera fornisce elementi per comprendere lo stato d'animo di Aurelia e Eugenio completa l'elaborazione di Piera sottolineando l'importanza del "pensarci". In effetti Piera non ha raggiunto la sua posizione lavorativa ed emotiva "senza pensarci" anzi le è costata fatica, pensiero e tempo. Ora può affrontare certi impegni a cuor leggero perché ha maturato interiormente la consapevolezza di poterlo fare e se, in certi momenti, ha paura dipende dal fatto che in ogni individuo, rispetto ai nodi centrali dell'esistenza, coesistono simultaneamente varie posizioni, alcune più avanzate ed altre più arretrate, in continua interazione tra di loro. E' illusorio pensare di aver trovato l'equilibrio una volta per tutte; è molto più realistico sapere che questo vada quotidianamente ricercato.

Come risulta dal protocollo della seduta, i miei interventi divengono più individualizzati e questo, di per sé, mi sembra adeguato al momento in cui è in atto un processo di individuazione ma, empaticamente, credo di essere stata più vicina alle parti che esprimevano gli aspetti più maturi del gruppo piuttosto che sostenere e promuovere l'accoglimento delle parti maggiormente in difficoltà.
Si direbbe che controtransferalmente ho mal sopportato gli attacchi aggressivi del gruppo che mi hanno fatto temere che potessero essere realmente distruttivi e potessero sgretolarlo perciò, reattivamente ho valorizzato gli aspetti più evoluti.
In questo clima, Giorgia si assenta sempre più frequentemente e, alla fine di aprile, interrompe la psicoterapia.


3 -L'INGRESSO DI NUOVI MEMBRI

Con l'uscita di Giorgia mi sembra che si concluda la fase in cui la copresenza di pazienti "vecchi" e "nuovi" imprime al gruppo un'andatura inadeguatamente forzata.
Con l'entrata di Giulio e, dopo qualche mese, con quella di Francisca e Luca, il gruppo riprende un ritmo più realistico. L'arrivo dei nuovi membri provoca una generale benefica regressione per cui tutti possono maggiormente esprimere il malessere relativo al progressivo ritrovarsi in mano verità scomode emerse nel lavoro terapeutico.
Nel gruppo si è verificato quello che spesso avviene in famiglia quando arriva un fratellino o una sorellina: cioè la gelosia appare massiccia e, nei figli maggiori, spesso comporta un periodo di regressione che può permettere di recuperare e elaborare aspetti più infantili rimasti accantonati nella foga della crescita.
Infatti frequenti sono le rimostranze per non essersi sentiti sufficientemente tenuti in conto da me o da altre persone affettivamente importanti della loro vita.
Spesso gli attacchi di gelosia vengono riferiti all'esterno e/o camuffati da gelosia nella coppia mentre risulta facilmente smascherabile che si tratta di gelosia tra fratelli e sorelle.
Vi è anche una specie di gara di esibizione dei propri aspetti più regressivi espressi da alcuni col bisogno di protagonismo, da altri ripescando dal passato i propri aspetti più simbiotici e da altri ancora esaltando le modalità più distruttive di divertimento (gioco, alcool, droga), pretendendo un interessamento particolare da parte mia.
Questo atteggiamento trova il suo culmine in una seduta in cui Aurelia si lamenta perché ha riletto il test di Rorschach che aveva fatto prima di venire da me e si è accorta che allora non si era preoccupata di quello che vi era scritto perché era come se non la riguardasse, ora invece lo sente tremendamente negativo e teme di non potercela fare. La comunicazione ha contenuti drammatici ed io decido di proporle una seduta individuale per rileggere il test insieme così da impedire che la paura diventi panico e che questo non le permetta di vivere l'emozione di responsabilizzazione tanto temuta. In effetti il risultato del mio intervento è quello da me sperato.
Nelle sedute successive, ho ripensato a questa mia decisione. Il mio timore era che il gruppo potesse fare abuso di questa possibilità offerta ad Aurelia e che si scatenasse una corsa alla richiesta di momenti individuali contrapponendoli al lavoro di gruppo, ma così non è avvenuto. Anzi è andata diffondendosi la cultura che quanto più si era capaci di affrontare le proprie problematiche in gruppo, tanto più ci si sentiva soddisfatti.
Infatti, in questo periodo, così come Aurelia ha potuto riappropriarsi di ciò che emerge dal test e che la riguarda, anche il resto del gruppo riesce a recuperare parti del Sé scisse.
Nella ricerca di un rapporto privilegiato con me affiorano esperienze passate che avevano prodotto emozioni così dolorose da essere negate e scisse e che ora, nel momento in cui diventano comunicazioni, possono divenire oggetto di riappropriazione e integrazione.
Vi sono ancora tentativi di fughe in avanti ma i sogni, prodotti dai vari componenti, permettono una più corretta collocazione delle problematiche.

Come utilizzare il sogno nella psicoterapia di gruppo è il quesito che ben presto mi si è posto una volta iniziata l'esperienza di terapeuta di gruppo.
Durante l'osservazione non mi ci ero molto soffermata e mi era sembrato naturale che il sogno nel gruppo fosse un sogno di gruppo in cui naturalmente fossero presenti riferimenti ad esso in modo esplicito o simbolico.
Quando mi sono trovata a condurre il mio primo gruppo ho scoperto che non sempre le cose andavano così. In altre parole mi capitava, alcune volte, che non mi riuscisse di interpretare un sogno in termini gruppali perché il farlo mi sarebbe sembrato un vero e proprio scippo. Trovai, allora, una prima soluzione che mi permise di proseguire, soluzione che ho poi ritrovato nella posizione che C. Neri ha espressa così chiaramente nel suo libro "Gruppo" e cioè mi parve di poter considerare alcuni sogni come una sorta di "dono" che l'individuo fa al gruppo e al terapeuta e altri che costituiscono l'espressione, la rappresentazione e l'elaborazione di quanto accade nel mondo interno di quell'individuo immerso in quella situazione analitica gruppale. In questi ultimi sogni compare l'immagine del gruppo attraverso simboli o attraverso le persone che ne fanno parte.
Successivamente, molto tempo dopo e a seguito di ulteriori elaborazioni e studi, mi sono dovuta ricredere perché mi sono accorta che qualsiasi sogno può rientrare nella seconda categoria sopra descritta, che vi siano o no espliciti o simbolici riferimenti al gruppo, e che nel sogno viene espressa la dimensione gruppale di ciascun individuo costituita dagli aspetti relazionali tra le varie parti di Sé.
Mi è parso perciò di poter utilizzare i sogni portati dai componenti il gruppo come espressione del bisogno proprio del loro mondo interno di avere un uditorio (il gruppo) capace di accogliere i vari aspetti di cui è composto e di restituirli più elaborati e comprensibili.
Sono giunta a questa conclusione dopo aver letto con molto interesse i lavori del dott. R. de Polo sul sogno ed in particolare il suo lavoro "Gruppo e identità" da cui traggo una frase unita ad una citazione di Bion (1978) che mi è risultata illuminante: "Perché non si può avere una relazione diretta con se stessi senza l'intervento di una specie di levatrice mentale o fisica? Pare che abbiamo bisogno di "rimbalzare" su un'altra persona, di qualcosa che rifletta indietro quello che diciamo prima che esso possa diventare comprensibile". "Abbiamo bisogno, in altri termini, che gli altri "contengano" quegli aspetti di noi che non rientrano nella coerenza di quello schema mentale che costituisce la nostra identità consapevolmente riconosciuta (de Polo)".
Qual miglior "contenitore" di un gruppo per far "rimbalzare" tali aspetti?

Prima di entrare nel vivo dell'esposizione e dell'analisi di alcuni sogni che mi sono parsi significativi del movimento del gruppo nel suo secondo anno, mi sembra indispensabile precisare che alcuni di essi sono stati portati subito dopo la ripresa dalle vacanze estive e in concomitanza dell'entrata nel gruppo dei nuovi membri, mentre altri si sono presentati sparsi nel corso dell'anno.
Mi è sembrato interessante seguire lo sviluppo della tematica riguardante i nuovi inserimenti e le possibili interruzioni di alcuni membri.

Le ultime sedute prima dell'estate erano state piene di vistosi attacchi a me perché le imminenti vacanze, con l'inevitabile senso di discontinuità e di perdita ad esse collegato, avevano risvegliato tutti i dubbi sulla possibilità di riuscita dell'impresa terapeutica. D'altronde l'interruzione di Giorgia li rendeva realistici e tutto il gruppo si interrogava circa le mie capacità come terapeuta di gruppo. Forse, se fossi stata una brava terapeuta, l'avrei saputa trattenere, avrei saputo trovare una soluzione alle sue difficoltà d'orario, avrei potuto telefonarle quando si assentava ecc.
A lungo il gruppo ha lavorato su questo interrogativo: "un buon terapeuta, così come un buon genitore, deve o no sostituirsi ai figli quando questi sono in difficoltà?" Nel gruppo vi era una forte tendenza alla sostituzione esemplificata nel racconto di molte situazioni della loro vita con i figli: chi accompagnandoli a scuola o a qualche lezione, portava loro la cartella o la chitarra ritenute troppo pesanti, chi, pur essendo molto stanco dopo una giornata faticosa, portava loro l'acqua per non farli alzare, chi, avendo figli grandi, trovava loro posti di lavoro che, inevitabilmente venivano abbandonati ecc.
I miei interventi tendenti a interpretare il bisogno di sostituzione ma a non accettarlo come consiglio, evidenziandone l'aspetto onnipotente e non emamcipatorio, avevano fatto molto arrabbiare il gruppo.
Dopo le vacanze, si ricrea una certa coesione e sintonia, prima grazie a un argomento esterno (la stangata da 93 mila miliardi dell'autunno 1992) e poi come forma di difesa all'annuncio dei nuovi arrivi.
E' in quest'atmosfera che Piera fa questo sogno:

Piera aveva una bambina piccola, era una bambina-bambolotto e lei non aveva voglia di darle da mangiare, si angosciava ma non riusciva a nutrirla, allora pensava di rivolgersi a G. (l'uomo sposato con cui ha una relazione), anche se non era sua figlia, per chiedergli sostegno.

Il sentimento relativo alla mancanza del nutrimento terapeutico durante le vacanze viene rappresentato da Piera con l'avere una bambina piccola da nutrire e dal non aver voglia di farlo. Forse il non averne voglia è dovuto alla rabbia per l'assenza del gruppo e nasconde il rifiuto dei bisogni affettivi vissuti come infantili e perciò svalorizzati. Infatti si tratta di una bambina-bambolotto. L'istanza infantile desiderosa di nutrimento viene distanziata e diviene oggetto inanimato (bambolotto).
Piera, piena d'angoscia pensa di rivolgersi a G. E' da ricordare che, più volte in passato, aveva assimilato la relazione con G. a quella terapeutica in quanto in entrambe si sentiva accolta, capita, accettata. Risulta perciò facile pensare che con G. si intenda la relazione terapeutica (gruppale?) e che ad essa Piera pensi di rivolgersi per nutrire la sua parte bambina.
Interessante è il movimento del gruppo subito dopo il racconto del sogno. Tutti si scagliano contro le due relazioni di Piera (quella col fidanzato ufficiale, sinonimo di mascheramento pseudo-adulto, falso e insoddisfacente e quella con G., molto soddisfacente ma "non reale", come dicono nel gruppo, (perché con G. non ha mai vissuto neanche un giorno insieme) e dicono che deve abbandonarle tutte e due. Viene evidenziato da tutti il suo desiderio di maternità. Desiderio che lei riconosce ma teme di non esserne all'altezza e riferisce la frase "Vedremo cosa saprai fare tu" detta frequentemente dai suoi genitori ogni qualvolta lei li criticava.
Nel gruppo avviene poi un parapiglia a causa di fraintendimenti fra i membri mentre riferiscono momenti di vita di coppia vissuti durante le vacanze. Poi, chiarite le incomprensioni, Piera racconta che, durante l'estate le è capitato di parlare a lungo con una sua amica con cui da molto tempo non le era stato possibile fare discorsi approfonditi. L'amica l'ha trovata molto cambiata, mentre una volta la considerava "unica", ora le pare che se Piera è arrabbiata si vede, se è triste si vede, insomma è diventata una persona qualunque.
Alla mia osservazione in cui rilevo che non mi sembra negativa la frase dell'amica in quanto sottolinea che è diventata più umana e più vera, tutto il gruppo acconsente in modo animato e partecipe portando materiale aggiuntivo a conferma di quanto detto.
Si direbbe che il riconoscimento dei propri bisogni infantili generi nel gruppo aggressività perché vi è il prevalere delle istanze superegoiche che non permettono il nutrimento e lo sviluppo della creatività. Quest'ultima impedita anche dalla competitività con me che "genero" "fratelli" e "sorelle".
Il risentimento del gruppo relativo all'assenza estiva appare evidente: nell'esibizione della loro vita adulta si esprime tutta la confusione generata da relazioni poco chiare, insoddisfacenti e in cui ancora prevale "la maschera" ma, d'altra parte, la relazione terapeutica è sentita "non reale" perché assente (non si vive insieme) e si fa molto forte il desiderio di lasciare tutto. Ma, dopo i chiarimenti, vi è l'abbandono della maschera onnipotente e l'esplicitazione dei sentimenti (felicità, rabbia, tristezza) collegati alla ripresa.
Infine mi sembra di poter dire che Piera ha rappresentato, con la vividezza del suo sogno, lo stato d'animo del gruppo, che, lavorando intorno allo spunto da esso fornito, ha potuto produrre elementi sufficienti a farne una lettura gruppale.
Il sogno dell'onda gigante e quello del castello diroccato che ora vado ad esporre sono consecutivi e vengono raccontati qualche seduta dopo quello appena esaminato.

Aurelia si trovava in una cittadina di mare, di quelle con i "carugi" che portano alla spiaggia. Lei era in un'abitazione su in alto in collina dalla quale vedeva la città, le sue viuzze e, in fondo, il mare.
C'è con lei un bambino oltre a due suoi colleghi omosessuali (Giulio e Paolo). Lei scende nella cittadina attraverso i "carugi". C'è una splendida giornata di sole. Quando arriva in vista del mare si accorge di una enorme onda che sta montando verso la città. Pensa subito al bambino da salvare e si mette a correre all'impazzata verso la casa che si trova in alto. La raggiunge, vede Paolo e cerca di spiegargli il pericolo che il bambino sta correndo, ma le manca il fiato per la corsa fatta e cerca di tirarlo per la giacca verso la stanza dove c'è il bambino. Finalmente riesce a prendere fiato e a fargli vedere l'onda che intanto aveva invaso la città che ne era rimasta sconquassata. Ora è tutto finito e si accorge che ci sono tanti pesci, portati a terra dalla violenza dell'onda, e pensa di poterli raccogliere. Vuole farsi una zuppa di pesce. Trova anche una cassetta un po' rotta con dentro alcune bottiglie di vino ancora sane e pensa di prenderle. Mentre fa questa operazione, vede dei signori (una coppia) che lei capisce essere i padroni del vino. Lei sente che, improvvisamente, l'azione di recupero di cose buone che le era sembrata sana, tutto ad un tratto diviene come se stesse "rubando". Lei però se ne va con le bottiglie e con i pesci. Si sveglia.

Nella stessa notte, Aurelia, fa un altro sogno.

E' in gita ad un castello diroccato, molto bello in riva al mare. C'è una ragazza che deve sposare Paolo. E' molto carina, molto sexy, con la minigonna e i tacchi a spillo. Lei e questa ragazza stanno passeggiando sulle rocce vicino al mare. Aurelia le dice che, per fare questa passeggiata, non avrebbe dovuto mettere i tacchi a spillo perché così rischia di scivolare. Infatti, poco dopo, la ragazza scivola, lei l'afferra per una mano però si sente trascinare via. Allora si aggrappa ad un gancio che sporge dalla roccia, ma la mano della ragazza non riesce a trattenere la sua e viene risucchiata dalle onde.

Associazioni:

Aurelia dichiara di non capire perché continua a sognare Paolo che è un omosessuale e perciò non le interessa. Lo descrive però come un bell'uomo, molto intelligente e sensibile, raffinato e di buon gusto. Lo contrappone a Giulio, l'altro socio che è molto duro, freddo e calcolatore. Aggiunge che Paolo si è anche preso una cotta per un ragazzino sui 20 anni, arrivista e sfruttatore che ha lavorato con lui per qualche tempo. Aurelia racconta che questo ragazzo si è molto soffermato a parlare con lei della sua vita e commenta che non capisce perché le capitino sempre ragazzi giovani che le affibbiano il ruolo materno.
Piera dice che è forse lei che, con loro, si pone in questo modo. Aurelia risponde che lei, nello schow-room, non va vestita come viene da noi ma ha la minigonna e i tacchi alti.
Giulio ritiene che sia estremamente "intrigante" per un uomo, una donna sexy e nello stesso tempo materna.
Piera rileva che quello che l'attira in G. è il suo modo di essere piuttosto paterno.
Colgo l'aspetto edipico del discorso e lo esprimo con le parole che, al momento, mi sembrano più appropriate.
Maria collega al sogno le vacanze che questa volta sono state un po' tristi perché ha sentito la mancanza della mamma (morta nella primavera precedente). Dice che ha potuto ricordare molte cose positive su di lei e capire cose che, una volta, la facevano arrabbiare mentre ora ha capito la loro validità.
Aurelia aggiunge che il periodo di vacanza le è servito a "digerirsi tutto quello che era venuto fuori prima dell'estate".
Francisca dice che, per lei, l'estate è l'equivalente del caldo a cui lei è abituata (proviene dal Brasile) e Giuseppe associa l'estate allo stare in costume.
Giulio racconta di aver rivisto durante la settimana la ragazza a cui, quindici giorni prima aveva dichiarato di volerle bene. Riferisce che fanno finta di essere compagni e colleghi mentre fanno cose che non sono proprio specifiche di questo tipo di rapporto. Lei dice che non è il suo ragazzo ma poi, parlando, le scappa detto "l'altro mio fidanzato". Lui dice di sentirsi molto vivo: gli sembra di essere ritornato ai 18 anni.

La situazione terapeutica, nel primo sogno, appare idealizzata (casa in cima alla collina da cui si vede la città, le sue viuzze e il mare): da questa posizione si può contemporaneamente godere di una grande visione d'insieme (la città e il mare) e anche particolareggiata (le viuzze). Per conseguenza il rapporto con me risulta attaccato e svalorizzato (rapporto omosessuale) pur rimanendo pieno di qualità positive e negative: intelligenza, sensibilità, raffinatezza insieme a durezza, freddezza e calcolo.
Nella seduta precedente, Francisca aveva a lungo parlato della sua situazione famigliare molto drammatica e, questo, pur raccogliendo molto coinvolgimento e partecipazione aveva anche attirato ire e gelosie per l'attenzione che convogliava su di sé.
A causa della paura e dell'ansia, Aurelia nel sogno non riesce a parlarmi del pericolo che corre la sua parte bambina, inondata dal racconto di Francisca, e cerca di attirare il mio interessamento tirandomi per la giacca. Aurelia sente una competizione travolgente (onda gigante) verso Francisca che si trova al centro dell'attenzione e sente che io mi faccio sedurre dalla "più piccola" del gruppo. L'apporto di Francisca e le interazioni conseguenti sembrano però aver liberato parecchio nutrimento (zuppa di pesce e vino) che però Aurelia teme di non avere il diritto di utilizzare. Sembra qui inserirsi una tematica edipica introdotta dalla "coppia padrona del vino" ma ben presto le associazioni prendono una strada ben diversa. Maria e Aurelia introducono il tema della valorizzazione, durante le vacanze, di quanto emerso in terapia. Francisca, che è entrata nel gruppo dopo l'estate, parla del caldo estivo negando la sua solitudine. Va sottolineato che, abitualmente, lei è vestita in modo sexy (minigonna e tacchi alti).
Le associazioni della componente maschile prendono l'indirizzo della seduzione e della relazione erotica mascherata (lo stare in costume, fare finta di essere compagni e colleghi ma così non è) oltre che della necessità di negare i sentimenti che però fanno sentire molto vivi.
Nel secondo sogno Aurelia descrive la situazione terapeutica come una gita ad un castello diroccato in cui l'esibizione seduttiva in realtà non serve ma fa molto ingelosire e la vendetta è che la ragazza di Paolo/Francisca viene risucchiata dalle onde.
Il movimento del gruppo sembra essere quello della rivalità fraterna che tende a produrre fughe in avanti, imitative di una posizione adulta, per nascondere il desiderio di accoglimento e di accudimento che sembra non poter essere soddisfatto da una "madre" sessuata che produce pazienti/figli che invece si pensa vada sedotta.
La tematica della conflittualità fraterna prosegue a lungo e trova sempre nuovo alimento nella crisi economica della fine '92/inizi '93.
Aurelia a Maria presentano gravi difficoltà finanziarie: la prima non lavora ormai da otto mesi e la seconda ha perso le commesse che solitamente le provenivano da alcune clienti nel giro di tangentopoli. Tutto il gruppo appare preoccupato per la possibilità di perdita di due componenti e Piera in una seduta esplicita questo timore e dichiara di non voler assolutamente perderle.

Nella seduta in cui viene raccontato il sogno della gonna-paracadute, che vedremo più avanti, tutto il gruppo si addentra nella tematica della crisi economica. Eugenio rileva che ora i mercati "non assorbono più i nostri prodotti, c'è una crisi di sovrapproduzione e non si sa come smerciare le nostre merci". Sento che stanno dicendo che ho sovrapprodotto pazienti ma decido di rimandare l'interpretazione perché, in quel momento, non mi sembrano ricettivi in quanto troppo intenti a ricercare possibilità di lavoro per Maria e Aurelia.
Luca racconta che nei giorni precedenti, mentre era ammalato, ha guardato molto la TV e, in un programma, è stato detto che in Russia continuano a produrre carri armati che non servono e vengono inviati in fonderia dove vengono fusi e di nuovo impiegati come materia prima per costruire nuovi carri armati. Parlano della distruzione delle pesche e della frutta in genere che viene fatta con grande spreco di risorse produttive. Riprendono a ricercare possibili lavori per Aurelia e Maria. Giuseppe, rivolgendosi ad Aurelia, dice che ci sono anche le donne-poliziotto, quelle delle polizie private che fanno la guardia ai negozi e alle aziende e dice: "Sì, sì, proprio con il giubbotto antiproiettile!" Tutti si mettono a ridere pensando che Giuseppe voglia far mettere il giubbotto antiproiettile ad Aurelia per proteggerla dai suoi attacchi.
Il discorso prosegue e si parla della formazione che i giapponesi fanno ai loro dipendenti. Alcuni dicono che è terribile perché fanno credere all'operaio, che è l'ultima ruota del carro, che è importante quanto un dirigente. Si sostiene che questo è fasullo perché, in effetti, le differenze ci sono. Eugenio dice: "Certo che le differenze ci sono, ma se l'operaio che deve avvitare il bullone non lo avvita bene, il dirigente può essere bravissimo e conoscere il mercato, ma l'auto, una volta venduta, si romperà per cui anche il dirigente è coinvolto nell'inefficienza e malavoglia dell'operaio.
Alcuni tra i più anziani sbuffano e dicono di non essere interessati a fare, in questa sede, questo genere di discorsi e che la seduta oggi sembra un salotto.
Io intervengo dicendo che, contrariamente a quanto può sembrare, stanno parlando di cose che li riguardano da molto vicino. La "sovrapproduzione" di pazienti ha generato una crisi, ognuno non sa più come "smerciare le proprie merci" cioè non sa come prendersi un proprio spazio e questo fa sì che il gruppo sia costantemente impegnato a produrre "carri armati" che vengono poi smontati e fusi per produrne di nuovi.
In effetti, nel gruppo sono stati reiterati continuamente attacchi a me o tra i vari componenti, mentre, ora, timidamente, si fa spazio il dubbio che stiano sprecando le risorse produttive (la distruzione di pesche ed altra frutta). Si può, allora, ridere del consiglio che Giuseppe da ad Aurelia, riconoscendone l'aspetto aggressivo e protettivo insieme.
Ben presto però un altro dubbio appare all'orizzonte: i componenti il gruppo (me compresa) sono tutti ugualmente importanti oppure questa credenza è completamente falsa? Come si fa a sentirsi "dipendenti" e contemporaneamente umanamente importanti quanto i "dirigenti"? Il confronto è acceso e c'è chi individua le responsabilità comuni anche se diverse.

E' a questo punto che Maria racconta il sogno della gonna-paracadute.

Sta facendo una passeggiata nelle montagne d'Abruzzo. C'è una salita abbastanza ripida da un lato della montagna. Arrivati in cima, dall'altro lato c'è uno strapiombo. Lei si lancia nello strapiombo ma Piera la trattiene e, in quel momento, la sua gonna si allarga e diventa un paracadute che la fa scendere lentamente.

Io posso così interpretare che, di fronte alla crisi di sovrapproduzione che ha acceso invidie sulla mia capacità produttiva e generativa e, dopo un cammino faticoso e in salita in cui è stato molto difficile sopportare la conflittualità fraterna, ora, mentre affiora la consapevolezza dell'inutilità dello spreco delle loro risorse produttive, emerge tutto il dolore di sentirsi "dipendenti" e viene voglia di "lanciarsi nello strapiombo" se si pensa di essere l'ultima ruota del carro ma, quando ci si sente importanti per tutto il gruppo, me compresa, (infatti Maria nel sogno ha attribuito a Piera la rappresentanza del gruppo) si possono trovare le risorse per salvarsi dall'autosvalutazione e proseguire.
Dopo questo sogno nel gruppo inizia un movimento in cui i vari componenti tendono a richiedere il riconoscimento delle proprie acquisizioni. Anche tra di loro vi è più disponibilità, pur se in modo ancora confuso.
Appare, a un certo punto, il timore che, se i figli crescono, i genitori possono impazzire ed uccidersi.


In occasione della morte di un noto personaggio politico che era stato il maturo amante di una donna a cui Giulio era stato molto legato in passato, egli racconta, piangendo, di essere stato lui a darle la notizia. Riferisce inoltre di aver avvisato anche il figlio, ormai grande, di lei (forse figlio anche dell'uomo politico) e che questi, dopo tre giorni, non si era ancora fatto vivo con la madre. Esprime poi il timore che la donna possa non sentirsi più utile ed uccidersi. Nel racconto degli avvenimenti prosegue e dice: "E pensare che avevo trascorso tre bellissimi giorni con la mia ragazza". Ma, appena rientrato a casa, aveva violentemente litigato col padre che si era intromesso nella gestione di una eredità che Giulio aveva avuto dallo zio. Il padre aveva provveduto a prendere le decisioni del caso ignorando i passi fatti da Giulio per informarsi presso un professionista sul miglior modo per affrontare la situazione. Giulio, arrabbiato, aveva detto che se ne sarebbe andato di casa. A questo punto gli è sembrato che il padre "fosse andato fuori di testa".
Il suo grande cruccio è però quello di aver telefonato alla sua ragazza per avere conforto ma lei era apparsa molto distaccata. Giulio, piangendo, dice di aver sperato gli dicesse. "Ti voglio bene" così come gli aveva detto durante il week-end.
Io gli faccio notare che, anche se non è la medesima cosa, tutto il gruppo gli sta dimostrando di volergli bene con l'attenzione e il coinvolgimento che gli sta dedicando. Lui si commuove. Proseguo mettendo in rilievo il timore che le figure genitoriali (la donna del politico, il padre) possano morire o diventare matte se i figli crescono e vanno ad abitare per conto loro.

In effetti, Giulio si era posto in modo adulto di fronte al problema dell'eredità, ma con l'atteggiamento di suo padre, che a lui è sembrato "fuori di testa" si è sentito ricacciato in un ruolo infantile ed irresponsabile.
Questo mio intervento rasserena Giulio e, Piera, a questo punto, racconta il sogno del disconoscimento.

La mamma era in ospedale e voleva disconoscere Piera. Lei cercava di far presente agli impiegati che lei era la figlia ma non ci riusciva. Chiedeva aiuto a suo padre ma lui diceva: "Sì, è vero, ma la mamma vuole così, io devo andare da lei". Piera allora, presa dal panico, veniva a cercare me, dove pensa che io abiti, trovava che stavo rientrando con la spesa fatta al supermercato. Io le davo ascolto, andavo a portare in casa la spesa e tornavo da lei per sostenerla.
Si sveglia di soprassalto e si domanda come mai lei si sentisse rassicurata da me nonostante io non l'avessi fatta salire in casa mia. Maria dice che le sembra un sogno che indica un progresso ma non sa dire perché. Io dico che, pur "riconoscendola" affettivamente non mi approprio di lei, non la inglobo nella mia casa, e questo la rassicura. Piera ricorda quante volte i suoi genitori l'abbiano minacciata dicendole che non ci sarebbero più stati per lei se avesse fatto certe scelte.
Giulio dice che è bello poter andare per la propria strada senza ricatti affettivi.

La conflittualità fraterna, da questo momento, anche se farà spesso capolino, comincia però a lasciare spazio ad una maggiore collaborazione non solo formale. Inizia infatti ad affermarsi il sentimento della ricchezza intrinseca del gruppo.
Questo mi sembra ben espresso dal sogno di Piera della torta al cioccolato.

C'è una torta al cioccolato. Io non ci sono ancora e Eugenio se ne prende una gran fetta. Lei fa presente che non si sa se io intendo offrirla a loro e richiede che metà venga messa sotto la sua tutela in modo che, quando io arrivo, ce ne sia ancora. Eugenio non ne vuole sapere ed anche gli altri si servono senza complimenti. Quando io arrivo, Piera si accorge che c'è anche un'altra torta dello stesso tipo (e fa un gran cerchio con la mano) ma molto più grande e pensa di essersi preoccupata inutilmente.

Infatti, in un primo momento prevale il timore che la torta/terapeuta non sia sufficiente a soddisfare tutti e sentono che ciascuno debba appropriarsene quanto più può oppure che si debba regolamentare la suddivisione.
Successivamente si rendono conto che c'è un'altra grande torta (Piera fa un ampio gesto con il braccio) che è formata dal gruppo e che perciò più grande è il gruppo tanto più è ricco.
Sento che da questo momento il "gruppo" è realmente costituito nella realtà soggettiva dei propri componenti.


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