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PSYCHOMEDIA
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Magia, sciamani e guaritori



Tra sciamanismo e psicoanalisi

di Elena Nonveiller



“Il rituale, o magia cerimoniale, mira a controllare il mondo dello
spirito con vari mezzi, da brevi incantesimi e fatture fino a lunghe ed
assai elaborate cerimonie che comprendono anche preghiere ed
invocazioni. La distanza che intercorre tra le teorie della psicoanalisi da una parte
e l'invocazione e la preghiera dall'altra è molto breve" (W.R. Bion, Cogitations, Roma, 1996, p. 299)

Lo sciamano, in quanto specialista del sacro ed erede di antichi saperi, racchiude in sé prerogative che hanno a che fare sia con la “magia” che con la religione. Lo sciamanismo potrebbe essere considerato una religione, se per religione intendiamo una particolare rappresentazione del mondo che non può essere separata dalle credenze e dagli atti rituali inseriti in un determinato orizzonte mitico. I miti e i riti sciamanici sono appunto espressione di precise credenze e costituiscono perciò un sistema coerente. Lo sciamanismo, in quanto portatore di una visione del mondo totalizzante, capace di abbracciare tutte le sfere della vita, è nella sua essenza una religione; come ogni religione, anche lo sciamanismo si basa sulla credenza che la vita umana dipenda da forze sovrannaturali (divinità, spiriti, dèmoni e quant’altri abitino le diverse zone cosmiche). I rituali sciamanici, volti a soddisfare le varie esigenze della comunità, non costituiscono allora un culto religioso?
V.G. Bogoraz ha visto nello sciamanismo una forma primordiale di cultura, che unisce in sé, in forma globale ed indistinta, la scienza primitiva, la medicina, la stregoneria, la musica e la poesia, come saperi connessi al culto religioso.(1)
S.A.Tokarev ha proposto di considerare lo sciamanismo come una delle prime forme di sviluppo del pensiero religioso.(2)
Secondo altri studiosi, come la J.V.Revuenkova, lo sciamanismo non è da considerarsi una religione in senso pieno, dal momento che esso, includendo anche altri fenomeni ed altre sfere culturali, non costituisce un sistema coerente e rigido, ma privo di confini determinati, in cui la visione del mondo penetra in tutte le sfere della vita spirituale della società.(3) Esso appare perciò come il risultato della combinazione di diversi elementi (magia, medicina, arte), ai quali lo sciamanismo stesso è certamente connesso, pur non coincidendo specificamente con nessuno di questi; analogamente possiamo dire che lo sciamanismo sia connesso alla religione, sebbene non si identifichi del tutto con essa. La divisione e la specializzazione dei saperi, così come l’alternativa tipicamente occidentale che contrappone la magia alla religione, sono del tutto estranee alla civiltà sciamanica, ove i vari ambiti del sapere che noi siamo soliti separare, risultano indistintamente uniti. Nel tentativo di classificare i fenomeni e di fissarne una precisa definizione si rischia perciò di astrarli ed isolarli dal contesto socio-culturale e dall’orizzonte mitico in cui sono inseriti.
Lo sciamanismo rappresenta un insieme di fenomeni magico-religiosi, caratterizzato da esperienze, mitologie e tradizioni che, pur potendo essere riportate ad un uno schema tipologico generale, presentano tuttavia notevoli varianti non solo da un’area geografica all’altra, ma anche, all’interno delle singole aree, da stirpe a stirpe. Lo sciamanismo, a prescindere dalle differenze, costituisce un complesso di credenze unitario, un sistema ideologico portatore di una particolare concezione del mondo, che ruota attorno alla figura carismatica dello sciamano.
Gli sciamani sono degli individui eletti che hanno accesso a zone del sacro normalmente interdette agli altri membri della comunità. Essi rivestono perciò un ruolo centrale all’interno del gruppo cui appartengono, ove tutte le maggiori attività che vi si svolgono sono poste sotto il loro diretto controllo. Lo sciamano è l’unico in grado di garantire la sopravvivenza del gruppo, cercando di conservare o ristabilire gli equilibri eventualmente spezzati da eventi critici, quali calamità naturali, malattie e morti violente. Mediante la sua importante funzione di mediatore tra il mondo degli spiriti e il mondo degli uomini egli può mettere in comunicazione le varie zone cosmiche -costituite da cielo, terra ed inferi-(4) al fine di ristabilire i confini tra queste ed eliminare il caos, facendo riemergere il cosmo. La creazione di un novus ordo può essere raggiunta solo nel momento in cui le forze incontrollate dell’universo vengono padroneggiate dallo sciamano. Ogni atto demiurgico è frutto del riscatto dell’uomo arcaico di fronte alla drammatica minaccia di perdere il proprio essere, la propria presenza al mondo, appunto in quanto esserci (Dasein). Il dramma magico di cui parla Ernesto De Martino consiste proprio nel continuo ed angosciante tentativo dell’uomo di affermare la “volontà di esserci come presenza di fronte al rischio di non esserci”.(5) Lo studioso parte dal presupposto concettuale che in età arcaica la presenza dell'uomo e del mondo non rappresentino entità date e garantite come nella nostra civiltà occidentale, ma costantemente fluttuanti tra il rischio di perdersi e il tentativo di riprendersi; in questa oscillazione consiste essenzialmente il dramma magico.(6) Da questo rischio di smarrimento lo sciamano salva se stesso e l’intera comunità, controllando la propria labilità psichica mediante particolari riti. La magia costituisce perciò una vera e propria difesa della coscienza precaria dell'uomo arcaico, per il quale il mondo non è mai dato e l'essere non è garantito, dal momento che egli, non conoscendo l'unità della sua persona, si trova costantemente di fronte alla drammatica minaccia di perdere la presenza. La creazione di forme culturali definite, quale risultato della risoluzione della crisi e dell’uscita dal caos, è perciò frutto del riscatto dell’uomo dal rischio della perdita totale di se stesso e del mondo. Ogni pratica sciamanica è perciò volta a proteggere la comunità da questo rischio, garantendo l’ordine cosmico nella ripetizione rituale della fondazione del mondo e contrastando il ridischiudersi della crisi esistenziale o “dramma magico”, dal quale la rappresentazione di sé e del mondo viene continuamente compromessa.
La comunità si rivolge allo sciamano ogniqualvolta si senta minacciata da pericoli incombenti ed incontrollabili poiché egli racchiude nella sua persona moltissime funzioni: è ad un tempo medico, indovino, psicopompo, cantore, musico e sacerdote (sebbene egli sovrintenda ai sacrifici solamente in casi eccezionali).(7) Lo sciamano durante la seduta estatica (kamlanie) (8) è in grado di invocare gli spiriti con il potere del suo canto, prevedere il futuro, separare l’anima dal corpo, guarire i membri della comunità, nonché accompagnare le anime dei defunti nel loro viaggio verso l’aldilà.
Queste straordinarie facoltà gli derivano dal contatto con il mondo sovrannaturale: sono gli spiriti adiutori che garantiscono allo sciamano l’ispirazione di cui questi ha bisogno per poter agire sugli eventi. L’intervento degli spiriti svolge un ruolo fondamentale nella vita dello sciamano, dal momento della sua elezione fino all’ora della morte, in cui essi appaiono per annunciarla. Nel corso della seduta sciamanica, l’arrivo degli spiriti segna l’inizio della trance, durante la quale essi assistono lo sciamano nel suo viaggio verso altri mondi, aiutandolo nella lotta contro gli spiriti maligni ed infondendo in lui saperi che oltrepassano ogni limite spazio-temporale.(9)
L'elezione dello sciamano avviene per “chiamata” oppure per trasmissione ereditaria. Il dono sciamanico viene ritenuto innato dalla maggior parte delle popolazioni altaiche (Jakuti, Tungusi e Buriati), presso le quali tale “chiamata” si manifesta molto spesso con una spiccata labilità nervosa, con tendenza all’allucinazione e con frequenti stati onirici e catalettici.(10) Accanto al possesso spontaneo del dono sciamanico vi è anche l’acquisizione per ereditarietà, in cui il potere magico viene trasmesso di padre in figlio.(11). Esistono poi forme miste dove i due tipi di elezione coesistono come nel caso dei Buriati-Alani, presso i quali l’eredità avviene anche per linea materna. E’ importante sottolineare come il dono sciamanico rappresenti solo una predisposizione al rapporto con il mondo degli spiriti, ma non sia sufficiente a rendere l’eletto capace di sciamanizzare: per divenire sciamano è necessario altresì sviluppare metodicamente questa attitudine innata o acquisita ereditariamente, trasformandola in capacità di dominio volontario. Il tirocinio Ôiniziatico’ consiste proprio nel rendere stabile la relazione con il sovrannaturale; durante questo periodo di isolamento il futuro sciamano apprende i segreti del mestiere attraverso insegnamenti teorici e pratici(12) e impara a padroneggiare quelle tecniche che gli consentiranno di rendere volontari e non più occasionali i suoi contatti con gli spiriti. L’iniziazione sciamanica è più o meno complessa a seconda dei vari gruppi etnici ed implica, come ogni rito di passaggio, un processo simbolico di morte e rinascita: il corpo profano dello sciamano viene smembrato dagli spiriti per rinascere come corpo sacro.(13) Il percorso iniziatico si conclude con la consacrazione del neo-sciamano, mediante un vero e proprio rito d’investitura, durante il quale egli ottiene in consegna tutti gli attributi rituali (eccetto il tamburo) che, conferendogli ulteriore forza magica, gli consentiranno di svolgere efficacemente le sue funzioni.(14)
In Siberia e in Asia settentrionale la funzione principale svolta dallo sciamano è quella di guaritore.(15) La malattia sarebbe causata essenzialmente da due fattori: da uno smarrimento o rapimento dell’anima da parte degli spiriti, oppure dall’invasione di questi nel corpo di un individuo che ne viene così posseduto. Dall’individuazione della causa e dell’agente patogeno dipende l’azione terapeutica dello sciamano: nel primo caso la cura consisterà nel ritrovare l’anima e riportala nel corpo del paziente compiendo una discesa agli Inferi (16), nel secondo caso si tratterà invece di espellere gli spiriti maligni mediante complessi rituali Ð quali lavacri, suzioni e fumigazioni- che implicano una vera e propria azione esorcistica. Lo sciamano per liberare il malato dalla possessione trasferisce la potenza maligna in un oggetto oppure la incorpora in sé stesso. Al fine di catturare lo spirito maligno egli lo imprigiona in immagini di legno o in cuscini (chiamati fanja dai Goldi), distruggendo poi l’oggetto; altrimenti, se lo sciamano assume su di sé il male, si trova a dover affrontare un’estenuante lotta contro le potenze maligne, in un combattimento simulato, dove mima il dramma, portando la crisi al parossismo, al limite tra la vita e la morte, fino alla risoluzione finale. Lo sciamano “è colui che ha acquistato il potere di regolare la labilità altrui” (17) e che, come uno psicoanalista, mediante i meccanismi dell’abreazione e del transfert assume su di sé i conflitti del malato, provocandone la libera manifestazione. Lo sciamano infatti incorporando e mimando il dramma del paziente ne diviene il reale protagonista. La cura sciamanica, vista da Lévi-Strauss quale esatto equivalente di quella psicanalitica, mira a riportare alla coscienza conflitti e resistenze rimasti fino ad allora inconsci, facendoli rivivere nel paziente, mediante una precisa manipolazione psicologica.(18) I gesti e le formule pronunciate dallo sciamano -che Mauss chiama rispettivamente riti manuali e riti orali-(19) garantiscono l’efficacia simbolica dell’azione terapeutica. Quest’efficacia è storicamente e culturalmente condizionata, in quanto si basa sulla condivisione da parte del guaritore, del paziente e del pubblico di una medesima tradizione collettiva e di una comune rappresentazione del mondo.
La terapia sciamanica si differenzia da quelle analoghe operate da maghi, stregoni e medicine-men, per il fatto che lo sciamano opera in uno stato di trance. Egli può guarire il malato solo compiendo un viaggio estatico poiché le cause degli eventi non sono da individuare sulla terra ma nel mondo degli spiriti. Lo sciamano si distingue perciò dagli altri specialisti del sacro per le sue eccezionali doti estatiche.
L’estasi e la trance sciamanica, che implicano la capacità da parte dello sciamano di distaccare l’anima dal corpo, sono intrinsecamente connesse al motivo dello sdoppiamento. L’anima o le anime dello sciamano, (20) così come gli spiriti adiutori, rappresentano dei doppi, delle proiezioni esterne di sé che costituiscono una sorta di alter-ego dello sciamano stesso.
La maschera rituale sciamanica, il cui uso si è conservato soprattutto tra gli eschimesi, simboleggia chiaramente tale doppiezza, essendo essa stessa per eccellenza simbolo del doppio. Lo sciamano come un mimht›V rappresenta il suo alter ego, raccontando e mimando agli astanti ciò che vede e sente nei suoi viaggi in altri mondi, trasformando la seduta sciamanica in una sorta di psicodramma, dove viene rappresentato il dramma magico dell’umanità, in cui lo scatenamento della crisi porta alla liberazione catartica e alla riaffermazione dei valori comunitari.
La trance si configura come uno stato dissociativo che rispecchia la disgregazione del mondo, il caos ove lo sciamano è chiamato ad intevenire al fine di ristabilire l’ordine cosmico e garantire così la sopravvivenza della comunità. L’azione simbolica sciamanica si gioca tutta allora in quell’intervallo entro il quale il rischio della definitiva distruzione e quella della nuova creazione appaiono di poco separabili. (21)
La comunità che assiste lo sciamano, conferendogli consensus collettivo, svolge la principale funzione di contenere la potenza del sovrannaturale, limitando il rischio del suo pericoloso viaggio nelle lontane regioni dell’incodificabile alla ricerca del codificabile.
Il male assume i caratteri di un evento sociale, dove la malattia non viene individualizzata ed autonomizzata, come accade nella nostra civiltà occidentale, ma si ripercuote sull’intera comunità, mettendone in grave pericolo la vita. Il delirio e le sofferenze del malato non vengono vissuti nella più completa solitudine e nel doloroso isolamento di quest’ultimo dalla società, ma trovano sfogo ed espressione proprio entro la comunità stessa, ove vengono inseriti e contestualizzati. Lo sciamano ed il gruppo, mediante la profonda condivisione di rappresentazioni mitiche e linguaggi simbolici, ricontestualizzano il delirio del malato, ricodificandolo e riportandolo entro nuovi orizzonti di senso.
La drammatizzazione consente così di condividere ed in parte trasferire nel gruppo i dolori del malato, supportandole ed allo stesso tempo assorbendole, facendole proprie. Lo spettacolo che lo sciamano offre agli astanti, se da un lato costituisce sempre una replica ed una ripetizione della crisi iniziatica vissuta dallo sciamano in illo tempore al momento della sua “chiamata”, dall’altro però non si tratta di una semplice riproduzione di tali eventi, i quali vengono invece rivissuti in tutta la loro drammaticità. Allo stesso modo il malato nel corso della seduta ripercorre e rivive intensamente la situazione iniziale che sta all’origine del suo squilibrio. Oltre al malato e allo sciamano, che in tal senso è definito da Lévi-Strauss un “abreatore professionale”(22), anche gli astanti sono tenuti ad abreagire, partecipando a quest’esperienza totale, dove nelle effusioni simboliche si compenetrano e si integano le sofferenze dei singoli e della collettività, mediante il quale il malato verrà guarito e l’universo ricostruito.

“In ogni prospettiva non scientifica [É] pensiero patologico e pensiero normale non si contrappongono ma si completano. Il pensiero normale, di fronte ad un universo che è avido di comprendere, ma di cui non riesce a dominare i meccanismi, richiede sempre alle cose il loro senso, ed esse glielo rifiutano; invece il pensiero cosiddetto patologico abbonda di interpretazioni e di risonanze affettive, di cui è sempre pronto a sovraccaricare una realtà altrimenti deficitaria. Per l’uno esiste il non verificabile sperimentalmente, vale a dire l’esigibile; per l’altro esistono esperienze senza oggetto, vale adire il disponibile. Adottando il linguaggio dei linguisti, diremo che il pensiero normale soffre sempre di un deficit di significato, mentre il pensiero cosiddetto patologico (almeno in talune sue manifestazioni) dispone di una pletora di significante. Attraverso la collaborazione collettiva alla cura sciamanistica, tra queste due situazioni complementari ha luogo un arbitrato. Nel problema della malattia, che il pensiero normale non capisce, lo psicopatico è invitato dal gruppo a investire una ricchezza affettivaÉ” (23)
Lo sciamano, supportato dalla comunità, fornisce al malato il linguaggio attraverso il quale possa esprimersi l’inesprimibile. Sia nella terapia sciamanica che nella psicoanalisi vengono resi coscienti conflitti e resistenze rimaste sino ad allora inconscie; in entrambi i casi vengono suscitate emozioni ed esperienze al fine di riorganizzarle, sperimentando le sofferenze del malato, incarnandole; ambedue mirano a ricostruire un mito, facendolo rivivere nel malato, ma, mentre nella psicoterapia si tratta di un mito individuale che il malato ricostruisce a partire da elementi attinti dal suo vissuto, nello sciamanismo si tratta invece di un mito collettivo che il malato riceve dall’esterno e solo successivamente interiorizza. Lo sciamano può essere inteso come un “malato” che è riuscito a guarirsi, che ha imparato cioè a controllare i propri stati di dissociazione, senza però eliminarli. Le crisi iniziatiche del futuro sciamano si manifestano nelle più svariate forme: fuga, visioni, allucinazioni, amnesie, catalessi, insensibilità, sonnambulismo, deliri, attacchi di panico. Fenomeni che furono interpretati dal punto di vista patologico quali: isteria artica (Shirokoroff), personalità multipla, schizofrenia, crisi nervose di tipo psicotico. Tali eventi non sono vissuti dallo sciamano come disturbo psichico ma, al contrario, come risorsa ed autentica esperienza del numinoso che afferra la psiche e trasforma il soggetto.
Se il paragone con la psiconalisi ci ha consentito di illuminare taluni aspetti della terapia sciamanica, viceversa non è da escludere che la seconda non possa contribuire alla ricerca della prima. Come scrive Lévi-Strauss: “La psicoanalisi può desumere una conferma della sua validità, oltre che la speranza di approfondire le sue basi tecniche e capire meglio il meccanismo della sua efficacia, attraverso un confronto dei suoi metodi e dei suoi fini con quelli dei suoi grandi predecessori: gli sciamani e gli stregoni”. (24) Tale confronto può essere ancora suscettibile di ulteriori approfondimenti, capaci di arricchire le più antiche ascendenze della psicoanalisi, che forse non sono solo riconducibili all’ebraismo ed al cristianesimo, ma altresì ad una matrice sapienziale che precede il cammino intrapreso dalla scienza nel mondo occidentale.

Bibliografia

- W.R. Bion, Cogitations, London, 1992 (trad. it. Cogitations, Roma, 1996).
- V.G. Bogoraz, Kpsichologii _amanstva u narodov Severo-Vosto_noj Azii, in “Etnografi_eskoje Obozrenije”, 1910, pp. 2-15.
- E. De Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Torino, 1973.
- M. Eliade, Le chamanisme et les techniques archaïques de l’extase, Paris, 1951 (trad. it. Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi, Roma-Milano, 1951).
- U. Galimberti, La terra senza il male: Jung dall’inconscio al simbolo, Milano, 1994.
- C. Lévi-Strauss, Anthropologie structurale, Paris, 1958 (trad.it. Antropologia strutturale, Milano, 1980).
- R. Mastromattei e A. Rigopoulos (ed. by), Shamanic Cosmos - From India to the North Pole Star - , New Delhi, 1999.
- M.Mauss, Sociologie et anthropologie, Paris, 1950 (trad.it. Teoria generale della magia e altri saggi, Torino, 1965).
- W. Radlov, Aus Siberien. Lose Blätter aus meinem Tagebuche, vol. II, Leipzig, 1893_, pp. 112-4.
- J.V. Revuenkova, Narody Malajzii i Zapadnoj Indonezii, Moscow, 1980.
- S.A. Tokarev, Rannije formy religii i ich razvitije, Moscow, 1964.

Elena Nonveiller
Storica delle Religioni

Note:
(1) V.G. Bogoraz, Kpsichologii _amanstva u narodov Severo-Vosto_noj Azii, in “Etnografi_eskoje Obozrenije”, 1910, pp. 5-6.
(2) Cfr. S.A. Tokarev, Rannije formy religii i ich razvitije, Moscow, 1964, pp. 288 sgg.
(3) Si veda J.V. Revuenkova, Narody Malajzii i Zapadnoj Indonezii, Moscow, 1980, pp. 241-43.
(4) Questa tripartizione dell’universo non costituisce una concezione unicamente sciamanica, ma caratterizza anche le antiche cosmologie vicino-orientali, egiziane e greche. Cfr. V.N. Basilov, Cosmos as everyday reality in shamanism: an attempt to formulate a more precise definition of shamanism, in R. Mastromattei e A. Rigopoulos (a cura di), Shamanic Cosmos - From India to the North Pole Star-, New Delhi, 1999, p. 30.
(5) Cfr. E. De Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Torino, 1973, p. 95.
(6) E. De Martino (in Ibid., p. 128) scrive: “Il dramma magico consiste proprio in questo: nell’entrare in rapporto col Ômaligno’[...] e nell’acquistare il potere di combatterlo e scacciarlo, il che significa acquistare il potere di padroneggiare la labilità propria e altrui”
(7) Presso i Tartari dell’Altai lo sciamano è anche sacrificatore, ma la sua funzione non è tanto quella di uccidere l’animale designato al sacrificio (il cavallo), quanto piuttosto quello di compiere un viaggio al cielo per portarvi l’anima del cavallo sacrificato. Cfr. W. Radlov, Aus Siberien. Lose Blätter aus meinem Tagebuche, vol. II, Leipzig, 1893_, pp. 112-4.
(8) Si tratta di un neologismo russo costruito sul termine qam (sciamano) proprio delle popolazioni turche della Siberia meridionale.
(9) Lo rendono onnisciente, in grado cioè di conoscere non solo gli eventi del passato, del presente e del futuro, ma anche le vie dell’oltretomba come i percorsi celesti.
(10) Dalla fine dell’Ottocento in poi questi fenomeni furono sempre interpretati dalla maggior parte degli studiosi (tra i quali M.M. Mikhailovskii, V.B. Bogoraz e D.K. Zelenin) come sintomi psicopatologici di tipo isterico-epilettoide. Veniva cioè utilizzata una terminologia psichiatrica per caratterizzare un fenomeno culturale e sociale che era strettamente connesso ad un dato orizzonte mitico e rituale.
(11) Come presso alcune popolazioni della Siberia meridionale quali i Kazaki, i Kirghisi, i Tungusi della Manciuria , gli Ostiachi, i Voguli e i Samoiedi.
(12) L’aspetto teorico consiste nell’acquisizione di tutti quei saperi (mitologici, cosmologici, taumaturgici), trasmessi oralmente di sciamano in sciamano, che costituiscono il patrimonio culturale tradizionale, l’aspetto pratico implica invece un allenamento costante sia nei riti manuali che nelle tecniche atte a separare l’anima dal corpo.
(13) Lo smembramento, pur non avvenendo realmente ma solo a livello di esperienza onirica, procura egualmente grandi sofferenze al futuro sciamano, il quale sperimenta il dolore e la morte.
(14) Presso i Buriati, dove l’iniziazione è assai complessa, dopo numerose prove e lavacri cui è sottoposto l’iniziato, lo sciamano anziano, che presiede al rituale, procede alla consegna degli attributi rituali: il costume (che comprende mantello, cintura, copricapo e calzari), il bastone o bacchetta, la maschera ed uno specchio; il neo-sciamano deve poi pronunciare una sorta di giuramento in cui promette di osservare determinati principi professionali. Seguono i festeggiamenti con banchetti, musica e danze. Cfr. R. Hamayon, Dall’iniziazione solitaria all’investitura ritualizzata: il caso dello sciamano dei Buriati, in J.Ries (a cura di), I riti d’iniziazione, Milano, 1989, pp. 105-135.
(15) Cfr. M. Eliade, Le chamanisme et les techniques archaïques de l’extase, Paris, 1951 (trad. it. Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi, Roma-Milano, 1951, p. 171).
(16) In questo caso lo sciamano dovrà compiere un viaggio agli inferi per recuperare l’anima del paziente, viaggio di grande pericolo che ripete il viaggio iniziatico che lo sciamano aveva compiuto la prima volta per acquisire i propri poteri.
(17) E. De Martino, op.cit., p. 196.
(18) Cfr. C. Lévi-Strauss, Anthropologie structurale, Paris, 1958 (trad.it. Antropologia strutturale, Milano, 1980, pp. 210-229).
(19) M.Mauss, Sociologie et anthropologie, Paris, 1950 (trad.it. Teoria generale della magia e altri saggi, Torino, 1965, pp. 48-58).
(20) Lo sciamano siberiano può possedere, secondo le credenze, da una a sette anime.
(21) Cfr. U. Galimberti, La terra senza il male: Jung dall’inconscio al simbolo, Milano, 1994, p.58.
(22) Cfr. C. Lévi-Strauss, op. cit., p. 204.
(23) Ivi, pp. 204-5
(24) Ivi, p. 229.


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