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PSYCHOMEDIA
TERAPIA NEL SETTING GRUPPALE
Psicoterapia di Gruppo



Psicoterapia di gruppo nel servizio psichiatrico di diagnosi e cura di Rimini

di Ramona Di Muro* Marco Sancini** e A. Claudio Aurigemma***



Abstract
Nel presente lavoro prendiamo in considerazione un intervento di psicoterapia di gruppo all'interno di un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC). Abbiamo deciso di utilizzare questa tecnica, poiché riteniamo che il gruppo, nonostante l'urgenza e la brevità dell'intervento, sia un valido strumento che integri la qualità delle cure offerte. Il gruppo rappresenta uno spazio dove le emozioni invasive, distruttive, incapaci di essere assimilate e contenute trovano un luogo, un contenitore, che le accoglie. Esso fornisce riparo ma anche la possibilità di riflettere su se stessi e di ritrovare la capacità di rimettersi in cammino.


Il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura rappresenta uno dei servizi più complessi e delicati del Dipartimento di Salute Mentale di Rimini. La maggioranza degli utenti che giunge al ricovero, è costituita da pazienti psicotici acuti, pazienti gravi e gravosi, quasi tutti portatori di circostanze individuali, familiari, sociali drammatiche e intensamente dolorose.
Tutti hanno bisogno di diagnosi e di cure appropriate. Tutti le ricevono perché SPDC di Rimini è certamente efficace ed efficiente. Esso riveste un ruolo cruciale nel percorso terapeutico di un certo numero di pazienti perché il ricovero nel reparto psichiatrico, oltre a fornire un servizio diagnostico e terapeutico finalizzato alla cura del disturbo psichico, cerca di recuperare le relazioni familiari e sociali del paziente per consentirgli una ripresa dei suoi percorsi di vita. La diagnosi non implica solo un'assegnazione ad una categoria diagnostica ma anche una osservazione che consenta di riconoscere i bisogni del paziente, di identificarne le parti sane e soprattutto le risorse.
Sulla base di queste premesse, nei programmi terapeutici del SPDC di Rimini è stata istituita una dimensione gruppale che aiuti il paziente "ad essere ricondotto dall'altrove dove si sta situando -sintomo, delirio, dissociazione- al qui ed ora".
La prima esperienza gruppale è stata condotta dal dottor Roncarati, il cui obiettivo "era rianimare la funzione empatica e quindi dare innanzitutto il messaggio ai componenti del gruppo, che in loro è presente una vita interiore, che la loro "vita interiore" seppure con maggiore o minore esattezza, può essere compresa perché le persone nella sostanza sono simili". In seguito, il dottor Roncarati è approdato al Centro di Salute Mentale di Rimini e l' SPDC è rimasto, come direbbe Khan, a maggese.
Che cos'è il maggese? é una tecnica agronomica oramai non più in uso, che prevede di lasciare il campo incolto per un anno, in balìa degli elementi, perché il terreno si rigeneri. Come per paradosso, il terreno, abbandonato a se stesso, non seminato, insomma trattato come cosa morta, accumula acqua, rigenera la flora batterica e torna più produttivo. Khan sostiene che la nostra vita di tanto in tanto deve potere incontrare questa dimensione, di «maggese», che lui definisce per ossimoro «di ozio creativo». La pratica del maggese ha bisogno di una comunità di riferimento che non abbandoni la persona quando questa è a riposo, e la sappia riprendere quando torna dal maggese. Un po' come i contadini facendo ruotare i terreni. In pratica: come in un rito di passaggio.
E il passaggio è avvenuto: dal dottor Roncarati al dottor Sancini, psichiatra, e alla dottoressa Di Muro, gruppoanalista per un anno in forza in SPDC. Considerando il contesto di urgenza, dove il tempo è una delle costanti fondamentali, il gruppo non poteva avere le caratteristiche tipiche della gruppoanalisi Foulkesiana. Secondo i dettami classici, infatti, la gruppoanalisi è praticata all'interno di un piccolo gruppo con un numero di pazienti selezionati che va dai 6 agli 8 partecipanti. Le stesse persone sono presenti per tutta la durata del trattamento con la sola eccezione di un nuovo membro introdotto quando un altro lascia il gruppo. Dalla teorizzazione di Foulkes, si comprende come la terapeuticità del gruppo nasce progressivamente insieme all'altrettanto progressiva costituzione di relazioni tra i membri del gruppo. Dopo un certo periodo di tempo si assiste alla configurazione di una matrice dinamica, costituita dalla rete di relazioni tra i membri del gruppo.
La psicoterapia praticata all'interno dell' SPDC ha invece un profilo del tutto differente venendo attuata in una situazione istituzionale che vede un numero di pazienti variabile, anche in misura considerevole, da una seduta all'altra. Siamo di fronte a gruppi aperti con uno o più pazienti nuovi per ogni seduta. Questo tipo di gruppo è però continuativo cioè si pone come struttura psicoterapeutica disponibile, indipendentemente dalla possibilità di riempirlo, ma il riferimento mentale temporale è di ciascuna singola seduta.
Se prendiamo in considerazione la durata media del ricovero di quattordici giorni e ammettendo che un paziente partecipi ogni settimana alle due riunioni di gruppo previste, possiamo calcolare che ogni paziente parteciperà in media a tre sedute di gruppo durante il ricovero. I pazienti dell' SPDC formano, inoltre, un gruppo estremamente eterogeneo in termini di sintomatologia, di diagnosi, di livello culturale, di livello socio-economico, di sesso, di età e presentano anche differenze a livello di motivazione e desiderio nell'accettare il trattamento. Malgrado queste caratteristiche, il gruppo in SPDC conserva una valenza terapeutica: innanzitutto questo tipo di psicoterapia consente di raggiungere un maggior numero di pazienti, poi la particolare ottica del gruppo aiuta a fornire una visione del paziente più completa, essendo la situazione di gruppo più vicina alla realtà sociale di quanto non lo sia la situazione duale e in ultima analisi, il trattamento di gruppo consente un aumento di interazione tra pazienti e membri dello staff curante e tra pazienti stessi.
Abbiamo tenuto conto di non poter costituire un classico setting ma uno molto particolare perché operiamo all'interno in una realtà che si presenta decisamente frammentaria, ciò in considerazione soprattutto delle connotazioni di urgenza e trattamento dell'acuzie in SPDC. Abbiamo comunque prestato estrema cura nel far si che si realizzassero gli unici parametri per cui il gruppo acquisisce caratteristiche di continuità. Ci riferiamo al luogo in cui avviene il gruppo, alla durata della seduta, al numero di sedute.
- Il gruppo è stato spostato dalla sala soggiorno, non munita di porte e più chiassosa, alla sala dove si consumano i pasti. E' stata scelta questa stanza anche perché rappresenta un po' una metafora della "piazza del paese" in quanto i pazienti possono, nelle altre ore, fumare e chiacchierare, circolare, riconoscersi e aiutarsi. Più vita di relazione si induce, più in fretta si riattiva la rete sociale. Uno spazio specifico per i gruppi, ammessa la possibilità di ricavarlo da un punto di vista architettonico, avrebbe connotato lo stesso in senso più ambulatoriale, ma il migliore ambulatorio lo si fa in piazza restando con i pazienti in modo informale, raccogliendo le loro esigenze. Chiaramente durante lo svolgimento del gruppo, le porte della piazza si chiudono per permettere una difesa del setting senza estromettere tuttavia chi ha bisogno di uscire e di rientrare;
- La seduta dura circa un'ora e si svolge due volte alla settimana, il martedì e il giovedì e si avvicenda al giro visita del lunedì, mercoledì e venerdì. Avviene ad un orario quasi prestabilito e anche la figura dei conduttori è sempre stata costante.
Lo sviluppo delle interrelazioni è basato sul qui ed ora. Il gruppo inoltre è in un certo senso astorico: non esisteva in precedenza e non sopravvive in quanto tale al termine della seduta.
Ci siamo dati quattro obiettivi:
- osservazione diagnostica in un contesto gruppale;
- "psicoterapia" del revolving doors;
- intervento psicologico sulla crisi;
- contribuzione a creare un clima meno conflittuale e più dialogato in reparto.
Desideriamo ora dare qualche nozione sulla tecnica di conduzione. Essendo la crisi una pausa, una piccola morte ed una nascita dolorosa, come dice Resnik, esige come presupposto di partenza la riscoperta di una funzionalità positiva configuratasi come vicinanza e appoggio. Il gruppo perciò viene gestito come un gruppo omogeneo. Siamo stati decisamente attivi nel chiamare, sostenere, interagire, riconoscere e far circolare i segnali affettivi che si presentano nello spazio relazionale. Ci siamo attivati personalmente, andando ad invitare i pazienti, stanza per stanza, cercando di esporre in modo chiaro il compito del gruppo e di guadagnarci la fiducia dei pazienti nel lasciarsi convincere a sperimentare qualcosa di nuovo. All'inizio di ogni seduta, abbiamo fatto pronunciare ad ogni partecipante seduto in cerchio il proprio nome come primo segnale nel venire riconosciuto nel diritto di esistere ed avere uno spazio affettivo e relazionale.
Nella fase iniziale, non abbiamo proposto un tema, un preciso argomento. I pazienti venivano invitati a presentare agli altri gli aspetti personali di se stessi,tralasciando però le tematiche che riguardavano la propria terapia farmacologica e/o le proprie dimissioni. Questo perché l'argomento sarebbe stato di difficile condivisione con gli altri pazienti. Tentare di comunicare agli altri una parte della loro soggettività e in contraccambio comprendere quella degli altri, costituisce il compito implicito di questo gruppo. Molteplici volte abbiamo notato quel fenomeno che Foulkes chiama risonanza cioè un contatto emotivo esercitato dal fantasma individuale, ora di un paziente ora di un altro, sull'inconscio degli altri partecipanti che erano in grado di cogliere aspetti del vissuto della persona che parlava. Entrare in risonanza ha, inoltre, un valore di conoscenza di se stessi cioè un paziente vedeva se stesso attraverso il riflesso dell'interazione degli altri membri del gruppo.
La conversazione prendeva avvio spontaneamente, attraverso la narrazione di uno dei membri, l'esternazione di bisogni, preoccupazioni, disagi. Talvolta prendeva il via in modo libero, talvolta si bloccava. A quel punto intervenivamo immediatamente come se apportassimo dell'ossigeno a chi non ha più energia vitale per continuare ad esistere. Possiamo collegare questo intervento alla funzione di réverie di Bion ovvero alla capacità di recepire comunicazioni del paziente, di comprenderle e di restituirle al gruppo in modo metabolizzato, concedendo al paziente e al gruppo la possibilità di sperimentare una crescita in un luogo e tempo "sufficientemente buoni". La tipologia di conduzione usata è certamente direttiva ma ciò ci ha consentito di lavorare su un fattore terapeutico fondamentale: la coesione. Ammettiamo che non è stato semplice e non è semplice, ma abbiamo promosso la coesione intervenendo in modo da favorire gli interscambi tra i partecipanti, incoraggiandoli a parlare e sostenendoli; assicurandoci che tutti fossero inclusi cioè che a ciascuno venisse riconosciuto uno spazio di parola e di ascolto e infine trovando il significato positivo per ogni intervento anche del paziente più distruttivo, dissociato o assurdo in modo da farlo sentire importante per il gruppo e mostrandogli così una parte significativa, anche se annerita, della sua persona.
Vorremmo congedarci dicendo che "fermarsi per pensare" è un modo per concludere un'esperienza ma anche di fare il punto di una situazione che è ancora in divenire e che richiederà ulteriori riflessioni. In questo lavoro ci siamo proposti di mostrare come lo stare in gruppo permette di cogliere attraverso gli occhi che vedono, le orecchie che sentono, le parole dette e non dette anche il pensiero di chi momentaneamente non è in grado di pensare o pensa a modo suo. Dare significato alla sofferenza attraverso le narrazioni di gruppo dei pazienti acuti significa dar forma ad un intervento che tende alla comprensione e quindi alla modificazione della situazione. Siamo consapevoli che non possiamo fare molto nel breve tempo a disposizione, ma quello che viene fatto, è fatto nel migliore dei modi per consentire al paziente il consolidamento e la ripresa delle cure nelle altre strutture del Dipartimento.


Note bibliografiche

- BION, W.R. (1971) Esperienze nei gruppi. Armando, Roma.
- FOULKES, S.H. (1967) Analisi terapeutica di gruppo. Bollati Boringhieri, Torino.
- FOULKES, S.H. (1976) La psicoterapia gruppoanalitica. Metodo e principi. Astrolabio, Roma.
- KHAN, M. (1983) I Sé nascosti. Bollati Boringhieri, Torino.
- RESNIK, S. (1992) L'esperienza psicotica. Bollati Boringhieri, Torino.
- RONCARATI, C. (1999) Psicoterapia di gruppo per pazienti ricoverati in SPDC in Atti del Congresso I.I.P.G. settembre 1999.


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