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PSYCHOMEDIA
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Magia, sciamani e guaritori



La perversione tra magia, alchimia e satanismo

di Laura Pavone



1) INTRODUZIONE
L'universo del mago: Del potere e Del sapere

"Le cose, così come sono, non mi sembrano di tutto riposo (...) Perciò ho bisogno della luna, o della felicità o dell'immortalità: di qualche cosa poniamo, di pazzesco purchè non sia di questo mondo. (...) L'impossibile: proprio di questo si tratta. O meglio si tratta di rendere possibile ciò che non lo è. A che mi giova la mano ferma, a che mi serve questo stupendo potere se non posso far tramontare il sole a levante e diminuire il dolore; far che non muoiano i vivi?
Cesonia (la sua amante): Ma è voler uguagliare gli dei, questo. Non conosco una peggior pazzia (...)"
(Camus A., Caligola, 1938; cit. in J.C.-Smirgel,1985, pag.25)

Arrivare a rendere possibile l'impossibile: questa la miglior sintesi di "un pensiero", nel contempo, magico e perverso. Questa la missione che, costantemente, ritroviamo nelle teorie e nelle pratiche magiche millenarie. Ascoltando le parole di un loro studioso se ne può trovare, difatti, immediata conferma: "La forza che, nascosta, guida la magia è la sete di potere. L'obiettivo supremo del mago venne definito, per la prima volta, abbastanza appropriatamente, dal serpente nel Giardino dell'Eden. Adamo ed Eva temevano che, se avessero mangiato il frutto dell'Albero della Conoscenza del Bene e del Male sarebbero morti. Ma il serpente disse loro: 'Assolutamente voi non morirete. Poiché sa Dio che, in qualunque tempo ne mangerete, si apriranno gli occhi vostri: e sarete come dèi, conoscitori del bene e del male.' Nella simbologia occulta il serpente rappresenta la sapienza e per secoli i maghi si sono dedicati alla ricerca del frutto proibito, che avrebbe portato a compimento la sua promessa. L'eterna ambizione dell'adepto delle arti nere consiste nell'acquistare potere supremo su tutto l'universo, e fare di se stesso un dio." (R. Cavendish, 1967, pag.15) Se questa è da considerarsi, allora, l'essenza ultima tanto della magia quanto della perversione, è anche vero, però, che gli aspetti di maggiore interesse, per entrambe le questioni, non risiedono qui, negli obiettivi cui mirano. Come ha, difatti, ripetutamente sostenuto la Smirgel (1985), tali propensioni accomunano - certamente con livelli d'intensità variabili - un po' tutti gli uomini. Sono, piuttosto, i "percorsi" o, meglio, le "scorciatoie" attraverso le quali si perseguono i suddetti obiettivi, a restituire alla magia - così come alla perversione - tutta la sua problematicità.
Avventuriamoci, allora, entro i suoi territori, vedendo se è possibile scoprirne, anche, eventuali affinità con la psicopatologia (o meglio, con "un certo tipo di psicopatologia", quella dai tratti narcisistico-anali).
Purtroppo, va subito evidenziata una nota di delusione: si tratta, infatti, di un viaggio meno sorprendente di quello che si potrebbe immaginare. Il viaggio nella magia è, paradossalmente, un viaggio senza misteri. Certo, i misteri "avvolgono" la magia, ma non la "sostanziano". Una volta che se ne é attraversato il velo, che si è assurti, quantomeno, al rango di "iniziati", lo stupore, la "seduzione", diminuiscono rapidamente fornendo in tal modo libero accesso ad un sentimento di cui l'analisi spesso lamenta la presenza proprio quando si confronta con i disturbi della linea narcisistica: la noia (M. Fabra, 1992).
Mentre le teorie cosmologiche attuali si dibattono ancora intorno al possibile espansionismo dell'universo, le "teorie magiche" hanno risolto da tempo i propri dubbi in merito: non solo, infatti, l'universo sarebbe finito ma, anche, completamente unificato. Un universo con dei confini, nonché dotato di "sentieri"(1) per raggiungerli, è sicuramente più rassicurante - perché più facilmente controllabile - di uno le cui dimensioni, caratteristiche o destini risultano instabili ed ignote; con ciò, però, di quale "mistero" mai si potrà continuare a parlare? Solo, forse, della sua messa in scena, di una finzione presa sul serio dai suoi stessi attori, di una farsa "idealizzata". Ecco comparire, così, altri punti di convergenza con già discusse manifestazioni dell'organizzazione di personalità perversa: cercheremo di spiegarci meglio.
Il pensiero magico non segue le leggi di quello logico: "La sua logica...è poetica, piuttosto che razionale. Balza a conclusioni scientificamente insostenibili, che, tuttavia paiono giustificate dal punto di vista poetico." (R. Cavendish, 1967, pag.16) E, si sa, la poesia può concedersi tutte le "licenze" che la realtà, invece, preclude. "Il ritorno alla cosa materiale, che mira a trasformarla attraverso l'azione, è fondamentale per una distinzione ... tra il pensiero strumentale volto al dominio dell'oggetto materiale ed il pensiero che formula il sogno e la fantasia. L'atto magico...non ha bisogno di questa trasformazione di ritorno per giustificarsi. (...) Dunque, ...traduce sul piano motorio e nella sua simbologia l'onnipotenza del pensiero..." (F. Petrella, 1983, pagg.101-102). Anche per il mago, però - come per qualsiasi persona intenta a perseguire il proprio Ideale (dell'Io) - il processo di "magnificazione" che gli permetterebbe di raggiungere la condizione di "divinità", è scandito da un certo numero di tappe, da "un percorso". Ma - e qui vanno colte, invece, le affinità latenti con la perversione qui, cioè, va colto l'inganno - un siffatto percorso non è il frutto dell'impegno creativo del mago stesso, non è pervaso dal rischio della non-riuscita, non può sfaldarsi prima di aver toccato la meta: esso c'è già, esiste prima della persona, la trascende e la trascura nello stesso tempo. Quando, infatti, diventa possibile affermare - come fa un famoso mago dei primi del 1900, Aleister Crowley - che Dio, la meta del suddetto processo, è: "L'Identità Ideale della natura profonda dell'uomo" e che non solo l'uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio ma anche Dio è fatto ad immagine e somiglianza dell'uomo, diventa contemporaneamente "impossibile" sfuggirgli, rifiutarsi di raggiungerlo: Esso è lì, davanti e per chiunque, Esso è come colui che lo cerca, anzi "è" già lui. Una distanza-non distanza funge, infatti, da elemento di separazione. Il potere ed il sapere che sono in Dio diventano, così, più o meno, alla portata di tutti coloro che li desiderano, perché, per l'appunto, generati dal desiderio stesso.
Così avviene anche nella perversione. Qui, difatti, quando non è il Super-Io sadico ad ordinare, è il seduttivo Ideale dell'Io - narcisistico - che fa agire. Per una simile istanza, soprattutto se poco evoluta (Sandler, Holder, Meers, 1980; Smirgel, 1985), non esiste l'incertezza, perché non esiste niente - il padre genitale - che possa veramente frapporsi agli illusori panorami con i quali si mostra alle sue prede. Lo stesso Super-Io, che, in una simile configurazione non è completo, essendo più che altro un fantoccio nonché uno spauracchio, non può nulla di fronte ai suoi richiami, lasciandosi, così, corrompere alla prima lusinga. (P. G. Silvestrini, 1994). Punto di partenza (il bisogno) e di arrivo (la soddisfazione), in questo modo, coincidono e, con ciò, ogni movimento di crescita rimane bloccato. "Ogni fase dello sviluppo deve assicurare gratificazioni sufficienti a contrastare il desiderio di regredire, e frustrazioni sufficienti a spingere il bambino con urgenza ad evolversi, piuttosto che arrestarsi fissandosi ad un determinato stadio... Perciò la madre, sottolineando l'aspetto di stimolo e di 'promessa' che sono insiti nell'Ideale dell'Io, guida il bambino e lo induce a proiettare l'Ideale dell'Io su modelli più avanzati." (Smirgel, 1985, pag.42) L'Ideale dell'Io perverso, con le sue irrealistiche pretese di onnipotenza, non ha, evidentemente, effettuato un simile passaggio a "modelli più avanzati", si è arrestato al primo.
Procedendo oltre al discorso sulla complicità materna, il punto dolente di tutto ciò resta il circolo chiuso e, quindi, vizioso nel quale viene, così, a trovarsi invischiato il perverso. Egli, infatti, pur di sfuggire alla pericolosa mistura di parti di sé rinnegate insieme ai corrispondenti oggetti rinnegatori (e con ciò cattivi), cioè a quello che poco sopra abbiamo chiamato Super-Io sadico, si fa ammaliare dalle promesse dell'Ideale dell'Io. Esse, però, non sono autentiche, sia perché megalomaniche sia perché, per diventare concretizzabili, sono state preventivamente manipolate dal suo stesso destinatario. La scomparsa dello stato di benessere assicurato dall'Ideale dell'Io narcisistico - nascosta controparte delle suoi lusinghieri richiami - lascia, così, nuovamente via libera alle dolorose bastonature del Super-Io. E, come si diceva, tutto ricomincia.
Magia e perversione sembrano, quindi, procedere lungo binari strettamente ravvicinati: in entrambi i casi doppiezza e falsità fanno da padrone. D'altronde, la "problematica" che sembra sottenderle appare analoga: una incredibile angoscia del vuoto e di tutti i suoi possibili derivati o simbolizzazioni - "meglio una madre sadica che nessuna madre" (Zorzi/Lopez, 1996, pag.319) verrebbe da pensare, quantomeno per la perversione! - un'angoscia tale, appunto, da non poter neppure essere fronteggiata. Se, difatti, nello specifico caso della magia, l'atto di chiudere a priori ed una volta per tutte, l'universo entro dei confini e di fingere, poi, che raggiungendo questi si è raggiunto l'universo stesso, non può essere descritto diversamente da un aggiramento di una più autentica incapacità di affrontare il mistero in tutta la sua autenticità (fatta, cioè, tanto di meraviglioso fascino quanto di possibile pericolosità), così, nel caso della perversione l'idealizzazione dei propri aspetti immaturi (ovvero della pregenitalità), non può non palesare tanto l'inconscio sentore della propria incompiutezza quanto l'angoscia per un futuro di compiutezza spaventoso perché, in definitiva, inimmaginabile.


2)LA QUANTITA', LA QUALITA', LA MATERIA E LA FORMA: GENEALOGIA DELLA CREAZIONE ALCHEMICA

L'alchimia appartiene di diritto all'universo magico dal momento che la si considera 'alta magia messa in opera'. (E. Levi, 1993) "Resta documentato", dice C. Gatto Trocchi, "che l'alchimia condivise con la magia la pretesa di compiere miracoli e contemporaneamente di proporre un percorso di perfezione." (1994)
Gli alchimisti del quindicesimo, sedicesimo e diciassettesimo secolo, come ogni occultista ha sempre fatto - e continua a fare! - credevano nell'universo unificato ed antropomorfico di cui si è discusso brevemente nel precedente paragrafo. Essi, inoltre, appoggiavano il loro pensiero alle teorie filosofiche greche di Empedocle, Platone ed Aristotele che permettevano di ricondurre ogni cosa del creato ad una particolare "proporzione" di quattro elementi fondamentali (il fuoco, l'aria, l'acqua e la terra), ciascuno dei quali caratterizzato, a sua volta, da una specifica combinazione di due delle quattro qualità fondamentali (il caldo, il freddo, l'umido ed il secco). Obiettivo principe del loro stesso esistere come alchimisti, era, poi, la fabbricazione della cosiddetta "pietra filosofale", entità misteriosa dalla duplice, contraddittoria natura, concreta ed astratta allo stesso tempo, che avrebbe permesso loro di trasformare qualsiasi "metallo vile" in oro. (R. Cavendish, 1967) E' evidente come un simile progetto si inserisse perfettamente nel quadro di idee presentate e che, altrimenti, non sarebbe stato neppure immaginabile.
Ma, al di là del resoconto storico, qual è il parallelismo che potremmo intravedere con la perversione?
A nostro parere, due potrebbero essere i livelli d'analogia: nel modo di funzionare, nella dinamica (o, forse, sarebbe più corretto parlare di meccanica) - primariamente - e negli obiettivi stessi del loro procedere pratico. Di questo secondo aspetto ce ne occuperemo, però, nel paragrafo successivo.
Per quanto riguarda, allora, il primo dei due livelli di supposta somiglianza, sarà necessario entrare maggiormente nel merito del pensiero alchimista.
Esso si muoveva su di un binario duplice, sia concreto ("chimico") che astratto (mistico): ciascuna delle operazioni sui materiali doveva avvenire anche sul piano della stessa persona dell'alchimista, conducendolo così ad una crescita spirituale. Inoltre:"Nel trattare i metalli, gli alchimisti pensavano di trattare con la vita. Essi non tracciavano alcuna precisa distinzione tra animato ed inanimato... i metalli si pensava crescessero nel ventre della terra allo stesso modo in cui un bambino cresce nel ventre della madre." (R. Cavendish, 1968, pgg.187/188). Così si esprime, in proposito, un altro studioso della materia: "Per la crescita o la generazione di un minerale metallico è necessario un genitore ed un qualche cosa che sia sottomesso, o una materia che sia capace di ricevere l'azione generatrice." (M. Eliade, 1969, pgg.58-59)
Quindi, l'alchimista che si riprometteva la trasmutazione di un minerale in un altro - indipendentemente dal fatto che quest'ultimo, poi, dovesse essere oro - percepiva se stesso come un "genitore" e l'operazione come una vera e propria "generazione/creazione" (tanto del minerale quanto di sé, ribadiamo). Ma si sarebbe trattato di un genitore con modalità d'allevamento e cura alquanto anomale, per non dire decisamente patogene! Viene, infatti, detto che compito del genitore è quello di "agire su di una materia capace di ricevere, sottomessa", una materia che s'immagina, quindi, originariamente inerte ed amorfa. Niente di più sbagliato se un tale discorso lo si riporta a livello del "neonato" umano - anziché "minerale" - dal momento che è ormai noto come questi sia: "fin dai primissimi giorni...una creatura estremamente organizzata che ricerca e regola gli stimoli in entrata e si impegna attivamente nell'interazione con la madre..." (D. N. Stern, 1977; Emde e Robinson, 1979 cit. in G. J. Taylor, 1987, pag.114)
La separazione concettuale, trasposta, poi, anche sul piano pratico, tra quantità e qualità, nonché, soprattutto tra materia e forma, rappresentava, quindi, la necessaria premessa di ogni progetto alchimistico. Un simile modo di pensare trovava, d'altronde, delle giustificazioni nelle concezioni cosmologico-filosofiche cui l'alchimista faceva riferimento: ovvero nella già citata teoria degli elementi. Identificando essa, infatti, le più diverse entità esistenti negli esclusivi termini delle proporzioni (dunque nella "quantità") tra medesimi ed irriducibili componenti, finiva con lo svuotare del suo significato più proprio il concetto stesso di "identità" e, di conseguenza, il processo per la sua formazione (o "creazione", che dir si voglia).
La neocreazione alchemica doveva allora limitarsi ad un cambiamento della "forma" del materiale di partenza, non della sostanza che, come si è d'altronde precisato, accomunava ogni entità, tanto organica quanto inorganica, rimandando sempre e comunque agli stessi quattro elementi dell'acqua, fuoco, terra ed aria. Ora, però, c'è da considerare che, all'interno di un'ottica quantitativa, quale era quella riflessa da una simile teoria della materia, con apparente paradosso, anche il cambiamento di forma rimandava nuovamente ad una modificazione delle proporzioni dei medesimi elementi materiali. Rimandava ancora una volta, cioè, alla materia. In un processo che, secondo alcuni alchimisti, avrebbe dovuto scandirsi in dodici tappe(2) (ad "imitazione" di quello compiuto dalla Natura per le sue "creazioni" annuali) mentre, a parere di altri, nelle "sole" sette della "creazione divina", si sarebbe, infatti, dovuti riuscire a: "Distruggere la forma esterna del metallo vile (...) purificare ulteriormente il materiale ed avvicinarlo ancora alla 'Materia Prima'(3), facendolo tornare indietro ai suoi ingredienti." (R. Cavedish, 1967, pgg. 201-203) Solo con simili passaggi preliminari si poteva sperare in un cambiamento migliorativo (in una nuova forma) della materia di partenza.
Si riteneva, quindi, non solo possibile ma anche necessario ai fini della successiva creazione della "pietra filosofale" (l'oro purissimo, ideale), agire su quella che veniva chiamata "Materia Prima", cioè su di un'entità completamente priva di forma.
Il problema di fondo - che per l'alchimista rappresentava, al contrario, il lascia passare per l'illusione, e, volendo anticipare le considerazioni che seguiranno, anche per il perverso - era, quindi, che non esisteva, in definitiva, una concezione qualitativa della forma. Ma, quando ciò accade, indipendentemente, allora, dal contesto d'occorrenza, si va sempre incontro ad una serie di fraintendimenti e confusioni. Il primo e più importante fra di essi, in quanto maggiormente carico di conseguenze, riguarda proprio la separabilità della forma dalla sostanza. Nella realtà, da intendersi, qui, in diretta opposizione con il pensiero magico-materialistico, ciò non è, infatti, possibile. La forma rimanda sempre - dove il "sempre" va inteso soprattutto in senso diacronico, ovvero anche "alle origini della vita" - alla sostanza, esattamente come la sostanza rimanda alla forma e, tutto ciò, senza che nessuna delle due debba minimamente rinunciare ai propri diritti d'esistenza. Questo, d'altronde, non è un principio circostanziale, che si può far valere limitatamente alla nostra discussione sulla genealogia della creazione alchemica; questo è il principio stesso della vita umana dal momento in cui essa è vita di persone tra persone, nel momento in cui, cioè, si considera suo centro di gravitazione, "la relazione" e suo unico tramite, il "simbolo". (Lopez/Zorzi, 1989) Tradendo simili principi, si agirà la trasgressione più grande: la perversione.
E' indubbiamente un merito del pediatra - psicoanalista D. Winnicott e del suo concetto di "Falso-Sé" (1960)(4), quello di aver fatto notare come dietro a tante personalità dal comportamento apparentemente normale - per lo meno per lunghi periodi - si celino, invece, alcune fra le tipologie più insidiose e gravi di psicopatologia. Spesso gravi e sempre insidiose, proprio perché per lo più tenute ben nascoste dietro cappe di iperadattamento, avvolte da strati "coesivi", ma mai "coesi" di caratteristiche rubate per via imitativa all'ambiente circostante. Difatti, l'autentico sviluppo dell'identità avverrebbe tramite l'integrazione - e con ciò, anche il superamento - di serie, tra loro concordanti, d'imitazioni ed introiezioni (E. Gaddini,1968); cioè, tramite la trasformazione di tali processi in quell'unico capace di tenere veramente in conto la realtà: l'identificazione.
Come si è detto, però, non sempre le cose procedono per il verso giusto, così come nel caso dei nostri soggetti Falso-Sè. Essi, infatti, si presentano come personalità di cartapesta, "ancora" costrette a modificare continuamente se stesse per poter esistere senza dare troppo fastidio, occupando lo spazio vuoto altrui ed attutendo, così, i dolori per il proprio vuoto, poco visibile perché troppo profondo, ma saturo almeno in tali frangenti. Un vuoto, quello che funge da pseudocontenuto di simili contenitori, che spesso rimanda a storie di allevamento precoce i cui termini, purtroppo, non si discostano molto da quelli sin qui usati per descrivere le "cure" prestate dall'alchimista al suo metallo- bambino.
Capita, infatti - non sempre per fortuna - che il bambino, il neonato, non sia considerato, nel pensiero e nell'effettivo comportamento di chi se ne prende cura (la madre generalmente), soprattutto durante il primo anno, come un individuo a sé, certamente ancora immaturo e per ciò dipendente, ma già dotato, comunque, di propensioni proprie, ovvero - nel nostro linguaggio - tanto di un contenuto quanto di una forma, anche se entrambe per lo più potenziali. E, qui sta l'inghippo in cui talvolta il genitore può cadere senza colpa: nella "potenzialità" con cui, ai primordi della vita, si palesa l'individualità. La potenzialità, infatti, è silenziosa e richiede altrettanto silenzio per poter essere udita. Se, allora, preoccupazioni materne, non coincidenti, si badi, con quelle "primarie" di cui parla Winnicott (1958), vengono a disturbare, a frapporsi e, così, a creare del rumore di fondo, la comunicazione stessa, silente ma presente, si perde. Solo così, la madre, o chi per lei, può arrivare a pensare di aver davanti a sé una "tabula rasa" da poter e dover modellare, ai fini del suo miglior sviluppo. E, solo così, possiamo trovare mescolati tra di noi, avvolti ancora dallo stesso silenzio di allora - perchè nessuno mai gli ha potuto dare "vera voce"- tanti "replicanti", di cui talvolta lo stampo si è perduto, tal altra, invece, molto più drammaticamente, è tuttora lì, accanto a loro, a coprirne ancora l'identità.
In un simile contesto di pensiero e di funzionamento, esattamente come per l'alchimista di centinaia di anni addietro, il concetto di identità si perde o, come giustamente ha chiarito Winnicott, finisce per andare incontro a falsificazioni le quali, tuttavia, con il passare del tempo si rivelano attraverso il loro stesso incessante riproporsi. L'affiancamento di una finta precaria forma della personalità a tutte quelle che simili "perversi" individui riterranno necessario andar "creando" con il mutare delle contingenze, nonché, soprattutto la logica predatoria che promuove le continue sostituzioni di maschera (e, spesso anche d'oggetto), sono le manifestazioni più evidenti dell'incapacità/impossibilità di pensarsi qualitativamente, di percepire la propria sostanzialità circoscritta entro dei confini forti e sicuri non perché immensamente estesi, ma perché, appunto, qualitativamente estesi
Ciò non significa che un simile raggiungimento sia facile ed immediato. E' infatti da far coincidere con quello stadio dell'evoluzione psicosessuale che, per gli psicoanalisti ortodossi, è anche l'ultimo in termini temporali, nonché il più preso di mira dai seguaci dell'imitazione ad oltranza: lo stadio genitale. Solo: "La genitalità, come realizzata eterosessualità in senso totale, come salto qualitativo, rispetto alla fase fallico-genitale ed a tutte le fasi immature dell'organizzazione e dell'evoluzione individuale e filogenetica, significa riconoscimento reciproco, accettato, desiderato, voluto, delle differenze sostanziali, della diversità dei sessi." (Lopez, 1976, pg. 226) Quando si è giunti a capire "veramente" tutto questo, mettendolo, quindi, anche in pratica, nessuna dolorosa rinuncia viene ad oscurare il piacere della conquista, perché, la rinuncia stessa, attraverso gli occhi della "vera identità" - quella che è tanto quantitativa quanto qualitativa, tanto formale quanto sostanziale, per non dire, addirittura, tanto "imitativa" quanto "introiettiva", quanto, ancora, "identificata" - si trasforma nel concetto della "differenza", il pane quotidiano della persona genitale.


3) SUBLIMAZIONE ALCHEMICA, SUBLIMAZIONE PSICOANALITICA, IDEALIZZAZIONE PERVERSA

"Se il corpo dal suo solido e denso si è trasformato in fine e leggero, esso diventa simile ad una cosa spirituale che penetra nei corpi pur conservando la propria natura...In quell'attimo esso si unisce allo spirito, dal momento che è divenuto fine e rado, e ciò lo rende stabile... " (Djabir, alchimista arabo del 700 cit. in E. Servadio,1984, pg.166)
"La sublimazione è una forma di purificazione. Il materiale solido nel recipiente veniva riscaldato sino a vaporizzare ed il vapore subito dopo raffreddato rapidamente sino a condensarsi di nuovo nello stato solido... Lo scopo era di liberare il corpo della Pietra dalle incrostazioni originarie..." (R. Cavendish, 1967, pg.209)
Nell'ambito delle operazioni di trasmutazione alchimistica, la sublimazione, che di per sé era una tappa di poco conto, occupava, però, una posizione estremamente importante: si collocava, infatti, al "centro ideale" dell'intero processo. Essa, cioè, segnava il momento di trapasso da una forma d'esistenza ancora imperfetta, quale si riteneva essere quella del composto "bianco" ("l'albedo", ibi.) non completamente sviluppato (ad uno stato, per così dire, embrionale), a quella, invece, perfetta dell'oro rosso "filosofale"("la rubedo", ibi.). Ormai, quindi, la Pietra era nata, ma, finchè non fosse stata compiuta anche una simile operazione, non si poteva essere sicuri che avrebbe completato adeguatamente il suo percorso verso la perfezione. La sublimazione serviva, insomma, a scongiurare una sorta di "regressione" del processo, tale da comportare non tanto il ritorno alle prime tappe dell'operazione di cambiamento intrapresa, quanto, piuttosto, la reduplicazione dei processi naturali che avevano condotto alle imperfezioni della pietra grezza di partenza. Si trattava più propriamente, quindi, di evitare che si determinassero "deviazioni" del processo.
Simili considerazioni non possono che evocare analoghi concetti e problemi della maturazione individuale così com'è stata affrontata dalla psicoanalisi: "Noi riteniamo che la civiltà si sia formata sotto l'urgenza delle necessità vitali a spese del soddisfacimento delle pulsioni, e che essa venga in gran parte continuamente ricreata ex novo, quando il singolo, che fa il suo primo ingresso nella comunità umana, ripete il sacrificio del soddisfacimento delle pulsioni a favore della società. Tra le forze pulsionali così impiegate, quelle degli impulsi sessuali hanno un ruolo importante; in questo processo esse vengono sublimate, ossia distolte dalle loro mete sessuali e rivolte a mete socialmente superiori...Questa costruzione, però, è labile, le pulsioni sessuali sono domate a fatica, in ciascun individuo...sussiste il pericolo che ...si rifiutino di essere impiegate in questo modo." (Freud, 1915-17, pg.20) E, più avanti: "Dobbiamo prendere in considerazione il fatto che proprio gli impulsi di natura sessuale sono...straordinariamente plastici. Possono sostituirsi l'uno con l'altro, l'uno può assumere su di sé l'intensità dell'altro; se il soddisfacimento di uno viene frustrato dalla realtà, il soddisfacimento di un altro può offrire piena compensazione...A ciò si aggiunga che le pulsioni parziali della sessualità...mostrano una grande capacità di mutare il loro oggetto...Tra questi processi che preservano dall'ammalarsi per privazione ce n'è uno che ha acquisito un particolare significato per la civiltà. Esso consiste nel fatto che la tendenza sessuale abbandona la sua meta rivolta al piacere parziale o al piacere riproduttivo e ne accetta un'altra che è geneticamente connessa ...ma non deve più essere chiamata sessuale ma sociale" (ibi., pgg. 255-56)
Simili spiegazioni lasciano aperte molte questioni (Laplanche e Pontalis, 1967), prima fra tutte, il ruolo delle 'pulsioni non sessuali'. Al di là, però, di ciò che si può criticare della metapsicologia della sublimazione, quello che c'interessa è comprendere il senso di una conclusione che la psicoanalisi ha raggiunto in merito: la scarsità, se non addirittura l'assenza, di capacità sublimatoria nei soggetti perversi, di contro all'alto livello di attività idealizzante da essi presentato. (Smirgel, 1985) L'affrontare un simile problema, ci permetterà anche di spiegare e giustificare l'ipotesi - lasciata in sospeso dal precedente paragrafo - circa l'assimilabilità degli obiettivi tra perverso ed alchimista.
Una delle poche certezze che la psicoanalisi postfreudiana sembra aver acquisito in merito è che: "La sublimazione ha bisogno della formazione del Super-Io, dunque del primato genitale nell'organizzazione dell'Io e dell'integrazione delle pulsioni parziali sotto questo primato. Essa suppone l'associazione di un Io forte, padrone dell'organizzazione dell'economia psichica, di un Es, d'altronde, abbastanza soddisfatto e non tirannico, di un Super-Io anch'esso soddisfatto (e non tradito) ed, infine, di un Ideale dell'Io ben integrato." (J. Bergeret, 1995, pag.116) Dopo tutto quello che è stato detto sulla conformazione psichica dei perversi, risulta evidente che siamo alquanto lontani dal soddisfare un tale insieme di requisiti. D'altronde, non si potrebbe concluderne circa l'impossibilità per un simile soggetto di effettuare sublimazioni. Bisognerà, allora, tenere in conto che la psicologia umana difficilmente si lascia inquadrare in schemi semplici di pensiero, così che sembra più corretto immaginare una psiche stratificata, dai raggiungimenti evolutivi non omogenei, dotata tanto di "nuclei" primitivi, quanto anche di "parti" maggiormente evolute ed in grado quindi di svolgere proprio i compiti e le funzioni che non potrebbero essere realizzabili se ci si limitasse a prendere in considerazione solo i suddetti primi aspetti.
Una tale precisazione, in accordo tra l'altro con alcune delle prime affermazioni freudiane intorno alla perversione (1905),(5) risulta indispensabile per tracciare contorni chiari della situazione dalla quale prendiamo le mosse. Tuttavia, rimane ancora parzialmente da illustrare la motivazione in base alla quale al perverso risulta difficile scegliere la via della sublimazione e facile, invece, quella dell'idealizzazione.
Le "mete sociali" o, comunque, "creative" di cui si parla ogni volta che viene chiamata in causa la sublimazione psichica, sono essenzialmente e primariamente "mete di relazione", mete che, cioè, si allontanano anni luce dal territorio solipsistico del narcisismo imperante in qualsiasi forma di perversione. Non è, quindi, una questione di valori relativi ad una data cultura (problema che è stato spesso messo in gioco nella critica al concetto di sublimazione), quella che si pone come ostacolo alla possibilità di sublimare di tali soggetti, ma, una molto più globale e, con ciò, anche più pervasiva, capacità di concepire mentalmente lo spazio relazionale, oltre che una certa "vischiosità" dell'energia di cui si compone, economicamente, la loro psiche.
Può forse apparire riduttiva una tale caratterizzazione di un processo dal nome tanto altisonante, eppure, crediamo che dietro qualsiasi raggiungimento sociale (che non sia scopertamente frutto di formazioni reattive o, più semplicemente ancora, di funzioni primarie dell'Io) non vi sia altro che la capacità della persona, da un lato, di disporre di un certo quantitativo di "energia mobile" e, da un altro lato, di applicare tale energia (non solo libidica, quindi) al vasto e multiforme campo interrelazionale-sociale. Il riversamento della suddetta energia nello spazio dell'altro, non deve però essere immaginato come una sorta di "scarico" eseguito senza fatica o passivamente. Esso, al contrario, richiede che "tutte le funzioni" della persona - proprio quella "persona totale" di cui parla Lopez (1976, 1989) in più di una occasione - si concentrino sull'obiettivo, essendo ad un sol tempo, legate ordinatamente tra di loro e legate ordinatamente con "tutti gli elementi" di cui si percepisce composto l'oggetto di tale relazione.
E' ovvio che - ma forse è bene precisarlo - per la persona siffatta, il campo relazionale è rispettato nella sua natura-altra, anche quando le mete pulsionali sono soddisfatte direttamente e quindi non sublimate. L'originalità del processo sublimatorio, infatti, risiede nell'atto della "scelta", per così dire, tra una meta relazionale semplice ed una, invece, elevata a potenza. Ma, il mondo delle scelte, non è un mondo da tutti e, sicuramente, non è un mondo nel quale possa vivere il perverso. Egli non ha avuto scelte sin da quando è stato messo al mondo e, "per essere almeno un po'" o almeno "qualcosa" è stato costretto a scimmiottare, in una stentata imitazione, quella madre che lo invadeva ed oscurava con i suoi sguardi avidi di un rispecchiamento di cui sarebbe dovuta essere, invece, lei stessa la principale dispensatrice. Non potendo quindi disporre della ricchezza derivata dalla buona soluzione di tale primaria scelta - essere se stesso o essere l'altro - il perverso si trova sicuramente svantaggiato di fronte a tutte le successive, più che mai, poi, di fronte ad una scelta come quella implicata nella sublimazione dove, oltre a tutto ciò, viene anche richiesto - nella traduzione linguistica che ne dà, a se stesso, il soggetto in questione - di abbandonare l'unica via conosciuta per poter esistere e soffrire un po' meno(6). Nessuna scelta può profilarsi in un simile orizzonte almeno che non sia una "finta scelta". E, quale migliore finzione se non quella di "far passare per buone", cioè di credere buone - perché per il perverso non esiste un inganno che non sia "automaticamente" anche autoinganno - le proprie azioni così come sono e così come vengono, le più banali o squallide o odiose ed odiate? Ecco che, allora, alla sublimazione, compito difficile perché parto della persona totale, genitale e matura, subentra l'idealizzazione, il trucchetto infantile dell'eterno bambino che gioca a fare l'adulto astuto. Un gioco, questo, che ci riporta indietro, ci conduce, crediamo, dall'alchimista alle prese con il suo metallo "vile" da trasformare, in una serie di misteriosi e fantasiosi passaggi, nell'oro rosso, purissimo e splendente! La sublimazione alchimistica, allora, la lontana traccia dell'omonimo e "nobile" processo psichico, finisce, così, per perdere gran parte del suo valore di tramite ultimo e definitivo della "perfettibilità". Finisce per essere, molto più prosaicamente, una fra le tante tappe di un progetto illusorio ed idealizzato; tale, per suo stesso proposito, tale, cioè, per aver rinunciato in partenza al rispetto della realtà che, prima di essere trasformata, richiede di essere riconosciuta.
Una simile strategia difensiva, protettiva rispetto ad un precario assetto narcisistico è generalmente annoverata da quegli psicoanalisti che individuano nell'analità psicosessuale prevalente, la problematica fondamentale della perversione. Pur non concordando pienamente con tale visione, poichè riteniamo attaccabili da esigenze di "sostegno narcisistico" tutte le fasi e le funzioni che lo sviluppo mette a disposizione, riteniamo comunque importante in questa direzione, la suddetta fase. Pensiamo, inoltre, che essa si presti "quasi naturalmente" - quando non può venire superata "normalmente" - ad essere idealizzata. Tutto, infatti, contribuisce a questo: la sua vicinanza temporale alla superiore fase fallico-edipica, la somiglianza della parte corporea implicata nonchè il livello di maturità psichica del bambino che non si discosta molto da quello che potrà raggiungere nella fase successiva. Come dire: la maturità è quasi raggiunta ed allora, perché non negare tutto ciò che di buono e di meglio potrebbe esserci dopo, facendo passare il proprio modo di esistere come il 'migliore dei modi possibili'? "La fase che maggiormente nega il bisogno dell'oggetto è indubbiamente la fase anale. Dandosi un oggetto da solo, il soggetto anale realizza l'apice dell'onnipotenza pregenitale." (...) Infatti: "A livello di relazione contenuto-contenitore anale, sul piano della simbolizzazione operativa ed affettiva reali, al posto di un contenitore che deve ricevere un contenuto buono proveniente dall'esterno (latte), c'è un contenitore che deve espellere all'esterno un contenuto cattivo (feci), proveniente dall'interno... La distorsione confusiva più grave che si attua...è quella di trasformare illusoriamente il proprio contenuto cattivo, cioè le feci, in proprio contenuto buono, cioè il latte o un bambino, negando che il latte sia stato dato dalla madre o che il bambino sia fatto dai genitori." (F. Fornari, 1975, pg. 67 e pgg.63-64)


4) LA SINTESI PERVERSA: LA VENERAZIONE DEL DEMONIO

"Nel primo secolo dopo Cristo, Lucifero(7), il 'satana'(8) ed i Guardiani erano, ormai, riuniti in un'unica leggenda ed alla storia era stato aggiunto il serpente dell'Eden. Nel Secondo Libro di Enoch si dice che l'arcangelo Satanial tentò di farsi eguale a Dio e convinse i Guardiani a ribellarsi insieme con lui. Vennero tutti esiliati dai cieli e, per vendicarsi della sua caduta, Satanial indusse al peccato Eva nel Paradiso Terrestre. (...)
Il Diavolo, come Dio, è sempre stato raffigurato ad immagine dell'uomo ed i Cristiani hanno creduto nella rivolta del grande arcangelo perché questa faceva vibrare (in parte, almeno) una corda in risposta nei loro stessi cuori di uomini. Lucifero è l'uomo che si ribella ed il suo orgoglio sembra dare una più nobile origine al male." (R. Cavendish, 1967, pgg.364/369) Questa, però, è solo una parte della verità sul Demonio, indubbiamente la più innocente. Innocente ma già, comunque, non innocua, se funge "tanto placidamente" da richiamo ad aspetti di sé in realtà molto pericolosi perché altamente distruttivi. L'orgoglio, la "hybris", il peggior peccato presso i greci (M. Pohlenz, 1986), come seduzione universale si pone in un rapporto di stretta affinità con la perversione se diamo credito alle parole con cui la Smirgel ha ritenuto di poterla sintetizzare: " Considero le perversioni in senso più ampio, come una delle dimensioni della psiche umana in generale, una tentazione della mente comune a tutti noi." (1985, pag.1) Non è un caso, poi, che la medesima autrice si sia dedicata, proprio in seno a tale opera, all'analisi di quelli che chiama "personaggi luciferini" (Caligola, il Dottor Moreau, Hans Bellmer).
Ma, esattamente come non è possibile ridurre la perversione a questo soltanto, così, giudicare "gli adoratori del Demonio" dei romantici sostenitori ad oltranza della virtù dell'orgoglio, significherebbe non tanto sottovalutarne tutta una serie di aspetti, quanto proprio negarne l'identità più profonda. Il parallelismo che vorremmo tentare di evidenziare e nel contempo leggere in un linguaggio psicoanalitico, riguarda, da un lato, la perversione così come è stata descritta e spiegata nei precedenti paragrafi, e, da un altro lato, il fenomeno psico-sociale, contemporaneo del "satanismo", da intendersi in termini relativamente ristretti, ovvero come: "L'adorazione o la venerazione, da parte di gruppi organizzati in forma di movimento, tramite pratiche ripetute, di tipo culturale o liturgico, del personaggio chiamato Satana o Diavolo della Bibbia." (M. Introvigne, 1994, pag.12)
Un secondo aspetto da segnalare in vista di un possibile accostamento con talune modalità di estrisecazione della perversione, concerne proprio le manifestazioni rituali del satanismo. Di fronte ad esse ogni sorta di ideale romantico del Dio del Male decade molto facilmente lasciando il posto, tuttalpiù al disgusto.
Il satanismo contemporaneo non si presenta più - per lo meno non totalmente - come una realtà frammentaria, clandestina ed anonima: Anton Szandor La Vey e Michael A. Aquino, per gli Stati Uniti, Efrem Del Gatto e Marco Dimitri, per l'Italia, sono personaggi divenuti noti proprio per aver pubblicamente fondato, rispettivamente la Chiesa di Satana (1966), Il Tempio di Set (1975), la Chiesa Nazionale Luciferiana (1981), e, per finire, i Bambini di Satana luciferiani (1982). (S.Radoani, 1995) E' chiaro che, di fronte ad un panorama così composito, di fronte al suo estrinsecarsi in termini sociali, l'estrapolazione di "moventi più profondi" rischia di banalizzare il tutto, di lasciare da parte aspetti con molta probabilità inscindibili. Ciononostante sarebbe presuntuoso da parte nostra volerci caricare di un compito affrontato e discusso con strumenti sicuramente più adeguati dalla storiografia e, ancor più direttamente, dalla sociologia. Da un punto di vista psicoanalitico, allora, ci sembra più opportuno limitare i nostri interessi all'estrapolazione di aspetti che sembrano presentarsi (e, così, accomunare) tanto nell'ideologia e nella pratica satanista quanto nella dinamica e nella fenomenologia perverse.
Facciamo cominciare la nostra analisi dal commento di una considerazione che abbiamo rintracciato in un testo che si occupa della materia e che, a tal proposito, abbiamo citato più volte: "Le origini della teoria satanista vennero influenzate dalla diffusa accettazione del dualismo, cioè, la credenza che opponeva divinità benefiche a divinità malefiche, esistenti indipendentemente le une dalle altre...L'incentivo ad arruolarsi nelle schiere di Satana è più forte se l'Arci-nemico è considerato più o meno alla pari con Dio, invece che suo subordinato, che agisce solo in quanto Dio lo permette, com'è nel credo cristiano" (R. Cavendish, 1967, pag.371) E' proprio quello che qui viene chiamato "dualismo", l'aspetto su cui vorremmo attirare l'attenzione per arrivare a tracciare un percorso che possa ricondurci alla perversione.
Sembra, dunque, che le forme prodromiche dell'attuale movimento organizzato che prende il nome generale di "satanismo", abbiano avuto origine da un radicale cambiamento nel modo di considerare la divinità. Sino a che, infatti, è potuta esistere una divinità unica, un monoteismo assoluto come quello ebraico dell'Antico Testamento dove da un Dio come Jehovah poteva discendere tanto il supremo bene, quanto, anche, il supremo male, non vi era ragione né per l'esistenza di un Demonio né, tantomeno, per l'esistenza di suoi fedeli. Il Demonio assume precisi diritti di cittadinanza solo nel mondo cristiano, in un universo religioso nel quale, cioè, il Bene ed il Male si fronteggiano anziché tentare reciproche conciliazioni.
Come tutto questo possa riportarci al problema della dinamica perversa, a questo punto della trattazione, dovrebbe ormai risultare evidente: la scissione verticale (Goldberg, 1998) tra aspetti buoni di sé, o, comunque, accettabili ed accettati da parte di un'unità narcisitico-mimetica mai disciolta, e, viceversa, aspetti cattivi, rinnegati, domina nei sotterranei di ogni quadro perverso. Ma, l'analogia e, vorremmo dire di più, la possibile contigutà territoriale, non può ridursi, ovviamente, solo a ciò. Anzi, fermarsi a queste poche affermazioni rischierebbe di tacciare come perverso, indifferentemente, tanto il pensiero dei seguaci di Cristo o del Bene quanto quello dei seguaci di Satana o del Male: se, infatti, il satanismo nasce a partire dalla scissione cristiana tra bene e male, è ovvio che questa scissione pervada entrambi i culti, e, a rigor di logica, debba colpire maggiormente il versante da cui ha potuto originarsi (le cose, però, non stanno assolutamente in questo modo e lo dimostreremo).
La nostra trattazione della perversione, tuttavia, ha proceduto oltre il semplice delineamento di aspetti scissionali in seno al corpo della personalità. Essa ha tentato di evidenziare anche la natura cognitivo-affettiva determinante delle scissioni medesime. Ed è su questo punto che iniziano a delinearsi le prime sostanziali differenze di significato tra l'ideologia che sottende il culto di un Dio del Bene e quella propria, invece, del culto di un Dio del Male. Nel perverso, come nel satanista frequentatore di sette e praticante dei relativi rituali, rabbia e narcisismo sembrano poter costituire un nucleo motivante di particolare importanza. A nostro parere il connubio tra la rabbia ed il narcisismo è uno dei pochi ad avere un destino di vita in comune sempiterna.
Le origini di conclusioni dall'aspetto tanto definito affondano in considerazioni circa gli obiettivi dello sviluppo. Si ricorderà che, in accordo al pensiero mahleriano (D. Resta, 1984), la separazione e l'individuazione non solo sarebbero compiti evolutivi primari, ma, anche aspirazioni sempre presenti all'interno della dinamica individuale, oltre e nonostante le possibili perturbazioni alla loro effettiva realizzazione. I tradimenti, comunque, si pagano e, così, l'impossibilità che abbiamo rintracciato nel profondo di ogni perverso a portare a termine la suddetta duplice ma univoca meta, non è rimasta priva di spiacevoli conseguenze: un narcisismo rabbioso accompagna, nutre e riveste le relazioni di questi soggetti.
Ma perché mai riteniamo possibile estendere simili affermazioni anche al campo del satanismo? Ascoltiamo, presentando le cosiddette "nove affermazioni sataniche", quanto la Chiesa di Satana ha da dirci in proposito: "1) Satana rappresenta l'indulgenza in luogo dell'astinenza; 2)...rappresenta l'esistenza vitale in luogo dei vacui sogni spirituali; 3)...rappresenta la saggezza sfrontata in luogo dell'autoinganno ipocrita; 4)...la cortesia solo verso chi la merita in luogo dell'amore sprecato verso gli ingrati; 5)...la vendetta in luogo del porgere l'altra guancia; 6)...la responsabilità nei confronti di chi è responsabile, in luogo della preoccupazione nei confronti dei vampiri psichici; 7)...rappresenta l'uomo come nulla più che un altro animale - qualche volta migliore, ma, più spesso peggiore di quelli che camminano a quattro zampe - che, a causa del suo preteso 'sviluppo divino, intellettuale e spirituale' è diventato l'animale più vizioso di tutti; 8)...rappresenta tutti i cosiddetti peccati, nella misura in cui portano alla gratificazione fisica, mentale o emozionale; 9) Satana è stato il migliore amico che la Chiesa abbia mai avuto, perché l'ha tenuta in commercio per tutti questi anni." (A. S. La Vey, The Satanic Bible, 1969 cit. in M. Introvigne,1994, pag.275)
Frasi, tutte queste, dall'aria solenne, talvolta sarcastica, ma sempre "apparentemente" con il sapore dell'amara verità, di fronte alle quali, insomma, sembra quasi non si possa aggiungere altro. Frasi studiate per colpire il lato perverso che è in tutti noi, quello di cui ci parlava la Smirgel, quello che vorrebbe scavalcare gli ostacoli per dire, poi, che nella vita non ne esistono d'insuperabili. Frasi, il cui velo di razionalità, per non usare esplicitamente i termini analitici di razionalizzazione ed intellettualizzazione, trasuda insoddisfazione e, con ciò, rabbia.
Questa, dunque, la risposta più diretta ed efficace che pensiamo di poter dare alla domanda sopra presentata. Nelle parole dell'ex capo della Chiesa di Satana, tra l'altro frutto di una copiatura quasi al limite del plagio da un romanzo della filosofa Ayn Rand, crediamo, quindi, possa essere letto molto di più che un incitamento alla ribellione "trasgressiva" di valori giudaico-cristiani ritenuti corrotti e più spesso dichiarati che autenticamente praticati. Crediamo, cioè, di potervi scorgere ed anche condensata in massimo grado, la logica perversa: una logica che non s'insinua mai con molto rumore, che sa dove e come colpire perché sa cosa dentro di sé è già stato, a suo tempo, colpito: la possibilità d'amare e di essere amato come persona e, vorremmo dire, non come un animale - o forse meno - dai soli bisogni corporei! Essere animali non è la nostra natura almeno quanto non lo è quella di essere divinità, come vorrebbero i maghi. Ridurre la vita umana a questo significa negarne l'essenza ed ogni rinnegamento rimanda alla paura di accettare le cose così come sono; una simile paura, poi, è a sua volta sintomo di una sospettata incapacità di confronto con quella realtà.
L'idealizzazione del "raggiungibile", quindi, non equivale ad aver realizzato l'irraggiungibile. Se questa è la speranza più o meno conscia del perverso, del mago e del satanista, ciò non toglie che essa sia solo una speranza vana ed una falsa verità. Ritorna, dunque, la vecchia terminologia, quella che ci ha accompagnato sino a qui: una dialettica tra verità inconciliabili che sa risolversi solo a patto di rinnegamenti e sdoppiamenti scissionali dai quali nascono tante neorealtà non deliranti o allucinatorie ma ugualmente assurde. E questo è tanto vero nella misura in cui se ne può andare a cogliere i frutti nelle concrete realizzazioni dei cultori di Satana. Ritualità, quelle promosse sotto l'egida di idee che, come si è detto, appaiono lucide ed a volte addirittura assennate, sconvolgenti non rispetto ad una morale convenzionale, a quella che già Freud (1908) criticava chiamandola "la morale sessuale civile" - responsabile della maggior parte delle nevrosi, a suo parere - ma rispetto alla stessa etica della vita. Se, infatti, il disordine, l'aggressività ed anche l'odio (O. F. Kernberg, 1993), la sessualità, il desiderio di trasgressione nonché quello di perversione possono essere considerati aspetti ineliminabili tanto della persona quanto delle più diverse società, ciò non toglie che nessuna persona - nel senso maturo del termine - e nessuna società potrebbe esistere senza aver dapprima creato forme più o meno efficaci ed evolute di conciliazione dei suddetti aspetti. La loro liberazione scissa ed effettuata per il puro gusto del ribaltamento dei limiti che, quindi, non è la società ad imporre ma la vita stessa, non può produrre altro che caos necrofilo.
Un culto della morte(9), dunque, quello messo in scena in Messe nere o riti consimili, non festosa esaltazione dell'identità umana come vorrebbe far credere il satanista che li pratica. E, per di più, un culto non originale(10) se tutto quello che è in grado di creare è una copia esatta ma rovesciata dei riti della cristianità. Si può andare, in tal senso, da un "Padre nostro che 'fosti' nei cieli", attraverso vari simboli del culto cristiano accuratamente disposti al "contrario" (croci, icone), ad una benedizione dei fedeli con tanto di "segno delle corna" che, come si trova scritto: "Insieme onorerebbe il Diavolo e (con le tre dita abbassate in corrispondenza delle due levate) negherebbe la Trinità." (M. Introvigne, 1994, pag.279)
Se, di fronte a tutto ciò, ci si può trovare a sorridere, questo non avviene certamente per un implicito assenso, quanto, piuttosto, in corrispondenza di quello che si diceva sopra circa l'assurdità cui spesso conduce la logica perversa. Essa, allora, è ingannevole proprio perché si mostra sempre capace e disposta a lasciarsi comprendere, sino al momento in cui ci si trova improvvisamente spiazzati ed il senso che si credeva di aver afferrato all'inizio non esiste più essendo stato sostituito da un altro che, generalmente, è esattamente il suo contrario. Questo significa quanto Masciangelo (1987) dice sulla perversione: "Il diniego dell'impossibile e (soprattutto, aggiungiamo noi) la doppia realtà." (pag.109)
Un'ultima assonanza tra perversione e satanismo: il desiderio, quasi il bisogno, ci sembra, di "corrompere", ovvero, la "perversità". Per O. F. Kernberg essa consiste in una "qualità di relazioni oggettuali che riflette l'asservimento conscio o inconscio dell'amore, della dipendenza e/o della sessualità, nel significato usuale, all'aggressività....,una trasformazione intenzionale, conscia o inconscia, di qualcosa di buono in qualcosa di cattivo." (1993/97, pg. 295) Ora, procedendo oltre gli aspetti macabri e necrofili della ritualità satanica, su cui abbiamo già discusso, il senso della volontà di corrompere del satanista contemporaneo ci pare di poterlo cogliere, più che altro, nel suo desiderio - mai palesato nei tempi passati da parte di "attività religiose" similari - di mostrarsi in pubblico, di pretendere per il proprio culto un riconoscimento alla pari di tutti gli altri. Corrompere l'intera società al culto di Satana, mostrandolo come il Dio buono che soddisfa l'uomo qui ed ora, sulla Terra, non rimandando il premio ad un dubbio Paradiso, è l'aspirazione di chi, il satanista, - o il perverso se, al posto del Demonio come pronto soccorritore, ci mettiamo, dapprima, la madre (in tal senso perversiogena) e, poi, tutti coloro che riuscirà a manipolare in questa direzione - rivendica una posizione di potere di cui sente di essere stato derubato. Il problema è, però, che la forma di potere rivendicato non possiede nessuno dei caratteri propositivi di cui ogni potere, qualità del divenire, dovrebbe essere un rappresentante. Produrre qualcosa, se non nel bene, almeno nel male: questa è la consolazione che muove alla corruzione. Ma, e qui sta l'inganno, il male non "produce", il male sa solo "riprodursi" e distruggere ancora. "Nella mitologia, il personaggio che riesce a rendere impotenti coloro che si mostrano verso di lui sensibili, e si dimostra irriducibile verso qualsivoglia proposizione positiva e costruttiva è Lucifero." (Zorzi/Lopez, 1996) Questa è la contraddizione paradossale che corrode dall'interno le fondamenta stesse su cui è stata eretta tutta l'impalcatura del satanismo: Lucifero, ma ancor più esplicitamente Satana o il Diavolo, nelle cui etimologie è racchiuso il senso intero dell'autoinganno satanista - e non cristiano, come viene alluso nella Bibbia Satanica - non possono fungere da referenti per nessun tipo di appagamento, neppure terreno o materiale, perché in essi è solo l'illusione del Tutto, una illusione che lascia presto il posto al Nulla di cui è fulgida copertura.
"Per essere l'uomo deve rivoltarsi, ma la sua rivolta deve rispettare il limite che scopre in se stessa..." (A. Camus, 1951, pg.642).


5) CONCLUSIONI

Il percorso attraverso l'area della perversione coinvolge luoghi psichici e personaggi di una memoria collettiva ormai inveterata: le Sirene suadenti ed ingannevoli dell'Odissea omerica, il Don Giovanni mozartiano con il suo eterno tempo di caccia o il Lucifero dalle promesse false ma meravigliose. Personaggi questi, che pur creati per noi e vissuti da noi più spesso in qualità di spettatori, sembrano risvegliare in tutti il brivido, a metà tra il piacere ed il dispiacere, di un'appartenenza a volte cercata ed a volte, invece, rinnegata.
Un grande merito che abbiamo riscontrato ed evidenziato nelle modalità psicanalitiche di accostamento ai problemi dell'esistenza umana, è quello di non sottovalutare mai la continuità che lega, non solo, le psicopatologie tra di loro, ma, anche, le stesse psicopatologie e la cosiddetta normalità. E' proprio attraverso questo merito che, difatti, è possibile divenire consapevoli e partecipi, forse più che da spettatori asettici, dei drammi nascosti dietro a comportamenti che si preferirebbe giudicare a volte deplorevoli (come nel caso delle aberranze sessuali più stravaganti e disgustose o dei riti satanici sopra descritti) ed altre, più semplicemente, sbagliati.
La possibilità di non interrompere una simile continuità, ma, semmai di rinforzarla ed estenderla, si può ancora rintracciare nel nostro tentativo di porre in risalto la qualità degli ideali perversi. Ideali di unione simbiotica, di onnipotenza ed onniscenza che rimarcano il territorio della magia e di ogni pseudoreligione.
Magia e satanismo, allora, come chiavi per le porte di un Paradiso alternativo, costruito da un uomo che, non essendo mai diventato persona, "mashera" rivolta al mondo delle altre maschere, si può ancora pensare, costruire e comportare tanto da Dio quanto, alternativamente da animale. (Si ricordi al proposito la settima "affermazione satanica).


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Note:

1) Secondo la Cabala - l'antico corpo di dottrine occulte di origine ebraica - l'universo sarebbe stato creato mediante dieci emanazioni di Dio sull'originario Nulla (i sephiroth, le "luci splendide" o, anche le categorie, i numeri). Queste, poi, sarebbero state cllegate insieme, da Dio stesso, mediante ventidue "sentieri" corrispondenti alle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico. "In genere i sephiroth vengono mostrati in un diagramma chiamato Albero della Vita che illustra lo schema occulto dell'universo e la sua fondamentale unità. L'Albero allarga i suoi rami attraverso l'intera creazione e riconcilia nell'uno tutte le diversità in quanto, anche se ha molti rami, è un albero solo, e tutti i fenomeni dell'universo sono le foglie ed i ramoscelli e gli arbusti di una entità intimamente connessa." (R. Cavendish, 1967, pag.116)

2) Così, esse venivano chiamate, nonché ordinate: 1) calcinazione, 2) soluzione, 3) separazione, 4) congiunzione, 5) putrefazione, 6) coagulazione, 7) cibazione, 8) sublimazione, 9) fermentazione, 10) esaltazione, 11) moltiplicazione, 12) proiezione. (R. Cavendish, 1967, pagg. 200-201)

3) "L'alchimista trova il principio dell'unità e dell'ordine in una sostanza chiamata 'Materia Prima, che resta immutata attraverso tutte le diversità. La Materia Prima non è una materia nel senso comune del termine, ma più esattamente, la 'possibilità di una materia'. Può essere descritta solo in termini contraddittori. Non possiede qualità o proprietà, ma nello stesso tempo le possiede tutte ...è ciò che resta quando si strappano via tutte le caratteristiche particolari ad una determinata sostanza." (R. Cavendish, 1967, pag.185)

4) Gaddini ricorda come un concetto molto simile si presenti anche tra i risultati delle ricerche psicoanalitiche di Helen Deutsch. Essa, infatti, descrive: "Identificazioni 'come se', che si trovano, a suo avviso, in modo caratteristico nel periodo preedipico e che si riscontrano clinicamente in certe personalità schizoidi, che...definisce del tipo 'come se'." (E. Gaddini, 1968, pag.242)

5) "...Secondo la completezza o incompletezza della sublimazione, l'analisi caratteriologica di un individuo altamente dotato, ed in particolare di un individuo avente una disposizione artistica, può rivelare un misto, in tutte le proporzioni, di efficienza, perversione e nevrosi." (S. Freud, 1905, pg.162)

6) "L'Io che ha avuto uno sviluppo imperfetto usa le pressioni delle fasi libidiche in maturazione per i suoi propri scopi in modi caratteristici, a causa degli impellenti e persistenti bisogni narcisistici. (...) Le pulsioni sessuali... vengono distorte per favorire l'azione di sostegno dell'immagine corporea...il feticcio o il comportamento ritualizzato hanno la precisa funzione di procurare un rimedio temporaneo che permetta di far sembrare più adeguate la prestazione sessuale o il rapporto. Tutto ciò ha un valore più narcisistico che oggettuale." (P. Greenacre, 1971-79, pagg.322-23/331)

7) "Come mai sei tu caduto dal cielo, o Lucifero, splendente al mattino? Sei precipitato per terra, tu che straziavi le genti? Tu che dicevi in cuor tuo: 'Salirò al cielo, sopra le stelle di Dio innalzerò il mio trono, salirò sul monte del Testamento al lato di settentrione; sormonterò l'altezza delle nuvole, sarò simile all'Altissimo.' Tu, però, sei stato precipitato nell'Inferno, nel profondo della fossa." (Isaia, 14, 12-15) "Il passaggio di Isaia potrebbe riferirsi alla leggenda della splendente stella del mattino che camminava nell'Eden...e che nel suo folle orgoglio cercò di rivaleggiare con Dio. ...In greco era chiamata 'phosphoros' ed in latino 'lucifer', parole che significano entrambe 'portatore di luce'." (R. Cavendish, 1967, pag.365)

8) La parola ha subito, nel tempo, una certa evoluzione nel suo significato. Si presenta nei libri più antichi della Bibbia con il senso semplice di "avversario" per andare poi ad individuare uno "specifico avversario": un angelo della corte di Jehovah che esercita la precisa funzione di accusare davanti a Dio gli uomini in attesa di giudizio. Il termine assume un significato ancora più ristretto, quando diventa chiaro che le accuse mosse da tale angelo sono eccessive sino al limite della calunnia. (ibi.)

9) Sembra che a volte la 'morte', all'interno dei suddetti rituali, si traduca in concreti sacrifici o di animali o, addirittura, di esseri umani, soprattutto bambini. (F. Mongelli, 1998)

10) Emerge, così, un altro elemento di condivisione tra perverso e satanista: l'identità di entrambi sembra forgiarsi sull'esile supporto dell'imitazione.


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