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Mafia in corsia: una ricerca su identità professionale e crimine dei colletti bianchi

Maria Giuseppa Giuffrida*, Girolamo Lo Verso**


Premessa:

Il presente contributo si inserisce all’interno degli studi sulla psicologia della mafia con particolare riferimento agli intrecci e collusioni tra mafia e colletti bianchi nelle istituzioni sanitarie pubbliche presenti nel territorio siciliano.

Scorrendo la ricca produzione bibliografica sulla mafia ci accorgiamo subito che, nonostante un fenomeno così articolato sia stato studiato da diversi punti di vista, a carattere sociologico, politico, antropologico, giudiziario, storico, economico, e addirittura linguistico, le pubblicazioni e le ricerche relative alle infiltrazioni mafiose nel tessuto sanitario, sono poche (anche se oggi si parla molto della penetrazione della ‘ndrangheta nella sanità lombarda).

Scopo del presente elaborato è contribuire a mettere in luce gli aspetti ed i dati fin’ora conosciuti e porre le basi per ricerche future.

*Psicologa
** Professore di Psicoterapia, Università degli Studi di Palermo e Gruppoanalista

 

Mafia e sanità: medici implicati.

Per certi aspetti, il modus operandi di Cosa Nostra fa leva sul bisogno, sulla necessità, sul malcontento diffuso tra i cittadini e, una volta evidenziate le insoddisfazioni più pressanti nel territorio, cerca di dar risposte certe ed apparentemente convenienti, conquistando così non solo il consenso sociale, ma una maggiore estensione nel territorio. Nel momento in cui i servizi locali del settore sanitario diventano carenti, è chiaro che la mafia cerca di insinuarsi in tale settore per trarne benefici non solo di ordine economico, ma soprattutto di accrescimento del potere.

I rapporti esistenti tra la mafia e ampi settori del sistema sanitario determinano la formazione di un legame attraverso il quale si rafforza e si consolida il potere dell’organizzazione criminale. All’interno di tale relazione, ciascuno dei “protagonisti” utilizza le risorse di cui dispone: da una parte Cosa Nostra, con la sua forza “militare”, esercita pesanti forme di condizionamento sulla vita sociale ed istituzionale mediante il ricorso a violenze e intimidazioni; dall’altra parte vi è chi, attraverso l’esercizio della professione medica, dispone di un vasto bacino di utenza che, all’occorrenza, può trasformarsi in potente serbatoio di consensi elettorali, costituendo così una solida rete di solidarietà e connivenza (Pepino L., Nebiolo M. 2006) .

è accaduto, persino, che la forza del potere militare di Cosa Nostra e la professione medica si siano saldate nella stessa persona, generando una concentrazione di potere. Accade anche oggi, che siano constatati stretti legami ed interfacce, sull’asse Palermo, Milano e non solo fra mafia, politica corrotta e grandi cliniche private.

In passato gli esempi non sono mancati: c’ è stato il caso di Michele Navarra il quale, negli anni Quaranta e Cinquanta, deteneva sia il ruolo di capo potente e sanguinario della famiglia di Corleone che quello di stimato e conosciuto medico chirurgo. Come ha scritto Pantaleone (1978, p.108) il dottor Navarra “sommava in sé tutti i poteri che un professionista, capo mafia di vecchio stampo, ha il diritto ed il dovere di ricoprire”; uno tra gli esponenti politici più in vista del partito della Democrazia Cristiana, ispettore della Cassa Mutua Malattie e mediatore di interessi politico-clientelari; uomo che non esitava a porre a servizio dell’organizzazione mafiosa la sua professionalità medica in caso di necessità, presso l’ospedale di Corleone1 (Paci G., 2006). Michele Navarra, medico-affarista, poteva vantare potere sociale e politico e, come ricorda Lupo S. (1993, p.166), proprio per l’autorevolezza ed il prestigio sociale acquisiti, veniva chiamato “U’ patri nostru”.

Altro esempio significativo è il caso di Gioacchino Pennino, esponente di spicco della borghesia delle professioni insediata a Palermo, nonché figlio e nipote di uomini d’onore inseriti nell’organizzazione di Cosa Nostra, con la quale intratteneva rapporti fin dagli anni Cinquanta, divenendo uomo d’onore della famiglia di Brancaccio fin dagli anni Settanta (Cgil., 2005). Solo nel momento in cui diviene collaboratore di giustizia, nel 1994, Pennino svela le modalità mediante le quali il suo ruolo professionale, politico e mafioso l’aveva trasformato in una “tremenda macchina” di produzione di consenso sociale ed elettorale, di cui Cosa Nostra si era servita per occupare i posti chiave delle Amministrazioni pubbliche e delle Istituzioni statali (Cgil, 2005).

Stessa strategia è adoperata da Giuseppe Guttadauro. Medico chirurgo e capo mandamento palermitano della famiglia di Brancaccio, ex aiuto primario dell’Ospedale Civico di Palermo, è stato al centro di una complessa trama di interessi mafiosi, economici e politici (Dino A. 2006).

I rapporti privilegiati che il dottor Guttadauro intrattiene con il mondo della politica, producono una serie di conseguenze a catena: da un lato gli consentono di influire sul reclutamento e sulla gestione del personale nel settore della sanità pubblica, agevolando in tal modo l’infiltrazione di persone di fiducia nelle strutture amministrative; a tali soggetti poi, al momento opportuno, avrebbe potuto richiedere, come lui stesso afferma, di “portare all’incasso la cambiale”, ossia una contropartita in cambio del favore elargito; dall’altro lato, i suoi rapporti con esponenti politici, offrono l’opportunità di esercitare un controllo illecito sui flussi della spesa pubblica, attraverso la gestione delle procedure amministrative nel settore della sanità regionale e di quelle comunali in materia edilizia (Pepino L., Nebiolo M., 2006).

Dalle conversazioni intercettate2 emerge anche il contributo di altre figure professionali: Domenico Miceli, medico, particolarmente interessato alla politica e Salvatore Aragona, anche lui medico chirurgo. il dottor Aragona3 collabora sia con Totò Cuffaro, che con Domenico Miceli e da vecchia data anche con il dottor Guttadauro con il quale intrattiene un rapporto di intimità e complicità (Bianchi S., Nerazzini A.,2005). Anche le sue conversazioni, con il dottor Guttadauro, sono state intercettate e da queste emergono strategie e interessi chiari per la politica e le nomine dei direttori sanitari, la manipolazione dei concorsi e la conseguente infiltrazione mafiosa nell’ambito medico.

Un altro medico che ha svolto nello stesso tempo la professione medica e quella di boss è Antonino Cinà, specializzato in neurologia e uomo d’onore della famiglia di S. Lorenzo (quartiere di Palermo ad alta densità mafiosa), il quale si prese cura di Salvatore Riina, di Bernardo Brusca, di Bernardo Provenzano e di tanti altri ancora, consegnando medicine, praticando terapie e mostrandosi sempre disponibile a soddisfare le “esigenze sanitarie “ del sodalizio criminoso (Abbate L., Gomez P., 2007).

Il dottor Cinà, nel 1993 risulta essere uno dei protagonisti della gestione della c.d. “trattativa” portata avanti da Vito Ciancimino, per conto di Cosa Nostra con alcuni ufficiali del R.O.S. per porre fine alla strategia stragista di Cosa Nostra, ma, soprattutto è colui che Bernardo Provenzano, dopo l’arresto di Riina nel 1993, chiama a far parte di un nuovo organismo, “il direttorio”, con il compito di assicurare una gestione collegiale e condivisa delle scelte strategiche dell’organizzazione (Paci G., 2006).

Finanche le forniture ospedaliere sembrano essere state gestite in regime di quasi monopolio: le aziende dalla “holding Provenzano4”, rifornivano, a prezzi gonfiati, le unità sanitarie locali di Palermo, saldamente controllate dalle cinque grandi correnti democristiane dell’epoca: la USL 58 che faceva capo a Salvo Lima, la Usl 59 a Rosario Nicoletti, la Usl 60 a Vito Ciancimino, la Usl 61 a Giovanni Gioia e la Usl 62 a Franz Gorgone (Abbate L., Gomez P., 2007). Il meccanismo adoperato era paragonabile alle forniture imposte per gli appalti: sia in ambito sanitario che in quello degli appalti, infatti, non era pensabile la libertà di acquistare risorse materiali ed umane per l’esecuzione del lavoro, ma era necessario riferirsi solo a determinate “ditte” scelte a-priori. L’interesse di Provengano alla sanità è restato costante e si è esteso sull’asse Sicilia- nord Italia (soprattutto cliniche private)

Attenzione particolare merita Salvatore Cuffaro, medico radiologo di Raffadali (Ag), il quale come Presidente della regione siciliana, stipulava convenzioni e tariffari superiori di ben venti volte a quelle della Regione Emilia Romagna e pari a quelle di tutte le altre Regioni messe assieme5.

Il contenuto delle conversazioni tra Salvatore Cuffaro e Michele Aiello6 risultava chiaro: formulare un tariffario per i nuovi esami effettuati a Villa Santa Teresa7 e, dato che non ci sono nel resto d’Italia esami equipollenti, si decide di aumentare notevolmente il costo delle prestazioni fino al 75% dell’effettivo valore (Bianchi S., Nerazzini A.,2005).

Spesa che ovviamente grava ulteriormente sul bilancio sanitario regionale e sul paziente poiché le risorse sprecate possono essere meglio utilizzate in maniera differente e più appropriata (Cgil, 2005).

In sostanza il costo che la Regione si trova a pagare, per gli esami dei siciliani, ad Aiello è di fatto concordato con Aiello stesso.

è sufficiente cambiare le tariffe delle prestazioni di diagnosi e terapia oncologica con una nuova convenzione tra Villa Santa Teresa e la Regione, per ottenere un esame che, al cittadino costava 100, ora costi 25 con un notevole risparmio per la Regione e per la popolazione tutta8 (Bianchi S., Nerazzini A.,2005).

La clinica, diviene presto un’ opportunità per tutti: da un lato permette ai siciliani di usufruire di un buon servizio sanitario (sia per apparecchiature che per strutture) , che è anche economicamente vantaggioso, dall’altro, poiché si tratta comunque di una struttura convenzionata, non sembra provocare uno spreco di risorse economiche. Non è casuale che questo modello si sia moltiplicato e sia presente anche in altri luoghi della Sicilia.

Oggi, rispetto alle vicende che si sono susseguite nel tempo, il rapporto medici-mafia sembra mutato: innanzitutto non ritroviamo più (sempre stando agli ultimi dati emersi), una compresenza di potere nella medesima persona, ovvero il medico è più difficile che svolta contemporaneamente anche la funzione di capomafia di una particolare famiglia; inoltre le mansioni dei medici sembrano variate come del resto, è mutata la strategia di Cosa Nostra: essi non compiono più reati tangibili a favore dell’organizzazione criminale, ma attraverso un’azione di silenziosa connivenza, di favoritismi, di falsi bilanci, prestazioni mediche ai boss etc. permettono sì il consolidamento del potere mafioso, ma in forma più soft, più mitigata e senza fare “troppo rumore” e, anche quando qualche caso emerge, risulta comunque sempre in una forma più mascherata tanto da risultarne difficile persino la punibilità dei fatti.

Perché alcuni professionisti dovrebbero colludere con la mafia?

È probabile che vivere nel contesto siciliano agevoli la possibilità di entrare più facilmente in contatto con l’organizzazione criminale fin dai primi anni di formazione, ma sicuramente non è l’unico elemento che garantisce, successivamente, la relazione mafia-professionisti.

Adottando il paradigma della complessità è possibile cogliere molti elementi, sociali e personali, che vanno a costituire tale rapporto: la matrice familiare, il contesto culturale, l’esperienza pregressa, la formazione conseguita e così via; solo dall’analisi di tutti questi aspetti, ed altri ancora, è possibile fare inferenze sui comportamenti manifestati dai professionisti e cogliere le motivazioni profonde che sottendono a tali comportamenti e che permettono, ai soggetti implicati, di intrattenere rapporti “ambigui” con la mafia.

 

Una “psicologia dei medici”

Se in accordo con gli studi, fin’ora svolti, da Lo Verso G. (1998 e coll.), secondo il quale il “fondamentalismo” della cultura mafiosa sarebbe fondato sulla saturazione delle matrici e sull’impossibilità di decostruire un pensiero diffuso, appare evidente come, anche tra i cittadini, la presenza di un pensiero unico da un lato ostacola la promozione di libertà individuale e soggettività e dall’altro permette il continuo perpetuarsi, tra maglie del sociale, del dominio mafioso. Ciò significa, da un punto di vista psico-dinamico, generare soggetti replicanti, intrappolati nei codici storico-familiari ed incapaci di un pensiero Altro rispetto a quello trasmesso (Pontalti C., Menarini R., 1985).

Il dominio mafioso sul territorio, sta anche in questo: generare una spirale di terrore innescata dalla paura, manipolare l’angoscia invadendo subdolamente gli spazi privati e intimi, soffocare sul nascere ogni tipo di libertà individuale e ogni impegno civile, sono tutti aspetti che contribuiscono al consolidamento del potere mafioso che, per definizione, riveste un carattere totalitario (Siebert R., 1996). La mafia infatti, non agita solo paure che possono essere ricondotte a pericoli reali, ma buona parte del suo potere si radica nell’accondiscendenza di persone che si sentono terrorizzate e intimidite da minacce e ricatti (ibidem).

è qui che s’annida il ricatto mafioso: la mafia uccide prima con la mente che con la pistola. La morte psichica, generata da un assassinio fantasticato, può essere tanto paralizzante da reprimere qualunque forza vitale presente nel soggetto. In una ricerca – intervento con commercianti di Addiopizzo (Coppola E. et all., 2011), è emerso che sia coloro che avevano subito minacce dirette che coloro che avevano immaginato che avrebbero subito estorsione e minacce, fantasticando su questo, avevano vissuto pensieri ed emozioni similari.

Le pressioni mafiose agite sui singoli individui, imprimono bruscamente nelle coscienze delle loro vittime, un senso di impotenza ed isolamento tale, da paragonarsi a “morti che camminano”, come fantocci in balia del burattinaio-mafia, che con la minaccia, sopprime ogni possibilità di autonomia, ribellione, in sostanza di libertà.

Lo stesso stato di impotenza, di paura diffusa, di privazione della libertà individuale potrebbe essere riscontrato anche in coloro che sono i rappresentanti della sanità? O possiamo ritrovare, in taluni casi, tra mafia e alcuni medici, compiacenza, ambiguità e collusione favorevole? Quali elementi psico-socio-antropologici è possibile ritrovare in questi legami?

Il paradigma della complessità è utile per poter cogliere gli elementi che “influenzano” (consapevolmente/inconsapevolmente) la scelta, da parte dei medici, di colludere con l’organizzazione criminale, facendo ricorso a quei costrutti antropo-psichici che li connotano e che potrebbero influenzarne le azioni, anche a discapito della loro qualifica professionale, del loro status e soprattutto del giuramento d’ Ippocrate pronunciato; non si tratta di “mafiosi involontari” o di inconsapevoli fiancheggiatori, ma di professionisti qualificati che hanno scelto consciamente di schierarsi dalla parte dei mafiosi per opportunismo.

Il modello teorico di riferimento della gruppoanalisi soggettuale (Lo Verso G., Di Blasi M., 2011; Lo Verso G. 1994), invita ad indagare la realtà degli eventi a partire dai legami esistenti nel mondo psichico (conscio ed inconscio) del soggetto, tra famiglia antropologica e dimensione sociale, tra aspetti oggettivi e dichiarati (status di medico) e aspetti soggettivi impliciti (storico-motivazionali) i quali sottesi ai primi, influenzano costantemente, le scelte compiute dal soggetto (del resto ciò accade a livello politico anche ad alti livelli).

Hopper E. (1997) approfondisce il concetto di inconscio sociale9, grazie al quale permette di cogliere come l’individuo non può avere una conoscenza delle manifestazioni dell’inconscio sociale, nonostante ne sia profondamente influenzato, poiché è inevitabilmente formato da esso ed in esso “intrappolato. L’inconscio sociale rientra nella sfera del “non noto”, alla stregua delle coercizioni, degli istinti e delle fantasie; tale incapacità è legata inoltre, al fatto che qualsiasi tentativo di comprensione, da parte del soggetto, si scontra con una serie di resistenze personali e sociali: ad esempio, il dover ammettere l’esistenza di una “causalità sociale”, cioè di un’influenza quasi determinante del sociale sul mentale, che costituisce un duro colpo al nostro concetto di libero arbitrio (Di Maria F., 2002).

Vivere in un contesto culturale intriso di mafia, può influenzare i modi di pensare, di agire, di comportarsi, di scegliere; ma è proprio chi vive in questi contesti (in particolare si fa riferimento alla cultura siciliana), che è in grado di cogliere facilmente le pretese che si celano dietro le lusinghe, gli obblighi da rispettare per un favore ricevuto, le minacce implicite dei cosiddetti “amici” mafiosi, i quali pretendono il contraccambio dell’ “amicizia” mostrata. Da qui nasce la volontà e la piena consapevolezza delle relazioni mafiose tra medici e Cosa Nostra, in cui è inaccettabile una casualità degli eventi o una disattenzione dei soggetti, ma piuttosto è rilevabile una ben precisa volontà di agire a limite della legalità, o peggio, nell’illegalità.

È possibile che esperienze pregresse, valori acquisiti, gruppi di riferimento ai quali si è preso parte e tutto ciò che attiene alla storia propria del soggetto, possono condizionare fortemente, in positivo o in negativo, la costruzione dell’identità del futuro professionista e di conseguenza la sua capacità/incapacità di scegliere tra bene, male e zona ibrida.

Il punto nodale diventa pertanto cercare di cogliere come e perché questi soggetti tradiscono il giuramento d’ Ippocrate e quali elementi/risorse (culturali, antropologici, formativi etc)non permettono, invece, che ciò accada cercando di evidenziare, laddove possibile, i costrutti psichici che fanno da base a coloro i quali resistono, denunciano e continuano a credere nell’importanza e nella serietà del loro operato.

 

La ricerca: aspetti introduttivi

La gruppoanalisi soggettuale (Lo Verso G., Di Blasi M., 2011), si muove in un rapporto di sviluppo, e certi versi di discontinuità, con il modello psicoanalitico tradizionale, ed oltrepassa l'originaria gruppoanalisi Foulkesiana, focalizzando l’ attenzione sulla centralità della relazione individuo-ambiente (famiglia, contesto, cultura ecc.) anche nella strutturazione della vita psichica. In sostanza, per questo modello, è attraverso la relazione che si realizza lo sviluppo della vita umana, senza la quale la stessa vita non si dispiegherebbe affatto. Su questo punto, del resto, convergono oggi molti sviluppi della psicoanalisi, della sociologia ed antropologia, delle neuroscienze, degli studi psicologici sul neonato e della relazione madre-bambino, nella famiglia e del transgenerazionale.

Ogni fenomeno umano si erge su aspetti psico-antropologici che lo costituiscono, proprio perché tutto ciò che è esterno all’individuo (il contesto sociale) è contemporaneamente profondamente interno e ne costituisce il suo campo psichico. Consideriamo ozioso o imperialistico il chiedersi se nella nascita della vita psichica siano prioritari la mente, il corpo, la relazione oppure l’individuo, la famiglia, i contesti e la storia socio-culturale. Tutto ciò è compresente, coesistente e non separabile, se non per convenzione scientifico-epistemica e per necessità di ridurre la complessità per coglierne i nessi. Ma non bisogna avere l’ingenuità scientifica di rivendicare alla propria parte il tutto.

Attraverso questa “lente” teorica e ricorrendo all’episteme della complessità quale frame di riferimento, è possibile contribuire alla comprensione di come e perché, il settore sanitario, risulti particolarmente appetibile e terreno d’elezione per le infiltrazioni dell’organizzazione criminale.

Noi crediamo che, proprio per la sua estensione e complessità, la sanità risponda ad almeno tre esigenze fondamentali di Cosa Nostra:

  1. la prima, facilmente rilevabile è relativa all’enorme quantità di denaro che circola nel sistema sanitario siciliano, si parla di circa 8,5 miliardi di euro (attenendoci ai dati forniti dalla Cigl nel 2005) che, se si considerano le insufficienze dei servizi e spesso delle prestazioni erogate ai cittadini, si coglie immediatamente la dispersione e gli sprechi presenti in tale settore.

  2. la seconda esigenza ha a che fare con il consenso sociale ovvero la possibilità di rendere connivente un medico, garantisce all’organizzazione criminale un controllo del cosiddetto “pacco pazienti”, cioè di un certo numero di persone che possono essere dipendenti dalla prestazione che il medico eroga e ciò significa aumentare il dominio e le influenze sul territorio da parte dell’organizzazione criminale: il medico è colui che gode di un certo rispetto, che cura e conosce intere famiglie e che ha una certa influenza sulla popolazione; per Cosa Nostra (e non solo), un soggetto di questo tipo, è un punto nodale sia per gli affari (ad esempio durante le elezioni politiche) sia per l’accrescimento del proprio potere su larghe fasce sociali.

  3. La terza ed ultima necessità, più strettamente psicologica, attiene alla manipolazione del rapporto vita-morte ed alle connotazioni fantasmatiche ad esso connesse: il mafioso ritiene di detenere il potere di vita e di morte sulle persone ed avere la possibilità di reperire facilmente medici, di trovare centri d’eccellenza per cure specifiche, di abbattere le liste d’attesa grazie a qualche amico-medico, permette al mafioso (ed a certi politici) di consolidare questo senso di onnipotenza che è in realtà mediato dalle conoscenze e dalle capacità specifiche di un professionista. La possibilità di reperire medici e strutture in grado di salvare un soggetto che necessita cure o al contrario l’assenza di volontà, da parte del mafioso, a prestarsi come intermediario tra paziente e cure disponibili, rinforza la possibilità di disporre della vita o della morte di una persona e ciò ha un duplice vantaggio: da un lato garantisce l’asservimento e la gratitudine del soggetto malato e della famiglia/gruppo in cui è inserito (aumentando sempre più il proprio potere di controllo) dall’altro assicura la pretesa di un contraccambio per ricambiare il favore elargito

I legami che Cosa Nostra instaura con l’ambito sanitario (come del resto tutti i legami che sussistono tra mafia e territorio) hanno una valenza non solo materiale (il denaro accumulato), ma anche simbolico-fantasmatica: Cosa Nostra costruisce infatti il suo potere su violenze e soverchierie che prima di essere fisiche sono psichiche, ponendo l’ Altro in uno stato di effettiva sudditanza e personale limitazione psichica. Com’è noto, le vittime soprattutto dei gulag (reali o sociali) stalinisti o dei lager nazisti, hanno frequentemente dichiarato che la cosa peggiore non erano le torture fisiche,ma la continua umiliazione dell’essere non persone, indegne di essere viste e private di ogni dignità umana (Lo Verso G., Coppola E., 2010).

In tale scenario, la medicina, diventa lo strumento d’elezione favorevole alla mafia per aumentare e consolidare il proprio potere poiché è la scienza che, per definizione, propone metodologie atte a guarire l’essere umano; ciò, nell’immaginario collettivo, conferisce al medico un potere simbolico forte proprio perché portatore di una cono-scenza indiscussa, che diffonde stabilità e certezze tra i pazienti e propone una verità assoluta cui affidarsi proprio in caso di malattia. La strumentalizzazione dei medici, da parte della mafia, distorce proprio l’essenza della scienza medica (tesa ad erogare prestazioni appropriate per “salvare” i pazienti) e potrebbe consolidare la convinzione da parte dei boss di essere realmente detentori del potere di vita e di morte dell’ Altro.

I medici, al di là degli aspetti antropo-culturali che vengono attribuiti loro e delle connotazioni fantasmatiche legate al concetto di morte, sono, come dicevamo, punti nodali particolarmente privilegiati per l’organizzazione criminale: essi infatti garantiscono “agganci” politici, facile raggiungibilità, un “pacco pazienti” ampio ed eterogeneo, prestazioni sanitarie agevolate etc. Dall’altro lato, alcuni professionisti del settore sanitario, possono essere interessati alla complicità con Cosa Nostra proprio per il desiderio di acquisire posizioni di prestigio sociale in tempi ristretti e con il minimo sforzo, cercando persino “scorciatoie” che hanno ben poco a che fare con la legalità, il sapere ed il saper fare.

 

Gli obiettivi della ricerca

Se Cosa Nostra riesce ad adattarsi ai diversi mutamenti sociali delle varie epoche e ottiene la connivenza persino di professionisti che proclamano solennemente il Giuramento d’ Ippocrate prima di accedere all’esercizio della propria professione dedita alla cura dell’altro, probabilmente diviene indispensabile una conoscenza degli aspetti psicodinamici e psico-antropologici legati a tale fenomeno, con particolare riferimento all’analisi dei processi decisionali di quei soggetti, che per scelta, decidono di coadiuvare con l’organizzazione criminale.

In questa direzione si muovono gli obiettivi generali della ricerca che intendono:

  • approfondire la conoscenza dei rapporti che legano mafia e sanità, facendo ricorso ad una lettura psico-antropologica del fenomeno che possa cogliere il background culturale di riferimento dei professionisti del settore medico collusi con l’organizzazione criminale;

  • focalizzare l’attenzione sulla cosiddetta zona grigia, con particolare riferimento al settore sanitario, al fine di promuovere la consapevolezza, nel tessuto sociale, delle complesse conseguenze che le infiltrazioni mafiose nelle istituzioni producono, facendo sempre ricorso al vertice psicologico-clinico;

  • cercare di comprendere le motivazioni che sottendono tale comportamenti diametralmente opposti alla deontologia professionale medica e provare a cogliere quegli elementi che nel corso della formazione personale sono stati interiorizzati, al di là delle nozioni tecniche e specifiche del settore sanitario.

Gli obiettivi specifici diventano in tal modo:

  • comprendere la complessa connessione che sussiste tra la formazione e la professione medica e gli aspetti psico-antropologi siciliani interiorizzati da quei medici che non hanno saputo resistere alle lusinghe mafiose;

  • cogliere come e quali, figure e gruppi di riferimento avute in giovane età influenzano le scelte non solo personali, ma soprattutto professionali di ciascun soggetto;

  • cercare ed evidenziare, mediante inferenze dei comportamenti manifesti, tutti quegli elementi o/e valori acquisiti nel corso della storia personale di quei soggetti che invece hanno mostrato una certa integrità professionale.

 

Metodologie e strumenti utilizzati

Se la ricerca scientifica del quantitativo mira ad una conoscenza certa, stabile e univoca, lo stesso non può dirsi per quella del sociale in cui l’aspetto predominante è caratterizzato proprio dal suo peculiare oggetto di studio, sempre dinamico e mai conosciuto una volta per tutte: l’uomo e le sue relazioni sociali.

Gli aspetti individuali, dunque, trovano senso e attenzione all’interno della rete familiare e sociale del soggetto, spostando il focus dell’intervento dal singolo al sistema di cui questo fa parte (Lo Verso G., Di Blasi M., 2011; Lo Verso G. 2008). Ciò ovviamente in senso analitico e cioè guardando gli eventi dal punto di vista della psiche soggettiva o meglio soggettuale di ognuno. Ecco perchè, il ricorso al paradigma della complessità, permettere di conoscere la realtà nella sua molteplicità, con lo scopo di guardare all’unicità del singolo, tenendo conto contemporaneamente di tutta una serie di aspetti (affettivi, emozionali, relazionali, familiare) e collocandolo all’interno di una visione storico-motivazionale che lo caratterizza: ogni individuo non solo ha una storia peculiare che lo differisce dagli altri, ma ha anche un modo del tutto soggettivo di percepirsi rispetto a questa. Tutto ciò conduce alla scoperta di verità “parziali” che derivano da specifici modelli teorici-metodologici, dispositivi concettuali e di osservazione e caratteristiche peculiari dei soggetti implicati nella ricerca: i risultati ai quali si perviene, infatti, non sono universali e generalizzabili, ma esistono in relazione ad un particolare contesto, teoria, modello e variabili che li hanno prodotti. E’ importante precisare che nessun percorso, così come nessun fenomeno umano, avviene in astratto, cioè senza riferimenti al contesto che l’ha costruito ed ai rapporti che lo hanno influenzato.

Attraverso questa lente teorica e facendo ricorso alla Grounded Theory10, è possibile studiare il fenomeno della collusione tra mafia e colletti bianchi, ponendosi dal punto di vista di questi ultimi e privilegiando, in particolare, le “voci” e le percezioni, sul fenomeno, di coloro i quali vivono e lavono in contesti intrisi di promiscuità mafiosa: avvocati penalisti e medici. I soggetti verso cui è rivolta la ricerca, sono proprio coloro i quali, nel corso della loro carriera professionale, si sono particolarmente distinti per la compostezza deontologica e per promozione di attività volte ad arginare le infiltrazioni mafiose nel tessuto sanitario, ciascuno secondo le proprie competenze professionali.

Per consentire ai soggetti un maggior grado di libertà nell’esprimere i loro vissuti e, talvolta, emozioni ad essi correlati, lo strumento scelto per la ricerca, è l'intervista semi-strutturata che garantisce una certa flessibilità sia all'intervistatore nella conduzione della stessa, sia all’intervistato nel fornire le risposte.

La tipologia di domande utilizzate è aperta in modo tale da lasciare all'intervistato ampia libertà nel fornire la risposta: è possibile che il soggetto all'interno di una stessa risposta dia informazioni inerenti a più domande, in tal caso la flessibilità dello strumento scelto, permette di modificare l'ordine delle domande o di formularne di nuove in itinere, rispetto a quanto emerge dal dialogo; inoltre, a seconda di quanto emerge, si possono omettere alcune domande o riproporre le stesse in maniera più specifica, al fine di mirare quanto più possibile l'oggetto di indagine.

I dati così raccolti vengono analizzati mediante l’AET11, per conoscere i processi collusivi (ovvero la simbolizzazione affettiva nei confronti di uno specifico contesto, da parte delle persone che a questo partecipano), e orientare la pianificazione dell’intervento entro le strutture sociali e le culture sociali. “Conoscere per intervenire” è l’ipotesi che regge l’utilità d’uso di AET, per lo psicologo e per tutti coloro che si propongono di realizzare interventi entro le organizzazioni. In particolare con AET, si intendono individuare, a partire dalle potenzialità espresse dalle dinamiche collusive, specifici indicatori di sviluppo organizzativo, all’interno del contesto sociale in analisi, al fine di orientare l’intervento alla facilitazione dello sviluppo stesso. Scopo dell’ AET è costruire ipotesi sulla cultura di un’area sociale, di un’organizzazione, di un sistema d’appartenenza, al fine di pianificare e costruire l’intervento psicologico entro il sistema stesso. (Carli R., Paniccia R.M. ,2003).

Le interviste semi strutturate vengono condotte a ciascun soggetto in luoghi privati delle rispettive sedi di riferimento (Ospedale, Procura, studi etc.) per garantire la riservatezza dei contenuti espressi e la libertà nel fornire le risposte da parte dei soggetti coinvolti, acquisendo in tal modo un numero maggiore di informazioni sul fenomeno oggetto di ricerca. Tutte le interviste sono audio-registrate e trascritte fedelmente, integrando i dati verbalmente enunciati con gli aspetti non verbali manifestati dai professionisti. La ricerca analizza gli elementi emersi dalla somministrazione di interviste semi strutturate, ai professionisti del settore sanitario e legale, i quali si sono particolarmente distinti per la lotta al fenomeno delle collusioni mafia-sanità (esponenti della Cgil Medici e Procura di Palermo), facendo emergere le risorse da loro impiegate nel mantenere costantemente la fermezza decisionale e la compostezza deontologica.

 

Per una lettura delle mappe

Il progetto di ricerca è strutturato con uno studio teorico ed uno empirico delle collusioni tra criminalità organizzata e professionisti del settore sanitario organizzati con obiettivi psico-clinici, in accordo con i parametri epistemologici e metologici della scienza complessa (Morin E., 1986).

In seguito alle trascrizioni delle audio-registrazioni delle interviste condotte, si è proceduto ad un’analisi ed elaborazione dei dati emersi dalle sbobinature e, dalla ridondanza delle parole dense, si è giunti all’estrapolazione delle tematiche pregnanti per la costruzione delle mappe tematico-concettuali ovvero strumenti di rappresentazione grafica delle conoscenze acquisite mediante l’analisi emozionale del testo (AET).

Ancorché il ricercatore analizzi in maniera rigorosa e sistematica il processo di coding, pervenendo in tal modo alla sistemazione dei contenuti in categorie originali, non si può non tener conto dell'atto interpretativo ed in parte soggettivo del ricercatore stesso; per tale motivo si ritiene opportuno il confronto di due studiosi indipendenti, dei contenuti emersi dall’analisi dei dati, al fine di giungere ad una condivisione intersoggettiva dei percorsi interpretativi. Infine si può pervenire alla realizzazione di mappe tematico-concettuali realizzate facendo riferimento ad un modello a organigramma ipertestuale che permette di organizzare i vari argomenti emersi, seguendo un percorso coerente di significazione (Giorgi A., Giunta S., Coppola E., Lo Verso G.,2009).

La funzione delle mappe è quella di chiarificare e rendere immediatamente visibile, gli elementi rilevanti ottenuti mediante le interviste semi-strutturate: esse non sono altro che un modo per condividere e diffondere dei risultati scientifici, che altrimenti sarebbero difficilmente divulgabili.

La struttura reticolare delle mappe tematico-concettuali, si costituisce di rettangoli collegati tra loro da connessioni relazionali complesse e non causali, in modo da far rilevare con facilità al lettore i nuclei tematici principali e le loro relative congiunzioni. In sostanza si tratta di rendere immediatamente visibile quegli elementi ritenuti focali, da parte dei ricercatori coinvolti nell’analisi dei dati, e che risultano essere trasversali a tutti i soggetti intervistati (ibidem).

 

Mappe tematico-concettuali:

L’analisi dei dati emersi dalle interviste semi-strutturate, effettuate a professionisti di spicco del settore sanitario e giuridico, è finalizzata alla definizione delle categorie tematiche più adatte a inquadrarli ed interpretarli; considerata la complessità dei temi estrapolati dalla siglatura dei trascritti, si è fatto ricorso alla visualizzazione delle aree tematiche affrontate durante le interviste, mediante mappe tematico-concettuali.

A questo punto sono stati estrapolati i temi centrali che fanno riferimento alle principali questioni emerse nell’ incontro con i professionisti: appartenenza ed identità, strutturazione del sistema sanitario, progettualità futura.

 

 

Come si evince dalla fig. 1, la presenza di figure e soprattutto gruppi di riferimento nell’età della formazione, è un tema ricorrente tra i soggetti intervistati, i quali fanno spesso ricorso proprio all’interiorizzazione dei valori consolidati nel corso del tempo, come elemento fondante e costitutivo della propria persona e della propria professione. Focalizzando l’attenzione alle storie biografiche dei professionisti intervistati, che spesso hanno lavorato a fianco di colleghi che in seguito si sono rivelati infiltrati o compiacenti alle lusinghe mafiose, emerge una stabilità decisionale ed una fermezza ideologica che verrebbe attribuita proprio all’appartenenza a gruppi politici (e non) di cui hanno fatto parte durante gli anni di studio; tra gli intervistati un soggetto, facendo riferimento alla sua iscrizione ad un preciso partito politico, afferma:

Di questo gruppo tutto. Condividevamo il modo di concepire la vita, di concepire la storia, di concepire l’attività politica, di concepire gli ideali, ma soprattutto l’amore per l’impegno politico, per il cambiamento della realtà, questo diciamo è quello che ci univa tutti e faceva un unico gruppo con tutti i personaggi. E questi valori , mi hanno aiutato moltissimo!Mi hanno aiutato moltissimo a crescere e diciamo a capire il mondo. Tra l’altro mi hanno aiutato moltissimo a difendermi nei confronti di altri valori (…) che vengono comunque ad incontrarmi nel mio percorso professionale e proprio questa robustezza di questi valori iniziali, ha consentito, mi ha consentito diciamo, in un momento particolarmente delicato per l’avvocatura palermitana, di mantenere, diciamo, quella compostezza e quella forza di valori che purtroppo in qualche caso invece non è stata”

E ancora:

Gli anni ’70 sono degli anni estremamente importanti e sono anni estremamente importanti perché attuavano un libero ragionamento del libero pensiero;io ero troppo piccolo per essermi gustato nel ’68 tutta la sua pienezza, avevo 10 anni, praticamente non l’ ho vissuto! Quelli della mia generazione abbiamo vissuto “la coda” del ’68 cioè quelli che poi sono stati gli anni (…) che comunque io credo siano stati un’esperienza formativa altrettanto importante, molto bella, perché erano tempi d’impegno, di riflessione politica, ci si confrontava, si studiava, credo che ci fossero anche molti interessi, molti spunti nella società di allora”.

Inoltre, ogni qualvolta lo Stato si dimostra assente o indifferente nei confronti delle esigenze dei cittadini, fa emergere delle “mancanze”, diffonde insoddisfazione nel sociale e consente alla mafia di agire sugli spazi lasciati vuoti, di rispondere ai bisogni individuali, diventato essa stessa Stato in grado di dare apparenti “certezze”, con persuasione e potenza, ottenendo connivenza a tutti i livelli sociali ed imprimendo il silenzio.

la mafia invece, quasi protegge il proprio territorio, non devasta il proprio territorio ed è per questo che la mafia è più facilmente accettata da chi ti vive accanto, perché quasi offre una condizione di tutela rispetto al territorio, per cui paradossalmente chi vive in continuità con un quartiere ad alta densità mafiosa sta quasi meglio di chi invece non vive nei quartieri dove c’è alta densità mafiosa proprio perché l’oggetto della mafia è proprio quello di difendere il proprio territorio ed anche questo è palpabile è visibile, il problema è che tutto questo avviene, in violazione delle leggi del diritto, delle leggi dello Stato, per cui il perpetuarsi di questo,che sembra una cosa quasi positiva si è quasi contento di stare in una situazione di questo tipo, in realtà è quello che poi determina le sacche di privilegio, di sopraffazione (…)”

Se le connivenze si ritrovano negli strati sociali più bassi si può ipotizzare che siano dovute a minacce, costrizioni, assenza di pensiero altro rispetto a quello del silenzio diffuso, necessità e bisogni primari (per la sussistenza), frustrazione ed inaccettabilità delle istituzioni vigenti, adeguamento passivo alla mentalità condivisa etc., ma se la complicità vede come protagonisti personaggi di spicco, figure professionali affermate o soggetti che hanno raggiunto uno status-symbol socialmente desiderabile, sia per prestigio che per ricchezza, allora le parole degli intervistati si arricchiscono di forti connotazioni emotive, di aneddoti personali, di incredulità, sbalordimento ed a volte anche facendo emergere delle resistenze nell’impossibilità di accettare, e probabilmente, interiorizzare la consapevolezza di aver lavorato con professionisti che in seguito si sono rivelati collusi con l’organizzazione criminale. Nello specifico, in taluni casi, si può ipotizzare il ricorso alla dinamica difensiva della proiezione, mediante il quale i soggetti allontanerebbero le connotazioni negative, relative ad alcuni colleghi implicati in atti illeciti, attribuendole ad altri professionisti con la conseguente colpevolizzazione delle altre categorie professionali e la salvaguardia della propria categoria (da possibili etichette negative) nonché del senso di sicurezza interiore.

“io ricordo delle persone bellissime, professionalmente molto valide, che però hanno avuto incidenti di percorso di questo tipo…questo mi rende ancora più misterioso e incomprensibile…però mi rende ancora una volta una convinzione e una certezza: che nonostante tutto se il sistema, fosse stato impermeabilizzato dall’inizio, episodi come questo non sarebbero accaduti, cioè paradossalmente siamo sempre noi, quindi sono molto arrabbiato con la politica, do una grande responsabilità alla politica, perché la politica dovrebbe avere il compito più nobile, cioè quello di programmare, immaginare, di realizzare e quindi quello di impermeabilizzare il sistema, soprattutto il sistema della sanità pubblica, che è quella cosa che ci parla delle debolezze delle persone, della fragilità delle persone che non si rivolge alle persone che stanno bene, ma alle persone che soffrono(…) lì c’è da arrabbiarsi di più perché proprio perché si parla delle debolezze delle persone, lì la politica dovrebbe avere un ruolo di garante, di garante assoluto, sulla qualità della prestazione, sulla qualità delle persone che fruiscono la prestazione ma soprattutto sulla impermeabilizzazione del sistema sanitario (…)”

Alcuni soggetti sono ben consapevoli dei risvolti ottenuti dalla collusione con Cosa Nostra e delle ripercussioni nel sistema in cui loro stessi sono inseriti.

Certo..e beh certo, la mafia è…bella…è comoda,… è accattivante, è inizialmente coinvolgente,…(…), questo è quello che si pensa inizialmente quando magari uno se ne rende conto è troppo tardi!”

Il sistema sanitario più di ogni altro ci parla delle debolezze, delle fragilità, dei bisogni fisici e psichici di cui i soggetti sono afflitti ed ai quali cercano di dare soluzioni quanto più imminenti ed adeguate possibili: di fronte alla malattia l’individuo vive una condizione di impotenza e di abbandono quasi totale alla scienza medica, non ci sono soluzioni alternative, la malattia così come la morte, accomuna tutti gli esseri viventi e li rende mendicanti di aiuto.

Essa è un evento difficile da affrontare, alcune volte coinvolge molto profondamente l'emotività delle persone, in parte è possibile individuare nell'origine di alcune sindromi aspetti emotivi e psicologici che entrano in gioco quando si tratta di rispondere alla malattia.

Di fronte alla drammaticità dell’evento-malattia, gli operatori del sociale possono pure programmare gli interventi riabilitativi o di supporto/sostegno o, meglio, integrati con l’equipe medica per la promozione del benessere dei pazienti degenti, ma la malattia organica necessita innanzitutto di cure mediche pertinenti, le quali non possono e non devono essere deficitarie.

(…) questa è una terra dove non siamo sicuri se il responsabile di un reparto lo diventa perché ha delle capacità provate o perché appartiene a questo o a quel clan o a questo o a quel partito politico non è che cambia, quello che non cambia è assolutamente che non c’è certezza delle capacità; ecco quando io parlo della non normalità della gestione della cosa pubblica, cioè uno si aspetta che la persona deputata ad avere la responsabilità della nostra vita, della nostra morte sia quantomeno al di sopra di ogni sospetto, cioè quando noi saliamo in aereo non è che chiediamo le referenziali del pilota, ci informiamo se il pilota è bravo o no, ci fidiamo del sistema, questa cosa che è normale nel resto d’ Italia, da noi non è paradossalmente normale: quante volte è capitato che uno si ricovera in un reparto e chiede: Ma questo com’è?, Questo medico che mi sta curando com’è? Cioè c’è quasi questa forma di sfiducia del sistema perché evidentemente si capisce che il sistema può essere contaminato(…)”

 

 

La figura 2 fa emergere la complessità delle ripercussioni generate dalle infiltrazioni mafiose nel sistema sanitario, che purtroppo non provocano risvolti negativi meramente sul piano dello spreco delle risorse economiche, ma ne inficiano i gangli vitali abbassando notevolmente la qualità dei servizi erogati all’utenza bisognosa, con il conseguente malcontento e sfiducia che si diffondono sul piano sociale: in particolare ciò che viene denunciato dagli esperti del settore sanitario è l’assenza di trasparenza per ciò che attiene le nomine dei primari, dei direttori di reparto e di aziende ospedaliere, facendo intendere che non hanno sempre a che fare con le effettive capacità e competenze possedute dai candidati.

“ (…) l’eccellenza professionale non decolla a Palermo per questo fatto perché tra il medico bravo ed il medico amico degli amici viene, veniva, viene, speriamo di poter parlare con l’imperfetto, veniva sempre scelto l’amico degli amici.”

Questa consapevolezza non fa che aumentare la collera in coloro che invece credono fermamente nel valore del loro lavoro, nella medicina come missione al servizio degli altri, nella ricerca medica dedicata alla trasmissione di conoscenze e alla cura del prossimo come scopo ultimo del proprio lavoro; coloro che realmente credono in queste qualità della medicina, sono risultate anche i medesimi che maggiormente mostrano una fermezza decisionale, una certa stabilità personale e un orgoglio professionale che va al di là dei fatti accaduti a colleghi coinvolti in “affari” criminali.

Io lo vivo…cercando di combatterlo e cercando di combatterlo significa cercare di capire quali sono i punti di caduta del sistema, cercando di dare indicazioni su quello che può essere il dibattito, per esempio, che riguarda le politiche della sanità pubblica; in questi giorni c’è un grande dibattito che parla di come riformare la sanità siciliana ed ecco già contribuire a questo dibattito, con serietà, con competenza cercando di non farsi influenzare dagli interessi personali o dalle convenienze, ma cercando per una volta di immaginare di mettere il pz. al centro del sistema, probabilmente questo ci metterebbe nelle condizioni di essere ben più che a metà dell’opera; allora credo che ognuno di noi, io almeno la vivo così, il nostro compito è quello di cercare di dare un contributo al dibattito, alla discussione, oltre che darlo nel quotidiano facendo il nostro lavoro, facendo il nostro dovere cercando di essere corretti nei rapporti fra di noi e con i pazienti e allora l’insieme di queste due cose, tutto sommato ti gratifica sufficientemente e ti fa sentire apposto!”

Ed ancora:

(…) sarebbe scorretto immaginare un sistema completamente contaminato, perché il sistema continua a funzionare, ed io credo che funzioni decentemente e lo dico con orgoglio, proprio perché ci sono centinaia di migliaia di operatori sanitari che fanno il loro dovere quotidianamente, che vengono la mattina, con assoluta dignità, professionalità si mettono nei loro reparti, svolgono il loro lavoro, perché se così non fosse il sistema imploderebbe ed invece il sistema non implode: noi continuiamo ad erogare assistenza sanitaria, pur con tutte le storture che ci possono essere, assistenza sanitaria che io credo sufficientemente dignitosa con capacità, professionalità nella stragrande maggioranza dei casi(…)”

Da un punto di vista psicodinamico, al di là della stabilità e dell’ orgoglio palesato da tutti i soggetti intervistati per l’attività professionale svolta, si può ipotizzare che, proprio l’ ostentazione e la costante precisazione della compostezza del proprio operato (anche laddove non richiesto) abbia a che fare, probabilmente, con aspetti di fragilità soggettive, con paure denegate riconducibili a vissuti di isolamento e/o a difficoltà a lavorare in contesti intrisi di mafia. Inoltre, potrebbe ipotizzarsi il ricorso a meccanismi difensivi che, mettendo il soggetto al riparo da delusioni, mortificazioni o vergogna, contribuiscono (oltre alla prevenzione e all’arginamento dell’ansia in senso stretto) alla difesa del senso di sicurezza interiore: nello specifico potrebbe ipotizzarsi un meccanismo di rovesciamento nel contrario mediante il quale i soggetti convertirebbero l’energia psichica negativa, derivante proprio dalla consapevolezza di lavorare in settori pervasi dalla mafia, in positiva, esaltando l’importanza del proprio operato da cui deriverebbe un’operazione auto valorizzante.

Ed i medici, sono dei professionisti qualificati, perché dovrebbero colludere con la mafia? Le risposte a questa domanda sono state varie, ma riporto un riferimento che mi sembra emblematico:

(…) Io ricordo sempre una cosa che diceva Giovanni Falcone, che era molto importante e ci serve molto per capire come procedere; allora Giovanni Falcone diceva: bisogna stare attenti, alla mafia non ci si iscrive, nella mafia si scivola lentamente senza che uno apparentemente se ne renda conto; quando poi se ne rende conto ormai è finita! Quindi non c’è mai un momento formale in cui tu ti iscrivi a Cosa Nostra o decidi che ti iscrivi a Cosa Nostra, ma, e poi vedremo come, a poco a poco scivoli…e scivoli e non te ne rendi conto, perché la prospettiva che ti danno è una prospettiva non criminale o immediatamente criminale, ma è una prospettiva in cui tu noti facilitazioni, riconoscimenti non soltanto economici, ma sociali, acquisti un ruolo, diventi un personaggio, all’inizio è tutto lecito fino a quando capisci che tutto questo non è dovuto a te, ma è dovuto a qualche altra cosa, in questo caso Cosa Nostra, e quando a quel punto, poi, Cosa Nostra ti chiede qualcosa, tu capisci che non puoi neanche dire no (…)”

Dall’analisi dei dati emersi dalle interviste semi-strutturate, inizialmente si avverte, tra le parole dei soggetti intervistati, una certa amarezza ed insoddisfazione diffusa per la strutturazione e l’organizzazione del sistema: emerge il malcontento per una sanità “contaminata” dalle insidie mafiose, il rammarico per la carenza qualitativa e quantitativa dei servizi offerti ai cittadini, la collera per la consapevolezza delle ingiustizie subite dai pazienti, la delusione per la politica vigente, la denuncia implicita dell’inadeguatezza delle istituzioni presenti nel territorio, lo sbigottimento rispetto ai colleghi collusi con l’organizzazione criminale e così via; ma la di là degli spetti negativi, si scorge pian piano, una certa fermezza decisionale, una determinazione professionale ed un atteggiamento propositivo e fiducioso verso un futuro ancora da costruire, da modellare e realizzare apportando l’impegno e l’attività concreta di ciascuno, secondo il proprio settore di riferimento, ma con l’obiettivo comune del cambiamento sociale.

 

 

Risulta evidente dalla figura 3 che, da punto di vista dei medici sarebbe auspicabile da un lato un maggiore controllo dell’impiego dei flussi di denaro presenti nel settore sanitario e dall’altro un adeguato monitoraggio delle capacità professionali degli operatori sanitari, sia di coloro che dovranno accedere al contesto ospedaliero, sia di coloro che già si trovano in esso. Il fine è migliorare il servizio sanitario, credendo fermamente, nonostante le evidenti difficoltà, in un sistema che può e deve essere riorganizzato.

la prima cosa che farei oggi è sottoporre a valutazione i capi delle varie aziende sanitarie per vedere se valgono davvero oppure no, cioè sottoporre a valutazione da parte di un’agenzia terza, e devo dire che, per quanto riguarda i direttori generali, l’assessore ha cominciato, però bisognerebbe estendere questa cosa anche ai direttori delle unità operative.”

Ed ancora

io mi sincererei che le persone, che hanno responsabilità di governo, di mezzi e di persone, abbiano realmente la capacità per poterlo fare; non farei una grande rivoluzione, cioè mi sincererei che tutte le persone che hanno posti di responsabilità hanno le capacità idonee per poterlo fare e quindi per dirla tutta che non mi basterebbe sapere che tipo di tessera di partito hanno in tasca, cioè mi piacerebbe sapere che tipo di qualificazione hanno per poter occupare il posto che occupano. Sarebbe è già un bel passo avanti!”

Non emerge quindi una rassegnazione agli eventi, una stagnazione ideologica da parte di questi soggetti, ma una progettualità nitida e viva oggi più di ieri, probabilmente consolidata dall’esperienza di vivere in un settore complesso, com’è quello sanitario, per tanti anni. Questi soggetti conoscono molto bene il contesto medico, hanno sperimentato quali sono i punti di forza e quali quelli di debolezza e non si lasciano trasportare dal flusso degli eventi, anzi le delusioni avvertite per i colleghi collusi e per il sistema infiltrato dalla mafia, non fanno che aumentare la voglio di migliorare e migliorarsi, di riscattare la propria categoria professionale che, ogni giorno, rischia di essere etichettata con connotazioni negative Tutti concordano sull’adeguatezza degli interventi integrati, che mirino all’avvicinamento delle competenze professionali provenienti da diversi settori disciplinari, con particolare riferimento all’ambito psico-sociale.

(…) sarebbe fondamentale, nella crescita, nella realizzazione di quella alleanza, cioè se tutti assieme, cominciamo a far passare l’idea, che il privilegio può alloggiare nella sanità, probabilmente noi piano piano riusciremmo a cambiare la mentalità e cambiando la mentalità, cambiano anche le regole, realizziamo quella impermeabilizzazione del sistema di cui si parlava, cioè a quel punto, tutti siamo uguali davanti all’unica cosa democratica, che è veramente democratica, cioè la malattia.”

Si parte dunque dal presupposto che un fenomeno così complesso, come quello delle infiltrazioni mafiose nel sistema sanitario, non può trovare il suo esaurimento nella mera individuazione e punibilità (ove possibile) dei presunti colpevoli, ma è solo attraverso una ristrutturazione globale dell’organizzazione interna, una rivisitazione delle matrici antropo-culturali che si insinuano nelle coscienze individuali ed una promozione di una costante riflessione psicologica, libera ed individuale, sule zone grigie del potere, che diviene possibile auspicare ad un reale cambiamento radicale del sistema, nella consapevolezza/speranza di operare all’interno di un processo di cooperazione

 

Descrizione dei risultati emersi

Da quanto emerge dalle mappe tutti i professioni intervistati, indipendentemente dalla loro professionalità specifica, denunciano apertamente una corruzione nel sistema sanitario, una compiacenza con la criminalità organizzata a tutti i livelli ed una consapevolezza nel lavorare a stretto contatto con alcuni colleghi collusi.

Se da un lato le infiltrazioni mafiose nel tessuto sanitario generano sentimenti di rabbia e malcontento (soprattutto tra i medici) dall’ altro non emerge mai una denuncia evidente rispetto ai colleghi compiacenti alle richieste mafiose, piuttosto vengono evidenziati i loro aspetti positivi, le loro competenze sanitarie, quasi a voler esaltare la categoria professionale, indipendentemente dai fatti accaduti. Attraverso meccanismi di proiezione e rovesciamento nel contrario molti professionisti, infatti, hanno attribuito una responsabilità maggiore a coloro i quali, pur non essendo direttamente coinvolti nei fatti di collusione tra medici e criminalità organizzata (ad esempio i politici), hanno permesso che accadessero non rendendo il sistema sanitario “impermeabilizzato”. Si evince un’ostentazione nel mostrare l’ integrità professionale di tanti colleghi che si impegnano ogni giorno nella lotta alla mafia, pur avendo consapevolezza che tanti altri si schierano dalla parte opposta.

Un altro dato che emerge dall’analisi delle parole dense delle interviste semi-strutturate e dalla registrazione degli aspetti non-verbali manifestati nell’interazione vis a vis tra intervistato e intervistatore, è la rottura del silenzio, che si evidenzia con chiarezza e ricorrenza nel contatto con tutti i soggetti intervistati, indipendentemente dal settore professionale di appartenenza.

Nella cultura siciliana, soprattutto nei quartieri più degradati, il silenzio è un elemento molto presente e vivo in tutte le epoche passate, al di là della cultura mafiosa, è una caratteristica che attiene alle radici antropologiche, storiche e familiari, proprie di una modalità relazionale autoctona, che non permette l’apertura verso lo straniero, verso un soggetto al quale viene riconosciuta un’ alterità minacciosa, intrusiva e perturbante; “un sacciu nienti”(non so nulla) è uno dei detti più ricorrenti nel contesto siciliano. Chi pone “troppe domande” (un poliziotto, un magistrato, o semplicemente un intervistatore) è un “curioso” e viene visto come colui che vuole conoscere, scoprire e forse cambiare il decorso degli eventi di ingiustizia, di minacce e di violenze e, perciò, a priori viene bandito dal contesto sociale poiché, anche se è diffuso il malcontento tra i cittadini e l’illegalità è sotto gli occhi di tutti, l’ordine che garantisce la presenza di Cosa Nostra nel territorio siciliano, imprime apparenti certezze e stabilità tra i cittadini (basta pensare ad esempio a come le istituzioni non sono mai riuscite a ripristinare lo stato di degrado in cui si trova il quartiere “Zen 2” di Palermo). C’è da notare, tuttavia, che forse per un’ “apertura” che va avanti da cinquemila anni e che è tipica delle isole e delle culture marinare ( Lo Verso G., 2008), in Sicilia non sono presenti fenomeni di razzismo e xenofobia.

Il silenzio, dunque, ci parla della paura, della diffidenza e dell’apparente indifferenza dei cittadini verso tutto ciò che accade in un contesto intriso di mafia, dove tutti sanno, tutti vedono, tutti ascoltano, ma solo in pochi hanno il coraggio di raccontare e parlare apertamente della presenza di Cosa Nostra nel territorio.

Ove si concordi con l’idea che il silenzio in Sicilia si colloca, in quella parte di cultura che Hopper E. (1997) definisce inconscio sociale, in grado di influenzare la messa in atto di taluni comportamenti manifesti dei cittadini (ad esempio, a volte si nutre sospetto verso l’ Altro senza una concreta motivazione), si rileva palesemente che, le risposte analitiche e approfondite dei professionisti intervistati, non indicano la possibilità di raccontare gli eventi trascorsi per il semplice fine di diffonderne la conoscenza (anche se per un siciliano raccontare fatti di mafia ad un estraneo è insolito).

In questa prospettiva, la rottura del silenzio denota proprio una precisa volontà di spezzare i legami con quel costrutto culturale e sovrapersonale divenuto troppo pesante, significa opporsi senza timore alla possibile minaccia che può arrivare dall’organizzazione criminale, significa denunciare a testa alta un sistema corrotto con sicurezza e senza esitazione per le conseguenze futuri.

Inoltre, i professionisti intervistati non si limitano a rispondere in maniera neutrale alle domande poste, ma arricchiscono la conversazione con aneddoti personali ed esperienze professionali, quasi a voler comunicare un desiderio forte di diffusione di una conoscenza sulla mafia che si intreccia alla storia di un popolo e ad una cultura che per certi versi è ancora chiusa; allo stesso tempo, si avverte un bisogno impellente di agire in contrapposizione all’organizzazione criminale, di cambiare l’assetto delle istituzioni vigenti, di costituire sinergie professionali per progettare interventi integrati, ciascuno secondo il suo ambito di competenza, volti a innalzare un muro compatto nella lotta alla mafia.

Non ci troviamo di fronte a personaggi prodigiosi, ma, semplicemente, a soggetti che da un lato, hanno avuto la possibilità di conoscere identità forti (Pio La torre, Peppino Impastato, Giovanni Falcone etc) che hanno segnato, il cuore e le menti dei loro seguaci, con il loro saper fare, saper pensare, saper realizzare, e dall’altro si sono impegnati attivamente nella loro crescita formativa, mediante la partecipazione a gruppi di pari che consentivano loro lo scambio di opinioni, il confronto di ideali e lo sviluppo di un pensiero libero da restrizioni culturali. Si tratta di volgere lo sguardo alla storia pregressa di ciascuno, alle componenti psico-familiari interiorizzate, alle figure di riferimento che hanno impresso le loro coscienze, ai gruppi di appartenenza con i quali si sono identificati condividendo pensieri, ideali e valori che, ad oggi, risultano essere molto radicati nelle loro scelte professionali.

Le idee erano nel là e allora e sono nel qui ed ora, tutt’altro che sature o replicanti, poiché riflettono la possibilità e la volontà dei soggetti, di ripensare e riattraversare le matrici antropo-culturali del contesto storico e sociale in cui vivono, con uno spirito creativo, che non si uniforma alle ideologie che di volta in volta si sono susseguite, ma auspica alla ricerca del cambiamento della realtà.

Ciascuno, secondo la propria specifica professionalità, auspica infatti ad una ristrutturazione globale del sistema sanitario attraverso interventi mirati ad eliminare alcune evidenti storture dell’organizzazione sanitaria e promuovere attività integrate e multidisciplinari, con l’obiettivo non solo di erogare servizi migliori all’utenza, ma perseguire inoltre, un riscatto professionale per coloro i quali hanno interiorizzato il giuramento d’ Ippocrate e lo assumono come must imprescindibile.

 

Riferimenti bibliografici

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Note:

1 Nel marzo del 1948 fece una risolutiva e letale iniezione a Giuseppe Letizia, un ragazzo che era stato ricoverato per lo shock subito dopo avere assistito all’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto; così si sarebbe eliminato un possibile testimone scomodo (Cgil, 2005).

2 Alla fine degli anni Novanta, il sostituto procuratore Paci G., decide di posizionare una serie di cimici all’interno dell’appartamento in cui Guttadauro viveva con la sua famiglia, in una strada residenziale dei quartieri “in” di Palermo. L’inserimento delle cimici nell’appartamento del dottor Guttadauro prese il nome di Operazione Ghiaccio, che permise di raggiungere personaggi di spicco, solo grazie alle intercettazioni registrate.

3 Ha una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa per aver fornito un alibi falso ad Enzo Brusca, boss di San Giuseppe Jato (in provincia di Palermo), accusato dell’omicidio del familiare di un pentito, il quale aveva dichiarato di essere innocente e che proprio quel giorno stava subendo un’ intervento di ernia al Civico, ovviamente il falso alibi era stato confermato dal dottor Aragona.

4 Si tratta di quattro diverse società: la Scientisud, la Medisud, la Polilab e la Biotecnica

5 Le convenzioni che la Regione ha stipulato con i privati (laboratori di analisi, centri di dialisi, ambulatori) sono 1.826 ovvero cifra uguale alla somma di tutte le convenzioni private stabilite in tutto il resto d’ Italia (Cgil, 2005).” Più si va al Sud e più gli accreditamenti aumentano: nella Liberista Lombardia di Formigoni sono solo una sessantina, mentre in Campania sono diverse centinaia. Ma in Sicilia sono addirittura 1.800”(Bianchi S., Nerazzini A.,2005a p. 31).

6 Imprenditore e costruttore di strade interpoderali vicino Bagheria. Arrestato a Palermo il 5 novembre del 2003. Condannato nel 2010 ad anni 15 e mesi 6 per associazione mafiosa. Sembra rilevante la sua posizione triangolare sulla costa nord del palermitano, nel gestire l’asse di alta qualificazione (con legami scientifici italiani ed internazionali , Provengano e politici del governo).

7 La clinica, sita a Bagheria, è destinata in particolare alla cura dei tumori grazie alla terapia stereotassica, una tecnica radioterapica “innovativa” in Italia, che consente, mediante un trattamento indolore e non invasivo, la cura di forme tumorali sia del cervello che del corpo (Cigl, 2005).


8 Il caso più eclatante riguarda un ciclo completo di terapia contro il cancro alla prostata, che Villa Santa Teresa fatturava alla Regione 136.000 euro, mentre oggi, in amministrazione controllata, lo stesso trattamento costa 8.093 euro; in pratica con la cifra pagata ad Aiello per un solo paziente, se ne potevano curare diciassette (Abbate L., Gomez P.,2007). è emerso come anche in altre realtà il business legato all’oncologia sia rilevante.

9 Si riferisce all’ esistenza e ai condizionamenti delle disposizioni sociali, culturali, relazionali, comunicazionali, dei quali la gente è inconsapevole, ma con profondi effetti sulla sua esistenza; l’inconsapevolezza nasce dal fatto che gli individui non riconoscono (negano) queste disposizioni e non le considerano neanche problematiche, in quanto non vengono esaminate con adeguato distacco ed obiettività

10 La Grounded Theory è una metodologia che nasce nell'ambito della ricerca sociologica ispirata al "paradigma interpretativo", allo scopo di interpretare i processi sottesi ad un determinato fenomeno. L' accento in questa tecnica viene quindi posto sui dati (si dice che "lascia parlare i dati"), piuttosto che sulle teorie, le quali derivano dall'analisi dei dati, che sono locali e contestuali.

11 L’analisi emozionale del testo è uno strumento psicologico per evidenziare i processi collusivi che caratterizzano le realtà sociali. “Conoscere per intervenire” è l’ipotesi che regge l’utilità d’uso di AET, per lo psicologo e per tutti coloro che si propongono di realizzare interventi entro le organizzazioni. In particolare con AET, si intendono individuare, a partire dalle potenzialità espresse dalle dinamiche collusive, specifici indicatori di sviluppo organizzativo, all’interno del contesto sociale in analisi, al fine di orientare l’intervento alla facilitazione dello sviluppo stesso. La conoscenza di processi collusivi (ovvero la simbolizzazione affettiva nei confronti di uno specifico contesto, da parte delle persone che a questo partecipano), orienta la pianificazione dell’intervento entro le strutture sociali e le culture sociali. Scopo dell’Analisi Emozionale del Testo è costruire ipotesi sulla cultura di un’area sociale, di un’organizzazione, di un sistema d’appartenenza, al fine di pianificare e costruire l’intervento psicologico entro il sistema stesso.



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