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Sport e Psiche



Apnea e tossicodipendenza

di Luisa Veronese*

Corso di introduzione all'apnea per i ragazzi
della Fondazione Exodus (Isola d'Elba).




Il corso “Apnea Discovery” della didattica di Apnea Academy, scuola fondata da Umberto Pelizzari, è stato proposto a 10 ragazzi della comunità Exodus dagli istruttori Carlo Boscia, Riccardo Mazzi, Paola Parenti e Giancarlo Chiusole.
Durante le 5 giornate di corso, al termine delle lezioni teoriche e pratiche, si sono ricavati dei momenti di discussione di gruppo, per portare i ragazzi a riflettere su emozioni e sentimenti sperimentati durante la giornata, in modo da permettere loro di acquisire una maggiore consapevolezza dell’esperienza, e per dare uno spazio alla condivisione e al confronto reciproco.

Il blu sconosciuto che incuriosisce…
Prima dell’inizio della prima lezione teorica sono state indagate le aspettative nei confronti del corso. In generale, i ragazzi esprimono entusiasmo e curiosità, sono motivati e contenti di cominciare. Molti di loro attribuiscono importanza alla possibilità di imparare, attraverso l’apnea, a “scendere in se stessi”. Così Rocco, 38 anni, sostiene di essere interessato a tutto ciò che ha a che fare con il vedere dentro e Paolo, 31 anni, che fin da piccolo ha avuto un buon rapporto con il mare dice: “Sott’acqua so cosa c’è, ma vorrei scoprirlo di più il mondo sommerso”. Altri, come Claudio, 18 anni, esprimono la voglia di acquisire una maggiore consapevolezza del proprio corpo e di conoscerne i limiti. Per alcuni di loro può essere un’occasione per superare certe paure: Daniele, 35 anni, racconta di una brutta esperienza che ha avuto in acqua e di come questa esperienza lo abbia lasciato con la paura di annegare. Nicola, 38 anni, che 7 anni fa ha fatto un corso di subacquea, parla dell’ansia che gli suscita il fatto di trovarsi sott’acqua, in profondità, la sensazione di poter essere schiacciato dal mare e di non avere una via di fuga. Al contrario, Augusto, 33 anni, non vede l’ora di cominciare, pensa di poter avere un’occasione di rivincita contro il suo alter ego e vuole vedere come reagisce il suo corpo, “già così martoriato!”.
Le aspettative dei ragazzi sono sicuramente ottimistiche, ma nascondono anche paure e incertezze legate alle loro storie di vita. Ornella, 24 anni, dice: “Mi sono tuffata per la prima volta al largo venendo qua, in comunità…”.

Il blu sconosciuto che fa paura…
A seguito della prima lezione teorica, durante la quale si fa cenno ai rischi legati all’apnea e si comincia a far capire ai ragazzi che per riuscire a stare bene in acqua dovranno imparare ad ascoltare il proprio corpo, emergono le insicurezze e alcune paure profonde che l’apnea può risvegliare: la paura di danneggiare il proprio corpo o morire, la paura di non conoscere e riconoscere i propri limiti, la paura di venire sopraffatti dall’elemento acqua e di non avere controllo su di esso e su se stessi. La pressione dell’acqua che aumenta, la necessità di compensare, il corpo che comunica il bisogno di aria attraverso delle contrazioni diaframmatiche…tutto è diverso sott’acqua, il corpo parla attraverso segnali nuovi, che vanno accolti, ascoltati e capiti. Ci può essere anche sofferenza, e tale sofferenza può essere superata solo attraverso la sua accettazione e il suo controllo. La debolezza, se ascoltata, può diventare una forza. Questo viene comunicato a ragazzi che, in passato, illudendosi di fuggire dalla loro fragilità e debolezza, hanno trovato rifugio nella droga, pensando di riuscire così a mettere a tacere la sofferenza. Il corpo, i limiti, il controllo, la morte sono tematiche importanti, che hanno una forte risonanza emotiva per questi ragazzi, in relazione alle loro storie di vita e alle loro esperienze di tossicodipendenza. Quante volte avranno rifiutato di pensare al loro corpo, martirizzandolo e lasciandolo inascoltato? Quante avranno negato e allontanato la debolezza e la paura di morire? Quante volte si saranno sentiti incapaci di controllo o, al contrario, onnipotenti?

Finalmente in acqua: il blu che fonde e confonde…
Dopo la prima lezione pratica in mare, (con condizioni meteorologiche infelici! c’era vento e freddo sulla spiaggia, l’acqua era fredda e torbida, il mare mosso…) durante il confronto di gruppo, ai ragazzi viene chiesto di distinguere e parlare delle sensazioni fisiche provenienti dal loro corpo e dalle sensazioni e emozioni provenienti dalla loro mente, allo scopo di farli riflettere e rendere consapevoli di queste sensazioni, della loro distinzione e del loro legame.
Si evidenzia una generica e generale difficoltà a distinguere tra ciò che è sensazione corporea e ciò che invece dipende da una elaborazione o interpretazione mentale. Sembra che i ragazzi tendano a separare, oppure all’opposto a fondere e confondere, quelli che sono i segnali del corpo da quelli che sono i segnali della mente. Alcuni di loro, come Paolo, sembrano isolare e allontanare le emozioni, al punto di apparire a loro stessi e agli altri incapaci di provare emozioni. Ornella, al contrario, vive le emozioni e le sensazioni corporee in modo così confuso e pervasivo da sentirsi spaventata e impotente di fronte ad esse, così si sente comprimere il petto dalla muta, sente di non riuscire a respirare e si fa prendere dal panico…

Sentirsi sicuri nel blu: la fiducia nell’altro.
L’apnea come esperienza individuale, che si può vivere solo se c’è un compagno di fianco a noi, che ci osserva e segue nei movimenti. I ragazzi comprendono velocemente che la presenza dell’altro è importante quando stanno esplorando il blu, che la sensazione di potersi lasciare andare è legata alla sensazione di potersi fidare. Ma riuscire a dare fiducia e potersi fidare, per questi ragazzi, non è affatto semplice. Quante volte avranno tradito? E quante volte si saranno sentiti traditi a loro volta? Già dai primi confronti di gruppo emerge, tra le sensazioni riportate, la preoccupazione per il compagno e il senso di responsabilità nei suoi confronti. A fine corso Ornella parlerà di come “si è concessa di lasciarsi andare nelle mani di qualcun altro”.

L’adattamento al blu: quanto siamo disposti ad accogliere il cambiamento?
La comunità è un luogo dove avvengono senza dubbio cambiamenti importanti in questi ragazzi, ma anche dove le aspettative di cambiamento portano a una sensazione di cambiamento spesso più illusoria e immaginata che reale. Il vero cambiamento si verifica, nell’apnea come nella vita, quando poi ci si riesce ad adattare all’ambiente, nel caso dell’apnea al mare, nel caso di questi ragazzi: al mondo “fuori”.
Per i ragazzi cambiare significa ricominciare da capo, essere “nuovi”. E’ “una metamorfosi nella quale però è necessario riconoscersi”. E’ crescere, sciogliere, modellare. E’ rifiuto, ma anche ricordo. E’ ritorno alle origini e trasformazione. Rocco, che è ormai giunto alla conclusione del suo percorso comunitario, definisce il cambiamento come un “passaggio dalla razionalità all’emotività”, mentre per molti suoi compagni il cambiamento avviene, all’opposto, quando dall’emotività si passa alla razionalità. C’è molta voglia di cambiare e una forte tendenza a idealizzare il cambiamento. I ragazzi sembrano non considerare quanto cambiare possa essere difficile ed impegnativo, quanto possa essere forte la resistenza al cambiamento dato che, come nell’apnea, per poter cambiare, rinnovarsi ed adattarsi bisogno essere capaci di sopportare ed accettare il dolore e la sofferenza. Così, per scendere di più, per andare più sotto, più dentro, dove è buio, dove non si è mai arrivati, bisogna imparare a sopportare la pressione che aumenta e spinge contro tutte le parti del nostro corpo, usando le nostre risorse e, allo stesso tempo, conoscendo e riconoscendo i nostri limiti.

Entrare nel blu: il rilassamento … ma quanto è difficile stare da soli con se stessi
Le sessioni di rilassamento sono state vissute in modo più o meno conflittuale dai diversi ragazzi. Francesco, il più giovane, che da pochissimo tempo ha iniziato il suo percorso comunitario, in diversi momenti del rilassamento si è sentito nervoso e irritato. Durante il gruppo parla di quello che ha provato e di come abbia cominciato a “frullargli il cervello”, facendo emergere episodi del passato. Ha provato rabbia perché la sua mente, invece di liberarsi come avrebbe voluto, andava sempre più indietro: “Mi sono rimesso in moto…ho fatto un tuffo profondo e i fatti del passato tornano a galla”. Nicola, cercando di rilassarsi, prova invece la sensazione dell’astinenza dalla droga, gli viene prurito, non riesce a stare fermo, non vede l’ora che finisca. Ornella non parla di quello che ha provato, ma il suo corpo, attraverso le vibrazioni e i tremiti, ha parlato per lei…
In generale si riscontra una grossa difficoltà per questi ragazzi di raggiungere e mantenere uno stato di rilassamento, di liberare la mente per fare vuoto mentale, di stare soli con loro stessi e dentro loro stessi. Durante la loro storia di tossicodipendenza il modo per creare il vuoto mentale passava attraverso l’assunzione della sostanza, così i pensieri negativi, ingombranti e pesanti, venivano schiacciati e compressi. Questi pensieri, quando trovano un po’ di spazio, riacquistano il loro volume, ma i ragazzi non hanno gli strumenti per gestirli. Claudio ha vissuto il rilassamento come “uno dei pochi momenti veri di te con te”. Pochi perché dentro la comunità i ragazzi hanno giornate strutturate e impegnate in attività di vario tipo e rarissimi momenti di solitudine. In comunità viene insegnato ai ragazzi che un modo per liberarsi dai pensieri è quello di condividerli con altre persone, quindi buttarli verso l’esterno. Durante il rilassamento i ragazzi invece sono soli, tra il buio e i pensieri.
Sicuramente l’esperienza del rilassamento, che andrebbe adattata alla particolarità del gruppo (per esempio proponendo delle sessioni di rilassamento più brevi e graduali, con maggiore attenzione a quelle che possono essere le caratteristiche e le difficoltà individuali), potrebbe essere molto utile a questi ragazzi che, spaventati dal confronto con loro stessi si fanno sopraffare dalle paure e ansie, rinforzando la convinzione di non avere alcun controllo su di esse.

Il blu che culla e protegge…
Dopo la lezione in piscina di apnea statica, il gruppo mette a confronto nuovamente sensazioni fisiche e mentali. Il blu della piscina, rispetto a quello del mare, è un blu più “amico” e quieto: non ci sono le onde, l’acqua torbida e il freddo. In piscina è stato possibile rilassarsi dentro l’acqua e anche i ragazzi che non erano riusciti a rilassarsi negli altri momenti, qui si sono lasciati andare. Le sensazioni corporee riportate sono positive, prevalgono il senso di abbandono e il calore, senza costrizione e dolore. In piscina i ragazzi sono riusciti a concentrarsi sul silenzio e sulla sensazione di isolamento, sensazioni che possono essere provocate dalla muta. Mente e corpo si fondono e il silenzio provocato dall’avere indosso la muta diventa silenzio mentale, all’acqua ferma e al corpo che galleggia sicuro corrispondono sensazioni di calma e serenità. Alcuni ragazzi parlano di “abbraccio di madre” e di ventre materno. Di fatto, anche in questa situazione emergono in modo molto forte le differenze individuali, così non tutti vivono l’esperienza della piscina in modo positivo e sereno. Augusto si sente soffocare perché “non c’è vita in piscina”. Ornella, per spiegare quello che ha provato, fa un paragone con l’esperienza in comunità: “La piscina è come il momento in cui ci confrontiamo in gruppo: è più difficile scappare agli sguardi. Il mare, invece, assomiglia alla comunità: è più dispersivo.”

L’ultimo respiro…
Già, il mare è più dispersivo, ma anche meno sicuro, più scuro e profondo, così Ornella scappa dal mare piangendo. Perché la ‘discesa in se stessi’, di cui tutti i ragazzi parlavano inizialmente con grande entusiasmo, non è né facile né priva di conseguenze. Così lei scappa, ma poi non ci sta, allora ritorna, entra di nuovo, prende l’ultimo, profondo, respiro e comincia a scendere, riuscendo ad arrivare dove non credeva che sarebbe mai arrivata…esce dal mare sorridendo, per una volta ha affrontato qualcosa che le faceva paura, questa volta non si è lasciata vincere, ha vinto lei…

LA RICERCA
All’inizio del corso sono stati somministrati ai ragazzi alcuni questionari clinici standardizzati, per valutare la presenza e la prevalenza di alcuni sentimenti, quali la depressione, l’aggressività, il vigore, la stanchezza, la confusione, l’ansia e la rabbia. Si è ipotizzato che questi sentimenti (depressione, ansia e rabbia in particolare), possano avere una forte risonanza in ragazzi che stanno affrontando un percorso comunitario per uscire dalla tossicodipendenza e che un corso di apnea possa fornire loro alcuni strumenti per gestirli e controllarli.
I questionari che sono stati proposti sono:

POMS (Profile of mood states). Questo strumento permette di identificare e quantificare stati affettivi particolari, misurando sei fattori e altrettanti stati dell’umore: Tensione - Ansia, Depressione – Avvilimento, Aggressività – Rabbia, Vigore – Attività, Stanchezza –Indolenza, Confusione – Sconcerto.

STAI (State-trait anxiety inventory-forma y). Tale questionario è finalizzato alla rilevazione e misurazione dell’ansia, sia per finalità di tipo psicodiagnostica, sia per verificare l’efficacia e i benefici della psicoterapia. Tale strumento indaga sia come i soggetti si sentono generalmente (Ansia di tratto), sia quello che invece provano in momenti particolari (Ansia di stato).

STAXI (State-trait anger expression inventory). E’ uno strumento che fornisce delle misure concise dell’esperienza (rabbia di stato e rabbia di tratto), dell’espressione (rabbia rivolta verso l’esterno o verso l’interno) e del controllo della rabbia.

Tali questionari sono quindi stati riproposti alla fine del corso, per indagare, valutare e analizzare eventuali cambiamenti e verificare la risonanza emotiva dell’esperienza.
Le analisi statistiche effettuate sui dati raccolti hanno messo in evidenza come, dopo il corso di apnea, alcuni sentimenti riportati dai ragazzi abbiano subito una variazione significativa.


Vengono riportati nel grafico Questionario POMS solo i risultati significativi (P<0.05)


Nei grafici Questionario STAI e Questionario STAXI vengono riportati sia i valori di ansia e rabbia di stato, sia i valori di ansia e rabbia di tratto. Solo i valori di stato diminuiscono in modo significativo (p<0.005) dopo il corso di apnea. Coerentemente con studi precedenti, il tratto è una caratteristica stabile nell’individuo, che non risente delle diverse condizioni sperimentali.


Le analisi effettuate sulle diverse variabili prese in considerazione dal Questionario STAXI indicano variazione non univoche del controllo e della espressione della rabbia. Così alcuni ragazzi, dopo il corso di apnea, tendono ad esteriorizzare maggiormente la rabbia, mentre altri la interiorizzano maggiormente. Allo stesso modo varia diversamente per ciascun soggetto il controllo della rabbia. I risultati assumono un significato se letti tenendo in considerazione le caratteristiche individuali di ciascun ragazzo.

CONCLUSIONI
La ricerca appena presentata mostra la forte risonanza emotiva che il corso di apnea ha avuto sui ragazzi ex tossicodipendenti della comunità Exodus.
Le analisi effettuate sulle risposte ai questionari POMS, STAI e STAXI, proposti all’inizio e alla fine del corso, indicano una diminuzione significativa dei sentimenti quali aggressività, confusione, depressione, tensione, ansia e rabbia.
Il forte impatto dell’esperienza è stato evidente soprattutto durante i momenti collettivi di discussione e confronto, momenti in cui le contraddizioni e le tensioni interne di questo gruppo particolare e dei singoli ragazzi sono emerse con intensità.
Chi sono questi ragazzi?
Sono ragazzi che nella tossicodipendenza hanno allontanato il timore della morte, del dolore e di ferire il proprio corpo, ma durante quest’esperienza si sono trovati a riflettere e a chiedere rassicurazioni riguardo queste paure. Il messaggio che si è cercato di trasmettere loro è: “Ascolta il tuo corpo, anche nella sofferenza. Ascolta la tua mente, anche se ti parla di paure profonde”. Per alcuni di loro è stato molto difficile, dalla sofferenza e dalla paura hanno imparato a fuggire, trovando rifugio nella sostanza, e il sentimento forte del loro limite ha fatto sì che, in diversi momenti, il senso di frustrazione abbia prevalso sulla voglia di mettersi alla prova. Ma imparare a tollerare la frustrazione fa parte del processo di crescita, è un gradino che bisogna superare per continuare a salire (o a scendere!).
Sono ragazzi fragili e dipendenti (ma quanto vogliono apparire e credersi forti e indipendenti!), che fanno fatica a stare da soli con loro stessi, che vivono con la paura di “non farcela” perché tante altre volte hanno creduto di farcela, poi non ce l’hanno fatta. Il sentimento di inadeguatezza è cresciuto in loro e ogni nuovo fallimento è stato vissuto come una conferma della loro impotenza. Durante il corso di apnea alcuni di loro hanno sperimentato il sentimento di non farcela, la rabbia e la frustrazione conseguenti, la voglia di voltarsi e scappare. Ma poi hanno avuto il coraggio di restare, di affrontare la paura e l’ansia e, passando attraverso la sofferenza, sono scesi dentro il mare e dentro loro stessi. Sono riemersi felici per avercela fatta, un po’ “scossi”, spaventati ma incuriositi da quello che hanno visto: un mondo di ombre e di zone buie, ma anche di colori e luci. Durante l’ultimo incontro di gruppo i ragazzi hanno voglia di confrontarsi, parlano attraverso vivide metafore di quello che sentono, analizzano e discutono le parole e gli atteggiamenti degli altri compagni.
La proposta di un corso di apnea a dei ragazzi ex tossicodipendenti è stata una prova e una sfida, per loro e per noi, che ha confermato il valore terapeutico delle attività subacquee e ha messo in evidenza la necessità di adattare tali attività, nel caso di gruppi clinici, alle caratteristiche specifiche degli individui. Con questa esperienza è nato un gruppo di lavoro (Apnea Academy nel sociale), e il desiderio di fare proseguire (e di vedere proseguire!) la ricerca in questo senso, vista l’importanza dell’attività subacquea in alcune patologie quali la dipendenza.


* Luisa Veronese
psicologa dell’associazione KATABASIS


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