PM --> HOME PAGE ITALIANA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> ISTRUZIONE

PSYCHOMEDIA
RELAZIONE GRUPPO<=>INDIVIDUO
Scuola e Istruzione



Strategie educative e affetti in classe

Donatella Ghisu *



Rispettivamente al fatto che ogni contesto educativo è intriso di emotività, affettività e relazioni, non si può prescindere da questo per far sì che il percorso di apprendimento si attui in modo che sia il più possibile privo di ansia e sofferenza. Bettelheim (1985), in accordo con Winnicott (1997), sosteneva che il lavoro di sostegno all’Io fortemente deprivato e deficitario (per via delle carenti cure avute nel corso della primissima infanzia) è prioritario ed essenziale. Il processo di “integrazione-rieducazione” richiede un impegno educativo che spesso assume il ruolo di genitore sostitutivo, in particolare della “buona madre”. Kohut (1982), sottolinea, inoltre, la centralità del momento dell’ “hic et nunc” rispetto alla qualità della comunicazione e relazione, tanto da affermare che “la graduale acquisizione di un rapporto empatico con gli oggetti-sé costituisce l’essenza della guarigione (…)”. Questo appare evidenziare la peculiarità del fatto che tutto viene messo in discussione proprio nell’ambito della relazione, del rapporto con gli oggetti-sé.

E sempre nella prospettiva di Kohut, grande importanza assumono l’amore e la fiducia nell’altro che si sviluppano in stretta connessione con un sano sviluppo dell’autostima e dell’amore di sé. Da qui l’evidente dipendenza dell’individuo rispetto agli oggetti-sé, al fine di ottenere gratificazioni affettive; dipendenza presente per l’intero arco della vita di ogni individuo.

“L’idea di una mente individuale isolata è una finzione teorica o un mito che deifica l’esperienza soggettiva di differenziazione individuale (…). Quest’ultima richiede un nesso di relazionalità intersoggettiva che incoraggi e sostenga il processo di delineazione del Sé lungo tutto il ciclo di vita.” (Mitchell, 2000). Per l’autore, infatti, il relazionale comprende l’individualità, la soggettività e l’intersoggettività e ciò che rende unica e significativa l’esperienza personale è proprio il relazionarsi umano che realizza (appunto) l’individualità.

Ma, vivere le relazioni e comunicare con efficacia con gli altri in modo costruttivo, è un’arte complessa, che si impara a poco a poco e che richiede consapevolezza e sensibilità e soprattutto metodi educativi che non si traducano solo in formazione professionale ma anche in maturazione e crescita personale. Questi due aspetti sono difficilmente separabili, specie nel campo della comunicazione e delle relazioni interpersonali: ecco perché bisogna dedicare molto spazio al tema della conoscenza di sé, o meglio, della comunicazione con se stessi. Solo comprendendo le nostre reazioni emotive possiamo davvero comprendere le reazioni degli altri; solo ascoltando i nostri bisogni, lamenti e conflitti interiori sapremo riconoscere quelli altrui; solo prendendo coscienza delle nostre maschere potremo aiutare gli altri a liberarsi dalle proprie, così da instaurare con loro una comunicazione veramente spontanea, sincera e costruttiva (Di Pietro, 2003).

La scuola costituisce un osservatorio privilegiato della condizione del bambino e del ragazzo: è l’unica istituzione da cui passano tutti i bambini e nella quale vi rimangono per parecchie ore al giorno e per diversi anni. Questa, insieme agli insegnanti, può conoscere i minori nella loro quotidianità cioè nei loro comportamenti più differenziati, più immediati ed autentici. È sicuramente il luogo dove bambini e ragazzi sviluppano una rete di comunicazione e di rapporto con le persone, con le idee, con le regole. In questa rete di relazioni, con gli adulti, con i coetanei e con l’istituzione, possono nettamente emergere negli allievi le diversità individuali, i conflitti, le difficoltà, le sofferenze che influiscono anche sulla qualità dell’apprendimento. Per tale motivo è basilare osservare in modo diacronico le caratteristiche del minore registrandone le evoluzioni nel tempo, in positivo e in negativo. L’apprendimento è una funzione affettivo-cognitiva e quindi la sua qualità dipende enormemente dai rapporti umani che instauriamo.

Non è facile mediare gli aspetti relazionali con quelli cognitivi ed è pur vero che la consapevolezza, dei docenti, dell’interdipendenza dei due aspetti, permette l’attuazione di apprendimenti significativi. Anche nei programmi ministeriali viene fatto continuo riferimento all’educazione sociale dell’alunno, alla sua vita di relazione che, alla luce delle esperienze sempre più recenti, appare complessa e densa di vissuti eterogenei. Esiste una reale difficoltà nel mediare tra le richieste del “programma scolastico” e le richieste “indirette” degli scolari ma credo che, se si ha piena consapevolezza del fatto che gli aspetti socio-affettivi sono elementi fondamentali e condizionanti gli apprendimenti, si possa riuscire a portare avanti la propria programmazione utilizzando strategie e strumenti idonei alla relazione, alla motivazione ed all’apprendimento dei propri alunni i quali capiranno la connessione continua che esiste tra il sentire ed il pensare e quindi l’apprendere.

Ove s’instaura un clima di reale comunicazione (reale ascolto e discorso come dialogo e non monologo) interviene anche una partecipazione emotiva tra i dialoganti, in quanto interesse al mondo dell’altro, al suo linguaggio, in quanto attenzione alle sue provocazioni, in quanto adeguamento alle sue abilità recettive. Ciò in un contesto docente-discente mi pare un elemento fondamentale a favorire la motivazione all’apprendimento, dove questo sia inteso come reale domandare per sapere e valutare e non come retorica didattica. Nei fattori alla motivazione sono inoltre da inserire la sollecitazione alla curiosità ed il senso di autostima, in quanto colui che si sente capace o in possibilità di sentirsi tale è anche più disponibile a mettersi alla prova e a ristrutturare il proprio bagaglio cognitivo.

Le relazioni con gli insegnanti, quindi, influenzando la capacità del bambino di instaurare rapporti coi pari possono, nel contempo, modificare le traiettorie orientate al successo o all’insuccesso (Birch, Ladd, 1999; Pianta, 2001). Gli insegnanti stessi hanno un ruolo fondamentale nel regolare il livello di attività, della comunicazione, del contatto coi compagni, nella formazione delle amicizie e nell’immagine di sé.

La comunicazione è, dunque, un elemento fondamentale del lavoro dell’insegnante, indispensabile per promuovere il passaggio di conoscenze e competenze ma anche per creare un clima cooperativo che renda l'apprendimento più piacevole ed efficace. È parte fondamentale del processo di socializzazione ed un fattore immancabile nella costruzione delle relazioni interpersonali. Nella comunità scolastica, la comunicazione può essere definita come un processo di condivisione delle informazioni attraverso l’utilizzazione di un insieme di regole comunemente accettate. Non è solo un “fare pratica insieme”, ma soprattutto un’interazione creativa per il raggiungimento di un fine comune: la crescita dell’allievo e dell’insegnante. Quest’ultimo vive ed opera nella comunicazione e parte del suo lavoro è proprio quello di essere il centro di ogni azione comunicativa. L’insegnamento inteso come attività professionale, sottintende la conoscenza del modo in cui l’apprendimento dell’allievo viene determinato dalla forma d’intervento scelta dal maestro. L’insegnamento è un  comportamento operativo, che si esplica in interazione con l’ambiente; come attività finalizzata alla modificazione di alcune componenti ambientali (i comportamenti degli allievi) di cui subisce a sua volta l’influenza modificatrice.

Esso può dirsi efficace soltanto se produce apprendimento: vale a dire, se consegue negli allievi la modificazione stabilita dagli obiettivi. Poiché, però, per ogni insegnante variano i soggetti che devono apprendere, il livello e il tipo di obiettivi, nonché le procedure per raggiungerli, l’insegnamento è funzione dell’interazione tra  numerose variabili. Non esiste quindi un unico comportamento di insegnamento efficace. Sua caratteristica è infatti la mutabilità in rapporto alla variazione dei diversi fattori implicati nella sua attuazione.  In altri termini, la competenza didattica è essenzialmente denotata dalla capacità di cambiare le strategie d’azione in relazione agli elementi situazionali. È quindi sinonimo di flessibilità, di capacità di rapida modificazione; proprio per questo implica il possesso di un consistente repertorio di comportamenti operativi.

L’insegnamento, come qualunque altra attività umana, si modifica tramite l’apprendimento, processo nel quale ha maggior peso, per il verificarsi della modificazione, l’esperienza degli effetti che si conseguono con la messa in atto del comportamento. Allora, il comportamento (insegnante) non si apprende né si migliora senza la possibilità di  un controllo degli effetti  che esso produce nell’interazione ambientale. Tale controllo, però non può essere delegato esclusivamente all’informazione derivante dalle verifiche delle acquisizioni degli allievi: quando  l’iter  di apprendimento è concluso, i giochi sono fatti e, nel caso di esiti negativi, le modificazioni dell’insegnamento divengono tardive e prive di efficacia. La vera regolazione, infatti, (in senso cibernetico) implica cambiamenti tempestivi ed è indispensabile, quindi, esperire preventivamente le possibili conseguenze di un dato intervento o, all’inverso, quali comportamenti si possono usare alternativamente per conseguire uno stesso obiettivo, per essere pronti, all’occasione, alle variazioni comportamentali imposte dal rapporto con gli allievi.

In una classe pensata come comunità nella quale il processo di insegnamento-apprendimento è il risultato dell’interazione sociale di più componenti, sempre più sovente, e non solo nella ricerca didattica, ma anche in alcune proposte di riforma curricolare, si sente parlare dell’importanza della comunicazione in classe. Ciò non vuol dire fare delle classi solo un luogo di socializzazione nel quale si perde di vista il problema dell’acquisizione di un solido bagaglio di conoscenze: vuole però dire prestare attenzione a tutto un insieme di obiettivi educativi e di aspetti (come quelli legati alla sfera affettiva ed emozionale) che talvolta sono trascurati nella prassi didattica, ma che, invece, condizionano inevitabilmente e fortemente ogni processo di apprendimento. Ma le interazioni nelle classi sono relative a diversi aspetti: la comunicazione tra compagni, a coppie o in lavori di gruppo o nelle discussioni collettive, la comunicazione tra studenti e insegnante e quella individuale e quella fra piccoli gruppi di studenti e l’insegnante, e quella nelle discussioni dell’insegnante con l’intera classe.

L’insegnante ha il compito di creare in classe un’atmosfera propizia all’interazione fra gli studenti e deve farsi carico di progettare e costruire ambienti di apprendimento adeguati ai bisogni cognitivi degli alunni, che siano motivanti e che tengano conto delle loro conoscenze pregresse.

Chi lavora coi bambini si rende certamente conto (per esempio) di quanto può influire sulle relazioni e sull’apprendimento, il concetto d’autostima che costoro hanno. Questa infatti, è centrale per il buon adattamento socio-emozionale anche in vista del fatto che, un’autostima sana in età infantile, getta le basi della percezione che si avrà di sé nel corso della vita. La competenza socio-emozionale che deriva dall’autovalutazione positiva può essere una forza che aiuterà a evitare al bambino gravi problemi futuri (come si evince anche dall’American Psychiatric Association).

La consapevolezza di sé porta a dare un nome e un senso alle emozioni negative e aiuta a comprendere le circostanze e le cause che le scatenano: più in generale essa permette un’autovalutazione obiettiva delle proprie capacità e dei propri limiti, così da riuscire a proporsi mete realistiche, scegliendo poi le risorse personali più adeguate per raggiungerle.

Anche l’autocontrollo fa parte delle competenze personali. Esso implica la capacità di dominare le proprie emozioni, il che non vuol dire negarle o soffocarle, bensì esprimerle in forme socialmente accettabili. L’incapacità di gestire le proprie emozioni, può portare infatti ad agire in maniera inopportuna, e magari a forme di esagerata aggressività nei confronti degli altri, offrendo di sé un’immagine ben poco lusinghiera. Chi è padrone di sé, riesce di solito a comportarsi in maniera appropriata alla situazione, tenendo conto delle regole del vivere sociale, riconoscendo le proprie responsabilità e i propri errori, rispettando gli impegni presi e portando a compimento i compiti assegnati.

Tra le competenze personali può essere inoltre collocata la capacità di alimentare la propria motivazione, mantenendola anche di fronte alle difficoltà o quando le cose non vanno come avevamo previsto o speravamo. La capacità di motivarsi è formata da una giusta dose di ottimismo e dallo spirito di iniziativa, attitudini che spingono a perseguire i propri obiettivi, reagendo attivamente agli insuccessi e alle frustrazioni. E, partendo dal presupposto che “l’apprendimento non avviene a prescindere dai sentimenti dei ragazzi, proprio ai fini dell’apprendimento, l’alfabetizzazione emozionale è importante come la matematica e la lettura”, tanto si può fare per orientare e canalizzare gli effetti delle emozioni e dei vissuti esperenziali pregressi e del momento.

Diversi sono gli approcci educativi che consentono all’insegnante di attuare il percorso d’insegnamento in modo da facilitare l’apprendimento dei propri allievi. Infatti, per costruire percorsi di crescita e di presa di consapevolezza armonica, e definire le modalità attraverso le quali i conflitti vengono determinati dalle relazioni interpersonali con compagni e insegnanti nonché dall’acquisizione di nuove conoscenze, si possono adottare diverse metodologie d’azione, prendendole in prestito a tecniche psicologiche di counseling, problem solving, psicodramma, role playing, circle time, programmi d’educazione metacognitivi.

Nel circle time le persone, disposte in cerchio, discutono un problema, raccontano esperienze e fanno riflessioni. L’obiettivo è acquisire una vera capacità di comunicazione circolare all’interno del piccolo gruppo, attraverso lo sviluppo di specifiche strategie di conoscenza reciproca, di riflessione, di cooperazione. Si può prevedere un’esperienza di circle-time (gruppi di discussione), con scansioni funzionale alle esigenze ed urgenze. L’attività si presenterà agli alunni come uno spazio da loro gestito, con regole comportamentali da rispettare. La durata è, normalmente, di 20/30 minuti, all’interno dei quali viene scelto un argomento di discussione ed un eventuale moderatore. Compito dell’insegnante è quello di assistere alla discussione, limitando al minimo i suoi interventi e sottolineando, in conclusione, gli aspetti positivi. Il fine ultimo è quello di portare i bambini ad una completa autogestione. Attraverso questa attività, gli alunni possono raggiungere una maggiore autostima, e acquisire competenze comunicative e sociali: imparare a discutere insieme, ascoltare “l’altro” senza interrompere, accettare tutte le opinioni, risolvere eventuali conflitti trovando insieme le possibili soluzioni, creare i presupposti dell’appartenenza al gruppo classe e aiutare quanti sono in difficoltà.

Fino ad ora le esperienze di circle-time condotte nelle varie classi si sono rivelate generalmente positive, nel senso che i bambini, dopo i primi momenti di incertezza, si mostrano più “curiosi” e meno intimoriti, disponibili al dialogo ed allo scambio di opinioni. Ho constatato, inoltre, che la presenza del bambino diversamente abile nel gruppo è stata stimolante e positiva per tre ordini di motivi:

- alcuni hanno partecipato attivamente e hanno avuto la possibilità di far emergere competenze non conosciute dai compagni;

- altri, pur senza intervenire, hanno dimostrato interesse e rispetto di alcune regole;

- laddove il bambino con bisogni speciali viene percepito come problema, il circle-time è stato occasione per esternare ansie, tensioni, conflitti, difficoltà e sollecitare riflessioni e ricerca di strategie.

Sicuramente ci vuole del tempo affinché queste competenze vengano interiorizzate e adottate anche al di fuori del circle-time ma i risultati, finora raggiunti, fanno ben sperare.

Il problem solving è, invece, una tecnica utilizzata per risolvere problemi interpersonali e sociali. Problem solving è il termine inglese che indica l’insieme dei processi per analizzare, affrontare e risolvere positivamente situazioni problematiche; è un’attività del pensiero che un organismo o un dispositivo di intelligenza artificiale mette in atto per raggiungere una condizione desiderata a partire da una condizione data. Fa parte di un più ampio processo costituito anche dal problem finding e problem shaping e nel tempo si sono sviluppati diversi metodi per effettuare tali operazioni, coinvolgendo più aree della comunicazione. L’arte di risolvere i problemi si compone di diverse abilità. Il problem solving non è una competenza tecnica, che appartiene ad un settore specifico, bensì una competenza trasversale ad ogni settore e consiste nella capacità di trovare una soluzione per un problema di qualsiasi tipo. Ciò presuppone la capacità di osservare la realtà da punti di vista diversi.

Spesso la soluzione ad un problema proviene più facilmente da chi non lo vive direttamente e proprio per questo motivo può “osservare la situazione dall’alto” ed avere un quadro più completo di essa. Basta assumere una prospettiva diversa e ciò che prima appariva come un problema non è più tale. Il problem solver apre la mente a possibilità prima inesplorate, riflette sul problema, ovvero si pone delle domande di tipo produttivo. Il sapiente utilizzo delle domande permette di porre il problema nel modo corretto (problem setting) e nel momento in cui esso è ben definito è già, in parte, superato. Attraverso varie tappe si può raggiungere una soluzione che soddisfi le varie parti: utilizzando il problem solving l’individuo acquisisce una mentalità aperta, pronta all’innovazione con gli altri e con se stessi. Inoltre i bambini che acquisiscono tale metodo, se viene da loro usato sistematicamente, tendono a fronteggiare con maggiore efficacia lo stress e le frustrazioni. Divenire competenti in fatto di problem-solving ha un impatto positivo anche sul rendimento scolastico (Pope, McHale, Craighead, 2002). Questo poiché nel problem-solving sono coinvolte le sfere emozionale, cognitiva e comportamentale, nonché le abilità interpersonali che hanno estrema rilevanza per il successo di un bambino nel risolvere un problema.

Il role-playing (gioco dei ruoli) sfrutta invece le capacità imitative-interpretative della persona come un’opportunità per cogliere i punti di vista dell’altro interpretando ora un ruolo, ora l’altro e permettendo agli alunni di esplorare i problemi insiti nei comportamenti disturbanti da varie prospettive e in modo costruttivo. Per essere maggiormente efficace il role-play dovrebbe suscitare la discussione, in piccoli gruppi o in tutta la classe, sulle problematiche e i sentimenti che emergono durante tutta l’attività. È sicuramente un mezzo importante per permettere di sviluppare una maggiore empatia e consapevolezza degli altri. “La capacità di identificarsi e comprendere la prospettiva di un’altra persona può essere potenziata attraverso l’opportunità di esplorare situazioni all’interno della cornice rassicurante del role-play.” (Fonzi, 1997).

Lo psicodramma è un metodo d’approccio psicologico che consente alla persona di esprimere, attraverso la messa in atto sulla scena, le diverse dimensioni della sua vita e di stabilire dei collegamenti costruttivi fra di esse. L’uso di questa prassi, facilita, grazie alla rappresentazione scenica, lo stabilirsi di un intreccio più armonico tra le esigenze intrapsichiche e le richieste della realtà, e porta alla riscoperta ed alla valorizzazione della propria spontaneità e creatività. Il dottor J. L. Moreno, psichiatra e pioniere nel campo dei processi di gruppo, ha scoperto negli anni ‘20 l’importanza e l’efficacia per la persona della rappresentazione scenica di ciò che ella vive, ha vissuto, desidererebbe vivere, avrebbe desiderato vivere. Tale messa in scena permette di avviare, in un contesto protetto e rassicurante, un dialogo percepibile, attivo e costruttivo fra i diversi aspetti della propria vita. La persona giunge così ad un più alto livello di coscienza di sé e di fiducia, e può accedere a modi maggiormente spontanei e creativi nel relazionarsi a sé e agli altri.

Lo psicodramma è dunque un metodo di sviluppo personale basato essenzialmente sulla “messa in azione” dei contenuti del mondo interno. Nello psicodramma la persona “gioca”, concretizzando sulla scena le sue rappresentazioni mentali. Il protagonista è attivamente impegnato a conoscersi ed a sviluppare le sue risorse: egli ascolta le diverse parti del suo mondo interno e relazionale, i suoi dubbi, le sue domande, i suoi talenti, i suoi blocchi, i sui desideri, i suoi bisogni… Così facendo egli avvia un dialogo interno che lo conduce a cogliere possibili soluzioni ai suoi conflitti intrapsichici e/o di relazione col mondo esterno. In questo suo procedere egli trova stimoli e conferme nella partecipazione e nell’appoggio sia del conduttore che del gruppo.

Con lo psicodramma la persona è messa in condizione di ri-sperimentare delle situazioni piuttosto che di raccontarle. La persona può parlare con le diverse parti di sé, parlare con le diverse persone della propria vita (interiorizzate), piuttosto che parlare di esse. Questo approccio teso a migliorare le relazioni interpersonali consente, grazie all’utilizzo di diverse tecniche proprie della metodologia d’azione (inversione di ruolo, doppio, specchio, soliloquio, sociometria), lo sblocco di situazioni interiori cristallizzate e ripetitive, la soluzione di problemi e di situazioni di crisi, la ricerca e la scoperta di opzioni alternative rispettose di sé e dell’altro. Con questo metodo la persona può, grazie allo sviluppo di un dialogo attivo, imboccare la via di un cambiamento che conduce all’autonomia e alla spontaneità creativa. Pertanto, lo psicodramma è la rappresentazione drammatica  di conflitti e situazioni cruciali, personali o generali, a scopo diagnostico, terapeutico, pedagogico o didattico o anche solo per l’esercizio di modi comportamentali inconsueti. Caratteristica di un avvenimento psicodrammatico è l’assenza temporanea di determinati ruoli, in cui entro un raggio d’azione più o meno stabilito, il soggetto ha molta libertà di prendere decisioni spontanee e di agire in maniera creativa autonoma. Non a caso, la parola psicodramma (da psiché = anima, soffio vitale e drama = azione) indica quel metodo professionale che consente di esplorare e conoscere la realtà psichica e le relazioni attraverso l’azione e la scena teatrale. Questo consente di riesaminare mediante un momento di una qualunque situazione per riattivare, in un contesto differente o simile, quanto è rimasto non detto o­ non visto in quella situazione precedente.  Muovendo da tale ottica, ripresa poi da Hillman (1987), nella concezione junghiana non solo il sogno, ma anche le fantasie interiori, di tutto ciò che si muove nell’inconscio possono essere compresi dal di dentro attraverso una logica teatrale “se lo spettatore capisce che è il suo stesso dramma che si sta rappresentando sul palcoscenico interiore non può restare indifferente alla trama o al suo scioglimento, si accorgerà via via che gli attori si succedono, e che l’intreccio si complica che …è l’inconscio che si rivolge a lui e fa sì che queste immagini di fantasia, gli appaiono davanti. Si sente perciò costretto, o è incoraggiato, a prendere parte alla recita”.

Già da tempo ormai, nel campo delle ricerche sul funzionamento della mente e sui modelli di apprendimento, uno sviluppo notevole lo sta avendo la psicologia cognitivista e soprattutto la teoria della metacognizione sia per l’interesse che questi approcci mostrano nei confronti dei processi educativi in generale, sia per lo sviluppo di metodi e di programmi applicativi che gli stessi mettono a disposizione degli insegnanti.

Si tratta nella maggior parte dei casi di studi applicati che si propongono di favorire nel discente condizioni di auto-riflessione sui processi di pensiero: fare metacognizione, in altre parole, significa facilitare lo sviluppo della conoscenza che l’allievo ha del proprio funzionamento cognitivo e di quello degli altri, il modo in cui può prenderne coscienza e soprattutto tenerne conto.

Secondo il Prof. Paour dell’Università di Grenoble, “l’ambito di un’educazione di questo tipo, cioè di una educazione cognitiva, ricopre un enorme insieme di interventi psico-pedagogici tutti volti a contribuire alla costruzione e all’utilizzazione efficace degli aspetti di funzionamento e di conoscenza della mente”.

Tra i programmi applicativi di educazione cognitiva sviluppati per particolari popolazioni di allievi a rischio -o di adulti a basso livello di formazione-, quelli più diffusi sono il PAS (Programma di Arricchimento Strumentale) di R.Feuerstein; il Brigth Start (Programma di Educazione Cognitiva per bambini) di Haywood, Brooks e Burns; il Metodo CoRT (Cognitive Research Trust Thinking Program) di De Bono; i programmi sul pensiero induttivo di Klauer; il CASAP (Corso di Addestramento alla Soluzione Analitica dei Problemi) di Whimbey e Lochead (Whimbey e Lochead; Lochead); il Metodo GM (il Metodo della Gestione Mentale) di Antoine de la Garanderie (A. de la Garanderie) e il programma ASA (Arricchimento delle Strategie di Apprendimento) di Buchel&Buchel . Sono tutti programmi che si caratterizzano per l’approccio generale ai processi cognitivi e metacognitivi avendo come obiettivo generale dichiarato il miglioramento delle capacità di apprendimento e di soluzione di problemi in modo da generare nel soggetto saperi e saper fare cognitivi autonomi e autoregolativi come riconoscere, mobilitare, usare e controllare il maggior numero di strumenti cognitivi.

Il Programma di Educazione Cognitiva per la Prima Infanzia “Bright Start” si rivolge a bambini abili o diversamente abili di età mentale compresa tra i tre e i sette anni. Obiettivo principale del Programma è quello di favorire, nella fase di trattamento delle informazioni, lo sviluppo di modalità di pensiero efficace nel momento della loro acquisizione, prevenendo eventuali problemi di apprendimento conseguenti ad uno sviluppo cognitivo inadeguato. Il BS viene applicato, sia come parte integrante di curricoli orientati all’apprendimento di contenuti in ambito scolastico e sociale, sia come sistema di base per lo sviluppo di attività in autoapprendimento.

Il metodo della Gestione Mentale, invece, elaborato da Antoine de la Garanderie, poggia sulla convinzione dell’importanza del ruolo che hanno le immagini mentali nella codifica di un messaggio o nell’interiorizzazione di una procedura. Si basa sulla distinzione fondamentale tra percezione ed evocazione secondo cui la non riuscita scolastica è legata in qualche modo ad una incapacità di codificare e decodificare un messaggio. Secondo il Metodo GM per accedere alla comprensione, l’individuo deve ricostruire mentalmente il messaggio percepito (una regola, una definizione, una consegna, ecc) attraverso un processo di evocazione basato su potenzialità visive e/o uditive (potenzialità che ciascuno di noi possiede, in grado più o meno evoluto e completo) che ha lo scopo di facilitare proprio la gestione mentale del compito da svolgere. L’originalità del metodo consiste nell’assunto che è possibile trasformare in pratica cosciente nei soggetti strutturalmente deboli, ciò che normalmente si verifica in modo inconsapevole nei soggetti che riescono a svolgere in modo efficace i loro compiti, attraverso la graduale scoperta e il conseguente potenziamento del proprio stile di apprendimento.

Il programma PAS (Programma di Arricchimento Strumentale) è lo strumento certamente più conosciuto tra quelli che si occupano di educazione cognitiva e da cui derivano in qualche modo tutti gli altri. Inizialmente destinato ad adolescenti di scarso rendimento scolastico che avevano nei test di intelligenza punteggi tali da situarli in una zona di ritardo mentale è stato poi utilizzato sempre di più in una grande varietà di situazioni differenti con soggetti senza difficoltà specifiche, bambini, adolescenti e adulti. In tutta l’elaborazione che sta alla base del programma PAS c’è l’intenzione di restituire importanza e peso alle abilità cognitive intese, sia come referenti concettuali della teoria operazionale di Piaget, sia soprattutto come portatrici dell’arricchimento vygostskiano e bruneriano dell’interazione sociale. Come sistema di applicazione strumentale, il PAS costituisce la modalità base attraverso cui si dimostrano la teoria della Modificabilità Cognitiva Strutturale (M.C.S.) e la teoria dell’Esperienza di Apprendimento Mediato” (E.A.M.) dello studioso israeliano Feuerstein. Lo stesso autore, a tale proposito, dice: “l’arricchimento strumentale è una vera e propria strategia per il re-sviluppo della struttura cognitiva dell’individuo e mira non tanto a recuperare o a potenziare una qualche specifica abilità cognitiva o area funzionale ma ad incidere sullo stesso processo di apprendimento” (Feuerstein, 1995).

Rispetto alle attività didattiche normali il Programma di Arricchimento Strumentale può essere molto positivamente utilizzato sia come complemento di un programma scolastico regolare sia come complemento di una singola disciplina o di un insegnamento di base anche extrascolastico. La cosa più interessante di questo metodo sta nel fatto che si basa su assunti teorici che teorizzano il concetto di “modificabilità strutturale cognitiva”: il sistema cognitivo è un sistema aperto e modificabile significativamente dall'intervento ambientale, sia per quanto riguarda le caratteristiche di personalità, sia per quanto riguarda la capacità di pensiero o il livello generale di competenza.

Il PAS diversamente da tutti gli altri programmi più o meno diffusi, si propone di agire sulle funzioni cognitive migliorandone l’efficacia a livello di gestione dell’atto mentale, facilita di fatto la ridondanza strategica del “bridging” permettendo all’allievo di muoversi all’interno di un universo di significati ancora sconosciuto fruendo del codice a lui più congeniale e di utilizzarlo come strumento di lavoro per codificare gli altri codici meno conosciuti o meno praticati e i cui messaggi non risultano sempre immediatamente correlabili con gli altri.

In ogni caso, per ogni persona il valore delle proprie prestazioni esperenziali è associato, non solo alla quantità, alla qualità e al tipo di conoscenze metacognitive possedute, ma anche alla conoscenza dei sistemi di controllo dei processi metacognitivi e a tutta una serie di variabili di tipo emotivo-motivazionali.

Per tale ragione, ogni strategia individuata e utilizzata dall’insegnante per migliorare il contesto classe e nel contempo facilitare l’apprendimento e il vissuto emotivo di ogni suo alunno, potrà essere efficace e funzionale solo se sarà supportata dalla capacità comunicativa e di ascolto attivo ed empatico di ogni docente. In questo modo egli entrerà nel mondo personale del bambino dimostrando interesse e partecipazione sincera. Ascoltare significa permettere ai bambini e ai ragazzi di esprimersi, di confrontarsi, di chiedere aiuto, di non sentirsi soli. Ascoltare significa fare in modo che bambini e ragazzi non tengano dentro problemi, ansie, tensioni, confusioni spesso stressanti e dannose per la crescita e l’apprendimento.

 

Bibliografia:

Di Pietro M., (2003), L’educazione razionale-emotiva, Trento, Erickson.

Feuerstein R., et all., (1995), Non accettarmi come sono, Milano, Sansoni R.C.S.

Fonzi A., (1997), Il bullismo in italia, Firenze, Giunti.

Ladd G.W., Birch S. H., Buhs E., (1999), Children’s social and scolastic lives in kindergarten related spheres of influence?, in “Child development”, No 70, pp 1373-1400.

Mitchell S. A., (2000), Il modello relazionale, dall’attaccamento all’intersoggettività, Milano, Cortina.

Pianta R., (2001), La relazione bambino-insegnante, Milano, Raffaello Cortina.

Pope A., McHale S., Craighead E., (2002), Migliorare l’autostima, Trento, Erikson.


* Insegnante specializzata per il sostegno, psicologa, psicoterapeuta, counsellor socio-educativo, psicopedagogista


PM --> HOME PAGE ITALIANA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> ISTRUZIONE