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PSYCHOMEDIA
ARTE E RAPPRESENTAZIONE
Arti Visive



"Per via di levare". Psicoanalisi e Scultura

di Luca Trabucco

Presentazione dell'opera di Alfonso M. Gialdini



"We cannot say at what point tecnique begins or where it ends"
(T.S. Eliot)

Presentare l'opera di uno scultore moderno rappresenta per me un compito che senza la conoscenza dell"opera del Mo. Gialdini non avrei mai affrontato, in quanto troppo spesso mi sono trovato di fronte a realizzazioni brutte e incomprensibili. Brutte e incomprensibili per la mia "estetica" naturalmente, che deve trovare in ciò che guarda qualcosa che emozioni, in cui lo sforzo intellettuale che eventualmente richiede rappresenti, per dirla con Bion, lo sforzo necessario a comprendere l"esperienza emozionale.

Naturalmente l'opera del Mo. Gialdini mi emoziona.

Mi emoziona il materiale che costituisce il substrato del suo stile scultoreo, che non è chiaramente casuale e ininfluente nella realizzazione dell'idea che si materializza, non rappresentando un arricchimento esteriore e/o compensatorio di una insufficienza artistica.
Mi emoziona sopratutto lo stile, sempre riconoscibile pur nella diversità della sua produzione, che a mio avviso indica il "contatto" con una matrice creativa autenticamnete personale e nel contempo comunicativa.
Mi emozionano i contenuti che mi sembrano sempre rimandare a esperienze umane profondamente condivisibili, pur se qui non mi potrò soffermare su di essi, anche perché l'analisi delle singole opere dovrebbe avere dei riferimenti biografici da cui restiamo ovviamente estranei.
Può solo essere rilevante il fatto che l'estro artistico è stato una scoperta ed una conquista di una fase relativamente avanzata della sua vita, una svolta decisiva e chiaramente creativa. Come analista non posso che restare affascinato e incuriosito da questo mutamento, che mi porta a pormi la domanda: "da dove nasce la creatività"?

Cercherò di tracciare un breve percorso attraverso il pensiero psicoanalitico per dare le coordinate della mia personale "estetica".

La primitiva concezione freudiana lega la creatività artistica al concetto di "sublimazione" delle mete pulsionali parziali. In particolare la scultura rappresenterebbe una sublimazione della fase coprofilica dello sviluppo del bambino. Tuttavia la stima in cui Freud tiene l'artista per la capacità di descrivere le leggi e le modalità di funzionamento dell'inconscio, che solo a costo di grandi sforzi egli riuscì ad individuare e formulare, fa pensare ad un'idea di fondo sulla creatività artistica più "creativa" e meno legata alla meccanica pulsionale.

Hanna Segal, nel suo classico "Approccio psicoanalitico all'estetica" (1952), individua nella posizione depressiva descritta dalla Klein il punto originario della creatività artistica: "[Il] desiderio di reintegrare e ri-creare è alla base della successiva sublimazione e creatività". Questo desiderio è volto verso l'oggetto primario, attaccato sadicamente nelle primitive fasi dello sviluppo, e distrutto nella fantasia a causa della necessità di proiettare gli elementi persecutori, fino a che l'integrazione permette di passare alla fase depressiva, con la conseguente preoccupazione per l'oggetto, ora percepito nella sua realtà come buono e cattivo al contempo.
La concezione kleiniana, pur rappresentando un progresso notevole rispetto al concetto freudiano di sublimazione pulsionale, rimane fondamentalmente condizionata dalla concezione unipersonale della mente della Klein, per cui la riparazione, pur coinvolgendo profondamente l'oggetto, è essenzialmente in rapporto al sadismo primario contenuto nella pulsionalità propria al Sé.

Elliot Jaques (1965) ha individuato, tra l'altro, questo momento riparatorio nella "crisi di mezza età", legata alla elaborazione depressiva del lutto per la propria esistenza, e per le proprie fantasie di eternità ... Nel mezzo di cammin di nostra vita ...
La mezza età rappresenta quel momento, secondo Jaques, in cui il rivolgersi al proprio passato ha lo scopo di recuperare e ri-creare gli oggetti e le esperienze perdute -fin troppo facile qui ricordare Proust e la Recherche- intese sia come oggetti della propria vita esteriore, che aspetti del proprio Sé (v. anche Grinberg, 1971, allorché illustra le modalità del lutto per le parti perdute del Sé). Questo rilievo pare particolarmente indicato nei riguardi del nostro.

Sebbene il sadismo primario e gli aspetti persecutori e proiettivi rappresentino sicuramente elementi essenziali nello sviluppo psichico, non può essere considerato che come uno degli elementi in causa, essendo l'altro per l'appunto l'oggetto nella sua realtà materiale.
Sarà allora Winnicott che, sviluppando la teoria della relazione d'oggetto implicita nella concezione kleiniana, ci verrà ulteriormente in aiuto per comprendere più a fondo la matrice della creatività artistica e culturale.
Nella formulazione del concetto di oggetto e fenomeni transizionali, sviluppato successivamente da Ogden (1989) -spazio potenziale- e da Bollas (1987) con l'idea dell'oggetto trasformativo, troviamo la possibilità di muoverci in un'area che tenga conto sia della pulsionalità dell'Io che del contributo dell'oggetto e della cultura. Sarà il punto di incontro di natura e cultura?

E' dal gioco e col gioco che l'uomo impara a creare, dapprima grazie alla capacità della madre di creare un'illusione di onnipotenza attraverso la "presentazione dell'oggetto", ovvero offrendo al bambino l'oggetto desiderato quasi ad anticipare il bisogno, lasciandogli l'illusione di essere stato lui stesso, con l'onnipotenza del suo pensiero, a crearlo; quindi attraverso una graduale disillusione a conquistare l'oggetto, attraverso il suo uso, primo possesso non-me, dove il bambino ritrova sia se stesso che la madre. E' propriamente in questo oggetto intermedio che ritroviamo la forma dell'opera d'arte, espressione al contempo della più profonda soggettività, così come del legame con l'oggetto. E' questo legame, l'ombra dell'oggetto che si protende nell'Io, secondo l'immagine freudiana ripresa ed elaborata da Bollas (1987), che lega l'espressione della creatività individuale alla matrice culturale in cui si sviluppa, ed è da questo legame che l'opera d'arte trae la sua essenza comunicativa.

Tuttavia, a mio avviso, bisogna andare ancora al di là di Winnicott per entrare più a fondo nel mistero della creatività, e in particolare per concepire lo strutturarsi di uno spazio in cui si fondono spontaneità emozionale e pensiero espressivo.
Come è noto nella concezione di Winnicott non viene tenuto in debito conto il ruolo del padre. Secondo Winnicott i fenomeni transizionali hanno a che fare con quel momento del rapporto primario in cui l'oggetto (la madre) è concepita e non ancora percepita (1971, p. 167), per cui rappresentano il simbolo dell'unione, del legame.
Il simbolo non può essere pensato al di fuori di uno spazio di pensiero in cui esista una separazione, essendo il simbolo già il modo per pensare questa separazione. E' la figura del padre come terzo che rappresenta questa funzione separante della mente, che solo separando permette di riunire.

Faccio qui riferimento a un concetto presente nella formulazione di Bion in "Una teoria del pensiero" (1962), dove viene evidenziata la necessità della congiunzione tra preconcezione e frustrazione perché possa formarsi il pensiero, l'area simbolica della mente. Mentre la congiunzione tra preconcezione e soddisfazione genera un concetto: la creatività artistica ha sicuramente a che fare con pensieri e simboli e non con concetti. La frustrazione è introdotta dalla presenza sulla scena del legame primario dalla figura del padre, che interdice la fantasia di possesso illimitato dell'oggetto, sia nel senso del bambino verso la madre, che viceversa. In questa "preconcezione edipica" (Di Chiara e coll., 1985) il terzo è sempre sullo sfondo come elemento capace di creare uno spazio mentale, di dare quella profondità alla relazione per cui gli oggetti, sfuggendo al controllo onnipotente dell'Io, debbono essere introiettati andando a costituire il mondo interno.

Nell'ambito della creatività artistica è in base a questo modello che si può concepire lo "stile". E' attraverso il proprio stile che l'artista manifesta se stesso nella maniera più profonda, ma nel contempo non investe il fruitore della sua opera con un fluire caotico di manifestazioni (quasi) dirette del proprio inconscio -il processo primario allo stato puro non è dato di percepirlo-, come capita quando ci troviamo di fronte a forme di cattiva arte o pseudo arte. Con lo stile, espressione della mediazione tra inconscio e pensiero, egli offre un prodotto che, in quanto permeato di "cultura" -i fenomenologi forse direbbero di intersoggettività- riesce a far vibrare delle "corde" che all'interno di ogni uomo trovano un qualche tipo di risonanza.

In questi casi siamo di fronte ad un artista che riesce ad essere comunicativo, a non rimanere chiuso in un universo individuale dove regna l'onnipotenza e la sterilità. Come osserva Ferrari (1994) lo stile rappresenta la risultante di una "corrispondenza strutturale tra il bisogno di ogni individuo di ordinare e controllare il proprio caos interno e certe norme e principi estetici" (p. 33). Andando al di là del discorso di Ferrari, che basa le sue considerazioni su di un modello freudiano-kleiniano, e quindi la corrispondenza di cui parla fa riferimento al principio di costanza, possiamo pensare a questa corrispondenza in base al principio della ricerca dell'oggetto, e quindi rispondente ad un fondamentale bisogno comunicativo, che ha il suo modello nella identificazione proiettiva e nella rèverie materna di cui parla Bion, teso alla comprensione di Sé attraverso l'altro.

Credo che questa esigenza comprensiva sia alla base dell'opera artistica, in cui l'artista tende a risolvere il problema della pensabilità e della vivibilità della propria condizione umana. Sicuramente ciò è presente nell'opera di Gialdini.
Nello stile di questo artista ritengo di ritrovare un filo conduttore che lega le varie opere fra di loro, e anche i vari momenti della sua produzione. Questo filo mi pare rappresentato dal tentativo di esprimere la tensione verso l'armonia, anche quando i contenuti che vengono espressi fanno riferimento a momenti di grande sofferenza e di grande angoscia. La tensione verso l'armonia è rappresentata in vari modi.

Il primo e più evidente è dato dalla ricerca di forme e linee che costantemente accolgono lo sguardo in una serie di rimandi che definirei "prospettici", catturando l'attenzione in questa tensione verso il centro di un movimento costante verso quella che mi sembra l'essenza della scultura di Gialdini: l'accoglimento di una realtà sfuggente, o, complementarmente, lo sfuggire dell'elemento accogliente rispetto alla realtà che le si propone.
In fondo mi sembra di poter generalizzare senza allontanarmi troppo dalla complessità della sua opera dicendo che al fondo delle sue sculture si può ritrovare la figura femminile-materna nel suo rapporto col bambino.
In questo senso, per me estremamente suggestivo, i rimandi tra queste due "figure" sono sempre estremamente complessi, nella sua scultura, come nella realtà mentale dell'uomo.
Il cercarsi ed il non trovarsi vengono rappresentati plsticamente nella grande dinamicità che le linee della scultura evoca, lasciando sempre aperta la tensione tra un soddisfacimento possibile e realizzato, ed una frustrazione angosciosa e disperata.

In ogni pezzo troviamo questo contraddirsi del sentimento. Sia attraverso il contenuto, quando per esempio compare un elemento "maschile" a rompere l'unione che sembra realizzarsi, sia attraverso il rapporto col materiale, di cui parlerò più avanti. L'elemento maschile, che può apparire esplicitamente o simbolicamente, come figure che traspaiono nella figura femminile, asce o incudini o armi, o nella struttura androide che talvolta in certi particolari contraddistingue l'elemento femminile, rappresenta proprio l'elemento separante nel senso che dicevo più sopra. E' quell'elemento che separando però permette anche di realizzare il rapporto, evitando una fusione conglutinante, che, nella scultura, sarebbe la fine della comprensibilità finendo forse per creare unicamente una massa informe.
E' anche quell'elemento che permette di creare lo spazio ove possa essere accolto il sentimento, l'idea abozzata (la preconcezione), non solo il "ritorno del rimosso", ma l'angoscia nascente e sempre rinnovantesi della disintegrazione, forse alla base del sentimento perturbante di cui ci ha parlato Freud che ci prende di fronte all'opera dell'artista.

Tendere al contenimento del sentimento rappresenta propriamente a mio avviso il nucleo dell'esperienza del "bello", dell'esperienza estetica. Il sentimento contenuto apre alla creazione in quanto non si ha a che fare solo con l'esperienza rimossa, cioè già in qualche modo vissuta, ma con la rivelazione di aree della mente che devono essere ancora simbolizzate (v. anche Magherini, 1992, 1997), che hanno a che fare con esperienze mentali che devono trovare ancora la loro pensabilità (Tagliacozzo, 1982).
Il sentimento estetico nasce quindi dall'incontro tra queste esperienze mentali e un contenitore adeguato (forse qualcosa di simile voleva anche dire Meltzer, 1988) che permette la trasformazione; allorché viceversa questa trasformazione non avviene abbiamo una presentazione di contenuti bruti della non-pensabilità. Sono queste le forme di cattiva o pseudo-arte di cui accennavo all'inizio, illustrazioni magari di "patologia" -nel senso di sofferenza- ma non rappresentazioni artistiche proprio perché non trasformative.

Nelle sculture di Gialdini questa trasformatività viceversa si percepisce costantemente: si percepisce come l'equilibrio delle forme e delle linee, e di queste con la natura del materiale, abbia comportato un lavoro lungo di reciproca interazione trasformativa. E si percepisce come la figura risultante sia stata "estratta" dal materiale di cui è fatta, con ispirazione michelangiolesca, ma rispondendo ad un bisogno di confrontarsi con una realtà che al contempo contiene l'idea e si oppone al realizzarla.
Il materiale usato, legno o pietra "basaltica", nella scultura di Gialdini rappresentano il corpo dell'opera. Quel corpo che è sostanza dell'opera e suo limite, substrato e ostacolo, materia da piegare all'idea, integrazione quasi impossibile di naturalità e cultura.

Nel materiale sembra essere ricercata la sua profonda sostanza emozionale, la fibra del legno, il colore e la trama della roccia, quasi a volerla "tirar fuori" a fronte di una resistenza ineludibile.
In questo senso il materiale diviene elemento essenziale in questa scultura, come il corpo è essenziale di ogni individualità: "Va detto del corpo ciò che S. Agostino diceva del tempo: che esso è perfettamente familiare ad ognuno, ma nessuno di noi può spiegarlo agli altri e ad ognuno di noi esso è, parimenti, perfettamente oscuro. Da questa oscurità irriducibile anche nell'apparato psichico più mentalizzato, da questa latenza, l'esperienza del corpo emerge" (Barale, Ucelli; 1997, p. 61).
Esso ci mette in relazione con le angoscie fondamentali dell'esistenza, con l'alfa e l'omega della nostra vicenda umana, il trauma della nascita (Rank), la paura della morte (Bonasia, 1997), quelle fondamentali situazioni intorno alle quali nasce il bisogno del pensiero, della rappresentazione e della simbolizzazione, di cui la creatività artistica rappresenta l'espressione forse più universale.

Il corpo è elemento costitutivamente ambiguo proprio in ordine alla esigenza di integrazione: esso infatti rappresenta l'elemento intorno al quale si costituisce l'identità del Sé, come nel contempo rappresenta ciò che ne fonda la dissoluzione.
Nell'opera scultorea di Gialdini questa tensione appare anche nel carattere sensuale che traspare quasi ubiquitariamente, ma una sensualità che sembra avere meno a che fare con l'erotismo, che non con un bisogno di integrazione e di contenimento dell'esperienza emozionale: una sensualità che rimanda al mito del Convivio di Platone, di ricostituzione di un'unità originaria, ricongiunzione con un oggetto primario mitico. "L'oggetto originario, l'oggetto perduto, in quanto fondato nell'area delle fantasie [...]prescinde da qualsiasi realtà: l'oggetto madre, pertanto, non riuscirà mai ad essere un oggetto sufficiente" (De Silvestris, 1994). Questa insufficienza, l'intervallo incolmabile tra bisogno e soddisfazione, tra impulso espressivo e rappresentazione realizzata, crea la tensione "perturbante" che è propria della vera arte, e che mi sembra di ritrovare in queste opere. Così come questa tensione nasce tra l'espressività del Sé più personale e il desiderio di condivisione, mettendo drammaticamente in campo lo spazio della solitudine: "Questa è la condizione solipsistica; la profondità della sua solitudine stimola alla comunicazione, la necessità di condividere, la fame di intimità, il dire ciò che può essere detto - e mostrare ciò che non può" (Meltzer, 1988).

Freud riprese la formula leonardesca "Per via di levare", che contraddistingue il modo di procedere della scultura contrapposto a quello della pittura, "Per via di porre", per distinguere il procedere analitico rispetto ai metodi suggestivi. L'analisi, eliminando tutto ciò che cela la verità profonda dell'uomo, tende a raggiungere la sua più intima essenza individuale e nel contempo a rivelarne la sua "umanità" più universale, pur dovendosi prima o poi scontrare con lo "strato roccioso" di ciò che non può essere detto, e che purtuttavia e proprio ciò che stimola più profondamente la nostra curiosità.
Nella scultura di Gialdini il tentativo di giungere a cogliere qualcosa che sta dentro al corpo ancora informe dell'opera sembra voler essere rispettoso di una natura ultima nascosta in fondo alle cose, ovvero della propria natura più profonda, e della natura più profonda dell'uomo. Ciò senza eludere il confronto con la pesantezza della realtà, ma anzi proprio grazie a questa stessa "pesantezza". Credo che di fronte all'opera di questo artista ci si possa confrontare con la bellezza drammatica dell'esistenza.

Riferimenti bibliografici

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De Silvestris P. (1994) Transfert come vita e destino, in: Algini M.L.; De Silvestris P.; Farina C.; Lugones S., Il transfert nella psicoanalisi dei bambini, Borla, Roma.
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